Anime & Manga > 07 Ghost
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Autore: moni93    24/06/2016    0 recensioni
Il perdono non è facile.
Non è facile dimenticare, cancellare le lacrime ed il dolore. L'odio pare la nostra sola fonte di sopravvivenza, la sola cosa che ci dà forza sufficiente per andare avanti. Ma può chiamarsi questo vivere, quando le catene del passato ci legano al suolo?
Può la vita chiamarsi tale, se i fantasmi del passato ci artigliano il cuore con le loro parole?
Il perdono non è facile.
Ma si può sopportare e andare avanti, liberi, percorrendo un sentiero fatto di luce.
[NOTA: SPOILER per chi non avesse concluso la lettura del manga!]
Genere: Angst, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Castor, Quasi Tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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PARALYZED

 

 

 

Castor si era immaginato spesso la tomba di sua madre. Non si era fatto un’idea precisa, ma sperava che gli aggettivi per descriverla sarebbero stati ‘bella’, ‘nostalgica’, ‘calda’; non nel senso fisico del termine, ma che essa scaldasse il cuore a chiunque la visitasse, come se guardandola si potesse ricordare la persona che, ora, non esisteva più in quel mondo di luce ed ombre.

Una volta aveva avuto l’ardire di pensare a come sarebbe stata se l’avesse progettata lui stesso. Avrebbe creato la bambola più meravigliosa e perfetta, il suo capolavoro, e l’avrebbe posta lì, a riposare sotto l’albero che la madre gli aveva donato non appena era venuto al mondo. Così avrebbero trovato pace insieme, almeno simbolicamente.

Purtroppo, lui si trovava ancora in vita ma, almeno, ora poteva ambire nuovamente alla morte. Una volta che Teito, aprendo la porta per Seele, aveva liberato i Seven Ghost dal loro incarico, essi avevano riassunto la loro forma umana e, con essa, avevano ricevuto in dono l’ultimo desiderio del portatore dell’occhio di Mikael. Un’altra possibilità per cancellare i loro rimpianti e fare ammenda prima della fine. L’occasione inaspettata di camminare ancora per un cammino fatto di luce.

Come primo passo, Castor voleva salutare degnamente sua madre e, per tale ragione, si era recato presso la villa degli Hausen. Non poteva incominciare il suo nuovo viaggio, se prima non avesse chiuso i rapporti con il passato. Era stato Labrador stesso a farglielo comprendere e, per quanto detestasse ammetterlo, era anche merito di Lance. Con modi diversi, i due vescovi gli avevano aperto gli occhi sulla necessità di compiere i dovuti omaggi alla persona che era stata un tempo; doveva inoltre riappacificarsi con le persone che lo avevano accompagnato in quella vita lontana, quando il suo nome era ancora Xing-lu.

Se non avesse trovato pace dentro di sé, non avrebbe potuto trovarla in alcun luogo.

“Intendi forse sprecare così il prezioso dono di Teito?”

Le parole di Labrador gli avevano rimbombato nella mente, finendo poi per colpire il suo cuore.

“Secondo il mio oroscopo, domani sarebbe la giornata ideale per partire! Ma non indossare nulla di bianco, mi raccomando, dice che ti porterebbe iella!”

Quelle di Lance, invece, lo colpirono dritto nell’orgoglio. Adesso che non c’era più quel crea casini pervertito di Frau nei paraggi, gli toccava sorbirsi le perle di saggezza di quel fanatico dell’astrologia?

La mano di Lazette poggiata sulla sua, come una carezza, lo fece però desistere. A lei non riusciva a dir di no. Quella Sirena di Noel lo conosceva meglio di chiunque altro e, per lei, avrebbe affrontato persino i demoni del suo passato.

La prima ed unica persona con la quale l’uomo voleva riconciliarsi era sua madre; la sola che avesse mai amato e alla quale aveva arrecato una sofferenza immensa. Quella gentile quanto fragile donna lo aveva perdonato. Dopo anni in cui si era perduta tra le vie tentatrici delle tenebre, ella era stata salvata ed il suo ultimo gesto, così come il suo primo pensiero da quando era divenuta madre, era andato a lui. Era accorsa dal suo piccolo Xing-lu per abbracciarlo un’ultima volta, un tocco leggero fatto di vento e di ali di luce. Il bacio d’addio di una mamma, che avrebbe voluto augurare la buonanotte al figlioletto, quando il mondo le appariva ancora un luogo pieno di colori e vita.

Adesso, era il suo turno.

Le paure e i dubbi non avevano fatto altro che accumularsi durante il tragitto verso il Primo Distretto, viaggio che Castor aveva voluto compiere da solo. Gli dispiaceva infinitamente lasciare sola Lazette, ma la sirena aveva accettato il loro distacco con un sorriso raggiante, che aveva scaldato il cuore del vescovo. Seppur distante, il filo che univa i due innamorati era forte come non mai. Questo diede forza al ragazzo, ma non appena giunse presso la villa, si sentì come se qualcuno avesse spento la lanterna che lo aveva guidato sinora nelle tenebre. Era divenuto freddo, insensibile, quasi non riusciva più a percepire i suoi stessi sentimenti che, fino a poc’anzi, lo avevano accompagnato sino a quel punto. Era il peccato del suo passato che ancora lo tormentava, l’ombra di Xing-lu che si era fatta viva e palpabile, alle sue spalle. Avvertiva i suoi passi, Castor, lenti e pesanti come macigni. Guidato dall’istinto e dai ricordi, giunse infine alla sua meta.

La tomba era esattamente come si doveva aspettare dalla nobile famiglia degli Hausen: fredda, anonima, un monumento senz’anima che, come unico ornamento, portava la croce della Chiesa di Barsburg, la stessa che il ragazzo aveva servito per tanti anni con devozione. Il colore marmoreo della lapide pareva convergere in sé tutti i colori del mondo. L’azzurro del cielo, così limpido ora che era primavera, il verde dell’erba che portava ancora la brina della gelida notte, il bianco del sole che con i suoi raggi illuminava ogni cosa; tutto ciò perdeva forma, si deformava dinnanzi a quella scultura che, un tempo, era stata una persona. Una madre. La sua.

Toccò la lapide, come manovrato dai fili delle marionette che aveva costruito fin da ragazzino, e avvertì quanto essa fosse priva di vita e reale.

Prima non ci sarebbe riuscito. Quando era il dio Fest, non sarebbe stato in grado neppure di vedere quel luogo che aveva conosciuto quando era Xing-lu Hausen. Tuttavia, ora era Castor, semplicemente un ragazzo senza un passato, ma con davanti a sé un futuro tutto da scrivere, con delle persone al suo fianco che lo avrebbero aiutato a comporre un libro immenso, fatto di tantissime parole e colpi di scena. Un romanzo che sua madre, sicuramente, avrebbe adorato leggere.

“Madre, ti ho fatto soffrire tanto quando ero in vita... ma adesso che mi è stata concessa da Dio una seconda opportunità, voglio essere felice. Anche per te, mamma.” l’ultima parola la pronunciò chiudendo gli occhi e donando alla lapide il più sincero e bello dei suoi sorrisi “Mi dispiace non essere stato in grado di donarti un mio sorriso, quando appartenevi ancora a questo mondo.”

Congiunse le mani stringendovi il rosario che portava al collo. Aveva pregato innumerevoli volte per i credenti della sua chiesa ed anche per coloro che non riuscivano più a vedere la luce del Signore, che guidava ogni loro passo e che gli era sempre vicino; anche nel peccato, anche quando perdevano la fede in lui. Era la prima volta, però, che lui invocava Dio per se stesso, che confidava con profondo sconforto e fiducia in quell’entità che sapeva per certo esistere. Gli faceva uno strano effetto, quasi non sapeva che dire. Le preghiere imparate da piccolo, i passi memorizzati una volta divenuto uno dei Seven Ghost, sembravano così inadatte e lontane dal suo mondo interiore. Poi, come guidato dal soave canto di Lazette, intonò dentro di sé una preghiera che sapeva di rimpianto e malinconia, ma anche di gioia, speranza e un’immensa gratitudine.

Fu nel bel mezzo di quel suo monologo interiore, che non escludeva nessuna delle persone che aveva incontrato nel suo cammino e che lo avevano condotto fino a quel luogo, che Castor udì un suono alle sue spalle. Quando si voltò, leggermente scocciato per l’interruzione, gli occhiali quasi gli caddero per lo stupore.

“D-dannazione...” mormorò, per poi morsicarsi la lingua.

Non era proprio la prima parola che voleva rivolgere a Seiran dopo tanti anni che non lo vedeva. Tuttavia, neppure la seconda che pronunciò fu esattamente congeniale al momento.

“Ciao...” disse infatti, sollevando una mano in un gesto meccanico, mentre il servo era rimasto bloccato sul posto.

La scopa che reggeva tra le mani per pulire il giardino adiacente alla villa dalle troppe foglie, e che conteneva le lapidi ed i resti di tutti gli appartenenti della casata dalla fondazione della famiglia Hausen, rotolò per qualche passo a terra, come anch’ella sgomenta da tale visione. Gli abiti, così come il viso del servitore, non erano cambiati di una virgola. Pareva che il tempo si fosse fermato per lui, eccezion fatta per la cicatrice che portava vistosa sulla fronte. Xing-lu, invece, si era fatto più maturo e, per giunta, i suoi abiti erano inconfondibilmente quelli di un uomo di chiesa.

“Si... si... SIGNORINO XING-LU!!!”

Seiran si buttò al collo di Castor, facendolo quasi cadere a terra. La commozione, tuttavia, prese il posto allo sgomento ed all’irritazione mal celata dalle sue parole.

“ARGH!” gridò infatti l’uomo, staccandosi dal giovane e fissandolo meglio da capo a piedi “Siete proprio voi... e con gli abiti di un vescovo, per giunta! Dannazione, quel moccioso aveva ragione!!”

L’ex Ghost avrebbe tanto voluto aprir bocca per dare qualche spiegazione o anche solo per calmare Seiran. Non era tornato a casa per rincontrare le persone che aveva conosciuto nella sua precedente vita, non si sentiva ancora pronto. Per quel giorno si sarebbe accontentato di visitare la tomba di sua madre, non credeva di avere la forza per affrontare di petto tutto il passato con i suoi rimpianti. Già dinnanzi a quella lapide aveva quasi ceduto alle tenebre, non se la sentiva di fare un  altro passo tanto importante. Il servitore, tuttavia, non gli diede il tempo di reagire, né di pianificare alcuna fuga.

“Venga dentro, saranno tutti così contenti di rivederla!” disse l’uomo in preda all’agitazione, trascinando di peso il vescovo oltre il cancello della villa e, poi, sempre più vicino al portone d’ingresso.

“Nonono, non è il caso!” gridò Castor, mentre l’ansia ed il panico si facevano strada sempre più violentemente nel suo cuore.

Nemmeno si accorse degli altri due inservienti che si trovavano nel salone d’ingresso, tanto la visione di quel luogo lo aveva sconvolto.

Le alte pareti, le mura severe e gremite di candelabri che, seppure inutili alla luce del sole, rendevano quel posto lugubre e spento. Le sfumature di grigio e nero predominavano l’ambiente, sebbene i tendaggi bordeaux e la pavimentazione a scacchiera avrebbero dovuto in qualche modo dare più luce all’ambiente. Persino le grandi scalinate che portavano ai piani superiori rassomigliavano ad una bocca spalancata, famelica e pronta a divorarlo ancora e ancora. Nella sua mente si susseguirono celeri i fantasmi del passato, ricordi fatti di tenebre e sangue.

No, non poteva resistere là dentro, per quanto si considerasse forte, in realtà non aveva fatto un solo passo da allora. Era ancora lo stesso ragazzino paralizzato dal suo destino, impotente dinnanzi alle paure che lo logoravano dentro di sé, che gli impedivano di mostrare al mondo qualsivoglia tipo di emozione. Poi, la voce di Seiran lo riportò a quel tempo, strappandolo dalla morsa soffocante del passato.

“Ora stia fermo qua, mentre vado a chiamare il padrone...”

Spalancò gli occhi castani, che si rifletterono in quelli corvini del servitore ed un tempo amico. Nonostante il comportamento esagitato, in quello sguardo Castor lesse il sollievo e la gioia di chi, dopo tanto soffrire, ritrovava la fede. La stessa espressione che scorgeva nei suoi fedeli durante la messa santa, la poteva chiaramente vedere a pochi centimetri dal proprio volto.

‘Sembra come... se avesse incontrato Dio...’ pensò il vescovo, commosso ed imbarazzato dal fatto di valere ancora così tanto nella vita di quella persona.

“E voi!!” l’improvviso cambiamento di tono del servitore fece sobbalzare sia lui che i due interpellati “Per sicurezza, controllate che non fugga!”

Così dicendo, Seiran svanì. Se si fosse trattato di un cartone animato, una pesante coltre di polvere avrebbe accompagnato la sua comica dipartita. Sospirò, il vescovo, rimpiangendo di non avere più i poteri di Fest. Almeno sarebbe potuto scomparire senza dare troppo nell’occhio. Non potendo muoversi di un solo passo, siccome i servitori, che non aveva mai visto prima di allora, lo tenevano d’occhio come un criminale, si limitò ad osservarsi nuovamente in giro. Ora che Seiran gli aveva trasmesso la sua fedeltà, che non era mai vacillata in quegli anni, quel luogo gli pareva meno tetro. I ricordi non si erano affievoliti o sbiaditi, ma si erano come fatti più leggeri, impalpabili. Appartenevano ormai ad un’altra epoca, un’altra vita.

L’ombra di Xing-lu aveva smesso di soffocarlo e stava ora andando, piano piano, verso la luce. Forse anche la sua anima si sarebbe tramutata in uccelli di luce e avrebbe volato lontano da tutto quel dolore.

 

When did I become so numb?

When did I lose myself?

Where's the person that I know?

They must have left

They must have left

With all my faith

 

“Padrone, padrone!!”

L’uomo non ebbe neppure il tempo di riprendere il servitore, che considerava sempre più come un bambino che si atteggiava da adulto. Con assai scarsi risultati, visti i precedenti con il loro rispettabile e passato ospite. La visita di Teito Klein, ovvero del figlio dell’ultimo sovrano di Raggs, non era stata propriamente impeccabile. Sia lui che i suoi fedeli servitori gli avevano causato innumerevoli disturbi, oltre a molteplici sofferenze, eppure quel ragazzino aveva avuto la bontà di salvare ugualmente l’anima di sua moglie. Aveva compreso la sofferenza di quella famiglia e l’aveva fatta sua, sollevando così una parte di quel gravoso peso che la donna e tutti gli abitanti della villa si portavano nel cuore. Aveva fatto avvenire un miracolo, un meraviglioso miracolo caduto dal cielo come pioggia, che aveva ripulito le loro anime logore e sordide.

Da quel giorno Shinhwa Hausen non avrebbe mai più permesso che un loro ospite venisse trattato a quel modo e, al tempo stesso, attendeva con impazienza il momento in cui si sarebbe potuto sdebitare con quel giovane apprendista vescovo. Perciò, tanto per cominciare, avrebbe gradito che il suo Seiran si comportasse con un minimo di compostezza. Forse il servo si stava approfittando un po’ troppo del fatto che lo aveva accolto in quella casa come un figlio, dato che si stava prendendo decisamente troppe libertà, tra le quali quella di spalancare le porte senza nemmeno bussare... ma, in fondo, era questo suo atteggiamento a piacere tanto al capofamiglia Hausen.

Sospirando, l’anziano osservò ancora per un istante il giardino visibile dall’ampia finestra. Si scorgeva così bene l’immensità del cielo primaverile, oltre le montagne ancora innevate. Non riuscì tuttavia a finire di voltarsi verso il servitore appena giunto, poiché le parole di Seiran lo pietrificarono sul posto.

“Xing-lu... il signorino Xing-lu è tornato!!”

 

I'm paralyzed

Where are my feelings?

I no longer feel things

I know I should

I’m just so paralyzed

I have no feelings

How come I’m not moving?

Why aren’t I moving?

 

Si stava scusando per l’ennesima volta, Castor, nel disperato tentativo di andarsene. Non voleva vedere suo padre, non voleva immaginare con che espressione l’avrebbe accolto. Sarebbe stato arrabbiato, per il modo in cui era morto? Deluso? Indifferente?

In fondo, erano trascorsi così tanti anni... persino ad un genitore era concesso dimenticarsi del proprio figlio. Specie se, come nel suo caso, non era mai stato altro che uno strumento. Ricordava indistintamente il momento in cui era morto, tutto era avvenuto in modo così celere e tragico. Possedeva unicamente frammenti sporadici, immagini impresse come fotografie nella sua mente.

Lazette che s’inchinava a lui in lacrime, gridando silenziosamente il loro addio.

Le urla dei servitori, la mano di Seiran che stringeva spasmodica la sua, come a volerlo trattenere con sé.

Suo padre... gli aveva detto qualcosa?

Avvertiva ancora un leggero formicolio lungo le spalle ed il petto, come se qualcuno lo avesse abbracciato.

Era forse stata sua madre, che pur non essendo lì con lui, l’aveva salutato per l’ultima volta?

“Xing-lu.”

La voce alle sue spalle fece sussultare Castor.

Ancora la riconosceva, ancora ne aveva timore.

Si voltò e ciò che vi trovò fu uno sconosciuto. I lineamenti, se si sforzava, poteva ricollegarli a quelli di suo nonno, che spesso aveva visto nei dipinti che adornavano l’ala nord, ma i capelli canuti e radi, gli occhi spenti e stanchi, le rughe che marcavano ogni anno ed ogni rimpianto, appartenevano ad un individuo che il vescovo non riusciva a riconoscere. Eppure, se si concentrava, poteva ancora riconoscere quegli occhi scuri che per anni lo avevano accompagnato in ogni sua impresa svolta per il bene della famiglia. Erano le sue catene, la maledizione e il giuramento che aveva accettato nel momento in cui era venuto al mondo.

“...”

Nemmeno una sillaba solcò le sue labbra. Né la rabbia, né la tristezza o il dolore riuscirono a fuoriuscire dal suo animo.

Nulla.

Eppure, avrebbe potuto chiamarlo ‘padre’, per assicurarsi che fosse realmente lui. Ogni cosa in Castor si era paralizzata, non solo la carne, ma anche i sentimenti e la mente parevano come pietrificati, come se quegli occhi vitrei l’avessero incatenato con fili invisibili. Il tempo parve beffarsi di loro, rendendo quegli istanti infiniti. Per l’ennesima volta le lancette si prendevano gioco delle loro vite, si permettevano di usare gli umani come mero intrattenimento.

Fu allora che si udì un tonfo, un suono improvviso che ruppe quell’incantesimo. Era un urlo che non era dato udire a tutti, se non al filo che univa padre e figlio. Il bastone rotolò a terra, mentre le braccia del vecchio si strinsero intorno alle gambe del vescovo. Quest’ultimo non riuscì neppure a muovere i propri occhi, che rimasero fissi dinnanzi a sé, nel punto in cui fino a poc’anzi si trovava l’anziano uomo; ciò che rimaneva di suo padre.

Poi, un grido squarciò il silenzio.

“Uuuuuaaaarghhhh!!”

Era lacerante, doloroso, eppure così leggero. Una voce che poteva finalmente liberarsi in singhiozzi, mentre le lacrime scuotevano quel corpo come fosse in preda ad una febbre altissima. Non c’era più l’ombra della compostezza che si ricordava Castor, né l’imponenza di un uomo che faceva tremare chiunque gli stesse accanto. C’era solo un vecchio, un vecchio solo e che aveva vissuto nel rimpianto la vita che, sino ad allora, gli era apparsa come il suo castigo eterno.

“Xing-lu... Xing-lu... Xing-lu...”

Pareva non essere più in grado di dire altro, in mezzo ai mille singhiozzi che gli smorzavano il fiato e rendevano la sua voce irriconoscibile, come quella di un bambino. Sentendosi chiamare, l’anima del vescovo riscosse dal torpore il suo corpo, facendolo reagire. Il suo capo si abbassò, mentre la mano, istintivamente, si mosse verso quella testa supplichevole, china in preghiera.

“Perdonami, figlio mio!”

Castor si bloccò, come fulminato. Tornò ad essere preda di quel sortilegio, senza poter far nulla per opporvisi.

“Questo deve essere un miracolo... o l’ennesimo scherno del Cielo per punirmi...” mormorò l’anziano signore, lasciando che le parole sgorgassero, finalmente, senza più freni “Ho sognato questo istante così tante volte, ma nei miei sogni, appena mi avvicinavo a te, tu svanivi... invece... stavolta...”

Altre grida sconnesse, di agonia e sollievo, interruppero la sua confessione. Era fuori controllo, incapace di controllarsi o anche solo parlare come aveva immaginato di fare innumerevoli volte, per confessarsi a Dio, per chiedere perdono dei suoi peccati. Non l’aveva mai fatto, tuttavia. Non gli pareva giusto chiedere di essere assolto dai suoi crimini a qualcuno che non fosse suo figlio, la persona alla quale aveva arrecato così tanto dolore e sofferenze.

“Io non ti ho mai compreso... né ho mai tentato di farti sentire amato, perchè volevo che crescessi forte, che nessuno in questo mondo crudele potesse ferirti... eppure, io... io volevo solo...” le frasi si fecero sconnesse, da tanto dovevano essere state ripetute nella mente di quel peccatore, per ore, giorni, anni “Tu sei mio figlio e ti ho sempre amato... anche se l’ho compreso solo quando ti stavano per portar via da me, io ti volevo... bene... e nonostante questo mio desiderio di proteggerti, ho finito per ferirti innumerevoli volte... da quando te ne sei andato, non sono riuscito a renderti felice nemmeno una...”

La mano del vescovo, che fino ad all’ora era rimasta sospesa a mezz’aria, si poggiò sul capo del genitore.

Quanto rimorso che avvertiva nel cuore, che lunga agonia che aveva accompagnato suo padre. Anche lui era colpevole. Anche lui non aveva mai tentato di capirlo, di pensare al perchè quell’uomo avesse agito in tal modo. Non si sentiva di perdonarlo, di cancellare tutto quel dolore con un semplice gesto, eppure avvertiva il peso del loro peccato e ciò lo rendeva immensamente triste e felice al tempo stesso.

“Smettila di piangere, è inutile. Non puoi cambiare ciò che è stato.”

Le parole colpirono come macigni il cuore sanguinante dell’anziano, che non poté far altro che stringersi con maggior foga alle gambe dell’uomo, troppo timoroso di allontanarsi anche solo di un centimetro e di perderlo, ancora, per sempre.

Castor era combattuto. Si sentiva così arrabbiato per il modo in cui si era svolta la sua vita e, tuttavia, era così felice di sapere che suo padre l’amava. Che tutti l’avevano amato. Si sentiva liberato da un così grosso peso, ora che poteva credere che l’abbraccio che aveva avvertito nei suoi ultimi istanti di vita apparteneva suo padre.

“Però... insomma, non posso certo odiarti in eterno.” concluse infine il vescovo, facendo così cessare i singhiozzi che, come una litania, avevano riempito quella vecchia casa.

I servitori non avevano potuto far altro che assistere in rispettoso silenzio, non avendo il coraggio né il diritto di interrompere quella riunione voluta da Cielo. Quando l’anziano alzò il capo, sorpreso ed incredulo dalla sincerità del ragazzo, vi trovò un uomo ormai fatto. Doveva avere all’incirca trent’anni, sebbene i lineamenti del viso erano rimasti delicati. Gli occhiali erano ancora suoi fedeli compagni, rimasti identici ad un tempo, e che rendevano i suoi occhi ancora più grandi e luminosi. Il rosso dei suoi capelli, che un tempo erano stati identici a quelli del padre, tingeva ora anche le guance solitamente pallide. Corrugò la fronte, Castor, come imbronciato.

“Non fraintendere, ti ho odiato profondamente per tanti anni, ma... è ingiusto che io viva legato a qualcosa che non posso modificare. Né tu, né io, né nessun altro. Eppure, se Dio ci ha concesso la grazia di ricongiungerci, è un’eresia ignorare tale miracolo e perpetuare nell’odio. Inoltre...” sorrise il vescovo, ripensando a tutte le persone che, nel tempo, lo avevano cambiato a tal punto.

Il vecchio se stesso non sarebbe mai stato capace di sorridere così serenamente.

Pensò istintivamente a Teito, quel ragazzino che aveva salvato tante anime. E lo ringraziò, profondamente, per averlo reso libero.

“Sono un uomo di Chiesa, e non posso ignorare una supplica tanto devota. Perciò, alzati. Ti perdono, padre.”

Finalmente, l’anima di Xing-lu poté volare via.

In alto, in alto... verso il cielo, verso sua madre.

Frau avrebbe brontolato per la sua decisione, eppure gli avrebbe mostrato il suo miglior ghigno bastardo, quello che riservava alle persone più sciocche e gentili che conoscesse. Castor si domandò se quel demente, ovunque si trovasse, sapesse quanto aveva tenuto a lui. Nemmeno a Teito aveva mai confessato i suoi sentimenti. Questa era l’ultima macchia, l’ultimo dubbio che attanagliava l’animo del vescovo. Eppure, mentre ricambiava l’abbraccio del padre, ebbe come la certezza che loro fossero lì, con lui.

Non l’avrebbero mai abbandonato.

‘Grazie per avermi concesso un amore che mi ha cambiato la vita.’

Fu l’ultimo pensiero di Xing-lu, prima di svanire in una cascata di luce.

 

Perdona.

Non perchè loro meritano il tuo perdono,

ma perchè tu meriti la pace.

 

(Buddha)

 

FINE

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ciao a tutti! =)

Eccomi qui, con la mia seconda fic su 07 Ghost... finalmente! Appena terminai la lettura del manga l’estate scorsa, mi vennero in mente un sacco di fanfic da scrivere su questo bellissimo manga. A parte i deliri su Frau e Teito e su Verloren ed Eve (le mie coppie preferite), avevo in mente diversi momenti che nel manga erano stati appena descritti e che io, invece, bramavo di conoscere. Uno di questi era cosa avveniva a Teito una volta varcata la porta di Seele. Quello, fortunatamente, sono riuscita a scriverlo subito, ma poi, purtroppo, non ho più avuto modo di scrivere in questo fandom. Fino a qualche settimana fa, quando sono stata folgorata dall’immagine di Castor abbracciato per le gambe dal padre, mentre veniva scosso dai singhiozzi. E allora ho immaginato come sarebbe stato il primo incontro tra il vescovo e Shinhwa (che poi ho scoperto che in lingua originale il suo nome è Xing-fu... perchè questo cambio? Vabbe xD). Dopo breve ho sentito la necessità di mettere tutto per iscritto e questo è il risultato, dopo qualche rimaneggiamento e mille titubanze.

Mi auguro che la mia fic vi sia piaciuta e vi siate emozionati quanto me nel ‘vedere’ questo incontro... grazie infinite a tutti per aver letto!

 

Moni =)

 

PS: La canzone che trovate nella fic è degli NF e s’intitola “Paralyzed” (neanche a farlo apposta, l’ho scoperta dopo aver scritto la fic e l’ho trovata azzeccata per fare da sottofondo a questo momento).

   
 
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