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Autore: Kourin    24/06/2016    4 recensioni
Era sgattaiolato fuori casa subito dopo pranzo, quando tutti si erano rifugiati davanti alle pale dei ventilatori. Aveva lasciato un biglietto: “Per favore non preoccupatevi, sarò di ritorno stasera,” poi si era lanciato dritto nel solleone.
Genere: Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Arcobaleno
di Kourin



Era estate e il frinire delle cicale era ovunque. Quel suono continuo, monotono, era solo apparentemente innocuo. Un po' per volta grattava via la scorza dell'anima, fino a metterla a nudo sotto il sole cocente, esponendo alla vista altrui il ragazzo indifeso che era. Sapeva di dover provare gratitudine nei confronti di chi si preoccupava di accudirlo, ma la gratitudine, così come l'afa in una metropoli, a lungo andare sfiancava.
Jun aveva deciso che, quel pomeriggio, non avrebbe ringraziato nessuno.

Era sgattaiolato fuori casa subito dopo pranzo, quando tutti si erano rifugiati davanti alle pale dei ventilatori. Aveva lasciato un biglietto: “Per favore non preoccupatevi, sarò di ritorno stasera,” poi si era lanciato dritto nel solleone. Mentre aspettava l'autobus si era chiesto se ne sarebbe rimasto disintegrato, durante il tragitto aveva constatato di sentirsi più vivo che mai. Pian piano iniziò a considerare la calura una compagna d'avventura tanto quanto il pallone che teneva nascosto nella sacca poggiata sulle ginocchia.
Davanti al cancello dello stadio i raggi solari gli sembrarono addirittura più intensi. Jun sorrise tra sé: sarebbe bastato poco, all'immaginazione, per trasformarli nei riflettori di una partita serale dei Mondiali.

L'indomani si sarebbe svolta la cerimonia d'apertura della fase finale del Campionato Nazionale e, come previsto, gli ingressi erano rimasti aperti per consentire il viavai di tecnici e addetti. Il custode che avrebbe dovuto presidiare la sbarra del parcheggio si trovava poco lontano, impegnato a chiacchierare con l'autista di un furgoncino.
Jun approfittò subito di quel colpo di fortuna e riuscì a raggiungere l'entrata senza che nessuno gli chiedesse nulla, tuttavia il repentino passaggio all'ombra mise in difficoltà i suoi occhi abbagliati, costringendolo a fermarsi per qualche secondo.
“Jun... Misugi?”
Sussultò, chiedendosi chi l'avesse riconosciuto. Sbatté le palpebre finché la figura iniziò a delinearsi meglio: un ragazzo alto più o meno come lui, fisico snello e occhi svegli.
Tirò un sospiro di sollievo. Era Hikaru Matsuyama, il capitano della Furano.
Che cosa ci fa qui da solo? si chiese, ma nel mentre si rese conto che l'altro gli stava tendendo la mano a vuoto. Si affrettò a stringerla: era piacevolmente fresca.
“Sei proprio tu! È un piacere incontrarti!” esclamò Matsuyama con una voce che si era fatta maschile.
“Anche per me,” rispose Jun con sincerità. “Non sapevo che foste già arrivati a Tōkyō.”
“Sono arrivato prima, ho uno zio che abita nei dintorni di Mitaka che ha voluto a tutti i costi ospitarmi. Avrei preferito partecipare all'ultimo allenamento con i ragazzi, ma i miei hanno insistito così tanto!”
Jun sorrise. “Hai già nostalgia dei tuoi amici?”
“Ma che dici?” sbottò bruscamente l'altro. “Sì, hai ragione, un po' sì,” si corresse ridacchiando, imbarazzato.
Il sospetto d'aver toccato una tasto dolente lo spinse a constatare quanto poco si conoscessero, ma subito realizzò che si trattava di un fatto positivo.
Matsuyama spiegò che era venuto a dare un'occhiata al campo, nel tentativo di rendersi utile per la sua squadra. Jun si mantenne sul vago, ma gli propose ugualmente di condurre l'esplorazione insieme.

A quell'ora la maggior parte degli operai si trovava ancora al riparo dalla calura, eppure negli ampi corridoi di cemento circolava una gradevole corrente d'aria che asciugava il sudore e solleticava la pelle, rendendo le pareti grigie piacevolmente accoglienti.
Incrociarono un ragazzo che trasportava casse di bibite, poi un uomo di mezza età impiegato a sistemare le indicazioni e, in entrambi i casi, non furono degnati d'uno sguardo. Incoraggiati, decisero di sbirciare gli spogliatoi rimessi a nuovo.
Fu un errore. Una corpulenta signora delle pulizie spuntò dal vano delle docce, armata di scopettone. “E voi, che ci fate qui?”
“Stiamo solo dando un'occhiata!” risposero all'unisono, come bambini sorpresi con le mani nella marmellata. Jun si sentì sprofondare per l'imbarazzo.
“Ah. Rispondete insieme. Siete gemelli?”
“Eh?” disse Matsuyama, apparentemente incapace di cogliere il punto, e Jun sospirò, facendogli cenno di lasciar perdere. Se non prendo in mano la situazione, siamo spacciati.
“Signora, non stiamo facendo niente di male.”
Lei li scrutò con aria dubbiosa mentre lo straccio gocciolava sul pavimento, poi abbassò il manico. “Guai a voi se fate danni,” minacciò afferrando un secchio pieno d'acqua torbida.
Matsuyama arretrò coi riflessi d'un gatto; Jun, al contrario, non si scompose, ma per sicurezza piegò la schiena in un inchino. “Le prometto che non accadrà niente. Ci scusi per averla disturbata nel suo lavoro!”
Una volta in salvo nel corridoio, Jun sussurrò: “Ci è mancato poco che ci buttassero fuori!” ma Matsuyama pareva avere la testa altrove, perché disse: “Ma guarda che non ci assomigliamo per niente!”
“A me piacerebbe, invece, essere il tuo gemello,” lo stroncò Jun, infastidito.
L'amico aprì bocca, poi tacque, mentre negli occhi prendeva il sopravvento una serietà cupa, da adulto. Stupito da quel cambio repentino, Jun si chiese se fosse o meno a conoscenza dell'incidente accadutogli durante la partita contro la Tōhō. Probabilmente no, me l'avrebbe chiesto dall'inizio.
“Andiamo a vedere il campo, prima che ci caccino sul serio?”
Matsuyama annuì con fare entusiasta.

Le zolle d'erba erano appena state risistemate. Anche se mancavano le strisce bianche, il campo aveva un aspetto perfetto. Seguendo lente traiettorie circolari, gli annaffiatoi distribuivano l'acqua sotto forma di una pioggerellina soffusa che si trasformava in vapore, creando quell'atmosfera forse un po' soffocante, ma satura del profumo che caratterizzava le partite estive, le più belle. Jun la inalò, lasciando che gli entrasse in profondità.
L'ultima volta che aveva inspirato l'odore del prato, aveva deciso che non avrebbe avuto nessun rimpianto comunque fossero andate le cose. Ma quando il suo cuore aveva fatto i capricci e quelle centinaia di sguardi gli erano piombati addosso... Aveva preso una bella bastonata dritta al suo orgoglio, ecco cos'era successo, e non poteva certo dire di esserne uscito indenne. Persino Hyūga si era fermato. Kojirō Hyūga, mica uno qualunque.
“Tutto bene?” Matsuyama stava fissando la mano che Jun aveva portato istintivamente al torace.
Si affrettò a toglierla. “Sì, tutto bene,” rispose, senza però riuscire a mascherare il nervosismo.
“Ah, meno male!” Matsuyama restò con le labbra socchiuse, come se avesse una domanda in sospeso. Jun ne approfittò per estrarre il pallone e chiedere: “Ti va di fare qualche tiro insieme?”
L'ampio sorriso che ottenne in risposta lo fece tornare leggero, come le goccioline d'acqua che continuavano a danzare nella luce.

I primi scambi furono un po' ingessati, poi entrambi presero confidenza e capirono che il gioco più interessante era quello di rubarsi palla. Jun sapeva che l'avversario era forte, ma nell'ultimo anno l'abilità del centravanti della Furano sembrava essere cresciuta esponenzialmente. Per smarcarsi dovette fare ricorso al suo migliore repertorio di finte, e non funzionarono nemmeno tutte.
Il prato era umido, non sempre il pallone ubbidiva al tocco. In compenso le scivolate riuscivano a meraviglia: Jun rinunciò a preoccuparsi delle condizioni dei suoi vestiti, pur di togliersi la soddisfazione di recuperare palla con un'entrata da manuale.
Matsuyama non la prese bene e si fece più aggressivo. Jun lanciò il pallone in alto, curioso di confrontare i rispettivi livelli in uno scontro aereo. Aveva appena finito di coordinarsi a mezz'aria, quando la percezione dei rumori cessò e il prato ed il cielo si confusero in un turbine grigio. Riuscì ad atterrare, gli mancò il respiro, avvertì il peso del corpo spostarsi dai piedi alle ginocchia. Poi sentì solo quel familiare, temuto battito tamburellargli all'impazzata nel petto.
“Misugi! Che succede?” chiese la voce preoccupata di Matsuyama.
Jun riuscì a mettersi seduto per riprendere fiato e, dopo aver recuperato un po' di ossigeno, gli fece cenno di attendere. Ma lui non l'ascoltò. “Sta' fermo e aspettami!” ordinò.
“Dove vai?”
“In infermeria. Forse c'è qualcuno, prima la porta era aperta!”
“No! Tu resti qui!” ringhiò letteralmente Jun, realizzando che non gli bastava più tenere sotto controllo il cuore: in quel momento, non aveva sotto controllo nulla.
Matsuyama lo afferrò per le spalle. “Che ti prende?”
Jun si sforzò di guardarlo, ma le gocce di sudore che scivolavano lungo la fronte lo distraevano, facendogli bruciare gli occhi, lasciandolo a brancolare nella paura. Paura che il cuore smettesse di pulsare. Paura che il ragazzo che aveva di fronte volesse strappargli via la spensieratezza che gli aveva regalato un attimo prima, come se fosse cosa di poco conto, come se non importasse. Tuttavia non si comporta diversamente dai miei cari, perché dovrei prendermela proprio con lui?
Appigliandosi a quel ritrovato barlume di razionalità spiegò, tutto d'un fiato: “Come saprai la mia salute non è buona. Sarei dovuto rimanermene seduto sul divano ma non ce la facevo più e sono scappato di casa.” Si sforzò di sorridere, di respirare regolarmente anche se gli mancava il fiato. “Ora mi sento meglio, davvero, è stato un attimo. So che cosa devo fare, non preoccuparti.”
Matsuyama aggrottò le sopracciglia. “Perché tieni la mano sul cuore, se dici di stare bene?” Avvicinatosi ulteriormente, incalzò: “Come faccio ad essere sicuro che è la verità?”
Jun gli afferrò il polso destro e premette la mano dell'amico sul proprio torace. “Decidi tu,” disse ricambiando la sfida. Non ho niente da invidiare alla tua determinazione. Niente.
Gli occhi neri che gli avevano dato del bugiardo rimasero sbarrati dalla sorpresa e, insieme al rossore delle guance, restituirono al ragazzo di Hokkaidō un aspetto infantile. Ancora prigioniero della volontà di Jun, stirò con titubanza le pieghe della maglietta con le dita e adagiò il palmo dove il cuore stava pulsando. “Non riesco a capire niente...” balbettò.
Era quasi certo di aver vinto, quando Matsuyama esclamò: “Aspetta!”
Poi con uno scatto si divincolò dalla presa, afferrò Jun mettendogli una mano sulla schiena, appoggiò l'orecchio sul petto e si mise in ascolto, immobile come una statua.
Jun emise un poco virile gemito di sorpresa: l'istinto lo spingeva a divincolarsi, una forza opposta gli diceva di aspettare. In effetti sembrava aver avuto ragione quest'ultima poiché, quando l'altro ragazzo lo lasciò stare, i suoi movimenti diventarono nel contempo buffi e solenni. Chiuse gli occhi, appoggiando la mano in corrispondenza del proprio cuore, concentrato nell'ascolto e, quando li aprì, sentenziò: “Il tuo cuore batte normalmente. Hai ragione tu, non serve cercare un dottore.”
Jun gli diede un pugno sulla spalla, poi scoppiò a ridere. “Che tipo che sei!”
Lui si lasciò cadere sull'erba, poi si tirò a sedere a gambe incrociate e lo guardò di sbieco. “Smettila di ridere! Cercavo di aiutarti!” disse, anche se, a giudicare dal tono, non pareva per niente offeso.
Jun però non riusciva proprio a fermarsi e finì per contagiarlo. Risero entrambi fino alle lacrime, mentre la pioggia artificiale degli annaffiatoi imperlava i capelli e donava sollievo ai loro volti accaldati.

Jun si stava stropicciando le ciglia per liberarle dal sale, quando si accorse che davanti a loro si era formato un arcobaleno.
“Guarda,” disse sottovoce, come ad indicare la presenza di un animale selvatico pronto a fuggire da un momento all'altro.
“Wow,” mormorò l'amico, per poi trattenere anch'egli il respiro.
A dire il vero non era un granché come arcobaleno: si vedeva solo una parte dell'arco, quella che saliva ripida verso il cielo, e i colori non si distinguevano così nettamente. Effimero e sgraziato, appariva comunque più interessante delle voci che ululavano alle loro spalle parole simili a “Mocciosi! Che diavolo ci fate lì?” oppure “Chi vi ha dato il permesso di entrare?”
Matsuyama si limitò a scrollare le spalle e dire: “Mi sa che dobbiamo proprio andare.”
Jun si alzò in piedi e gli tese la mano. Lui la afferrò e si lasciò sollevare pigramente, farfugliando alcune sillabe che, probabilmente, volevano dire 'grazie'.


 
おわり




Qualche nota arcobaleno, per la gioia degli occhi.
Durante la finale del campionato delle medie, Misugi e Matsuyama sembrano essere amici. Però prima di allora non li si è mai visti interagire (i filler Giappone vs Il Mondo preferisco non prenderli in considerazione). Ho deciso di colmare questa piccola lacuna personalmente, in occasione dei rispettivi compleanni: 21 giugno per Matsu e 23 giugno per Jun. ♥♥♥ Auguri, stelline! Anche se in nazionale ormai siete solo tappezzeria, siete la mia tappezzeria preferita!!! ♥♥♥
Solo due piccole precisazioni: immagino che giocare a calcio senza scarpini non sia una scelta saggia, ma tanto in Captain Tsubasa non ci si fa problemi, vedi Misaki e Pierre, perciò non me ne faccio nemmeno io. E poi sì, la signora delle pulizie è senza dubbio la zia di Ishizaki ^^;



 
  
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