“Un UFO! Guardate in cielo, un UFO!”.
Una marea di occhi curiosi rivolti a un cielo vuoto, così
era iniziato tutto: Egon Ascoso, eminente speleologo, aveva perso la
testa.
Inizialmente i compaesani avevano pensato ad uno scherzo. Si sa, i
cervelloni si divertono a prendersi gioco della gente comune, ma certo
nessuno se lo sarebbe aspettato dal signor Egon, che pareva una
così brava persona. Quel giorno di aprile, nella piazza del
mercato, tutti avevano ripreso tranquillamente le proprie
attività, giusto un po' scocciati per essersi fatti fregare.
Egon aveva continuato a fissare il cielo per qualche istante, poi si
era allontanato a passi veloci, scuotendo la testa.
Eppure sembrava così reale: il metallo lucente che
rifletteva le nuvole, la sagoma sottile e affusolata, intuibile solo
nei punti in cui i bordi delle nuvole non combaciavano perfettamente,
l'aria che vibrava di una frequenza diversa. Aveva sentito il Loro
sguardo fisso su di lui e, senza potersi controllare, aveva percepito
le labbra schiudersi, la trachea vibrare, l'urlo di allarme levarsi
alto sulla folla in una voce che non sembrava nemmeno appartenergli.
Era successo di nuovo a maggio, durante la processione in onore del
Santo di paese. L’urlo di Egon, a metà tra il
terrore e l'emozione, aveva spezzato bruscamente il coro di litanie:
“Un UFO! Guardate il cielo, un UFO!”. La gente di
paese aveva iniziato a bisbigliare. Certo, non si poteva pretendere che
uno che per mestiere si ficcava in stretti loculi di roccia e
strisciava fino alle viscere della terra potesse avere tutte le rotelle
a posto, no? Ma tutti concordavano nel dire che il signor Egon, ormai
detto l’Ufolle, era stato anche troppo bravo: almeno aveva
aspettato che i figli crescessero, prima di dar di matto.
I figli non erano dello stesso parere. Non invitavano più
nessuno a casa, nel timore che il padre iniziasse, tutt’a un
tratto, a descrivere il disco scintillante che lo
ossessionava, o a spiegare il funzionamento dell'aggeggio con cui
progettava di catturarne l'immagine.
Doveva mostrare a tutti - compreso se stesso - che non stava
impazzendo, che una reale minaccia incombeva sul paese, forse sul mondo
intero! Non aveva idea di cosa volessero gli esseri che li osservavano
dall'alto, e del perché solo lui riuscisse a vederli quando
era così evidente che nel cielo c'era
qualcosa di sbagliato. Ma avrebbe trovato il modo di intrappolare
l'immagine dell' UFO, e una volta convinto il mondo di quello che
vedeva, avrebbe cercato il supporto di qualche scienziato per
comunicare con Loro. Aveva già un saggio divulgativo sulle
sue teorie pronto ad essere pubblicato; gli serviva solo una foto...
Ormai l’Ufolle si poteva vedere un po' dappertutto,
accompagnato dal nuovo marchingegno fotografico, in cerca della
migliore inquadratura per il suo UFO. Prima aveva provato in paese,
poi, disturbato dai bambini che gli gironzolavano attorno curiosi e gli
chiedevano, al signor Ufolle, di far provare loro il "coso alieno" con
cui trafficava, si era spostato sulle colline.
Procuratosi da un rigattiere una vecchia macchina fotografica, ci aveva
saldato sopra una vecchia antenna da tv, un appendino metallico e
qualche filo di rame, sicuro com'era che la vecchia macchina sarebbe
riuscita ad intercettare l'immagine dell'astronave solo se lui ci
avesse fuso sopra un metallo molto simile al materiale traslucido di
cui era fatto l' UFO. Un giorno, preso dall’ispirazione,
aveva fatto a pezzi la macchina, aveva distrutto uno specchio, e aveva
speso una settimana nel tentativo di ricomporre assieme i due oggetti,
ottenendo una specie di mosaico di plastica, metallo e pezzi
di vetro riflettente il cui unico risultato era stato spaventare, con i
suoi mille riflessi in movimento, interi stormi di uccelli.
Giunse l'estate. Le giornate si allungarono e si fecero
roventi, ma né il sole, né i violenti temporali
riuscirono a distogliere Egon dalla sua ricerca. I compaesani seguivano
preoccupati la figurina dell' Ufolle mentre si inerpicava su per le
colline con quel suo trabiccolo pericolosamente simile a un
parafulmini, e si chiedevano quante volte gli sarebbe andata bene prima
che a qualcuno toccasse andare a recuperare i suoi resti fritti
sull'erba, dopo un temporale particolarmente violento.
Fu il sole, invece, a fermare le sue ricerche: una sera la moglie lo
trovò steso a terra, febbricitante, sulla solita collina.
Sembrava morto.
Dovettero legarlo al letto per costringerlo a non uscire il mattino
seguente. I suoi occhi iniettati di sangue correvano continuamente alla
sagoma dell’UFO che intravedeva dalla finestra mentre, con
voce roca, pregava la moglie di donare le sue retine alla
scienza, se non fosse sopravvissuto, perché almeno da quelle
si potesse cercare di ricavare l'impronta dell'astronave.
Sentiva il fuoco bruciargli all'interno del cranio. Quando
leccava le labbra nel tentativo di parlare, gli sembrava di mordere
corteccia. Percepiva la mano gentile della moglie portargli il
bicchiere alla bocca, o cambiargli la pezza umida sulla fronte, ma si
concedeva solo per qualche istante di accarezzare il suo viso con lo
sguardo, prima di tornare a fissare l'astronave che lo vegliava con
altrettanta pazienza fuori dalla finestra.
"Amore, è per Eric che fai così?" gli chiese una
notte la moglie, con voce sommessa. Egon distolse gli occhi dalla
finestra, ma solo per qualche istante. Era la prima volta che lei
menzionava l'argomento. Quando era tornato dalla missione di
speleologia in cui aveva perso il suo migliore amico, ad aprile, lei si
era limitata ad abbracciarlo forte e preparargli un caffè
corretto con grappa.
"No. Sapevamo tutti e due quali sono i rischi del mestiere".
La donna annuì, gli cambiò la pezza, poi si
voltò sul letto matrimoniale, e rimase in silenzio a lungo
prima di cedere alla stanchezza. Il ritmo lento e cadenzato del suo
respiro guidò Egon nel sonno.
Scampato alla frana che aveva sepolto vivo Eric, era svenuto
a qualche metro di distanza dal cumulo di massi. Si era risvegliato in
un cunicolo molto più ampio, circondato da una decina di
esseri squamosi che socchiudevano le palpebre verticali
con espressione incuriosita. Aveva ricambiato il loro sguardo
per qualche istante, poi aveva urlato. Un sibilo spaventoso gli aveva
invaso la mente, un sibilo che non aveva compreso, ma che gli aveva
lasciato nell'animo una consapevolezza: era stato incaricato di
avvertire gli umani della Loro esistenza.
Seppur incredibilmente divertiti dall’idea che gli umani
avevano degli alieni – esseri che si muovevano su oggetti
oblunghi e luminosi -, Loro avevano preferito imprimere proprio
quell'immagine nella mente, negli occhi dell’uomo, per
ricordargli la Loro esistenza, e fargli dimenticare di averli
incontrati nelle profondità della Terra.
Si era risvegliato in un cunicolo vicino alla base, i ricordi
confusi e un fischio acuto nell'orecchio sanguinante.
Egon si svegliò di soprassalto, e portò gli occhi
alla finestra. L'astronave era sparita. Al suo posto, gli comparve di
fronte un volto.
Urlò, ritraendosi di scatto. Era sua moglie. "Ti si
è abbassata la febbre, sei fuori pericolo". Un sospiro
sollevato.
Il cielo fuori dalla finestra era limpido, vuoto. Stava sorgendo il
sole.
"È scomparsa. Dov'è? Che ne avete fatto?". L'uomo
prese a contorcersi sul letto, ignorando le cinghie che gli segavano la
pelle finché la moglie, spaventata, lo slegò.
Egon allora corse fuori dalla porta, in pigiama, i capelli sconvolti,
gli occhi allucinati, per abbracciare tutto il cielo con lo sguardo.
"È sparita", disse, con un filo di voce. La moglie, che
l'aveva seguito di corsa fino in giardino, lo abbracciò
stretto. Egon crollò tra le sue braccia, scosso da un pianto
disperato. "Non lo capisci? Sei guarito, non hai più le
allucinazioni!". La moglie quasi piangeva per la gioia.
Egon, invece, singhiozzava sconvolto, schiacciato a terra
dalla consapevolezza di averli delusi: non era stato in grado di
diffondere il Loro messaggio. Lo avevano abbandonato, per sempre.
Ciao, lettrice/lettore! Mi farebbe un piacere infinito se mi lasciassi un pansiero, giusto un paio di righe per sapere se il racconto che hai letto ti è piaciuto oppure no. Critiche e consigli sono i benvenuti :)
Grazie per aver letto la mia storia, un abbraccio!