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Autore: misslegolas86    24/06/2016    2 recensioni
Nulla da quando quella maledetta gitana era venuta a disturbare la sua quiete vita di chierico e studioso portando le sue danze infernali sul sagrato della chiesa. Da quel momento un fuoco inestinguibile bruciava la mente dell’arcidiacono e a soffiare sulle fiamme era sempre quella zingara
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La campana che richiamava i religiosi a compieta suonò con il suo rintocco limpido e chiaro riscuotendo l’arcidiacono dalla sua ultima fantasia. Lo sguardo era fisso sulle pagine del grande volume davanti a lui ma la mente non seguiva i caratteri gotici del testo persa invece in veli e danze gitane che infiammavano i suoi sensi. Frollo chiuse con forza il libro passandosi una mano sugli occhi come un uomo che si fosse appena svegliato da un lungo sonno e si avviò alla porta. Partecipava raramente alle preghiere preferendo restare nella sua cella nella torre dove poter approfondire i suoi studi piuttosto che mischiarsi a preti e diaconi gretti e ottusi, incapaci di porsi qualsiasi tipo di domanda o di godere del dolce balsamo che solo la cultura sapeva garantire.
Tutto questo era stata la sua fede nella vita, la condotta a cui attenersi senza alcun dubbio .
Ma adesso nulla era più come prima.
Nulla da quando quella maledetta gitana era venuta a disturbare la sua quiete vita di chierico e studioso portando le sue danze infernali sul sagrato della chiesa. Da quel momento un fuoco inestinguibile bruciava la mente dell’arcidiacono e a soffiare sulle fiamme era sempre quella zingara. Frollo non aveva più requie né di giorno né di notte magari, la preghiera e la penitenza lo avrebbero aiutato, si ritrovò a sperare afferrandosi a quell’ultimo tentativo con la disperazione di un naufrago in mezzo ad una  tempesta.
Scese le scale immerso nei suoi pensieri non scorgendo neppure il gobbo campanaro arrampicato su una delle travi diretto agli alti campanili. Il salmodiare dei chierici lo raggiunse non appena mise piede in chiesa. In silenzio prese posto su un seggio e si unì alle invocazioni degli oranti.
 
Sóbrii estóte, et vigiláte
quia adversárius vester diábolus
tamquam leo rúgiens círcuit, quærens quem dévoret 
cui resístite fortes in fide.
Tu autem, Dómine, miserére nobis[1]
 
Eppure nonostante tutto il fervore della preghiera per Frollo quel demonio aveva le fattezze seducenti dell’egiziana e piuttosto che fuggire in cuor suo non desiderava altro che stringerla tra le braccia.
 
Confiteor quia peccávi nimis cogitatióne,
verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa[2]
 
Ogni parola pronunciata non liberava Frollo dall’abisso in cui sentiva di precipitare sempre di più e da cui in realtà non voleva essere salvato. Confessare i suoi peccati non faceva altro che riaccendere ancora di più il desiderio. Perfino in quel momento nella sacra casa di Dio, in un pio momento di preghiera, circondato da decine di clerici e canonici, la sua mente non riusciva a scacciare via le immagini di lussuria e passione.
Si vedeva strappare via gli stracci che ricoprivano il corpo dell’egiziana, baciare la sua pelle olivastra perfetta come un bronzo di grande valore, leccare con desiderio i seni turgidi al pari di un assetato nel deserto e infine distenderla sulla nuda pietra o persino su uno dei banchi in quel luogo sacro e possederla senza tregua. Il cuore accelerò i suo battiti, le tempie cominciarono a pulsare mentre il fuoco scorreva nelle sue vene. Frollo strinse forte il cilicio sulla gamba facendo penetrare gli uncini ancora di più nella carne viva. Soffocò un gemito e accolse il dolore come l’alleato più fedele per liberare la mente e il cuore da quelle fantasie peccaminose. Era un rimedio passeggero lo sapeva bene. A nulla era servito martoriarsi il petto o la schiena durante le lunghe notti insonni in cui l’ombra della zingara, nonostante tutti i suoi sforzi, giaceva con lui nel giaciglio arroventando i suoi sensi con il calore delle fiamme dell’inferno.
 
Divínum auxílium máneat semper nobíscum.
Et cum frátribus nostris abséntibus. Amen.[3]
 
L’amen finale concluse la preghiera con una nota bassa e profonda simile ad un eco in una oscura caverna. L’antro dell’inferno si ritrovò a pensare Frollo guardandosi intorno con desiderio quasi aspettandosi di vedere l’egiziana sbucare da una delle colonne. Se era all’inferno il demonio doveva per forza essere lì e lui ardeva dalla voglia di vederlo.
“Monsignor arcidiacono di Josas che sorpresa vedervi. Vedo che finalmente avete abbandonato i libri per una più consona attività religiosa” Jacque Prevart, canonico del Capitolo di Notre Dome non aveva perso l’occasione non appena l’aveva visto per lanciare le sue frecciate. Non era mai corso buon sangue tra i due. Don Jacque sebbene più anziano di Frollo ne aveva sempre sofferto l’acume e ne temeva la concorrenza nelle grazie dell’arcivescovo di cui era al momento il braccio destro.
“Devo dire che le farebbe bene uscire da quel buco che si è costruito lassù” continuò indicando in altezza il luogo dove si trovava uno dei campanili. Il canonico ne aveva di ragioni per consigliare così Frollo che in effetti appariva pallido e smunto come se fosse vittima di qualche malattia.
“Don Jacque, non ho bisogno di consigli medici essendo addentro anche a questa materia cosa che, mi pare, non si possa dire di voi” rispose seccato Frollo riservandogli un’occhiata gelida. Non gli importava di maltrattare l’uomo potente del vescovo, non aveva bisogno di lui. La sua cultura aveva un’ascendente che nessun poteva eguagliare agli occhi vescovo e questo lo aveva garantito da tante maldicenze e fatto ottenere molte libertà come il permesso di avere uno studio inaccessibile a chiunque all’ombra delle campane.
“Studio e preghiera riempiono le mie giornate pur se non vengo a fare parata qui in cattedrale” concluse e si allontanò zoppicando vistosamente verso la porta laterale nascosta nella navata semibuia.
Sentiva il sangue caldo e vischioso scorrere in placide gocce sulla gamba mentre a fatica risaliva i gradini della torre. Ogni passo una nuova lacerazione espressione viva e visibile di contrizione e penitenza. Più volte fu costretto a fermarsi lungo la salita quando il dolore diventava insopportabile, la fronte imperlata di sudore appoggiata alle freddi pareti di pietra per trovare refrigerio e sulle labbra il “Miserere me, Domine” ripetuto all’infinito.
Giunto a destinazione chiuse la pesante porta alle sue spalle abbandonandosi tremante su una sedia. Sollevò la veste e osservò gli uncini del cilicio ancora ancorati alla sua carne. Disegnavano una corona di ferite rosse e sanguinanti con gocce più estese simili a lacrime. Ma nonostante tutto l’ombra dell’egiziana era già lì inginocchiata ai suoi piedi, sottomessa e docile come un animale selvaggio domato, che leccava con perversa voluttà sangue e carne e allungava la mano e la lingua ancora più su continuando a toccare, leccare e baciare senza alcun pudore. Frollo chiuse gli occhi sentendo il desiderio da molle diventare turgido e duro e avvampare tra le gambe. Afferrò l’elsa del pugnale abbandonato sul tavolo usato per i tanti esperimenti di alchimia. Un nuovo squarcio si aprì sulla coscia e un nuovo gemito proruppe dalle labbra dell’arcidiacono.
Quando riaprì gli occhi l’ombra della zingara era scomparsa, solo sangue e dolore erano rimaste a fargli compagnia. Eppure Frollo sorrise e aprì il libro che aveva chiuso solo poche ore prima. Le orazioni e le mortificazioni della carne avrebbero portato i loro benefici, per le prossime ore avrebbe potuto dedicarsi ai suoi studi senza tentazioni e visioni perverse.
Ma l’uomo dispone e il demonio si diverte a metterci il suo marchio. Il suono di un tamburello e le grida della folla giù sul sagrato riscossero l’austero Frollo dal trattato di alchimia che stava analizzando e come una falena attirata dalla luce di una lampada si diresse celere alla finestra.
Era lì non più un’ombra ma in carne ed ossa, bella come una divinità infernale a ballare le danze peccaminose della sua razza. L’arcidiacono non avvertì neanche il dolore della gamba martoriata ma solo il fuoco bruciare nelle vene, annebbiandogli la mente e risvegliando i sensi. Restò come una statua di pietra sul davanzale ad osservare ogni movimento dell’egiziana. Ma se il busto dell’arcidiacono era immobile, gli occhi saettavano fiamme e parti del suo corpo rimaste sopite fin dalle prime tentazioni giovanili e che per tutto il giorno aveva cercato di placare con il dolore della carne ritornavano in vita con desiderio inestinguibile.
Tutto era stato inutile. Finchè quella strega zingara sarebbe rimasto in vita Frollo sapeva che il suo intero essere era legato come un cane da compagnia a quei fianchi, a quelle caviglie, a quei seni che inondavano di desiderio e lussuria la sue mente. Doveva possederla, penetrarla come un toro fa con la sua giovenca, soddisfare il suo piacere e farla sua. E se lei non avesse voluto lui avrebbe lottato con tutte le sue forze per riavere la sua vecchia vita eliminando per sempre la tentazione. Lei.  
 
SPAZIO AUTRICE
Era da tanto che non scrivevo di Frollo e con il ritorno sulle scene del grande musical di Cocciante Notre Dome de Paris non potevo esimermi da un nuovo sfogo letterario su questo complesso e affascinante nella sua perdizione personaggio. Bisognerebbe scrivere una biblioteca intera su Claude Frollo, un personaggio talmente perfetto nelle sue mille sfaccettature e così vivo che ti entra nella pelle.
Spero che lascerete qualche commento che è sempre importantissimo per me
Grazie x aver letto e alla prossima!
 
[1] siate sobri e vigilate
perché il vostro nemico, il diavolo, si aggira
come leone ruggente, cercando chi divorare:
resistetegli tenaci nella fede.
Tu, o Signore, abbi pietà di noi.
 
[2] che ho molto peccato con il pensiero, la parola e l’azione:
è mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
 
[3] L’aiuto divino rimanga sempre con noi.
E con i nostri fratelli assenti. Amen
  
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