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Autore: Memento_B    17/04/2009    3 recensioni
Eri una vera e propria mania, in un solo secondo eri diventata la mia droga, sembrava quasi che non riuscissi a vivere senza di te e senza i tuoi occhi. Ma erano solo illusioni, mi alzavo ogni giorno con la speranza di rincontrarti davvero e andavo a dormire ogni sera deluso. Non volevo parlarti, volevo solo vederti, anche solo di sfuggita, volevo perdermi mentre contemplavo il tuo viso, volevo risentire il tuo odore inebriante. Non mi lasciavi in pace neanche nei sogni, continuavo a sognare il tuo volto, continuavo a sentire la tua voce.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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An angel face




Atto I: Incontro



<< Ciao, io sono Lara >>.
Ricordo ogni dettaglio di quella sera in cui ti conobbi, Lara. Era il compleanno di tuo fratello Marcello, all’epoca il mio migliore amico, dapprima compagno di scuola e poi anche collega di lavoro. Aveva invitato me e Fabrizio a mangiare una pizza a casa vostra.
Erano le ventitré, noi eravamo nel salotto e tu rientrasti a casa dopo una serata con amici. Ricordo che venisti da noi e ti rivolgesti a tuo fratello, quasi preoccupata << Mamma e papà non sono ancora tornati, vero? >>. Sospirasti di sollievo quando lui ti rispose che no, ancora non erano tornati. Eri uscita di nascosto dai tuoi, approfittando della loro assenza da casa.
Poi ti presentasti a noi, ed uscisti dalla sala, ridacchiando. La prima cosa che mi colpì di te furono i tuoi occhi, grigi, glaciali. Li posasti sui miei per un secondo che bastò a farmi innamorare perdutamente.

Atto II: Manie



La mattina seguente, a lavoro, mi sorpresi a pensarti. Eri bella, bellissima. Un volto allungato, fine, privo di qualsiasi difetto o bruttura, la fronte alta, il naso leggermente all’insù, le labbra né troppo fini né troppo carnose, il tutto impreziosito dai capelli castani, lunghi e mossi. E poi c’erano loro, i tuoi magnifici occhi, che spiccavano al centro del tuo viso ed illuminavano tutto, facendomi dimenticare per un secondo anche di respirare. Eri anche attraente, ma senza risultare volgare. Quando ti conobbi indossavi un vestito piuttosto corto e scollato, viola, ai piedi avevi delle ballerine. A distanza di anni ricordo ancora il tuo profumo.
Passai settimane terribili, mi sembrava di vederti ad ogni angolo, in ogni negozio. Eri una vera e propria mania, in un solo secondo eri diventata la mia droga, sembrava quasi che non riuscissi a vivere senza di te e senza i tuoi occhi. Ma erano solo illusioni, mi alzavo ogni giorno con la speranza di rincontrarti davvero e andavo a dormire ogni sera deluso. Non volevo parlarti, volevo solo vederti, anche solo di sfuggita, volevo perdermi mentre contemplavo il tuo viso, volevo risentire il tuo odore inebriante. Non mi lasciavi in pace neanche nei sogni, continuavo a sognare il tuo volto, continuavo a sentire la tua voce. E come se tutto ciò non bastasse, ero anche consapevole di essermi innamorato della sorella del mio migliore amico. Sapevo che Marcello non mi avrebbe mai perdonato una cosa simile, e sapevo anche che c’era una differenza d’età fra noi notevole. Io avevo ventisette anni, ne stavo per compiere ventotto. Tu ne dimostravi al massimo ventidue.
Ma, volente o nolente, eri entrata nella mia vita e sapevo che non ne saresti uscita mai più.

Atto III: Tre mesi dopo



Erano passati tre mesi da quella sera, io ormai avevo compito ventotto anni e mi ero rassegnato all’idea che probabilmente non ti avrei più rivista e che non avrei saputo mai nulla su di te, eccetto il tuo nome, Lara Pontidi.
Così iniziai a frequentare un’amica di un’amica, Rachele. Era graziosa, con ricci biondi tagliati in un carré ed un sorriso allegro.
Rachele non mi dispiaceva, le volevo bene, ma non riusciva a farmi dimenticare ciò che in un attimo tu eri stata in grado di farmi provare. Ci frequentavamo da un mese e mezzo ormai, ma non riuscivo a togliermi dalla testa il tuo sorriso ed ogni ora di passione passata con lei non mi soddisfaceva mai abbastanza. Io non volevo una ragazza qualunque, io volevo te. Nessuna ragazza mi appariva aggraziata e bella quanto te.
Rachele fra l’altro aveva qualche anno in più di me ed era reduce di un matrimonio finito in modo disastroso, in seguito alla scoperta di un tradimento del marito, ed aveva anche una figlia di quattro anni a carico.
<< Perché non mi accompagni a prendere Irene oggi? >> mi propose lei. Si mise a sedere, sorridente, coprendo il suo corpo con il lenzuolo << Ci tiene a conoscerti, sai? >>
Conoscere la figlia della mia attuale partner non era esattamente un mio desiderio, non volevo che s’illudesse di nuovo e che iniziasse a prendere la nostra storia sul serio. Era una storia di sesso, basta. Certo, andava avanti da molto tempo, ma non riuscivo davvero a provare qualcosa per lei, eccetto un gran bene.
Alla fine sapevamo che ci stavamo usando vicendevolmente, io per cercare di dimenticare te e lei per cercare di dimenticare suo marito e per dimostrargli che lei non era una debole e che non si era abbandonata a se stessa quando sette mesi prima lo aveva sorpreso a letto con un’altra.
Ma da qualche tempo mi sembrava che Rachele iniziasse a prendere questa cosa troppo sul serio. Se prima ci vedevamo casa mia un paio d’ore due o tre volte alla settimana solo ed unicamente per dare sfogo ai nostri bisogni, ora iniziava ad invitarmi prima a cena, poi al cinema, ed ora questo.
Ma d’altro canto non potevo dare questa ennesima delusione a quella ragazza, ho sempre avuto questa debolezza, quella di dover sempre alleviare le pene altrui e di fare l’eroe del momento.
<< Ma certo >> dissi.
Ci rivestimmo e presi le chiavi della macchina. Guidai fino alla scuola di Irene, ed insieme attraversammo i corridoi che ci portavano alla classe della bambina.
Non ero esattamente un amante dei bambini, anzi li trovavo piuttosto fastidiosi. Rimasi sconvolto da quella schiera di mamme che si trascinavano via un bambino che saltellava e urlava cose senza senso.
Irene corse incontro alla madre. Senza dubbio doveva aver preso dal padre. Era di carnagione olivastra, i capelli erano neri e divisi in due trecce, gli occhi scuri. L’abbracciò e poi disse << Neanche oggi è venuto papà…>>
Rachele mi aveva spiegato che aveva detto alla figlia che il padre era partito per un lungo viaggio e che non sapeva quando sarebbe tornato. Non era proprio una bugia, dopo aver ottenuto il divorzio il marito era andato a vivere a casa dell’amante e chiamava solo un paio di volte alla settimana per sapere come stesse la bambina ma senza mai esprimere il desiderio di vederla o di sentirla.
<< No ma ti devo presentare una persona. Ti ricordi di quel mio amico di cui ti avevo tanto parlato? Marco? >>
<< E’ lui? >> chiese Irene, accennando a me e squadrandomi. << Sembra simpatico >> aggiunse poi.
Uscimmo dalla scuola e accompagnai Rachele a casa. Decisi che non volevo tornare a casa, anche perché fra una cosa e l’altra mi ero dimenticato di fare la spesa. Parcheggiai e mi diressi verso un ristorante che sapevo buono. Proprio quando stavo per entrare sentii una voce che avrei riconosciuto fra mille.
<< … E ti stavo dicendo, oggi non ho nulla da fare, che ne diresti di vederci? >>.
Sorrisi automaticamente quando ti vidi, ma il mio cuore si bloccò quando realizzai che eri abbracciata ad un altro, un ragazzetto biondo e alto. Avrei dovuto immaginarlo.
<< Ma tu… Tu non sei l’amico di Marcello? >> ci misi qualche secondo per realizzare che ti trovavi davanti a me che mi stavi parlando.
<< S… sì, sono l’amico di Marcello >>.
<< Non so se ti ricordi di me, sono Lara, sua sorella >>.
<< Sì, mi ricordo >> risposi, intontito. Si ricordava di me e mi rivolgeva la parola.
<< Beh, ciao! >>

Atto IV: Lacrime



<< Rachi, io sto andando! >> due settimane dopo salutai Rachele, sorridendo. Forse iniziavo a provare qualcosa di più per lei, il tuo ricordo mi assillava di meno, era più sbiadito. Perfino Irene mi era simpatica.
<< Ciao >> Rachele mi accompagnò alla porta e mi diede un piccolo bacio sulle labbra. Chiamai l’ascensore, uscii dal palazzo e mi misi in macchina.
Era sabato notte, circa le due, non mi andava di tornare subito a casa. Tanto valeva fermarsi a bere una birra, non mi avrebbe certo di fatto male. Ebbi parecchia difficoltà a trovare posto, sapevo che tutti i giovani del paese si ritrovavano in quel locale –era anche l’unico, tra l’altro.
Finalmente scesi dalla macchina ed entrai nel pub, ordinando la mia brava birra e qualche cosa da mangiare. Non so quanto stetti dentro, forse mezz’ora, ma quel che accadde una volta uscito non lo dimenticherò mai più. Quell’episodio doveva farmi da sentore, doveva avvisarmi di ciò che sarebbe accaduto molto tempo dopo. Difatti ti incontrai, insieme ad un gruppo di amici, seduta sul marciapiede e appoggiata ad una macchina con la schiena. Eri rossa in viso, ridevi, in un evidente stato di ebbrezza. Avevi i capelli sconvolti e non mi apparivi più così bella come la prima volta che ti avevo incontrato, forse anche a causa della situazione disastrosa in cui ti trovavi. Una tua amica che sembrava molto più piccola di te, non poteva avere più di quindici anni, ma vestita come la peggiore delle donne e in uno stato se possibile peggiore del tuo, ti mise in mano qualcosa, che tu infilasti in tasca con un sorriso.
Ero disgustato da quella scena, tutti i tuoi amici erano visibilmente più piccoli di te, eppure erano in una situazione devastante. Fossi stata un’altra, ti avrei lasciato lì. Probabilmente avrei anche chiamato la polizia. Ma eri tu. Colei che faceva battere ancora il mio cuore. Ed eri la sorella del mio migliore amico, non potevo lasciarti lì.
<< Lara! >> ti chiamai, con tono severo ed alterato. Sì, ero incazzato. Ero incazzato perché la donna dei miei sogni di riduceva in quello stato ben poco dignitoso. Non eri ubriaca, di più. << Lara, ti accompagno immediatamente a casa. >>
Ti tesi una mano, tu dicesti qualcosa in segno di protesta, ma alla fine accettasti la mia mano e ti aiutai ad alzarti. Ti appoggiasti totalmente a me, eri incapace di camminare, potevo sentire il calore del tuo corpo e potevo sentire anche il tuo odore. Non era più quel profumo fantastico, ora puzzavi di alcool e altro che non ero in grado di definire.
<< Ti sembra un comportamento responsabile?? >> ti aggredii, una volta saliti in macchina.
Mi guardasti ferita, e per qualche secondo mi sentii davvero male. Poi mi ricordai che eri tu in torto e che io avevo ragione.
<< Lo so… lo so però… Non dirmi che non vi siete mai ubriacati, dai… >> mugugnasti tu.
<< Che cosa hai bevuto? >>
<< Mah… ho bevuto poco, solo un po’ di sambuca… >>
<< Non è possibile >> sentenziai. << Guardati! >>
Ti specchiasti nello specchietto retrovisore. Avevi gli occhi rossi e gonfi, un’espressione orrenda. Non potevi aver bevuto solo sambuca.
<< Ti giuro che è così… >>
Nessuno dei due fiatò finché non arrivammo sotto casa tua. Feci arrivare di corse tuo fratello che, poveretto, era fuori con la fidanzata.
<< Marci, ti prego… non dire niente a mamma e papà! >> piagnucolasti tu, precipitandoti fuori dalla macchina e cadendo sull’asfalto.
<< Lara… di nuovo? >> Marcello sbiancò e ti venne incontro, aiutandoti a rialzarti << Lara… >>
Si appoggiò alla macchina, coprendosi gli occhi con una mano. Era disperato << Non so più cosa fare con te. >>

***



Il pomeriggio seguente sentii suonare alla porta. Eri tu, con Marcello.
<< Possiamo entrare? >> mi chiese.
<< Certamente… >> mormorai io, confuso. Eri quasi tornata alla tua solita bellezza, se non fosse che il tuo viso era rigato dalle lacrime.
Ci sedemmo sul divano e nessuno proferì parola a lungo. Parlasti tu per prima.
<< Io… io ti volevo ringraziare per ieri sera… davvero. >>

***



Non ti rividi per un altro mese, l’ultima volta che ti avevo vista, piangevi.
Probabilmente era destino che ogni volta che dovevamo incontrarci, tu dovevi piangere. Ci rivedemmo un giorno di febbraio, io camminavo per il parco quando ti incontrai. Il sabato, il mio giorno libero, mi piace cominciare la giornata presto e con una sana e lunga camminata nel parco.
Mi avvicinai istintivamente a te quando notai che piangevi. Di nuovo.
<< Niente scuola oggi? >> ti chiesi, sedendomi accanto a te.
Tu prima saltasti, sorpresa e spaventata allo stesso tempo. << No… >> mormorasti poi << Non sono dell’umore giusto. >>
<< Ma davvero? >> chiesi io, sarcastico << E che cosa è successo? >>
<< Mi ha lasciato il mio ragazzo, dopo sette mesi che stavamo insieme >> rispondesti tu con un filo di voce. Esultai. O perlomeno lo feci dentro di me. Sapevo che non dovevo farlo, ciò ti causava del dolore, ma era più forte di me. Tu non eri più fidanzata. Eri la mia ventiduenne, adesso. Mi ricordai poi che io avevo già una donna che era più o meno la mia fidanzata – in questo lasso di tempo Rachele ed io ci eravamo avvicinati di molto. Oh, ma al diavolo Rachele. Mi convinsi che lei era solo per scopare. Nulla di più. Tu invece eri la mia dea, la mia stessa vita, eri tutto per me, nonostante avessimo parlato pochissime volte. Sentivo di conoscerti da sempre, sentivo di amarti. Non provai mai nulla di simile per nessun altra, eri la mia linfa vitale. Io vivevo per te e grazie a te, e vederti piangere mi distruggeva.
Così mi feci coraggio, dovevo vederti sorridere, ne andava della mia vita, non potevo più vivere se ti vedevo triste.
<< Lara, che ne diresti se oggi andiamo al cinema? C’è un bel film, appena uscito... >> ti proposi.
Mi guardasti, ti si illuminarono i tuoi magnifici occhi e io fui felice. << Certo. >>

***



<< Ti è piaciuto? >> ti chiesi, mentre ci alziamo dalle nostre poltroncine.
<< Sì, molto. E’ proprio il mio genere di film, come facevi a saperlo? >> mi chiedesti.
Oh, non lo so ancora. So solo che credevo di sapere ogni cosa di te. Mi eri così terribilmente familiare che credevo che tu fossi sempre vissuta con me, dentro di me.
Quando uscimmo dalla sala scoprimmo che era scoppiato un temporale. Ti diedi la mia giacca, eri vestita fin troppo leggera per poter camminare sotto quella pioggia. E poi non volevo lasciarti, non ancora. Avevo bisogno di te.
<< Che ne diresti se ti offrissi una cena da me? >> ti proposi allora a bruciapelo. Qualsiasi cosa era buona per passare più tempo con te, qualsiasi scusa. Volevo solo poter contemplare la tua immagine ancora a lungo. << Mi farebbe piacere >>.
Così andammo a casa mia e cucinai ciò che tu mi chiedesti; un po’ di pasta –spaghetti- e della salsiccia. Ci spostammo poi in veranda. Dal vetro si poteva osservare una vista davvero bella, casa mia era in alto e si godeva della vista di tutto il paese. Lontano dalle luci, si vedevano bene anche le stelle. Ma io avevo occhi solo per te, mia Lara. Non ero mai sazio della tua vista. Ti offrii un bicchiere di vino rosso, per concludere in bellezza la cena.
Parlammo a lungo di stupidaggini, poi spinto dall’alcool e dalla tua bellezza, decisi di aprirmi.
<< Lara >> ti sussurrai. Tu eri seduta accanto a me, sul divanetto. Stavamo stretti, ma a me andava benissimo.
<< Dimmi, Marco >>.
Mi voltai verso di te, così da poterti fissare negli occhi. Indugiai qualche attimo << Ti amo >>.
Tu, sbigottita, non parlasti per qualche secondo << Mi ami? >> mi domandasti alla fine.
<< Sì, Lara. Ti amo. Tu sei tutta la mia vita, non posso vivere senza te. >> Ti amavo come la mia stessa vita, un amore diverso dall’amore consueto. E diverso anche dall’amore platonico. Ti elevavo a dea, non ti conoscevo, ma sentivo di amarti. Tu eri il mio amore, per il quale io avrei fatto tutto.
Tu allora prendesti la mia testa fra le mani e mi baciasti. A lungo, con passione, come mai nessun’altra donna mi aveva mai baciato. Tutto quello che accadde dopo è molto vago. Forse per l’alcool, forse perché tu mi fai questo effetto.
Ricordo le tue mani che mi sfilarono la cinta dei pantaloni, le stesse mani fredde che avvertii quando mi sbottonasti lentamente la cinta, ricordo le mie mani che accarezzavano il tuo statuario corpo. Poi ti possedetti, la prima di numerose altre volte. Ti possedetti per tutta la notte, più e più volte. Tu eri diversa da una Rachele, da una Maria, da una Lucia, da una qualsiasi donna io abbia mai avuto in tutta la mia vita. Tu eri il mio paradiso e il mio inferno, la mia luce e la mia tenebra. Quella notte ti amai con tutte le mie forze, ti diedi tutto ciò che avevo, non col corpo ti amai, ma con l’anima.
Alla fine ci addormentammo lì, in veranda, su quel divanetto che fu teatro del nostro amore. La prima cosa che vidi quando parecchie ore dopo mi svegliai, fu il tuo viso. Sembravi così piccola e fragile quando dormivi, non la ventiduenne sorella del mio migliore amico. Già, Marcello… chissà come l’avrebbe presa. Eri bellissima, le tue braccia strette al mio collo e il tuo viso appoggiato al mio petto, mentre il tuo corpo aderiva perfettamente al mio. Ti accarezzai i capelli, il viso, le spalle, i seni, i fianchi. Nell’altra stanza il telefono squillava, ma a me non importava. Adesso c’eri tu, tutto il resto non meritava neanche un briciolo della mia attenzione.

***



Quando ti riaccompagnai a casa e rimasi solo con me stesso mi ricordai di Rachele. Era stata tradita, per una seconda volta. Beh, se tradimento si poteva chiamare, alla fin fine non eravamo proprio una coppia di fidanzati. Era solo una storia, io amavo te, tu sapevi della sua esistenza quindi, alla fine, nessuna delle due si poteva dire tradita.
Qualche giorno dopo uscimmo di nuovo, ti portai in città. Non so perché, ma avevo il terrore che Rachele scoprisse questo mio amore per te.
<< Ma sai che non so ancora quanti anni hai? >> ti chiesi, mentre eravamo seduti ad un tavolino del bar.
<< Sono più piccola di te, se è questo che ti interessa >> mi rispondesti, con un sorriso enigmatico.
<< Sì, ma di quanto? >>
<< Oh… di un po’. >>

Atto V: Fine



Quando ero con te, ero felice, terribilmente felice. Passai i sei mesi più belli della mia vita insieme a te. Iniziasti però a cambiare, ora molti giorni eri depressa, eri ansiosa e irritabile, perdesti moltissimo peso ed iniziasti ad ammalarti molto frequentemente.
Continuavo a non sapere nulla di te, eccetto il tuo nome, ma a me andava bene così. Continuavi ad eludere qualsiasi domanda personale, e nessuno eccetto noi due sapeva della nostra relazione.
Così, un giorno ricevetti una chiamata da Rachele. Tu non mi avevi imposto nulla su di lei, non mi avevi mai detto di smettere di frequentarla e solo ora, col senno di poi, capisco il perché.
<< Marco, dobbiamo parlare, immediatamente. Ti dispiace venire qui? >> mi chiese.
Io feci tutta la strada col cuore in gola, impaurito. E se aveva scoperto tutto? In teoria non mi sarebbe dovuto importare, insomma, lei era solo il mio giocattolino, la mia bambolina. Ma in realtà mi importava.

***



Usci da casa di Rachele con l’obbiettivo di trovarti al più presto. Sapevo dov’eri, era il compleanno di una tua amica ed eri a casa sua. Sapevo anche dove fosse la casa, ti accompagnai io. Così arrivai sotto casa della tua amica e ti mandai un messaggio, chiedendoti di scendere per qualche minuti.
Dopo una decina di minuti passati sotto la pioggia ti vidi. Eri euforica, era evidente anche questa volta che avevi bevuto.
<< Lara… >> iniziai.
Tu tirasti con il naso, e ti passasti un dito al di sotto << Oh, no, non iniziare con la predica. E’ solo un po’ di alcool, okay? >>
<< Non è di questo che ti voglio parlare >>.
La fermezza della mia voce, la serietà del mio sguardo fecero cessare ogni tua euforia.
<< Noi… Lara, noi non possiamo più vederci >>.
<< Perché? >> mi chiedesti, smarrita, appoggiandoti al muro del palazzo << E’ per colpa di quella, vero? O… O per colpa di chi? >>
<< Per colpa mia, Lara. Io… devo prendermi delle responsabilità. Devi capire, io so che capirai. Rachele è incinta, non posso lasciarla così. >>
<< Oh, va al diavolo! >> ti voltasti e te ne ritornasti dalla tua amica.
Quella fu l’ultima volta che ti vidi e l’ultima volta che sentii la tua voce.

Atto VI: Chiamata



Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Da una parte il pensiero che Rachele fosse incinta, di mio figlio. Avrei dunque dovuto assumere le mie responsabilità, avrei dovuto sposarla e andare a vivere con lei. Dall’altra, pensavo a te. Al nostro brusco addio. Io non volevo lasciarti, ma non potevo fare altrimenti.
Alle cinque, ricevetti una chiamata da Marcello. Gli avevi detto tutto e chiedeva spiegazioni? Oh, magari fosse stato così.
<< Pronto? >> risposi, timoroso. Non sapevo cosa volesse ed io avevo la coscienza sporca.
<< Marco! >> Marcello piangeva, appariva disperato << Marco… tu… tu puoi raggiungermi? Io… io ho bisogno di te. >>
<< Certo, dove sei? >>
<< Sono all’ingresso dell’ospedale… Io ho bisogno di te. >>

***



Davanti ai miei occhi c’eri tu, Lara.
<< Cos…? >>
<< Overdose >> mi rispose Marcello, che come me non osava muovere un muscolo o spostare gli occhi da te. Eravamo le persone che più ti avevano amato in tutta la tua vita, seppur spinti da amori diversi, ed eravamo lì, per te. << Era ad una festa di una amica, ma questo lo sapevi, ti avevo chiesto di accompagnarla. Pare che abbia bevuto troppo e… E tu non lo sai, ma da un sette-otto mesi dipende… dipendeva dalla cocaina. Ne ha assunta troppa, ha iniziato ad agitarsi, ad aggredire le sue amiche, tremava e pareva sotto allucinazione. Alla fine è morta, un’ora fa >>.
Ero allibito. Non mi ero mai accorto che tu fossi una cocainomane. Non trovavo le parole per esprimere i miei pensieri, i miei sentimenti. Forse perché di sentimenti non ne provavo, o forse perché ne provavo troppi.
Non riuscivo a capacitarmi come tu, dea dal viso angelico, avessi ceduto alla cocaina.
<< Ha sempre avuto tutto quello che cercava, tutto! Perché?! >> Marcello si dovette sedere su una sedia e si prese il volto fra le mani << E pensare che ha solo diciassette anni… >> sussurrò.
<< Diciassette? >> gli chiesi io, incredulo, fissando le ferite al tuo volto.
<< Sì, diciassette. Ma non è nuova alla droga. Quando aveva dodici anni cambiò scuola media, lì trovò delle compagne di classe che fumavano, e non solo sigarette. Un giorno provò. Due anni dopo trovai nel suo cappotto della marijuana. Non mi sorprese più di tanto, molti giovani la consumavano. Ci fu un periodo in cui lo facevamo anche noi, ti ricordi? Quasi tutti i giovani passano la fase degli spinelli. Qualche mese dopo, però, fui chiamato dalla madre di una delle sue amiche. I miei non c’erano, si erano presi una settimana di vacanza all’estero, ero io quindi il responsabile di Lara. Corsi a casa della ragazza, la madre mi raccontò che… che era tornata a casa da lavoro un paio di ore prima, e aveva trovato sua figlia in compagnia di mia sorella e… e di una siringa. Era diventata eroinomane, e se per comprare erba la sua paghetta poteva bastare, non bastava più per comprare eroina. >> Marcello tacque, deglutendo << Così, iniziò a vendersi ai suoi amici, ai suoi compagni di classe. Lo vedi, era una bella ragazza. Ma comunque ne uscì. Finché… a quanto pare qualche mese fa non è ricaduta nella trappola della droga. E ormai è troppo tardi. >>
Ero sconvolto. Ero sconvolto perché avevo perso il mio amore più grande. Ero sconvolto perché aveva solo diciassette anni.
Vederti lì, morta, era per me fonte di distruzione. Sentivo che non potevo più andare avanti, ormai avevo perso ciò che conduceva la mia vita, ciò che avevo cercato per ventotto anni e che una volta trovato avevo perso irrimediabilmente. Avevo perso tutto, avevo perso la mia stessa vita, non c’era più una ragione di vivere. Il mio cuore era lacerato, la mia anima era disintegrata. Non avrei mai più amato come avevo amato te, volevo solo raggiungerti il più presto possibile. Non una lacrima rigava il mio volto, il dolore era più forte di qualsiasi altra cosa. L’emozione che provavo era indescrivibile, al di sopra di ogni qualsiasi altra cosa umana. Perché io ormai di umano non avevo più nulla, la morte si era portata con te anche me, di me rimane solo l’involucro vuoto di un uomo senz’anima e senza sentimenti. Il freddo negli occhi, l’inferno nel cor.

***



E ancora ora, dopo sessant’anni, io non ho smesso di amarti.
Sono vecchio, ho dei figli, dei nipoti, ma di loro non m’importa. Tutto ciò che potevo dare io l’ho dato a te, e con te rimarrà per l’eternità.
  
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