1963 La luce sopra lo specchio sfarfallava; un’altra delle tante cose che non funzionavano in quel bagno, in quella casa, in quel team. ‘È temporaneo’, continuava a dire Erik, e sì, su quello concordavano tutti. Era solo questione di tempo, bisognava soltanto vedere cosa sarebbe crollato prima, se la loro squadra o il soffitto. Ma per quanto Raven odiasse quelle quattro umide pareti, erano quello che avevano, era il loro nido. Anche quello, però, doveva continuare a ripeterselo, se non voleva dimenticare perché lei, perché tutti, erano lì. L’immagine che incontrò nel rialzare gli occhi stanchi fu la sua, la pelle blu e squamata, i capelli rossi che ricadevano sul suo volto; per qualche istante si concentrò su quelle occhiaie che mai come allora erano state così pronunciate, su quelle rughe che fino a qualche settimana prima, non si trovavano lì. Era così stanca, e allo stesso tempo si sentiva così giovane. Sapeva che se non si fosse tenuta stretta alla realtà sarebbe di nuovo scivolata tra i corridoi di villa Xavier, a cercare le braccia di Charles per un abbraccio che sapeva sarebbe stato caldo e confortevole.
Ma Charles non era lì; al suo fianco vi erano solo le sue scelte e le sue decisioni. Le braccia che circondarono la sua vita non furono una sorpresa, aveva visto l’uomo avvicinarsi grazie al riflesso; chiuse gli occhi quando un lieve bacio si posò sul suo orecchio. Anche Azazel era una cosa che aveva dato per temporanea. Eppure la sua stretta era divenuta più che consolatoria, e i suoi baci più che una ripicca. Là dove Charles vedeva il cucciolo, là dove Erik vedeva solo un simbolo di fierezza mutante, Azazel vedeva la donna. E tra le sue braccia non era più bambina, ma una creatura forte e adorata. Fu quasi spontaneo voltarsi e ricambiare il bacio; non era amore, no. Ma era comunque qualcosa che poteva divenire più che temporaneo. Doveva, in fondo. Dovevano, se volevano fare qualcosa di buono, oltre che combattere il resto del mondo.
Le mani di Azazel scivolarono sul suo grembo, piatto e morbido, dove sembrava non esserci nulla; ma loro sapevano. E quello bastava. Perché per quanto non l’avessero cercato, non l’avessero voluto, ora era lì, e ora avevano molto di più da perdere da quella guerra.
“Vieni, Erik vuole parlarci di una cosa. O meglio, di Kennedy, sai, il presidente. Quel pazzo è convinto sia uno di noi.”
*** 1973 È proprio di fronte a lei, Trask, l’uomo che ha ucciso i suoi amici, che ha ucciso la sua famiglia, che ha ucciso suo figlio. E questa volta è lei a tenere in mano la pistola. Questa volta non si fermerà dall’uccidere, questa volta andrà fino in fondo, fino a quando il mostro che ha davanti non potrà più fare del male. Mai più. “Raven!”Charles?! *** 1974 L’aria è fredda e si condensa in fronte a lei, ma questo non le impedisce di vedere il manifesto; un altro. E come con molti altri prima di questo, vorrebbe strapparlo e ridurlo in mille pezzi. Quel poster mente, quelle scritte mentono, persino la sua stessa immagine mente. Per chi la guarda, quello potrebbe essere il volto di un eroe; deciso, sicuro, certo delle proprie decisioni. Ma lei è ben lontana da tutto questo. E le sue decisioni sono tutto ciò che le è rimasto. Cattive decisioni, buone decisioni. In ogni caso, sono quelle che l’hanno condotta qui. Sola. La guerra che conduce molto più patetica e inutile, quella di cercare di restare in vita. Di non rimanere consumata dai suoi stessi demoni. E da tutti quei fantasmi che si è lasciata indietro.
Raven lo sa, saranno quei fantasmi, un giorno, a trascinarla nell’abisso. Sono passati dieci anni e, in mezzo al freddo e alla neve, tra le strade di Monaco, Raven si permette finalmente di ricordare il passato e dimenticare il presente. Per pochi istanti l’anno, semplicemente lo lascia accadere. Cerca di ignorare le grida, il fuoco, il dolore, la paura. Per pochi istanti ci sono lei e quel caldo fagotto che si stringe al petto. Lui è lì, più vicino al suo cuore di chiunque altro sia mai arrivato. Incredibile come qualcosa di così piccolo abbia tanto potere su di lei. E i vagiti che fa, Raven ne è certa, sono parte della stessa canzone che ha dato vita al mondo.
E lui sorride, sorride a lei, nonostante tutto quel che abbia mai conosciuto sia il freddo dell’aria, e le sue mani callose, e ruvide, e tremanti.
Un ultimo bacio sulla fronte di quella piccola creatura, prima di rinchiudere quelle memorie là dove facevano meno male. E ciò che rimane di Raven è vuoto dolore e ridondante solitudine, mentre ricorda qualcuno che il mondo non ha mai conosciuto, e che solo lei ha pianto.
Ma può ancora servire a qualcosa, può ancora provare a fare qualcosa di buono. No, non come Charles. Ma può provare a dare seconde possibilità, può provare a salvarne quanti ne può. Quante vite avrebbe dovuto salvare, perché quelle che non aveva accanto smettessero di fare così male?
Ma se davvero un dio è lì, in ascolto, lei ha un’unica preghiera; che che guardi all’anima del suo piccolo bambino, perché era bella, e dolce, e pura, e degna di ogni cosa buona.
*** 1983 È un caso che lei si trovi lì. Semplicemente è andava avanti così, mutante dopo mutante, un salvataggio dopo l’altro. Raven non è un eroe e non rimane mai a vedere cosa succede dopo, cosa succede una volta che ha fatto quella piccola cosa buona. Lei non prende responsabilità. Non più. Ha già cercato di salvare il mondo troppe volte, per credere ancora una volta in quella favola. Il futuro è una nebulosa confusa e oscura, il presente è l’unica cosa in cui può concentrarsi.
Ma una favola, o un sogno, è di certo quello in cui si trova adesso. Lui è blu, ed è bellissimo, e spaventato mentre la folla attorno a lui lo sprona a combattere. Il ricordo della prima volta che ha stretto qualcuno come lui tra le braccia è sfocato, i colori sbiaditi o troppo brillanti, la tela di un pittore che sta perdendo la sua battaglia contro il tempo. E per un attimo ci crede davvero, che i suoi fantasmi siano lì, a prendersi gioco di lei, semplicemente perché se lo merita. Questo giovane ha gli anni che lui dovrebbe avere, le stesse orecchie a punta con cui Raven ricorda di aver giocato, la stessa coda che stringeva le sue dita; ‘per favore non andare’ aveva sentito in quel gesto l’ultima fredda notte che avevano passato insieme ‘per favore, rimaniamo insieme per sempre’.
Ma non c’è tempo per pensare, perché ora è tempo per lui di combattere. E se c’è una cosa che ora Raven vuole, un desiderio che è pronta ad assecondare in ogni sua più egoistica forma, è che lui non debba combattere. Mai.
Per qualche istante, però, lei si permette di credere nella favola. ***
*** Raven è l’unica a sapere, e le cose vanno bene così. Per Kurt Raven è ‘lei’ e niente di più. E ormai lei vive nel temporaneo. L’idea iniziale era lasciarlo tornare da dove era venuto, sparire dalla vita così come era comparsa, d’improvviso. Lasciando ancora un’immagine buona di lei. ***
*** È incredibile come un uomo intelligente quanto Erik, possa essere così stupido. Oppure è cieco a ciò che avviene in fronte a lui. Ma Raven sa quanto è facile essere ciechi nei confronti di Charles. A questo può solo sperare che anche lui, come lei, trovi un motivo per tornare a casa. *** Guardare i bambini, gli studenti giocare nei giardini della villa è bello, ha un non so che di mistico. Non le viene difficile capire perché a Charles piaccia avere la casa piena di vita. Kurt è là fuori, fra loro. *** Raven sa che Kurt non ha avuto una vita facile, e i motivi sono cicatrici profonde nella sua anima e sulla sua pelle. C’è sempre un limite alla merda che il mondo può tirarti addosso senza che ti rimangano i segni. Raven conosce il suo bambino così poco, e non sa ancora adesso cosa sia meglio per lui, ma riesce a leggerlo. Almeno quello. Probabilmente e sicuramente grazie anche a tutto il tempo che passa a osservalo quando crede che nessuno possa notarla. *** “Buon diciottesimo compleanno, Kurt…” sussurra Raven, mentre osserva il giovane scartare con dita tremanti la carta del regalo; è una giacca, un’altra da aggiungere alla sua particolare collezione. Questa però è nera, elegante, e vecchia quasi quanto lui, ma tenuta incredibilmente bene. Quando crescerà Raven non pensa avrà un fisico molto diverso da quello di suo padre. *** Raven fa scivolare le dita fra i capelli di suo figlio, un po’ ricci, un po’ dritti, senza capire quale sia il loro senso. Seduta sul divano di camera sua, con Kurt sdraiato di fianco a lei con la sua testa in grembo, Raven non è si è mai sentita così intima con nessuno. Fuori piove, ma il fuoco nel camino è caldo, e i due suoni messi assieme sono migliori di qualsiasi ninnananna che lei potrebbe mai cantare. *** Raven sta ancora imparando, cosa vuol dire essere una madre. È più difficile di quanto credesse, e più bello di quanto avesse immaginato. Ma soprattutto, Raven è fiera.
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