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Autore: WhiteSwann    26/06/2016    2 recensioni
Cyril è un ragazzo normale, ma dotato di grande immaginazione. Quando attraverserà uno specchio e si ritroverà nella forma di un lupo antropomorfo nella curiosa e multiforme città di Zootropolis, un labirinto di edifici e mammiferi, la sua vita cambierà per sempre. Sarà proprio lui, un essere sospeso fra due realtà, ad aiutare gli agenti Judy Hopps e Nicholas "Nick" Wilde a sventare la minaccia di Dawn Bellwether, la cui insaziabile sete di potere rischierà di portare la distruzione non solo della città di Zootropolis ma anche dello stesso mondo di Cyril.
Fanfiction che inaugura il mio ritorno in questo sito dopo anni di assenza.
La storia conserva lo spirito avventuroso e comico del film originale, con una dose di romanticismo che non fa mai male. L'impianto generale può sembrare un cliché, ma cercherò di essere il più originale possibile.
Il titolo è un omaggio alle opere di Lewis Carroll e al cinema di Tim Burton.
Leggete e recensite! Accettate critiche.
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1

I sette specchi

 

 

A Cyril non piacevano le feste. Dal momento che era di questa opinione, che non sarebbe cambiata per nessun motivo al mondo, si chiedeva che cosa lo avesse spinto ad accettare l'invito dei suoi amici; pur avendo puntato i piedi con tutte le sue forze, si era ritrovato in mezzo alla gente, senza che se ne fosse nemmeno accorto: era come se fosse scivolato in una sorta di sogno o avesse adottato un gesto meccanico, poiché non si era reso conto di quanto avesse fatto. Così, senza sapere né il come né il perché, si ritrovò in una soffocante massa di risate, braccia e alcool, una convivenza decisamente insopportabile per una persona come lui: ogni volta che si voltava, vedeva sempre una coppia intenta a ballare in modo sfrenato, come in preda a un'ebbrezza infernale, che l'avrebbe certamente condotta alla distruzione. Un senso di nausea lo colpì forte come un pugno e il suo viso si deformò in una mera espressione di disgusto: non era affatto questo il modo di divertirsi.

I suoi amici avevano l'abitudine di spingerlo sempre di più a uscire con loro, non tanto per compiacersi del suo disagio ma quanto per divertirsi con lui; infatti, Cyril usciva raramente, limitandosi solamente ai cinema. Se ne stava la maggior parte del tempo nella sua stanza, leggendo libri di ogni genere dalla grande libreria della città o scrivendo poesie, che conservava gelosamente nel proprio taccuino nero. Aveva quindi ottime attività con cui spendere le giornate, ma sentiva allo stesso tempo che ai suoi amici mancava molto: erano sì diversi da lui per quanto riguardava l'uso del tempo libero, ma l'affetto e l'amicizia che li legava erano sinceri. Lui non si presentava quasi mai agli orari che gli altri fissavano e questo li rattristiva molto: anche se non lo dava a vedere, anche lo stesso Cyril era dispiaciuto per la piega che avevano assunto gli eventi, ma le feste lo mettevano così a disagio che o se ne andava via in tutta fretta o si addormentava in una delle poltrone appositamente allestite. Pensava, dunque, che non venire affatto avrebbe evitato a lui e a tutti gli altri una perpetua vergogna; tuttavia, quel giorno era davvero importante.

 

Il cellulare di Cyril aveva cominciato a squillare nel tardo pomeriggio, proprio quando il ragazzo stava scrivendo velocemente un sonetto; appoggiò la penna sulla pagina e, preso il cellulare, guardò il numero sullo schermo: era Rachel, una sua carissima amica. Rispetto alle altre persone, lei era quella che aveva il carattere più affine a quello di Cyril: a entrambi piaceva riflettere prima di agire, leggere, scrivere e guardare ogni sorta di film; quello che più li rendeva diversi era la parte estroversa della ragazza, che le permetteva di fare amicizia praticamente subito con tutti e di trovarsi perfettamente bene a ogni festa possibile e immaginabile. Quando aveva visto che si trattava di lei, Cyril aveva risposto alla chiamata ben volentieri.

"Ciao, Rachel" disse

"Ehilà, Cyril" rispose lei, all'altro capo del telefono. "Come va?"

"Beh, abbastanza bene" continuò Cyril. "Tu?"

"Anch'io sto bene. Senti, ti ricordi che cosa faremo questo sabato?".

Lui lo sapeva benissimo. Erano gli ultimi giorni di scuola e i professori avevano acconsentito di preparare una festa, specialmente per coloro che avrebbero affrontato gli esami di lì a poco: come per gli anni precedenti, ognuno portava qualcosa da casa, come cibo o bevande; dopo aver preparato una lunga serie di tavoli nel cortile, che era abbastanza grande per contenere almeno una cinquantina di studenti, tutti avrebbero ballato e ascoltato musica sino alla fine del normale orario scolastico: allora, sarebbero usciti con lo zaino sulle spalle convinti che nulla sarebbe stato più lo stesso, poiché, come sapevano bene, il tempo comporta cambiamenti e con essi maggiore maturità. La festa era particolarmente importante per gli studenti dell'ultimo anno, in quanto erano loro che risentivano del cambiamento: entro pochi mesi, avrebbero dovuto scegliere l'università da frequentare, il lavoro da trovare e una famiglia da formare. Era, insomma, una svolta epocale, che denotava un salto definitivo. Cyril ne era consapevole: da una parte ne era felice, perché avrebbe potuto iniziare una nuova fase della sua vita, senza preoccuparsi di cosa pensasse la gente; dall'altra, però, tremava al pensiero che il tempo avrebbe proseguito inesorabile il proprio percorso, causando gioie e dolori: non sapeva, se sarebbe stato abbastanza forte da sopportare i pesi futuri. Qualcuno gli avrebbe rimproverato di essere vittima della "Sindrome di Peter Pan": anche se sapeva che cosa fosse, Cyril era certo di non esserne vittima; sapeva che stava crescendo, aveva accettato il processo di maturità ed era consapevole che cosa sarebbe venuto, ma non era sicuro di essere abbastanza maturo non tanto di fare le scelte giuste ma di sopportare il peso degli sbagli. Ciò lo faceva angosciare nel profondo e la paura si faceva più soffocante, sapendo che era inevitabile: era una sorta di viaggio nell'oscurità, una passeggiata su una corda con al di sotto un baratro di oblio. Sapendo di essere diverso da tutti gli altri, Cyril aveva paura di cadere.

"Sì" aveva detto. "C'è la festa di fine anno"

"Ecco..." aveva fatto Rachel. "So che a te non piace uscire e lo capisco. Però, dispiacerebbe a tutti, se tu non venissi: dopotutto, questo è l'ultimo anno ed è la festa prima degli esami"

"Lo so"

"Ma verrai? Mi...ci piacerebbe che tu venissi".

La sua voce si era sospesa un attimo per un tempo che a Cyril pareva un'eternità: poi, aveva ripreso a parlare con un tono quasi rotto, come se avesse avuto un nodo alla gola; a quel punto, egli non sapeva che cosa fare. Se avesse rifiutato, avrebbe ottenuto una meritata tranqullità, ma allo stesso assistito a un pianto dai giustissimi motivi; se, invece, avesse accettato, avrebbe sentito la gioia dell'amica e assistito alla soddisfazione degli altri compagni, ma poi si sarebbe certamente annoiato alla festa. In entrambi i casi, vi era la presenza di pro e di contro molto forti: se avesse scelto l'una o l'altra opzione, uno dei due, lui o Rachel, avrebbe sofferto di sicuro. Tuttavia, se c'era un'altra cosa che entrambi sapevano era la gentilezza di Cyril: benché non gli piacesse mostrarla, egli detestava far soffrire o deludere le persone, specialmente quelle che amava; dal momento che si trattava della sua migliore amica, sentiva che non avrebbe potuto ferirla. Tali considerazioni si materializzarono nella mente di Cyril nel tempo di un attimo e altrettanto brevemente elaborò la risposta da dare. Cyril prese un gran respiro e chiamò a sé tutte le forze per dire le parole che da mesi non aveva proferito a nessuno.

"D'accordo, verrò"

"Davvero?" aveva esclamato Rachel. "E' meraviglioso! Non sai quanto mi hai resa felice"

"Oh, invece sì"

"Io...grazie".

L'ultima parola era stata come il colpo di grazia che abbatté ogni resistenza interiore di Cyril: se prima era risoluto a eclissarsi a tutti i costi, ora era certo che non sarebbe riuscito a resistere alle richieste dell'amica; del resto, come avrebbe potuto ferirla in modo definitivo? Sì, era davvero gentile.

"Non c'è di che"

"Ci vediamo sabato, allora" disse Rachel, con altresì una punta di compiacimento – o così lo percepiì Cyril

"Ci vediamo" ripeté lui, per poi terminare la chiamata.

Una volta fatto ciò, si era disteso sul proprio letto con lo sguardo rivolto verso il soffito: era certo, infatti, di aver firmato la propria condanna a morte.

Si rigirò sul fianco: subito, migliaia di pensieri cominciarono a succedersi uno dopo l'altro, fino a formare una matassa confusa di concetti e di desideri; essi si rafforzavano e si confutavano nello stesso tempo, erano parole che emergevano dagli abissi della memoria e risposte che avrebbero dovuto essere efficaci in un ipotetico futuro, erano proiezioni di possibili risvolti in un futuro ancora lontano, ipotesi, variabili. Rachel Rachel perché non capisci Rachel Rachel perché sei tu Rachel no non sei Giulietta e io non sono Romeo Shakespeare è morto non sono Amleto ma il Giullare oh signor Eliot vedi quelle persone che camminano in cerchio non vedono dove se ne stanno andando sono come morti morti viventi con la testa sotto l'acqua teste di paglia che non pensano non vivono oh pensate prima di aprire la bocca la lingua è una spada è fuoco può liberare o uccidere mi hanno ucciso o sono vivo vivo perché so di vivere so di volere so di ricordare so so e so sant'Agostino cosa hai trovato negli ampi palazzi della memoria aiutami a mettere insieme i pezzi la colla non tiene i frammenti delle statue statue di idoli idoli rotti per terra sotto terra chi li ha rotte vivono o non vivono sono a pezzi ma respirano idoli del mondo chi è colui che vi fa vivere chi di voi sa di vivere oh il vitello d'oro respira ancora re di denaro re del denaro re dorato re dell'oro padre del vizio Mammona troneggia la sua corona è d'oro ma è pesante la testa è troppo piccola non può tenere il collo si spezzerà tagliategli la testa no non sono la Regina Rossa sono maschio sono un ragazzo sono normale non ho la testa grossa non ho una corona non sono Regina non sono Mammona tagliategli la testa la testa ha ancora il ghigno dello Stregatto sorride alla luna come la luna oh i denti biancheggiano come la luna che sia più splendente della luna allora i lupi ululeranno ai gatti no nessun gatto può ghignare chi può guardare il ghigno perché ghigni perché ridi a che pensi come mai la tua testa è senza il corpo puoi pensare puoi volere sai di pensare sai di volere non penso ma perché è così tutti hanno il tronco senza la testa senza testa non pensano non vogliono e non sanno di pensare e di volere una massa di morti che non pensano che non vogliono che non pensano di pensare e di volere che non vogliono pensare e volere sono morti che camminano in cerchio a Londra dappertutto che siano con te nella Tolomea frate Alberigo tu che hai il corpo sulla terra e l'anima all'Inferno no ora il tuo corpo e sotto terra e con il corpo Tolomeo faraone d'Egitto traditore degli ospiti uccisore di Pompeo profanatore Alberigo hai tradito i tuoi ospiti e gli altri chi hanno tradito i padri le madri i fratelli le sorelle gli amici no loro stessi loro loro hanno tradito se stessi non sanno non sanno ma oh se sapessero perché le vostre teste sono vuote perché galleggiano nell'aria con lo Stregatto la mia testa galleggia no non galleggierà perché non voglio galleggiare so di non volere voglio non volere penso di non volere pensate pensate basta con le teste vuote per aria oh che aspettate davanti alla porta con gli occhi spalancati senza finire la partita a scacchi scacco matto attenti endgame fin du partie non sapete ma Beckett sa non sa quando verrà Godot vi troverà preparati come un ladro verrà no nessuno di voi sa oh se sapeste parlate vogliate pensate sappiate sappiare di parlare di volere di pensare di sapere vogliate sapere volere pensare sapere pensate di parlare di volere di pensare di sapere sappiate di parlare di volere di pensare di sapere

Basta.

"Cyril, vieni, per favore".

La voce della madre lo riportò bruscamente alla realtà, come una persona che si risveglia all'improvviso da un sonno inquieto nel cuore della notte; la sua testa pulsava: aveva bisogno urgentemente di una medicina. Un motivo in più per scendere al piano di sotto. Si alzò pesantemente dal materasso e, stiracchiatosi le gambe e le braccia, si infilò le ciabatte e iniziò a scendere gli scalini, che lo separavano dal salone.

Ciaf, ciaf, ciaf

"Cyril, tesoro, chi era al telefono? Forse..."

Ciaf, ciaf, ciaf

"...una tua amica? Com'è che si chiama? Rachel?"

Ciaf, ciaf, ciaf

"E' una brava ragazza: gentile e generosa..."

Ciaf, ciaf, ciaf

"...come pochi. Magari fossero tutti come lei! Ma..."

Ciaf, ciaf, ciaf

"...perché non esci più spesso con loro? Sai, mi..."

Ciaf, ciaf, ciaf

"...preoccupa il fatto che tu stia sempre solo".

Cyril avanzò di qualche passo, fino a entrare nella sala. Seduta sul divano, davanti al cellulare e alla televisione, stava sua madre. La sua stazza forzuta occupava gran parte dello spazio, i suoi capelli grigi erano appena mossi dal ventilatore poco distante: era, infatti, una delle estati più calde degli ultimi anni, così calde che erano sorti in tutto il paese problemi come siccità e incendi, come stava spiegando la presentatrice del notiziario del pomeriggio; la madre di Cyril, però, aveva previsto che la situazione sarebbe andata peggiorando, così si era procurata quanti più attrezzi domestici possibili per mantenere una temperatura confortevole. Con un paio di occhiali vermigli, era intenta a giocare sul proprio cellulare: era così presa dall'applicazione che non si accorse minimamente dell'arrivo di Cyril; solo quando questi si schiarì la gola per attirare l'attenzioe, il dito smise di colpire le caramelle di Candy Crush. Lo sguardo della madre passò del cellulare agli occhi del figlio.

"Allora?" domandò. "Era Rachel?"

"Sì" rispose Cyril, abbassando lo sguardo

"Che cosa voleva?"

"Beh, la scuola vuole organizzare una festa sabato...sai, per la fine dell'anno scolastico"

"E tu ci andarai" disse sua madre, continuando a fissarlo. "Vero?"
"Sì" replicò Cyril con tono neutro. "Ci andrò"

"Meraviglioso, tesoro" sorrise lei. "Non sai quanto mi fai felice".

Allora lui alzò lo sguardo per guardarla: sul suo viso era stampato un largo sorriso, un sorriso che urtò non poco Cyril; anche lei, a quanto pareva, si era aspettata una risposta positiva. Si passò una mano sui capelli e mormorò:

"Sei contenta?"

"Oh, sì!" rispose lei. "E' bene che tu faccia una vita sociale: chiuso in camera tua a scivere non ti porterà molto lontano".

Quelle parole furono come un pugno allo stomaco. Gli occhi dei due rimasero sospesi l'uno nell'altro: lo sguardo di lei brillava di gioia, quello di lui riluceva come di ghiaccio; evidentemente, si accorse dell'improvviso cambiamento, in quanto il sorriso cominciò pian piano a scomparire, lasciando il posto a un'espressione contrariata. Appoggiò il cellulare accanto a lei e si tolse gli occhiali.

"Perché mi guardi così?" domandò

"Spiegati meglio" rispose gelido Cyril. "Cosa intendi con Non andrai lontano?"

"Intendo quello che ho detto" rispose lei. "Pensi forse che scrivere ti aiuti ad avere il pane? Pensi che declamando qualche verso potrai ottenere un posto nel mondo?"

"Allora cosa pensi che debba fare?"

"Comportati come un ragazzo della tua età"

"Ovvero?"

"Senza stramberie di alcun genere. Chi canta fuori dal coro, è destinato a essere emarginato"

"Perciò, mi stai dicendo di adeguarmi per sopravvivere?"

"Esattamente"

"Giammai".

A quel punto, sua madre sbatté le palpebre e si alzò in tutta la sua statura. Lei era più bassa di Cyril, ma le sue braccia forzute e il suo fisico robusto le sembravano attribuire una corporatura più grande di quanto fosse in realtà; con le mani sui fianchi, era alta e solida come una vecchia quercia. Cyril cominciò ad agitarsi.

"Cos'hai detto?".

Il coraggio che prima aveva sembrò essere scomparso d'incanto. Pur tentando con tutte le forze di essere più sicuro di sé, iniziò a tremare dalla punta delle dita fino alle estremità dei capelli: persino le ginocchia sembravano cedere da un momento all'altro; per un attimo, ebbe la sensazione di svenire, poi iniziò a sudare sulla fronte, mentre sua madre lo scrutava con uno sguardo penetrante.

"I...io non voglio adeguarmi alla massa" disse Cyril con un filo di voce

"E cosa speri di ottenere?" sibilò lei. "Che qualcuno parli poi di te, come se fossi un modello d'intellettuale da seguire? Prima devi campare, ragazzo mio. Se il mondo ragiona in un certo modo, tu devi fare altrettanto: altrimenti, non avrai nemmeno i soldi per mangiare"

"Ma non è giusto!" esclamò Cyril. "Perché devo per forza indossare una maschera per seguire una sorta di istinto di sopravvivenza? Perché devo fingere?"

"Perché il mondo purtroppo lo fa. Fidati, Cyril: io ho avuto moltissima esperienza del mondo esterno e ti assicuro che farai una brutta fine, se ti comporti così".

Un nodo cominciò a stringersi in gola e le mani aumentarono il proprio tremore. Sentiva che stava per succedere.

No. Non ora.

"Tu...tu dici che devo adeguarmi" disse Cyril con gli occhi che iniziarono a riempirsi di lacrime. "Ma come speri che il mondo migliori, se non ci opponiamo?".

Non piangere. Non farlo. Non davanti a lei.

"Non capisci che non puoi cambiare il mondo?" esclamò sua madre. "Tu da solo non potrai concludere nulla. Te lo ripeto Cyril e, ti prego, ascoltami, perché è per il tuo bene: chi canta fuori dal coro, fa una brutta fine".

Vattene. Vattene ora.

Cyril si voltò e si lanciò verso la rampa di scale, mentre delle grosse lacrime gli rigavano calde le guance; corse così velocemente che inciampò una volta e, rialzatosi frettolosamente, si rinchiuse nella sua stanza. Benché si trattassero di pochi scalini, aveva il fiatone, quasi avesse corso una maratona; tremava ancora, il nodo alla gola era più forte che mai e le lacrime non finivano di bagnargli il volto: si coprì il volto con una mano e iniziò a singhiozzare interrottamente, dando sfogo a tutta la rabbia e a tutta la tristezza che erano concentrato in piccolo punto del petto. Il suo corpo sembrava essere una commistione di sudore e di fuoco, una sorta di febbre violenta che gli scuoteva il corpo e l'anima; quando ebbe finito di piangere, si sentì effettivamente meglio. Tuttavia, in cuor suo, sapeva che sua madre aveva ragione. Lei aveva ragione in ogni singola parola.

 

C'era almeno un centinaio di persone nel cortile. Il sole splendeva cocente sulle loro teste, infiammando le loro chiome quasi fossero delle torce viventi: tuttavia, a nessuno importava, perché l'euforia del momento e l'eccitazione per il futuro erano tali da far loro dimenticare ogni sorta di sofferenza presente; ubriachi di follia, si muovevano secondo il ritmo della musica. Questa era a volume altissimo, dal suono rimbombante tale da far vibrare le finestre vicine: ripetitivo, disturbante e penentrante, la canzone avvolgeva con aggressivo impeto chiunque l'ascoltasse, afferrando ogni aspetto sensoriale; era un'immersione nel mare dell'assurdità diventata moda e nella monotonia sfrenata, nella quale tutti quanti avevano avuto il piacere di annegare. Solo Cyril si stava dibattendo per mantenere il proprio viso oltre la superficie dell'acqua, di rimanere a galla e di non perire: osservava con disinteressato disgusto quello che vedeva, non partecipando affatto alla danza macabra, che si stava consumando dinanzi ai suoi occhi. Per lui, infatti, era come se fossero morti, in preda a un incantesimo effimero volto non a far emergere la parte migliore della loro anima, bensì a controllare attraverso i fili della mondanità ogni loro arto, ogni loro sguardo, ogni loro parola, ogni loro pensiero; catturati come infelici uccelli in una rete invisibile, si dimenavano nella trappola dell'oblio.

Cyril pareva come l'albero rinsecchito al centro del cortile: rigido, immobile e imperturbato dal rumoreggiare sottostante, come un'entità celeste che si distacca dal male umano; benché non fosse un essere del genere, Cyril era consapevole di non appartenere a quel mondo: ciò che era passeggero e bruciante era veleno per lui. Non ne era sinceramente del tutto consapevole – o almeno fino a quel momento: solo alla festa di fine anno era finalmente sicuro che fosse diverso dagli altri. Non voleva assolutamene far parte di quella follia, di quella morte collettiva, perché, qualora avesse ceduto anche una minima parte della propria personalità, sarebbe stato certamente infettato dal morbo. Non riusciva però a esprimere quello che sentiva: disagio, imbarazzo, disgusto, noncuranza; no, si trattava certamente di nondisimbusto. Si voltò per cercare i suoi amici con lo sguardo: come supponeva, erano nella massa, muovendosi più o meno seducemente con gli altri, in preda dell'ebbrezza malefica; vedendo tale scena, non fece a meno di sospirare. Benché non gli dispiacesse essere diverso, sentire il vuoto suono delle proprie parole in tale frastuono infernale lo avrebbe certamente ferito: ciò che faceva male, considerava Cyril, non era pensare diversamente, ma non esprimere con sufficienza la propria diversità. Voleva più di tutto questo, voleva esprimere quanto esistesse molto di più di feste, film, libri...

Qualcosa lo toccò al braccio e subito si voltò per vedere che cosa fosse: Rachel vi aveva appoggiato la mano; il suo sguardo incontrò quello dell'amica: questa lo guardava con un fare perplesso, con la fronte leggermente corrugata. Prima che potesse fare qualcosa, la ragazza mosse le labbra, ma la musica era talmente alta che Cyril non poté capire che cosa dicesse. Le fece cenno di ripetere e Rachel, preso un gran respiro, gridò:

"Tutto a posto, Cyril?".

"Sto bene" rispose lui. "Sono solo nondisimbustato"

"Cosa?"

"Niente. Non importa".

Attorno a loro, le persone continuavano a ballare, senza guardarsi però in volto. Rachel strinse di più il braccio di Cyril e lo fissò con uno sguardo luccicante: lui sapeva che cosa stesse per chiedere.

"Perché te ne stai tutto solo?" domandò. "Dai, vieni a ballare"

"Rachel, no" replicò Cyril. "Tu sai che lo detesto"

"Ma perché?" fece lei, tirando un poco l'amico verso di lei

"Per due motivi" rispose lui, contandoli sulle dita. "Primo: non mi piace questo genere di cose. Come potrebbe divertirmi della musica a tutto volume, per giunta di un genere che odio? Non fare quella faccia: trovo che sia soltanto rumore, che incita tutti i neuroni al suicidio e, a quanto vedo, ci sta riuscendo benissimo"

"Cyril, non essere..."

"E secondo: non ho intenzione di umiliarmi gratuitamente davanti a tutti. Io non so ballare, lo sai"

"Ma nessuno lo sa fare" rise Rachel. "Guarda tutti quanti: stanno ballando palesemente a caso"

"E con questo?" riprese Cyril, alzando un sopracciglio. "A caso oppure no, non voglio infilarmi lì in mezzo: odio questo genere di cose"

"Oh, sembri il Puffo brontolone" disse Rachel tirando ancora l'amico per il braccio. "Io odio questo e Io odio quello! Non c'è niente che ti diverta?"

"No".

La ragazza lo guardò attonita, come se fino a quel momento Cyril le avesse parlato in una lingua sconosciuta; poi, il suo volto si tramutò in un'espressione di rammarico: entrambi sapevano che era l'ultima cosa che Cyril avrebbe voluto vedere. Questi notò i suoi occhi riempirsi di lacrime e sentì la mano tremare: il cuore di Cyril cominciò a battere all'impazzata e un velo di sudore stendersi sulla sua fronte.

Non farlo, Rachel. Non farlo.

"Io...io non capisco" sussurrò Rachel con una voce che denotava meramente frustrazione. "Se non ti piacciono queste cose, perché...perché sei venuto?"

"Ascoltami, Rachel. Ascoltami e lasciami finire" cominciò Cyril, stringendo i pugni per darsi forza.

Si erano spostati lontano dalla massa e dalla musica rimbombante, perché la sua voce potesse essere udita facilmente; si misero accanto al cancello della scuola, che si affacciava sulla strada ora affollata di auto parcheggiate e da studenti incuriositi. Come per sua madre, Cyril stava cominciando ad agitarsi: non era mai stato bravo a scegliere le parole giuste, specialmente in situazione delicate come questa. Rachel lo guardava senza parlare, con i pugni stretti e tremanti.

"Ascolta, Rachel" iniziò Cyril. "Sappi che apprezzo tanto la tua compagnia, anche quella degli altri: davvero, sono felice di tutti i momenti passati insieme, come quelli in cui mi hai consolato e siamo stati vicini l'un l'altro"

"Allora cosa c'è?" domandò Rachel, tirando su con il naso

"Ecco, non è questo il modo per divertirsi, almeno per quanto mi riguarda" riprese Cyril, facendosi più sicuro. "Non riesco a trovarne il senso. Mi dispiace, ma non ci riesco"

"Perché sei venuto, allora?" domandò ancora Rachel, incrociando le braccia.

Brutto segno.

"Perché..." rispose Cyril, abbassando lo sguardo. "Non volevo offenderti".

Non udì alcuna risposta. Cyril alzò gli occhi e vide il volto di Rachel deformato da un sorriso enigmatico e le braccia sempre incrociate; restò in quella posizione per qualche istante, fissando Cyril con uno sguardo divertito. Il ragazzo, dal canto suo, iniziava a non sopportare quella situazione: si sentiva, infatti, come messo a nudo dinanzi a lei, con il suo sguardo penetrante, accusatore, beffardo; spostò il proprio peso da un piedo all'altro, incerto dell'esito della conversazione, il cui silenzio era più assordante della musica poco lontano. Oh, se Rachel avesse detto una sola sillaba, un singolo suono! Allora, non avrebbe sofferto più una simile tortura. Attraverso le sue iridi scure, inumidite dalla lacrime (di rabbia? di tristezza?), era in grado di scorgere la propria sagoma, deformata, di vedersi, piccolo, in quel minuscolo spazio, di contemplare la propria patetica espressione, che era una commistione di vergogna e di paura; sì, era davvero patetico. Finalmente, Rachel ruppe il silenzio con una risata, la quale fu come una doccia gelata per Cyril.

"Dunque, non volevi offendermi?" sibilò lei. "Ebbene, ci sei riuscito benissimo"

"Rachel..." mormorò Cyril, ormai privo di forze

"Va' a goderti la tua...come la chiami? Nondisimbustataggine" sputò Rachel, con gli occhi fiammanti di odio e disprezzo. "Va' pure, codardo".

La ragazza si voltò di scatto e si allontanò da Cyril a passi rapidi. Lui rimase con la bocca leggermente aperta, incapace di parlare, come se le sue corde vocali si fossero paralizzate; un coltello nel cuore sarebbe stato certamente più doloroso: mentre la figura di Rachel, la sua più grande amica, scompariva nella folla, Cyril ebbe l'impressione di sprofondare in un abisso soffocante di tristezza, di rabbia, di frustrazione e di vergogna. Considerando che era stato lui a causare tutto questo, l'angoscia crebbe ancora di più, divenendo veramente un pugnale invisibile, che cominciò a scavare impietosamente nel suo petto. A ogni colpo, egli gemeva: dai suoi occhi iniziarono sgorgare lacrime, calde e amare lacrime che gli bagnarono il volto e la maglietta; sembrava soffocare, annegare, ma l'abisso sembrava non avere fine. Mentre sprofondava sempre più in basso, Cyril si appoggiò contro il cancello, annaspando e respirando affannosamente: le lacrime sembravano non conoscere fine e la testa cominciò ad avvampare e a pulsare; si coprì la bocca per coprire i gemiti e i singhiozzi, con il suo corpo in preda a piccoli spasmi. Una mano lo toccò alla spalla, provocando un sussulto da parte di Cyril.

"Ehi, amico, va tutto bene?" domandò un ragazzo.

Non appena vide la maschera di lacrime e di rossore della persona che aveva toccato, emise un grido di sorpresa e indietreggiò di qualche passo; aprì la bocca per dire qualcosa, ma la sua voce si spense. Questo era troppo.

Vai via di lì, idiota.

Cyril si voltò e schizzò velocemente verso la scuola: passò fra i corpi, urtandoli di tanto in tanto, senza domandare scusa, e cominciò a correre; non aveva idea verso dove stesse andando: la sua mente era vuota e l'ambiente attorno a lui sfrecciava deformato: corridoi, stanze e luci erano ridotte a semplice strisce indefinite, degnate appena di uno sguardo dall'occhio arrossato di Cyril. Questi attraversò rampe di scale e altri corridoi senza fermarsi: le sue gambe parevano muoversi da sole e operavano come impazzite, in cerca di un luogo sconosciuto nel quale rifugiarsi.

La corsa si interruppe ai bagni. Cyril era entrato spingendo la porta con l'impeto della propria spalla. Allora, una volta certo che non vi fosse nessuno, si aggrappò al lavandino e continuò a piangere: voleva semplicemente starsene lì, dando sfogo a tutte le sue emozioni; non voleva che fosse visto in quel modo, perché sarebbe stato biasimevole un piagnisteo simile da parte di un neomaggiorenne; dall'altra parte, però, sperava che qualcuno lo trovasse, affinché tutti quanti sapessero quanto stesse soffrendo, quanto fosse insofferente nei confronti di un mondo tanto crudele e tanto egoista, così egoista da distruggere coloro che non si curano degli affari mondani. Sospeso su tali opzioni, pianse ancora un poco, ma alla fine, effettivamente, si stancò di farlo.

Smettila di piangere. Te lo ordino.

Cyril tirò su col naso e si asciugò gli occhi con la mano. Allora, alzò il capo e si guardò allo specchio: i capelli di media lunghezza, neri e un poco mossi, erano arruffati e scomposti, i suoi occhi dal colore marrone scuro tendenti al nero erano molto arrossati e il suo viso ovale, dalla carnagione olivastra, era arrossato e deformato dalle tracce umide delle lacrime; vedendosi in quello stato, Cyril si vergognò ancora di più.

Ma dai, non ti vergogni? Quale diciottenne piange in questo modo?

Non poteva di certo continuare così. Cyril aprì l'acqua del rubinetto e, una volta raccoltane un poco, si bagnò il viso: ripeté la cosa più volte, per essere certo che ogni traccia della sua scenata fosse scomparsa. Staccò qualche pezzo di carta igenica, che era sopra un termosifone, e si asciugò il volto; si guardò di nuovo allo specchio: decisamente meglio. Era certo che piangere non fosse il sistema adatto per risolvere la situazione: dal momento che Rachel si era offesa, con Rachel doveva risolvere la questione; le avrebbe detto che era la sua più cara amica e che non aveva affatto di sua intenzione farle del male fisicamente o interiormente; sperando di essere perdonato, avrebbero ritrovato l'amicizia perduta e avrebbero trovato una soluzione per i gusti di entrambi – non solo di loro ma anche di tutti gli altri.

Solo quando si fu del tutto ripreso, si mise a osservare il luogo dove si trovava: era nel bagno dei maschi, uno dei luoghi più fatiscenti di tutti i tempi, dalla pareti martoriate di scritte volgari a un diffuso odore acre e nauseabondo proveniente dalle porte dei water e con diffuse tracce di carta igenica sul pavimento. La luce era sul punto di cedere, perché illuminava a intermittenza. Alle orecchie di Cyril giunse il ronzio distinto di una mosca: essa volò speditamente verso il suo volto, da cui fu allontanata dalle sue mani; allora, volò in cerchio un paio di volte, prima di dirigersi verso lo specchio e attraversarlo. Cyril emise un piccolo gemito, sopreso, ma questo accadde dopo un istante, cioè il tempo di relizzare quanto accaduto; sbatté le palpebre e si strofinò energicamente gli occhi: evidentemente, la giornata di oggi, oltre al caldo, gli aveva giocato un brutto scherzo. Sorrise fra sé e si voltò per uscire dal bagno.

E se non fosse stato un abbaglio?

Cyril si fermò sulla soglia, rimanendo in sovrappensiero per un poco. Dunque, si voltò lentamente per mirare lo specchio: questo era una lastra di vetro completamente normale, affiancato da altri due; la cosa più strana era che, a differenza degli altri, non era minimamente coperto da delle chiazze di calcare. Possibile che si preoccupassero di coprire un solo specchio? Avanzò di qualche passo e si ritrovò davanti alla superficie di vetro, nella quale vide emergere il proprio volto perplesso. Lo squadrò: era uno specchio completamente normale. Apparentemente normale.

Apparentemente normale come me.

Tese timidamente una mano: forse quello che faceva era una vera follia. Quando mai gli specchi potevano essere attraversati? Eppure, fu quello che accadde: era come affondare il dito nel miele, fluido e vischioso. Tirò di scatto fuori la mano, osservandola: non aveva subito alcun danno apparente, tranne un curioso formicolio, che era nato non appena aveva immerso le estreme punte delle dita nello specchio; ora che l'aveva ritratta, tale sensazione era scomparsa. La superficie ondeggiante dello specchio era esattamente come il mare mosso da una gentile brezza. Cyril contemplò ancora incuriosito la lastra di vetro, le cui increspature si erano in quel momento dissolte sotto i suoi stessi occhi; se, si disse, era effettivamente attraversabile, dovrà pur condurre da qualche parte.

Non fare pazzie. La curiosità è cattiva consigliera.

Eppure, quante possibilità c'erano fuori dallo specchio? Una ragazza distrutta emotivamente con la quale non esisteva più alcun rapporto amichevole, un genitore autoritario e una massa di persone intenta a ballare: non sembrava un granché. E quali possibilità c'erano oltre lo specchio? Se avesse detto di non avere un poco di paura, sarebbe stata una mera menzogna: era incuriosito e spaurito nello stesso momento, ma, alla prova dei fatti, si sentiva più attratto che spaventato dallo specchio; avrebbe soltanto dato un'occhiata, una rapidissima e innocente occhiata: nessuno lo avrebbe visto entrare e nessuno lo avrebbe visto uscire. Un'occasione per allontanarsi dal folle mare di morti in favore dell'oceano dell'ignoto: la distanza fra la monotona certezza e la vibrante possibilità era lungo quanto un passo, un solo e semplice passo.

Ma sì. Perché no?

Cyril prese un profondo respiro e si pose più vicino allo specchio, affondandovi prima la mano: il formicolio ritornò e, dal momento che rimaneva in quella posizione più a lungo, la sensazione fu più intensa, percorrendo tutto quanto il suo corpo; allora, affondò anche l'altra mano e si sporse in avanti, fino ad avere oltre lo specchio entrambi gli avambracci: il formicolio era divenuto ancora più intenso. Cyril si rese conto che il lavandino non era un posto sicuro su cui appoggiare tutto il peso: perciò, chiamò a se tutte le forze, si tirò un poco indietro e spiccò un salto, per poi scomparire in un batter d'occhio.

Finalmente attraverso lo specchio.

 

 

NOTE DELL'AUTORE

 

Salute, popolo di EFP! Cercherò di spiegare tutto. Io sono stato in questo sito come autore per poco più di un anno: ho conosciuto persone e ho fatto cose. E fin qui ci siamo. Naturalmente, ho avuto un altro nickname, che io non dirò per evitare di essere linciato da mani virtuali; purtroppo, con il mio comportamento immaturo ho ferito molte persone: se qualcuno fra di esse avesse capito chi sia veramente – cosa assai difficile, sappi che mi dispiace molto. Decisi di auto-esiliarmi per svariati motivi, che non sto a dirvi sia perché alcuni sono strettamente personali sia perché vi annoierei a morte; posso solo svelare che fra i problemi in questione c'era quello della quantità abnorme di storie inconcluse: tipo, fra venti iniziate, solo un paio – poesie o storie uniche – erano effettivamente concluse. Perciò, prometto di non pubblicare nessun altra fanfiction prima di finire quest'ultima: qualora mi venissero altre idee, le scriverò nel mio computer da bravo bambino quale spero di essere.

Ho visto Zootropolis e ne sono stato grandemente affascinato, a tal punto da creare altre storie nella mia testolina: questo è un primo risultato. Il titolo è un rimando ai libri di Lewis Carrol (Alice nel Paese delle Meraviglie e Alice attraverso lo specchio) e un omaggio al film di Tim Burton Alice in Wonderland del 2010, di cui ho apprezzato tantissimo i tocchi dark. Vi dico subito un paio di cose, perché non siate sprovveduti.

  1. Non voglio scrivere capitoli brevi a distanza di mesi: tantomento scriverne di lunghi e cercare di pubblicarli regolarmente.

  2. So che la storia del tizio diverso da tutti che si ritrova catapultato in un universo parallelo è un cliché largamente utilizzato. Sono consapevole del rischio. Io, per quanto mi riguarda, cercherò di essere il più originale possibile: quindi, non vi sarà il casuale incontro – almeno all'inizio – fra Cyril e la nostra coppia di poliziotti preferiti. Questo è un primo episodio pre-confezionato che ho deciso di evitare

  3. Non aspettatevi storie erotiche o ad alto contenuto licenzioso. Mi dispiace, ma sono un autore con un poco di pudicizia. Romanticismo? Non fa mai male: ma nei limiti.

  4. Vorrei ringraziare tutti gli autori che hanno scritto ottime fan fiction su questa sezione. In particolare, mi riferisco a due autrici, di cui una opera direttamente qui e l'altra è una disegnatrice sul web, i cui disegni sono semplicemente spettacolari (tra l'altro, ho scoperto che non solo che costoro sono entrambe italiane ma si conoscono pure): sto parlando di aoimotion e rem289. Spero che il mio saluto vi giunga sincero nel vostro tenero cuoricino!

  5. Fortunatamente per voi, questo capitolo sarà l'unico stilisticamente sperimentale. Perciò, questo sarà l'unico caso contenente un flusso di coscienza alla Joyce.

  6. Questa fanfiction conterrà lo spirito avventuroso e comico del film originale. Perciò, nessun eccessivo cambiamento per quanto riguarda il tono complessivo della storia

  7. Penso di tradurla e postarla su "fanfiction.net". Chiunque voglia collaborare con me è benevuto

 

Grazie per la lettura! Sono accettate critiche. Alla prossima!

 

WhiteSwann

 

   
 
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