Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo e
un nuovo punto di vista!
Grazie mille a tutti per la lettura e in particolare a Talia Baratheon che sembra
essersi presa a cuore la mia impresa J
Un bacio e a presto
Elendil
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Aprì gli occhi poco prima di cadere di sella, la mano
destra che ne ghermiva appena in tempo il pomo prima che di peso la sua figura
scivolasse nel vuoto. Il sole lo accecò, ricordandogli di essersi assopito
proprio nel bel mezzo del viaggio senza che tramonto o alba avessero segnato
l’esatto momento in cui gli fosse stato concesso un attimo di riposo.
Eppure la stanchezza era ancora lì, lucida e presente
proprio come quando poco tempo prima - attimi? Ore? Secondi forse? - egli si
era concesso di soccombervi in un sonno piatto e senza sogni.
Al suo fianco, legato mani e piedi alla sella del suo kahrise (un grande volatile dalle lunghe zampe e incapace
di volare, comunemente usato per le lunghe marce nel deserto), l’Anhayt gli rifilò un’occhiata truce.
“Stanco, sommo Zaphil?” sibilò
fra i denti “O è solo la mia compagnia a darvi noia?”
Inizialmente si era pensato che non fosse cosa consona
per un uomo del suo rango - Nobile, malgrado le apparenze mostrassero il
contrario - venire legato come un comune prigioniero per tutta la durata del
viaggio. Le ferite presenti sul suo corpo avevano inoltre perorato la decisione
che egli venisse semplicemente affiancato da una o più guardie capaci di
assicurarsi che egli non tentasse mosse avventate o colpi di testa.
Ma dopo tre rocamboleschi tentativi di fuga seguiti da
tre altrettanto estenuanti giorni di inseguimento in pieno deserto, il gruppo
intero aveva deciso che sicurezza e tranquillità nel sapere quell’uomo ben
legato alla propria scorta valevano il prezzo dell’onta inferta.
Zaphil
strizzò appena gli occhi indolenziti dal riverbero.
“Caro Anhayt” la sua voce suonò
in qualche modo roca ed impastata mentre si rivolgeva all’altro. Una ruvida
corda intrecciata univa le loro cavalcature costringendo i reciproci kahrise a spostarsi di pari passo “Tutto potrei lamentare
della vostra compagnia tranne che la noia”.
Per qualche ragione sembrò di vedere l’altro sorridere
prima che questi si rivolgesse ad un uomo della scorta poco più avanti.
“Ero certo che voi uomini della Torre avreste amato le
mie doti di Anhayt. Fra le donne riscuotono sempre
molto successo” gli fece sogghignando.
Dall’altra parte Zaphil sospirò
appena “Sciogliere nodi e nascondere oggetti contundenti in ogni pertugio del
corpo non le definirei doti”.
L’altro si strinse nelle spalle “Punti di vista” gli
concesse “Ma di sicuro lo sono il saper resistere ad ogni genere di sopruso per
giorni interi senza mangiare né bere” concluse con un ghignetto sardonico. Il Naphil si limitò a replicare il gesto con minor passione
“Rimproverate voi stesso e non me per le spiacevoli divergenze di questi
giorni. Io sono un Guardiano, non il vostro aguzzino”.
Nuova smorfia contrariata. Nuovo scrollarsi di spalle
“Eppure giurerei di aver pensato ad un Sarnich’sou
(combattente del sud) mentre per poco non riducevate la mia faccia ad una
poltiglia sanguinolenta...” “E’ stato spiacevole per tutti e due, credetemi” si
umettò le labbra l’altro.
La risata dell’Anhayt fece
voltare la testa a due guardie poco più avanti.
“Da come colpivate, non sembravate un granché
dispiaciuto” sibilò poco dopo l’Anhayt “Ma date le
circostanze, non posso certo biasimarvi”
Sfuggire quella notte al pandemonio generato dall’attacco
delle Ombre non era stata cosa facile. Resistere alle successive rappresaglie
dei Figli delle Ombre desiderosi di riprendersi il proprio Anhayt
era parso ancora peggio. Arrancare infine all’inseguimento dei plurimi
tentativi di fuga di quest’ultimo perdendo ore se non giorni interi di viaggio
fra dune di sabbia e distese pietrose era sembrato decisamente troppo per tutti
quanti.
Troppo perché ora, smagrito ed imbruttito di lividi, l’Anhayt non paresse ora la grottesca parodia di se stesso.
Per un attimo i due rimasero in silenzio, l’oramai misero
plotone di Zaphil che lentamente si spostava fra le
esalazioni roventi del giorno, passo dopo passo sempre più vicino alla meta
sospirata: Hevnan k’ar.
“Perchè non l’avete seguita?”
la voce dell’Anhayt vibrò improvvisamente fra di
loro, cogliendo Zaphil intento ora a scrutare pensoso
l’orizzonte. Per un secondo egli parve non aver sentito; poi abbassò lo
sguardo.
“Intendete l’Hayeli’vo?”
L’altro si limitò a scrollare le spalle “Da come l’avete
guardata mentre Sery ve la portava via da sotto il
naso, mi sarei aspettato che l’avreste rincorsa senza esitazione”.
Sguardo appena corrucciato, il labbro inferiore a
scomparire per un attimo nella pallida curva dei denti “Se fosse stata la Nihaar’ì l’avrei rincorsa di certo” abbozzò poi senza
espressione “Ma per sua sfortuna, l’Hayeli’vo non è
altri che una sostituta di colei a cui vanno i miei servigi e fedeltà” “Quindi
non le dovete niente?” azzardò l’Anhayt apparentemente
divertito. Questa volta Zaphil non rispose.
Ma l’uomo pareva refrattario ad abbandonare la
conversazione. Si mosse per qualche istante sulla sella come per assumere una
posizione più comoda; poi sospirò “Eppure chissà come, quella ragazza pareva davvero
convinta che l’avreste salvata. Malgrado più volte l’avessi provocata
suggerendo il contrario, lei non ha mai esitato. Nemmeno una volta” suo
malgrado, Zaphil si ritrovò ad alzare lo sguardo
incontrando quello velato dell’altro “Zaphil arriverà
e ve la farà pagare cara. Questo diceva” rincarò la dose.
Ancora una volta, quasi meccanicamente, Zaphil si limitò a stringersi nelle spalle “Era suo dovere
farvelo credere” esalò poi monocorde “Viceversa, avreste potuto davvero pensare
che lei fosse chi diceva di essere? Una Nihaar’ì che
non si aspetti di essere salvata? Che non ostenti la convinzione di essere ciò
che lei doveva essere?”. L’Anhayt tentò allora di
chinarsi sulla sella per raggiungere con le mani legate la punta del suo naso.
Non vi riuscì. Sospirò.
“Non offendete la vostra intelligenza, Zaphil, sapete meglio di me che quella Hayeli’vo
avrebbe potuto mostrarmi qualunque cosa, qualunque assurda fantasia le fosse
passata per la mente di raccontarmi ed io le avrei creduto senza alcuna
esitazione” una pausa, il labbro inferiore che si spaccava nell’ombra di un
mezzo sorriso “Il mio desiderio di liberare me e la mia Sireli
(amata) dalla nostra maledizione era troppo grande per concedermi anche solo
un’istante di incertezza”
“Dunque, come vedete quella ragazza non ha dovuto fare
granché per convincervi della veridicità delle proprie azioni e sentimenti”
concluse con un mezzo sospiro il Naphil “Ammesso che
fingesse” rintuzzò l’altro.
Tacquero ancora per un attimo, giusto il tempo perché l’Anhayt ostentasse un nuovo e sentito gradimento per le
corde strette attorno ai propri polsi martoriati. L’altro lo ignorò, lo sguardo
che correva lontano, oltre le dune, alla ricerca della tanto sospirata Hevnan k’ar.
Più tardi, mentre il sole prendeva ad inabissarsi nel
bruciante profilo delle sabbie e le temperature con esso volgevano dal caldo
soffocante ad un freddo sempre più pungente, il manipolo decise di arrestare la
propria marcia ed accendere un fuoco. Un caldo aroma speziato proveniente da
una pentola in terracotta prese presto a diffondersi nell’aria circostante
mentre tutt’attorno gli uomini imbastivano dei piccoli giacigli di tela.
Quando fu pronto, Zaphil portò
una scodella anche all’Anhayt. Gli sedette poi
accanto, lasciando che questi terminasse di trangugiare avidamente la propria
porzione prima di parlare.
“Avete detto di non aver mai visto il volto di chi vi ha
concesso di entrare ad Hevnan k’ar”
cominciò guardando lungamente il fuoco. Al suo fianco, l’altro annuì.
“Come foste certo che non si trattasse di un inganno?”
concentrato, l’altro diede una lunga lappata alla ciotola prima di deporla
dinnanzi a sé “Come vi ho già detto, ci fu uno scambio di lettere” spiegò “Non
ne conservai ovviamente nessuna” si affrettò a precisare “Ma vi posso
assicurare che fin dalla prima fui certo della loro veridicità” in attesa, Zaphil sbattè una volta le
palpebre “Vedete. Quelle lettere non erano in realtà indirizzate a me, bensì
alla mia Sireli (amata), e chi scriveva non la
chiamava con il semplice appellativo riservato ai Risvegliati o alle donne del
deserto bensì con il suo Nome”.
Il suo vero Nome.
Quello che le genti di Arryan
erano solite rivelare solo a pochi stretti confidenti per paura che Oneiron e le Ombre con esso potessero ghermirlo e fare di
esso il proprio diletto.
Suo malgrado, Zaphil non potè che accigliarsi “Chi oltre a voi potrebbe conoscerlo?”
l’altro scosse la testa “Nessuno che potesse avere l’ardire di fare del male
alla mia Sireli con quel Nome, questo è poco ma
sicuro” “E fu per quel motivo che voi vi fidaste ciecamente di quelle lettere?”
“Quel motivo” l’altro si strinse nelle spalle “E per il fatto che chi scriveva
si firmasse con il fregio di Hevnan k’ar” ancora una volta il Naphil
non potè impedirsi di provare una nota di confusione
“La vostra Sireli proviene da Hevnan
k’ar?” chiese titubante.
Si e no, mimarono le spalle dell’Anhayt.
“So che parte del suo passato si nasconde in quella
città, sì. E per rispondere alla vostra domanda” sogghignò “No, non potrei
essere più preciso perché questo è davvero tutto ciò che so sulla mia Sireli”
Non una parola di più, non una di meno.
Impossibile non accigliarsi di nuovo “Per essere la
vostra Sireli, mi sembra sappiate davvero ben poco di
lei” esalò incredulo il Naphil. Nuova scrollata di
spalle “Il presente è il cammino che noi condividiamo con le persone che ci
stanno accanto. Ma il passato è nostro e nostro soltanto”.
Quel giorno, uno dei tanti oramai trascorsi a marciare
liberi nel deserto, giunsero finalmente alla volta di Hevnan
k’ar. Non vi entrarono subito. Prima di giungere a
vista delle vedette, le guardie improvvisarono infatti una breve sosta per
estrarre dalle pesanti borse a tracolla dei kahrise
un non meglio precisato insieme di stoffe dall’aria consunta e logora, colori
un tempo sgargianti ora ridotti a nulla più che blande tinte rossastre e
sabbiose.
L’Anhayt rifilò a quell’insieme
un’occhiata incerta prima che Zaphil gliene porgesse
una dall’aria particolarmente lisa.
“Queste saranno il nostro lasciapassare all’interno della
città” spiegò con un mezzo sogghigno “Preferirei infatti che nessuno
all’interno di Hevnan k’ar
sapesse del nostro ritorno fino a quando non lo riterrò opportuno”. Nuova
occhiata perplessa dell’Anhayt “Niente accoglienza da
re, quindi?” sbattè una volta le palpebre. Zaphil si strinse nelle spalle “Spiacente ma no”.
Per un attimo lo sguardo di entrambi cadde allora
sull’offerta del Naphil ancora tesa nel vuoto, ponte
di stoffa dall’aria ora più che mai incerta.
Poi l’altro schioccò la lingua sul palato “Avete detto
che se acconsentirò ad aiutarvi mi lascerete andare” si grattò il mento ora
irto di una barba ruvida e spinosa. Sotto i polpastrelli avvertì piccoli
granelli di sabbia. “Così ho detto” concesse il Naphil
“E se questo è il vostro dubbio, posso assicurarvi di essere un uomo di parola”
“Così come di scarni sentimenti?” lo pungolò l’altro con un sorriso. Zaphil non rispose, limitandosi semplicemente a riproporre
con un lieve movimento la stoffa all’altro.
L’Anhayt sospirò afferrando
finalmente l’indumento. Se lo rigirò per un attimo fra le mani, evidentemente
misurandone con fare critico la misera fattura “Tutte qui le grandi risorse
della Torre del Tempo?” sogghignò poi. Lo sguardo rivolto già alla città, Zaphil non colse la critica “Prego?” chiese tuttavia.
Tutt’attorno gli uomini erano già alle prese con il camuffamento, le distintive
vesti nere rimpiazzate dalle ben meno raffinate pezze solitamente usate fra le
genti di bassa levatura quali piccoli commercianti, contadini e simili.
“Da ciò che raccontava mia madre, alla Torre del Tempo
non bastava l’immaginazione per descrivere le meraviglie e l’abbondanza
presenti in ogni dove. I muri grondavano acqua, i pavimenti riflettevano i
colori del cielo ed ogni dove vi erano piante e frescura in abbondanza” una
pausa, giusto il tempo di alzare i panni lisi e mostrarli al suo interlocutore
“Probabilmente i tempi sono davvero cambiati da allora”.
Vago, un sogghigno attraversò allora il volto del Naphil prima che questi estraesse dalla sacca del proprio kahrise stracci della medesima tinta e condizione “Dunque
vostra madre vi parlava della Torre del Tempo” disse prendendo lentamente a
spogliarsi “Eppure voi non l’avete mai accompagnata nei suoi viaggi” .
Per un attimo l’Anhayt parve
troppo impegnato a fissare i sottili innesti metallici sul corpo dell’uomo per
rispondere. Poi, interdetto, si schiarì la gola “Questo perché lei mi
raccomandava sempre di non farlo. “Quel luogo è così pieno di serpi che pare di
sentire le mura sibilare anche di notte” mi diceva sempre” una pausa, mani a
saggiare infine la possibilità di indossare quegli stracci luridi “Odiava
andarci e se non fosse stato per risparmiare a me e mio padre il dovere di
farlo al suo posto, sono certo non ci avrebbe mai messo piede”.
Cominciò dunque a svestirsi anch’egli, un rapido cambio
d’abiti sufficiente a mostrare nel riverbero solare strisce di pelle livida e
segnata da vecchie e nuove cicatrici. Questa volta fu il turno del Naphil di osservare l’altro con un misto di curiosità e
perplessità assieme. Poi sospirò.
“Ho pianto per la sua morte. Era una donna gentile” esalò
portandosi al volto un velo consunto. Alcune fibre lise pendevano di lato dando
una parvenza di baffi posticci. L’Anhayt scrollò la
testa “Voi non conoscevate mia madre. Non era abbastanza ricca e potente perchè voi vi interessaste a lei. Ma vi ringrazio comunque”
Si decise dunque che gli uomini di Zaphil
sarebbero entrati in città con le luci del giorno unendosi alle carovane che
regolarmente entravano ed uscivano dalle porte di Hevnan
k’ar. Da dentro avrebbero fatto in modo di
posizionarsi nei punti strategici della città e da lì seguire l’andamento della
giornata. Salvo contrordine, Zaphil e l’Anhayt sarebbero allora entrati all’imbrunire, seguendo il
percorso che settimane prima aveva condotto i Figli delle Ombre all’interno
della città.
A pochi istanti dal calare della notte, nessuno degli
uomini del Naphil era ancora tornato per segnalare
strani avvenimenti. Dopo un ultimo sguardo al profilo oramai brunito della
città. i due decisero dunque di mettersi in marcia.
Giunsero in poco tempo nella parte orientale di Hevnan k’ar, le rive dell’Himnakan a sciabordare fra le morbide anse del porto in un
dedalo di Rose del Mare e flutti rubino. Tutt’attorno alla città si snodava il
pallido profilo delle Mura, sottile circonferenza ottagonale articolata in
creste simili ad immense pinne dorsali di animali marini. Ogni cresta recava
attacchi ed infissi per sostenere le ancor più mastodontiche Vele tese nella
fine brezza notturna come giganteschi petali di fiori rubino. Ad ogni cambio di
vento, la notte scricchiolava del loro mutare di posizione ed inclinazione così
che da lontano l’intera Hevnan k’ar
somigliasse ad un immenso veliero teso al vento.
Sottili passaggi di legno e corda collegavano come fili
di ragnatela ogni struttura dando modo ai Danzatori di guardia alla città di
pattugliarne i perimetri. Le loro piccole sagome tremolavano alla luce di torce
e bracieri disposti ad intervalli regolari.
Zaphil e
l’Anhayt ignorarono quello spettacolo suggestivo per
procedere viceversa in direzione del lago e del porto. Le mura continuavano
anche qui, pur degradando nel contemporaneo abbassarsi del fondale marino fino
a lasciar intravedere in lontananza nulla più che le punte delle ultime vele a
scomparire fra i flutti. In silenzio i due ne seguirono il profilo, fermandosi
a tratti per non essere visti dai Danzatori di ronda fino ad arrivare alle rive
del lago ove si svestirono rapidamente avvolgendo il tutto in un fagotto
stretto in vita. Pochi istanti per prendere nuovamente fiato e poi insieme si
immersero fra i flutti.
L’acqua era tiepida rispetto al freddo pungente della
notte, scintillante di salsedine quando essi scivolarono a nuoto lungo il
profilo discendente del porto. Solo quando furono ben distanti dal camminamento
si diedero il tempo di aggrapparsi ad una Vela per riposare.
“Siete sicuro di
sapere dove stiamo andando?” esalò Zaphil senza
fiato.
In passato i Tintori erano soliti donare alla popolazione
le Tinte di scarto ottenute dalla lavorazioni dei tessuti. Queste, pur se in
misura inferiore, conservavano comunque un poco del loro potere capace di
allontanare le Ombre. Sfortunatamente però la natura umana, sopratutto
se avvicinata all’atavico istinto di sopravvivenza che la caratterizza,
sviluppa in sé le peggiori potenzialità ed escogitazioni; così in breve, Hevnan k’an divenne patria del
commercio sommerso delle Tinte, un mercato nero i cui interessi si estesero via
via per tutto il territorio affliggendone con prezzi e condizioni indeprecabili
l’intero andamento.
I Tintori decisero così di porre fine alle proprie
donazioni chiudendo i canali di scolo affioranti in città e nascondendone di
nuovi in luoghi più sicuri.
L’Anhayt annuì una volta “Nelle
lettere era indicato il percorso da seguire” spiegò pratico, lo sguardo che
andava a sorvolare le creste del lago come alla ricerca di qualcosa. Zaphil si accigliò.
“Era scritto anche quello?” seguì inutilmente lo sguardo
dell’altro, incapace di vedere nulla se non il riverbero lunare fra i flutti.
Sospirò.
“Fate attenzione ora. Non avremo che un istante per
seguire le tracce della Tinta” riprese poco dopo l’Anhayt
“I Tintori non sono stupidi. Non appena ve lo dirò, siate pronto per cominciare
a nuotare e subito immergervi dietro di me. C’è un passaggio proprio al di
sotto dell’ultima vela del porto ma per arrivarci...”
Proprio allora, il vento cambiò. Improvviso attimo di
bonaccia fra lo spirare di uno e il sopraggiungerne di un altro, il silenzio
calò sul porto placando ogni rumore e tramestio e lasciando viceversa un che di
vuoto e indifeso ad abbattersi sui due uomini ora a mollo fra i flutti.
“Ora” sibilò senza voce l’Anhayt
prendendo rapido a nuotare proprio in direzione dell’ultima vela semi sommersa.
Poco più avanti, una guardia avvertì allora lo sciabordio del loro avanzare.
Brivido di panico..
“Fermo” sibilò fra i denti Zaphil
“O ci scopriranno”.
L’altro non si girò. Se possibile, sembrò anzi
affrettarsi.
“Fermo...” ripetè l’altro
invano.
Poi il vento tornò. Lento e lieve, esso prese nuovamente
a spirare a pelo d’acqua in senso inverso rispetto al precedente, variazione
che portò nello stesso istante tutte le vele presenti a girarsi dalla parte
opposta a quella tenuta fino ad allora.
“Chi va là!”
rapido come uno schiocco, la voce della guardia li
raggiunse fra una bracciata e l’altra.
Zaphil si
morse un labbro “Anhayt” tentò invano di chiamare
l’altro ora più che mai avanti “Se non ci mettiamo subito al riparo...” tentò
di dire ma proprio allora i suoi occhi notarono qualcosa.
Nulla più che un’ombra a pelo d’acqua, nulla meno che un
alone dinnanzi all’ultima Vela del porto il cui presto mutare di posizione
avrebbe di certo cancellato alla vista di chiunque.
Impossibile non strabuzzare gli occhi.
Quella era Tinta?
“Chi è là!” ancora una volta la voce della guardia li
raggiunse da dietro le spalle. Troppo tardi.
Entrambi la ignorarono lasciandosi viceversa a capofitto
in direzione della chiazza già prossima dallo scomparire.
Possibile che i Tintori avessero scelto proprio quel
luogo, proprio quello...
Quando furono abbastanza vicini - proprio un secondo
prima che il loro inseguitore desse l’allarme - entrambi si immersero fra i
flutti con una capriola stentata lasciando che l’acqua li ghermisse
trasformando il mondo attorno a loro in uno sfuocato insieme di tinte grigionere. Impossibile non perdere l’orientamento in
quell’oscurità.
Ma l’Anhayt sapeva dove andare.
Senza nemmeno sincerarsi di essere seguito, egli si
diresse in profondità, il corpo impallidito dal riverbero lunare a scomparire in un attimo dietro le pallide
rientranze del muro sommerso.
Zaphil gli
fu subito dietro, piccolo ed apparentemente inerme a confronto della sagoma
mastodontica della Vela inabissata. Più sotto l’Anhayt
sbracciò con forza per avvicinarsi al fondo, virò per tutta la lunghezza del muro
e poi vi si poggiò come nell’atto di tastarne la superficie.
Mezzo cieco, Zaphil ebbe appena
il tempo di intravedere la figura dell’altro ridossarsi alla candida struttura
che questi era già sparito.
Ma che diavolo...
Facile a vedersi, seguire l’esempio dell’uomo fu tuttavia
cosa assai più difficile del previsto. Celebre per la propria forte salinità,
l’Himnakan poteva in effetti rivelarsi un temibile
avversario per qualunque nuotatore inesperto. E Zaphil,
per quanto reduce da molte ed assai ardite esperienze, di certo mai avrebbe
potuto definire se stesso un nuotatore. Figuriamoci mirabile. Così a stento,
aggrappandosi dove possibile alla Vela e dove non concesso, alla più ardita
forza di volontà, anch’egli riuscì a raggiungere il punto verso il quale l’Anhayt era stato guidato dalle lettere dell’ignoto
delatore. Qui, nulla più che una vaga rientranza nel muro a rivelarlo, vi era
un passaggio poco più largo di un braccio, poco più stretto di due spalle a
schiacciarsi verso l’interno.
Mani a protendersi sulle pareti, piedi ad incollarsi alle
sporgenze e dopo un eterno attimo di smarrimento, la testa del Naphil affiorò in quella che egli ipotizzò essere una parte
cava del muro.
Un annaspare poco distante lo avvertì che anche l’Anhayt era affiorato come lui sano e salvo.
“Dannato Naphil” lo apostrofò
questi di buonumore “Ero quasi pronto a scommettere che un uomo arido come voi
non fosse in grado di sopravvivere in acqua e invece...” “Invece se fossi in
voi comincerei ad escogitare qualcosa di più fantasioso se la vostra intenzione
è davvero quella di eliminarmi...” lieve sogghigno nel buio “E porre così fine
alla nostra deliziosa amicizia? Perché mai?”
Proprio allora alle loro spalle vibrò un sonoro clung, come di ingranaggi che pesantemente spostati e
rimessi al loro posto. Per quanto assai poco istruito a riguardo, il Naphil si ritrovò ad ipotizzare che quel canale possedesse
chiuse e sbarramenti per evitare tanto la fuoriuscita della Tinta quanto
l’entrata di incauti visitatori come loro.
Un meccanismo forse temporizzato, o mosso esattamente in
corrispondenza del calare e stabilizzarsi del vento.
A poca distanza, il suo compagno di viaggio parve
affrettare la frequenza delle bracciate “Non ci resta molto tempo prima che le
chiuse vengano sbarrate” spiegò con una traccia d’affanno nella voce
“Muoviamoci”.