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Autore: Sofian_Gorger    26/06/2016    0 recensioni
Il generale Cornelius Thamel, il vicequestore della città di Meridium, si dirige verso il "Il giardino dei Fiori", uno dei più facoltosi lupanari dell'intera capitale. E' convinto che ad aspettarlo all'interno ci sia una delle ragazze che porta il nome e il profumo di uno dei fiori più lussuriosi dell'intero giardino, ma non sa che,nel momento in cui varcherà l'ingresso dell'edificio, diventerà una delle tante pedine dell'eterno gioco di potere tra il sovrano reggente Guillome del regno del Nord e un Brigante, Soufiane, protettore dell'ormai decaduto regno del Sud, custode di una terribile verità che cambierà per sempre la sua vita e quelle degli appartenenti al Credo dei Briganti.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appena l’uomo ebbe varcato l’ingresso luminoso del lupanare, tenendo stretto tra i denti un sigaro spento e puntando lussuriosi gli occhi su una delle tante ragazze del Giardino, La Rosa si strinse con maggior vigore nel suo scialle bianco. Sentì la pelle accapponarsi sotto la lana pesante, e nonostante ormai l’esperienza l’avesse resa immune ai brividi inquieti dettati dalla sua giovane età, non poté fare a meno di pensare che gli uomini, o almeno quelli importanti, fossero tutti uguali. Questo, al pari degli altri, era rozzo, basso e tarchiato, con un numero imprecisato di doppi menti e una quantità ancora più imprecisata di capelli. Si chiese se non fosse un caso che gli uomini importanti somigliassero incredibilmente agli assidui frequentatori dei lupanari. Feme lo guardava sottecchi, celando sotto le lunghissime ciglia nere e il trucco pesante, un’espressione truce ma perfettamente tramutata in becera cordialità, da buona padrona di casa qual era.
-Buonasera, Thalem- salutò lei porgendogli una mano tesa. L’uomo chiamato Thalem la prese e se la avvicinò alle labbra, imitando goffamente ciò che sembrava essere un gesto galante.
-Buonasera a lei, mia signora.- Aveva pronunciato quel “signora” biascicando un po’ troppo sulla “o”, come per lasciar trapelare un lieve accenno ironico dalle sue labbra. Feme probabilmente lo colse e, ancora più probabilmente, lo ignorò.
-Vi aspettavamo per mezzanotte, mio caro- continuò liberando la mano dal viso grasso e sudaticcio dell’uomo -mi duole informarvi che la vostra Orchidea non è ancora libera.- Thalem alzò il viso verso il quello del mezzo-uomo, tentando di incrociare gli occhi porcini con quelli dell’eunuco, che gli sfuggirono con la celere leggerezza di una farfalla che salta da un fiore all’altro.
-Accidenti, avevo preso un permesso speciale per venire fin qui- piagnucolò Thalem, torcendosi le mani grassocce, -per quanto tempo sarà ancora indisposta?- Feme aprì il grosso tomo che giaceva sul tavolone di fronte a lei, flettendo le dita, per controllare la fitta calligrafia che ricopriva le pagine ingiallite del vecchio libro. O, almeno, da come parve a La Rosa, ciò era quello che l’eunuco intendeva fargli credere.
Molto bene, Feme.
-Non posso svelare il nome dell’ospite della casa- sbadigliò quella con cipiglio annoiato -ma ha chiesto della compagnia della vostra Orchidea per almeno altre due ore e mezzo.- Thalem lasciò ciondolare le braccia lungo i fianchi, sconfitto. La Rosa provò a immaginare a quale increscioso contrattempo aveva fatto appello questa volta per convincere la moglie che il vicequestore della città di Meridium sarebbe rincasato tardi, quella sera. Si chiese se la donna fosse a conoscenza del fatto che gli affari di stato di suo marito avessero a che fare con uno stato diverso da quello che lei intendeva. Probabilmente era da sola, in camera sua, davanti ad un ricamo per un corredino da infante mai nato e a chiedersi se era forse il caso di scaldare la cena oppure no. Mogli troppo stupide per rendersi conto del vuoto dei loro letti o troppo furbe perché la cosa potesse suscitar in loro il benché minimo rancore. Una ragazza vestita con stoffe luccicanti passò tra di loro, urtando per sbaglio Thalem. Questa si girò con un risolino e, nel chiedere scusa, ammiccò in modo così provocante da riaccendere in lui un fortissimo desiderio.
Feme se ne accorse e ne approfittò: -se lo desidera, potrei offrirle la compagnia di qualcun’altra dei nostri Fiori, le va?-. Thalem fece ricadere lo sguardo sulla donna. Forse si rese conto che, in un variopinto aroma primaverile un fiore valesse l’altro. Probabilmente, però, gli dava soltanto noia l’idea di tornarsene a casa con il cavallo dei calzoni ancora al suo posto. -Bene, allora- continuò Feme, sorridendo in modo amabile -abbiamo molte ragazze disponibili a quest’ora, i militari di solito non si vedono prima dell’una del mattino, non dovrebbe essere un problema per voi scegliere. Salvo che... - avvicinò con fare suadente il viso a quello dell’uomo -... non le vada di fare un azzardo.-
-Un azzardo?-
-Se lei me lo permette- pescò una chiava da un cassetto del tavolo di legno -le sceglierò io la ragazza che le terrà compagnia.- Annusò profondamente il manico della chiave, liberando alla fine un profondo sospiro melanconico. -La Rosa.-
Era fatta. La ragazza dai capelli rossi che stava sbirciando i due da una delle colonne portanti della sala d’aspetto colse il segnale che Feme le aveva insegnato. Se l’uomo serrava le palpebre e storceva il naso, significava che la fragranza non era di suo gradimento e, di conseguenza, non era nemmeno interessato a passare la notte con la sua portatrice; ma se invece inspirava profondamente, chiudeva gli occhi e si lasciava andare in gemiti sommessi, allora voleva dire che era interessato. Thalem era rimasto estasiato dal suo aroma floreale, rapito da quel piccolo assaggio d'intimità che gli pizzicava il naso come l’aroma del mare prima del temporale. La Rosa lasciò il suo nascondiglio e con estrema leggerezza si diresse verso la sua stanza, una delle tante del piano superiore. Una volta dentro si chiuse la porta alle spalle, assicurandosi che fosse ben chiusa. L’ambiente era piccolo, angusto e nonostante lei stessa avesse gusti alquanto spartani, non era di suo gradimento. Non c’erano finestre e le pareti erano quasi del tutto ricoperte da enormi specchi, cosa che la metteva incredibilmente a disagio. Aveva poco tempo. Sistemò i capelli dietro le orecchie e asciugò una piccola sbavatura nera che le era colata dall’occhio chiaro. Su una consolle vicina intravide una grossa bottiglietta di acqua alle rose e se ne applicò qualche goccia abbondante sul collo.Thalem era già arrivato al pianerottolo della sua stanza. Sentì la mano pesante posarsi sulla maniglia mentre trafficava con la toppa della serratura chiusa. La Rosa diede un’ultima occhiata alla stanza, accertandosi che fosse tutto al proprio posto e andò a sedersi al suo posto. Si accorse di tremare. Non erano semplici brividi quelli che le percorrevano l’epidermide sottile della curvatura della schiena. No. Erano tremori forti, violenti. Aveva paura.
Il vicequestore sarebbe stato il primo uomo che …
No! Non ora. Non rovinare tutto.
Respirò a fondo, lentamente, finché non fu di nuovo padrona della propria calma. Portò la mente verso casa sua, verso suo fratello, verso il suo nibbio, lontano da lì, lontano … lontano …
Thalem entrò, trovando la ragazza seduta su una sponda del letto, con le mani conserte in grembo e un paio di occhi bramosi di forargli la pelle. A differenza delle altre ragazze del casino, questa aveva una carnagione candida, d’avorio, che emanava bagliori freddi come una delicata statua ancestrale. E aveva i capelli rossi, sicuramente non aveva visto niente di simile in nessun altro luogo dell’ormai decaduto regno del sud.
-Sei molto graziosa- si complimentò senza aspettarsi la benché minima risposta. Alle ragazze non era permesso dialogare con gli ospiti. Il loro unico dovere era di obbedire ai ciechi capricci dei loro clienti con pazienza e mansuetudine. La Rosa si alzò e con un gesto lento gli indicò il letto. -Vuoi che mi sdrai?- La ragazza annuì, lasciò che la superasse e, una volta sdraiato sul materasso duro, si assicurò che fosse comodo. E, soprattutto, a suo agio. Thalem girò la testa verso di lei, come per invitarla a raggiungerlo tra le lenzuola fredde, ma c’era ancora un’ultima cosa da fare. La stanza era illuminata da un’unica, piccola candela che bruciava silenziosa sulla consolle scheggiata. La Rosa si avvicinò, la prese e la mostrò all’ospite, il quale non sembrò capire le sue intenzioni.
-Cosa vuoi fare con quella?- chiese con titubanza. Aveva per caso intenzione di bruciarlo con la cera calda? O desiderava che lui la spargesse su di lei? La ragazza fece un gesto impercettibile con il mento e Thalem sospirò, sollevato. -Ah, vorresti spegnerla?- affondò con maggiore sicurezza la sua presenza tra i cuscini del letto e aveva anche cominciato a sbottonarsi la camicia -come vuoi, se a te fa piacere.-
Soffiò sulla candela e la fiamma si spense. Il buio era totale, fitto e caldo come inchiostro nero. La Rosa, approfittando dell’oscurità, sistemò meglio la sua gonna e, a tentoni, e con una certa goffaggine, si sedette a cavalcioni su di lui. Nulla di quello che stava per fare le andava a genio, anzi, se Thalem le avesse passato una mano sulla fronte, l’avrebbe scoperta madida di sudore. Provava un incredibile imbarazzo nel ritrovarsi così intimamente a contatto con un uomo adulto, era tesa e ansiosa di lasciarsi quella serata alle spalle e di tornare nella foresta, a cacciare con la sua Kerrug. Ma prima doveva compiere il suo dovere.
Si mosse nel modo in cui Feme le aveva suggerito: molto piano, passando prima le mani sul petto nudo dell’uomo, e poi avvicinando il viso al suo, in modo che potesse sentire ancora una volta il suo profumo. La Rosa lo sentì annusare il suo collo con la stessa pesantezza con la quale aveva annusato la chiave qualche istante prima, immaginandosi la crescente eccitazione dell’uomo sotto di lei. Di una cosa, però, fu molto sollevata: lei mostrava sicuramente l’imbarazzo di una ragazzina alle prese con il suo primo approccio con il sesso, ma anche Thalem non era da meno. Non aveva mosso alcun dito su di lei, né sembrava in procinto di prendere alcuna iniziativa. I casi erano due, o era un gentiluomo conscio del fatto che fosse soltanto una ragazzina, o a letto non era uno dei migliori clienti delle sue colleghe. Scelse la seconda ipotesi.
Mi faciliterai la cosa.
Fu lei allora a prendergli le mani e a poggiargliele sul corpetto; lasciò che scivolassero lungo l’allacciatura dell’abito, sulla gonna e, infine, sulle gambe scoperte. La Rosa finalmente lo sentì reagire, eccitarsi, e capì che doveva cominciare.
La fanciulla, però, commise un errore. Un errore grave, gravissimo. Lasciò che le togliesse il corpetto. Non avrebbe dovuto, ovviamente. Non in quel momento, almeno. Aveva scoperto la sua parte vulnerabile. Sarebbe bastata anche una lama, e poi, se Thalem avesse toccato per caso... Ma La Rosa lo lasciò fare. Forse perché era solo una ragazza ed era ingenua, spaventata dalla celere freddezza di quel nuovo tipo d' intimità e, soprattutto, terrorizzata dall’idea di ciò che doveva avvenire. Tuttavia sapeva di doversi sbrigare, difatti, prima che Thalem potesse raggiungere l’allacciatura del suo reggiseno, portò una mano sotto la gonna, scavando tra le pieghe della stoffa fino ad arrivare alla giarrettiera, finché le sue dita non si strinsero intorno ad un oggetto sottile, lungo e freddo.
Poi era arrivato il dolore.
Era successo ciò che Feme, il suo maestro Lupo e lei stessa più avevano temuto: Thalem le aveva toccato il petto. I marchi erano ancora freschi, ruvidi al tatto e molto dolorosi. Al minimo contatto La Rosa li sentiva divorare la carne viva. La ragazza s’irrigidì, soffiando tra i denti come un gatto a cui viene pestata la coda. Thalem portò le mani di nuovo sul suo petto, poi le spostò lungo gli avambracci. Lì trovò altri marchi. E si accorse della trappola.
-Ma che cazzo.!?-
Cercò di mettersi seduto, ma La Rosa lo bloccò prontamente, tendendogli ferme le braccia e facendolo ricadere di peso sul letto. Thalem si dibatté con il furore disperato di un torello ma se gli avesse permesso di ribaltarsi, allora avrebbe vinto su di lei e sarebbe stata in grave pericolo. Sfruttando la sua posizione, poggiò tutto il suo peso sulla gamba sinistra ripiegata sul materasso e, con la destra, fiondò il ginocchio nelle parti intime dell’uomo, sperando di non averlo colpito troppo forte. Thalem emise un grido acuto. Portò le mani al ventre, vulnerabile e impallidito dal dolore. La Rosa, rapidamente, le prese e le legò a delle funi poste sulla testiera del letto, sistemate da lei nel caso fosse successo l’irreparabile. Aspettò che il dolore di Thalem s’attenuasse, poi scese dal letto e gli legò anche i piedi, raggiunse la consolle e con un fiammifero riaccese la candela. Lasciò che la luce illuminasse lei e i suoi marchi (ormai non sarebbe servito a niente nasconderli) in modo tale che potesse vederla meglio. Provava uno strano piacere nel ritrovarsi padrona di se stessa, specialmente ora che aveva il suo pugnale stretto tra le dita. Avrebbe voluto vedere la scena dall’alto: un uomo grasso e impaurito legato alle sponde di uno squallido letto del lupanare de “Il giardino in fiore” e lei, la dolce prostituta dalla pelle bianca e la passione delicata di una rosa che lo guardava fisso, armata e con il suo solito cipiglio arrogante e divertito. Sembrava quasi il preludio di un gioco erotico al limite della perversione. Niente di più sbagliato.
-E così i tuoi padroni hanno cominciato a reclutare giovani puttanelle al loro esercito di bifolchi?- chiese quello cercando di mostrarsi sprezzante del pericolo imminente, nonostante la sua posizione d'inferiorità. La Rosa non rispose. Prese la candela e si diresse verso il letto, sedendosi di nuovo a cavalcioni sulle gambe di Thalem ma, questa volta, senza alcun’ impaccio.
-Che cosa hai intenzione di fare? Uccidermi?- cercò di provocarla lui, non riuscendo a celare un tono più che mai agitato. -No, i tuoi amici avrebbero potuto farmi fuori prima che venissi qua. Cheo cosa vuoi da me, dunque?-
La Rosa giocherellò con la lama del suo pugnale, facendola brillare alla luce della candela accesa e mandando i bagliori dorati direttamente negli occhi dell’uomo. Thalem la fissò, insistendo particolarmente sui segni che aveva inflitto sugli avambracci e appena sopra i seni. Riuscì a decifrare la scritta marchiata sul braccio destro e capì. -Sei l’amichetta di quel tale, vero?- ridacchiò -sei qui per vendicare l’impiccagione del tuo amato Brigantello? Com’è che si chiamava? Ius?-
Nel sentir nominare Ius, La Rosa dovette frenare un incredibile attacco d’ira, seguito dal profondo desiderio di fiondargli la lama nello stomaco. Sorrise cercando di mascherare il labbro inferiore che aveva cominciato a tremare.
-In che modo io sia legata al Brigantello impiccato non credo possa interessarti- spiegò con bonarietà, cercando di tenere la candela più dritta possibile -quel che voglio è un’informazione che soltanto tu puoi darmi.-
Fu Thalem questa volta a sghignazzare. -Patetica puttana- le apostrofò -allora ti conviene piantarmi il pugnale nel petto se davvero credi che io possa piegarmi alle tue minacce.-
-Oh, ma non è necessario che tu muoia, generale Cornelius Thamel- rispose La Rosa guardandolo da uno degli specchi alla parete -non immagini quanto sia facile far parlare voi finti eroi una volta scoperto il vostro punto debole.-
-Buona fortuna, allora, ma ti dico una cosa: prima che tu possa provarlo- continuò -ti ritroverai accerchiata dai miei uomini. Loro sanno che sono qui, puttanella rossa, e allora la gioia di vedere te e quell’abominio travestito al piano di sotto alla gogna varrà più di mille scopate... -
Il generale Cornelius Thalem, vice questore della città di Meridium, però, non aveva messo in conto una cosa: lei portava i marchi, ciò significava che era una Brigante. Era addestrata a uccidere, torturare e non lasciare alcuna traccia. Inoltre era una donna e, Thalem lo sapeva, in quanto furbizia avrebbe potuto raggirare l’intera armata reale sventolando una semplice piuma. Tutte considerazioni da non sottovalutare, considerando che lui era legato a un letto e che i suoi uomini, o meglio, sua moglie, non avrebbero sospettato minimamente della sua assenza prima che fosse passata qualche ora. E, per ultima cosa, lei aveva già sperimentato il suo punto debole, ed era stato lui stesso a mostrarglielo nel modo in cui aveva reagito quando lei aveva spento la candela e lo aveva zittito con una ginocchiata. Questo però, nel momento in cui la ragazza gli squarciò i pantaloni con un unico, fluido movimento di mano, lasciandolo nudo sotto di lui, si rese conto di averlo scoperto troppo tardi. La Rosa, con un amabile sorriso e la voce suadente, portò la candela all’altezza dei genitali dell’uomo.
-Un vero peccato, allora- e lasciò cadere delle gocce di cera bollente sulle palle.
   
 
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