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Autore: Belarus    27/06/2016    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: È arrivato “quel” capitolo. Quello in cui ho dovuto commettere il terribile atto perpetrato da Oda ai danni di Kidd, ma l’ho fatto perché dovevo… era inevitabile ormai, non potevo continuare a rimandare e in fondo mi era utile ai fini della trama dopo la chiusura della saga di Myramera. La cosa terribile è che non solo ho scritto quello che ho scritto, ho anche aggiunto del carico alle sue disgrazie con l’unico segreto che Aya insisteva per la propria incolumità a nascondergli. In poche parole ho infierito, sono un essere spregevole, ne ho consapevolezza e cercherò di andare avanti con la coscienza che mi rimane. Nel frattempo nell’aggiornamento ho dato una mossa al nostro amato Dottore e in merito a lui vi raccomando la lettura delle note a piè di pagina poiché riferite a un fantomatico incidente di cui sarebbe stato artefice. Per il resto vi tranquillizzo in merito ai due personaggi che compaiono alla fine e che non riappariranno, quindi nessun altro nome da aggiungere al vostro elenco e ovviamente ringrazio coloro che ancora seguono questa storia con lettura e commenti: verrete presto ripagati della vostra infinita pazienza, siamo alla fine ormai, vi renderò merito!
Un bacio e alla prossima cari!






CAPITOLO LXVIII






Se c’era una cosa, tra le innumerevoli, che Kidd non aveva mai davvero sopportato in vita sua, quella era l’idea di mentire a se stesso. Aveva più di una volta frainteso lo stato delle cose, in svariate occasioni appreso in ritardo ciò che avrebbe dovuto saltargli subito all’occhio, in un paio di circostanze rischiato persino di rimetterci la pelle per una convinzione di troppo, ma in tutti quei momenti non aveva mai finto una cosa per un’altra. Per questo motivo e tenendo fede alla propria personale onestà, aveva ammesso tacitamente a se stesso lasciando Rurik di aver atteso sino all’ultimo istante l’arrivo di qualcuno che aveva oggettivamente tradito la sua fiducia e che non aveva meritato la grazia concessagli nel non rovinare malgrado la rabbia la pace che aveva procurato. Benché malgrado tutto ne avvertisse la mancanza, con una nave da guerra al seguito aveva voltato le spalle e si era ripromesso di concentrarsi soltanto sulla realizzazione del proprio piano, almeno fino a quel momento, quando risalendo sul ponte insieme a Heat per consegnare i due frutti del diavolo a Killer e Wire non era passato davanti alla mensa vedendola.
«Cosa ci fai a bordo?» tonò, piantandosi sull’entrata illuminata per metà dalla luce che filtrava lì sotto.
Non trovandola né al porto né sul ponte e non avendo sentito aprir bocca a nessuno dei suoi in merito quando erano salpati aveva dato per certo che se ne fosse rimasta nel suo pacifico angolo di mondo a godersi la fortuna sfacciata in cui era nata. Avrebbe potuto certo controllare la nave prima di crogiolarsi nell’insoddisfazione, ma sarebbe stato un comportamento inconcepibile per lui e non aveva nessunissima intenzione di abbassarsi a simili futili scemenze. Il suo stupore era dovuto e che fosse maledetto Killer per aver tenuto la bocca chiusa!
«Dove altro dovrei essere? Stavate ripartendo e ad Egle i marines dopo la città avevano cominciato a perlustrare il palazzo. Diante mi ha portata qui di nascosto per evitare che mi catturassero.» spiegò con una certa ovvietà, prendendosi una pausa dalla melagrana che stava noiosamente sgranando con le dita sottili.
Ecco perché non l’aveva vista, era stata opera di quel borioso con l’espressione perennemente contrariata. Ciò non toglieva comunque che a Kidd non sembrasse tanto ovvio che si trovasse lì piuttosto che nel suo paese.
«Non te ne sarebbe dovuto importare nulla della Marina dalla bella sedia che ti avrebbero dato.» le fece notare con voce greve, facendole alzare lo sguardo ambrato dalla ciotola mezza piena.
Myramera faceva parte del Governo mondiale sin dalla sua istituzione, però non era impossibile che ne uscisse se a deciderlo fosse stato qualcuno della nobile famiglia che l’aveva fondato. Con un regno ricco armato da un esercito imbattuto e un villaggio di giganti a fare da rinforzo avrebbe avuto ben poco di cui potersi preoccupare negli anni a venire. Chiunque dotato di buon senso avrebbe approfittato di quella situazione al suo posto e per quanto, spesso la stuzzicasse, sapeva che quella donna non era fatto sciocca.
«Se fossi rimasta avrei causato solo problemi e non voglio essere un peso per nessuno. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere per quel paese ed è stato abbastanza affinché la gente vedesse e capisse ciò che era necessario, il resto tocca a loro. Poi non posso fermarmi adesso che ho capito… ah, per dovere di cronaca, le sedie a cui alludi sono scomode!» chiarì, mangiucchiando un paio di grani scarlatti.
Nell’ascoltarla concludere un discorso tanto assennato con quel pensiero a Kidd scappò una mezza risata.
Si era sentito amareggiato nel riprendere il mare lasciandola lì, soprattutto avendo la consapevolezza che se ne sarebbe stata volontariamente in una propagine della vita da cui aveva sempre detto d’essere scappata. Aveva percepito la rabbia pesargli sulle spalle per dei giorni interi e la propria fiducia oltraggiata a tal punto da provocargli disgusto. La verità però era che aveva fatto i conti senza pensare davvero con chi aveva a che fare, guidato soltanto dal rancore aveva finito per farne una sconosciuta qualsiasi. Paradossalmente era stato lui ad insultare la fiducia di quella impertinente ed era esilarante.
«Tutto ciò che comporta responsabilità è scomodo, ma non implica che non ci si abbia a che fare. Eri brava a dare ordini, sembravi nata per quello.» la beccò provocatorio, guardandola annuire con una smorfia piccata.
«Sono nata per quello in effetti. Ad ogni modo potresti farli dare a me allora qui a bordo?» propose con falsa ingenuità e Heat accanto a lui s’impettì offeso da tanta irriverenza.
«Se avevi di queste aspirazioni dovevi farti dare una nave con un equipaggio. Qui l’unico che dà ordini sono io e comunque non ti darebbe retta nessuno, ti risparmio la figuraccia.» insistette con un ghigno e Aya incassò il mezzo risolino di Heat tornando a sbucciare il frutto.
Nel farlo però a Kidd non sfuggì l’alzata di spalle spiccia con cui evitò di ribattere e ciò che avrebbe potuto dire gli fu subito chiaro: l’aveva rifiutata ma gliel’avevano offerta la nave, come avrebbero potuto altrimenti? Sarebbe stato un insuccesso il suo comando con i suoi uomini che gli erano fedeli, però non con chiunque altro. L’aveva osservata bene a Myramera e prima ancora di quel giorno aveva ascoltato il racconto di Killer su Arumi, per quanto lei stessa credesse il contrario aveva davvero un attitudine innata nell’attirarsi il consenso della gente, Kidd lo aveva visto con i suoi stessi occhi. Non sapeva se dipendesse da quel famigerato sangue che le scorreva nelle vene o se dalla predisposizione degli altri in quelle occasioni difficili, ma accadeva e faceva di quella donna l’esatto opposto di ciò che lui stesso era. Nessuno lo aveva mai guardato come la gente di Egle aveva guardato quella donna, le cose forse però sarebbero cambiate quando avrebbe raggiunto il proprio sogno.
La fissò per qualche secondo starsene seduta, mentre mangiucchiava un grano dopo l’altro rigirandoseli tra le dita e gli corse una scarica lungo la schiena massiccia, spingendolo a risalire la scaletta per il ponte.
La prossima volta che sarebbero approdati si sarebbe dovuto impegnare lui per portare avanti con successo il progetto che aveva in mente, non poteva più permettersi rimandi se voleva raggiungere il proprio obiettivo né tantomeno distrarsi nel tentativo inutile di controllarla per una mania di possesso che era nata senza che se ne avvedesse. L’unica cosa che doveva fare era ripagare la fiducia che era stata riposta in lui, da tutti su quella nave.



Inosservato sino a quel momento, il sottomarino era riemerso a pochi metri dalla banchina del porto della base ritornando a vedere la luce del sole dopo cinque giorni di navigazione nelle profondità del Grande Blu. L’onda salata che aveva provocato era scivolata placida sul cemento grigiastro bagnando gli stivali di coloro che vi si aggiravano sopra, cogliendoli di sorpresa e impreparati a un tale evento. Avevano impiegato poco però per riprendersi dallo stupore, circa il tempo che a lui era servito per risalire sul ponte di prua dalla sala comandi e lanciare così l’allarme affinché tutti lì in quel distaccamento accorressero per dargli il benvenuto che meritava.
«Non mi piace questa cosa, non mi piace affatto, ci sono navi e marines dovunque.» lamentò in un gemito Shachi, scuotendo il capo in segno di profondo dissenso per quella faccenda.
E in effetti quella non era una spicciola ovvietà. Si erano sistemati lungo tutta la banchina a mezza luna e sulla barriera frangiflutti che riparava il molo d’attracco, avevano avuto cura di armare tutti i cannoni delle navi ormeggiate puntandoglieli contro, ne avevano portati altri dall’interno per accerchiarli persino da terra ed era inutile supporre che avessero già avvertito il Quartier Generale per dei pronti soccorsi da fornire in caso di necessità. La loro organizzazione improvvisata sarebbe stata impeccabile se lui fosse andato lì per attaccarli.
«Da questa distanza potrebbero ridurre il sottomarino a un colabrodo, gli basterebbe un colpo solo ben sparato per farci affondare.» costatò greve Jean Bart, trovando il consenso di tutti i presenti.
Se non avesse avuto cieca fiducia in ciò che aveva pianificato probabilmente il mezzogigante avrebbe avuto anche il suo. Sarebbe bastato davvero che uno soltanto di quei soldati facesse partire una palla di cannone per mettere a repentaglio l’incolumità di quello che da decenni ormai era la sua sola casa, ma aveva tenuto in considerazione anche quella eventualità ed era certo di poter gestire secondo il proprio volere la situazione.
«Non lo faranno, rimanete a bordo e non muovetevi per nessuna ragione.» ordinò sicuro, avviandosi verso la scaletta del ponte per scendere a terra dopo una lunga osservazione.
«Stia attento però.» sentì mormorare a Penguin con le braccia serrate, mentre già si poggiava ai gradini e li perse di vista per qualche secondo, finché toccò con i tacchetti il cemento della banchina.
A quell’effimero suono i caricatori dei fucili scattarono quasi all’unisono, ma Law non ne rimase affatto impressionato muovendo qualche passo in avanti per posizionarsi esattamente al centro dello spiazzo. Di fronte a lui, il responsabile della base, un capitano di vascello su cui non aveva mancato di prendere informazioni, aggrottò greve la fronte puntandolo come gli avesse appena sputato contro un insulto della peggior specie.
«Trafalgar Law… cosa sei venuto a fare? Siamo al limite dell’arroganza, credi di poter andare e venire dalle basi marines a tuo piacimento forse?!» abbaiò irritato con i muscoli tesi, ma lui gli concesse a stento un’occhiata per appurare che l’idea fattasi riguardo chi gli stava davanti non fosse errata.
Quando finì di studiarlo da capo a piedi, provocandogli un moto di rivolta che si esibì nel suo impettirsi nella divisa, mosse le ultime due falangi d’indice e medio della mano sinistra per sollevare a distanza la cassa che giaceva abbandonata sul ponte del sottomarino. Allarmati da quel minuscolo gesto i marines si posizionarono meglio prendendo già la mira, ma rimasero ugualmente fermi anche dopo che ebbe adagiato il proprio prezioso carico innanzi a sé con un lieve tonfo.
«Che cos’è quella?» chiese scontroso il capitano, fronteggiandolo senza ottenere alcuna risposta.
Per dei lunghi minuti lo vide rimanere immobile nella propria posa spostando lo sguardo scuro dalla sua figura alla cassa, finché l’atmosfera non divenne abbastanza pesante da convincerlo con un impeto di coraggio a farsi avanti e armeggiare con il coperchio il legno. Una volta adagiato al suolo i suoi occhi si posarono curiosi sui sacchetti che riempivano l’interno sin quasi alla sommità e tolto il blocco di volantini che erano stati sistemati in un angolo, ne afferrò uno sollevandolo sino al viso. Ebbe tuttavia appena il tempo di ruotarlo che il contenuto si contrasse in una sequenza di sistole e diastole inconfondibile, provocandogli un tale ribrezzo sconvolto da farglielo cadere al suolo per il terrore.
«Cosa?! Com’è possibile, cosa vuol dire?!» balbettò in un misto di disgusto e orrore retrocedendo con gli occhi nuovamente puntati su di Law.
«Fa sapere a chi di dovere che sono la mia candidatura a Shicibukai. Pretendo un ringraziamento adeguato.» lo informò finalmente dopo il lungo silenzio e non attese un secondo in più per voltare le spalle, ritornando sui propri passi sino al sottomarino.



Appollaiato sul parapetto, il News coo intascò i tre berry allungatigli da Killer per il giornale, ma se ne volò via di fretta strepitando non appena a un paio dei suoi compagni d’equipaggio venne come consueto in mente di eleggerlo passatempo della traversata lanciandogli contro proiettili improvvisati con gusci di noce.
«Siamo diretti da qualche parte in particolare? Navighiamo da due settimane ormai.» domandò curiosa Aya, distraendolo dall’osservazione apatica dei due che scorazzavano per il ponte nonostante l’animale fosse visibilmente già fuori tiro.
«Serranilla. I giganti hanno dato indicazioni al navigatore, pare sia l’isola più vicina registrabile dal Logpose.» rispose piatto, sistemando una falda del cappuccio marrone che gli copriva il capo.
Il Capitano aveva pianificato di approdare altrove per poter cominciare a mettere in atto il proprio piano e vendere finalmente i tre frutti sottratti alla ciurma di Nau El Pilar, ma durante l’attesa delle riparazioni a Moundhill avevano scoperto che raggiungere la loro meta avrebbe richiesto necessariamente un Eternal Pose che non era in loro possesso e di conseguenza altre tappe. Quell’isola forse con un po’ di fortuna avrebbe fatto al caso loro e semmai così non fosse stato, almeno avrebbero potuto registrare finalmente un magnetismo dato che quello di Rurik era inutilizzabile per la rotta che avevano deciso di seguire.
A quel nome Aya sollevò il viso dalle vele di scorta che stava sistemando su uno dei gradini della piattaforma di comando e vi poggiò con aria trasognata le mani sopra, giocherellando con l’ago.
«So che la chiamano anche Isola Ombrello perché una notte la dea Myo vi si fermò per cantare, ma dimenticò lì l’ombrello con cui si riparava dalle intemperie e abbandonato a se stesso quello si trasformò in roccia.» raccontò sorridente, sciorinando uno dei tanti aneddoti di cui pareva essere una fonte inesauribile.
Doveva piacerle davvero apprendere tutte quelle storie apparentemente irrilevanti, lo si capiva dal modo in cui non riusciva a controllare l’entusiasmo nel ripeterle o ascoltarle. L’unica cosa che non andava, forse a causa dell’ambiente irreale in cui era cresciuta, era che per lei quelle fantasticherie da bambini fossero verità.
«Oppure perché piove talmente tanto che la gente ha costruito le case sotto l’isola.» ipotizzò di getto non condividendo la passione e spingendola a voltarsi.
Aveva una vena ingenua che avrebbe dovuto sparire con il trascorrere del tempo nel mondo reale, ma Wire si era ormai rassegnato all’evidente impossibilità di quella realizzazione.
«Hanno costruito sotto e non sopra? Davvero?» volle sapere infatti, puntandolo seria.
«So solo che piove molto. Non ho idea di come sia il resto.» troncò con un’alzata veloce di spalle che lasciò Aya insoddisfatta.
La vide con un piccolo sospiro ridedicars al proprio paziente lavoro di riparazione dei tessuti lacerati e imbracciò anche lui il tridente, levigando il legno rossiccio dell’impugnatura affinché non si creassero schegge o crepe che potessero romperlo durante uno scontro proprio mentre la voce rauca del Capitano esplodeva contrariata qualche metro sopra di loro.
«Rocky Port? Che cazzo ha combinato Trafalgar?!» tonò, rigirandosi il giornale appena preso tra le mani.
«Ne parlano nella maggior parte dei quotidiani, non sanno spiegarsi come sia potuto accadere.» lo mise al corrente Killer, incrociando le braccia nude al petto coperto dalla maglia bianca.
Spostò in silenzio il capo verso di loro provando a capire se fosse il caso di alzarsi per raggiungerli, ma finì per sbirciare Aya lì accanto che si era bloccata per un effimero istante con l’ago per metà nel tessuto sentendo pronunciare quel nome, prima di riprendere a cucire serena.
«Incidente tsk, quattrocentoquaranta milioni non valgono un incidente! Fortuna che secondo la Marina era sparito, è la terza volta in meno di un anno che finiscono per ricredersi. Marineford con Mugiwara e adesso lui con questo… non mi piace.» rimuginò greve il capitano, stringendo il quotidiano in un pugno.
A quella prima parola Aya drizzò la testa per poi girarsi a seguire Kidd, mentre l’altro scendeva con passo pesante dalla scaletta con tutta l’intenzione di andare probabilmente a chiudersi in cabina per appurare come solito era fare in circostanze delicate la linea da seguire.
Se avevano alzato la taglia di Trafalgar Law a quattrocentoquaranta milioni, cioè ben quaranta in più di quella del suo capitano e di colpo dopo una attività che non poteva dirsi irrilevante, ma nemmeno da ricercato numero uno, probabilmente quell’uomo doveva aver fatto qualcosa di troppo e il fatto che il rosso fosse scattato a quel modo appena leggendo l’articolo ne era di sicuro la conferma.
«Non può essere stata un’azione priva di scopo.» sibilò metallico il biondo, facendo scorrere la mano sulla paratia di legno violaceo per seguirlo di sotto.
«Di che genere d’incidente si parla?» sentì Aya intromettersi senza neanche troppa finta noncuranza, rallentandoli con la scusa delle vele ancora poggiate sui gradini.
«Certo che non l’ho è stata, c’era qualcosa dietro. Non è il genere di persona che si comporta a quel modo per il puro gusto di dare nell’occhio!» berciò in un grugnito il capitano.
Non sentendo alcuna risposta alla propria domanda Aya rimase a guardarlo ignorando del tutto ciò che avrebbe dovuto spostargli davanti per farlo passare e Kidd non impiegò molto per allungare lo stivale sul gradino seguente, fregandosene delle probabili orme che avrebbe lasciato. A quel gesto e al passaggio più accorto del vicecapitano, la vide mollare il lembo che aveva trattenuto in una mano per alzarsi in piedi.
«Aspettate! Potrei sapere per piacere cosa è capitato?» domandò nuovamente con tono più convinto, spingendo il capitano a rivolgerle un gesto veloce della mano.
«Non c’è niente sul tuo paese, torna a rammendare le vele.» la liquidò macinando i metri del ponte prima di scomparire sottocoperta insieme a Killer.
«Haii, ma che cos’è questa storia del Rocky Port? C’entra la Marina o qualcun altro?» insistette ritta e quando la voce le si incrinò appena capì che quello che fino ad allora era stato un dubbio istintivo non lo era affatto.
Intuendo la sua intenzione di seguirli pur di ottenere una risposta allungò la mano afferrandole il polso. Aya si volse a guardarlo di scatto tesa e per un istante Wire ebbe la certezza che l’essere stata anche solo toccata in quell’istante non le fosse affatto piaciuto, ma la vide comunque subito riprendere il controllo e tornare a sedersi. Lasciò che raggruppasse le vele di nuovo attorno alle gambe e la fissò ricucire insieme le due parti sfilate come se nulla fosse accaduto. Per un paio di minuti di greve silenzio Wire la studiò torturarsi il labbro inferiore, finché l’ago non le si infilò per una sbadataggine volutamente di troppo nell’indice e mollò tutto di colpo.
«Vado un attimo di sotto.» mormorò, portandose il dito in bocca per bloccare il sangue.
«Il Capitano pensava non saresti tornata e mi ha detto di gettare via le tue cose. L’ho trovata, mentre svuotavo il baule accanto al letto.» sbottò piatto, fermandola dal muovere anche solamente un passo.
Malgrado fosse già di spalle la vide chiaramente irrigidirsi a quella confessione, ma non mancò comunque di tornare a guardarlo con un’espressione che gli provocò un sospiro pesante.
Era sceso nel magazzino in cui Aya si era ricavata una stanza qualche giorno prima e solo per voler accontentare l’uomo cui aveva affidato la propria vita. Non aveva mai creduto che Aya sarebbe rimasta in quel paese, era sin dal primo istante stato convinto che quando la sua strada si sarebbe divisa per chissà quale motivo da quella che stavano intraprendendo loro con quella nave lo avrebbe fatto presente a tutti, per questo aveva curiosato, ma lasciato tutto al proprio posto. Abituarsi alla sua presenza non era stato facile né tantomeno il doverle star dietro a bordo affinché il Capitano non si infuriasse di qualche parola o gesto di troppo da parte degli altri, nondimeno non aveva una cattiva opinione di lei. Era una ragazza educata, riconoscente e gentile – forse anche eccessivamente se si considerava che loro erano per molti versi l’esatto opposto –, per questo quando quel pezzo di carta era scivolato giù dal libro muovendosi di propria iniziativa tutto ciò che Wire aveva fatto era stato guardarlo con oppressione per un po’, per rimetterlo poi lì dov’era custodito da un tempo impreciso. Si era chiesto per qualche giorno a chi potesse appartenere quella vivrecard, sapeva della sua famiglia, di Marijoa certo, ma non era improbabile che Aya avesse intrapreso quel viaggio con qualcuno come riferimento che non aveva nominato. Poi però, tra le tante ipotesi, gli si era insinuato il dubbio di alcune conversazioni e che, da quanto aveva appena appreso, non era altro che il legittimo proprietario di quel pezzetto di carta.
«Ti avevo raccomandato di star fuori da certe questioni, per il tuo bene, ma non hai voluto ascoltarmi a quanto pare. Il Capitano deve saperlo.» sospirò spossato, scuotendo per un secondo i corni sul cappuccio.
Aveva conosciuto Trafalgar Law, lo aveva sentito sfidare l’autorità del Capitano, persino insultarlo in pubblico all’arcipelago Sabaody e sapeva perfettamente che se non si erano dati addosso era stato solo per uno sforzo di pazienza e per quella flebile tregua che spingeva tutti gli appartenenti a quella generazione a regolare i conti lì nello Shinsekai. Adesso che si trovavano in quel mare però e che il Chirurgo della morte aveva finalmente deciso di muoversi dopo mesi di torpore, quella vivrecard avrebbe potuto rappresentare una minaccia per tutti a bordo, lei compresa anche se non pareva averlo ancora sospettato.
«Wire devi fidarti io non-» cominciò rammaricata Aya, ma non le dette il tempo di terminare.
«Se non lo facessi lo avrei già avvertito, ma devi parlargliene comunque o sarò costretto a farlo io.» concluse, riprendendo a levigare il proprio tridente, segno che quella conversazione non sarebbe continuata in alcun modo.
Non aveva dubbi che Aya fosse stata spinta per lo più da semplice curiosità nei confronti di quell’uomo e non dall’intenzione di nuocere, ma non poteva persistere nel tenergli nascosta quella storia. Doveva metterlo al corrente per evitare che semmai si fosse presentata la peggiore delle conclusioni non si trovassero impreparati e se non avesse avuto il coraggio di farlo, allora si sarebbe sobbarcato quel peso lui. In fondo era sua la responsabilità di tenerla d’occhio e suo il rischio di non dir nulla fino a quel momento, in qualche modo comunque il Capitano Kidd doveva saperlo – specie perché aveva il sospetto, guardandola, che ci fosse dell’altro dietro a cui lui non sarebbe potuto arrivare con delle ipotesi –.
Vide Aya tornare a sedersi sui gradini con un respiro strozzato e le allungò uno dei lembi delle vele.
«Quando avrai finito potrai andare di sotto… a controllare quel dito.»



«Anmari entotsu ga takai no de! Sazoya otsukisan kemutakaro! Sa no yoi yoi!» finì d’intonare uno dei membri dell’equipaggio con un ultimo slancio di trasporto emotivo, spingendo Penguin a tirarsi sulle orecchie il cappello pur di non sentire altro.
«Aaah, canti come una capra! Basta!» lamentò dal pavimento, rotolandosi su un fianco in segno di rimostranza per quella canzone tanto melanconica.
«Le capre non sono tutte stonate.» proruppe Bepo mezzo addormentato, dondolando su e giù il ventre rotondo.
«È un modo di dire.» lo informò Aya da uno dei divanetti con un sorriso.
«Che ne sai tu poi? Hai mai sentito cantare una capra forse?» lo interrogò ugualmente Shachi, il cui buon senso era già svanito per l’ora tarda e l’ennesimo festeggiamento organizzato.
«Una pecora.» chiarì l’orso ancora dormendo e poggiato al parapetto della balconata superiore, reclinando il capo, Trafalgar si abbandonò ad un sorriso per l’apparente logica inattaccabile con cui era stata pronunciata quella ridicola risposta.
Com’era ovvio che accadesse malgrado il torpore dilagato, quella precisazione fu comunque in grado di scatenare nella sua ciurma un’assonnata baruffa con tanto d’infantili attacchi e rimproveri – che furono solo uno spreco delle ultime energie della giornata dato che il suo orso non accennò minimamente a risvegliarsi nemmeno con Penguin e Shachi sul suo stomaco –.
«Credo di non aver mai riso tanto in vita mia!» confessò Aya, raggiungendolo per scampare al parapiglia con un dito ad asciugare le ciglia umide per le risate.
«Esagerano per colpa tua.» notò spiccio, mentre lei si poggiava alla balconata lì accanto.
Erano composti e rispettosi delle regole da sempre, ma non poteva negare certo che fossero anche movimentati sotto un certo punto di vista. Il fatto poi che da qualche mese avessero qualcuno su cui far colpo e che lì incoraggiava con simpatia ricambiata aveva acuito quella vena del loro comportamento e dopo alcuni tentativi di quietare gli animi, persino Law aveva rinunciato limitandosi ad occhiatacce fortuite. In fondo era una reazione antropologica la loro sviluppata in secoli di selezione naturale, non poteva pretendere di cambiare lo stato delle cose di punto in bianco e d’altronde non facevano poi nulla che non potesse essere tollerato.
«Quantomeno lo fanno con il buonumore! Non è una brutta cosa.» giustificò ancora sorridendo, giungendo alla sua stessa tacita conclusione.
Mentre il diverbio nato pochi istanti prima cominciava già a scemare lentamente, la sbirciò spingersi sulle punte per trarre una profonda boccata d’aria salmastra della sera e abbandonarsi a un sospiro sereno forse per quella realtà cui non doveva completamente ancora essersi abituata sebbene fosse trascorso del tempo dalla sua fuga.
Era sembrato sempre a Law, sin dal primo momento in cui se l’era vista arrivare contro per ammirare il suo vice, che vivesse in una dimensione allucinata tutta sua da cui solo occasionalmente veniva fuori per parlare con chi stava dall’altra parte e da quando conosceva chi, o meglio cosa, realmente fosse gli pareva quasi spiegabile quell’impressione. Come avrebbe potuto d’altronde apparirgli banale un Nobile mondiale in fuga dal Governo che sognava di andare per mare ignorata da tutti? Per quanto però quella singolarità avesse in maniera inevitabile ed istantanea attirato la sua fatale curiosità per molto aveva nutrito dubbi nei suoi confronti. Dubbi di cui ormai con l’accordo stipulato e la convivenza non era rimasta però che una traccia. Avrebbe ancora potuto sbagliarsi sul suo conto se a Sabaody gli eventi avessero preso una piega spiacevole, ma la decisione per lui era ormai presa e quell’ultima barriera a separarli, stava sembrando a Law meno difficile da abbattere di quanto si fosse aspettato qualche ora prima frugando nella propria scrivania.
«Tieni.» proruppe dopo un lungo momento di silenzio, porgendole il fogliettino che teneva ripiegato tra le dita tatuate di scuro.
Richiamata dalla sua voce Aya si volse a guardarlo adocchiando perplessa ciò che gli veniva offerto.
«È la mia vivrecard.» specificò, mentre lei allungava la mano per prenderla.
«Credevo avessi stabilito che non dovessi tornare al sottomarino… perché me la stai dando?» domandò ancora più perplessa, girandosi completamente di fianco a lui con un sopracciglio sollevato pensando avesse a che fare con la loro momentanea allenza.
«All’arcipelago Sabaody prenderemo strade diverse, ti servirà nel caso in futuro avessi bisogno d’aiuto.» spiegò breve, serrando nuovamente le braccia sul torace coperto dalla canotta blu.
Non poteva rischiare dopo anni di falsa indifferenza di farsi scoprire all’inizio delle ricerche su Doflamingo correndo in soccorso di qualcuno che tentava di danneggiarlo. Una volta portata a termine quell’operazione però e tenuto presente che era ricercata dalla Marina con quella ostinazione, niente e nessuno gli avrebbe impedito di ricambiare l’appoggio fornito se eventualmente richiesto. Tra loro si era pur sempre costituito un legame e Law non aveva alcuna intenzione di voltare le spalle da ingrato a qualcuno con cui sarebbe stato in debito.
Per quanto a lui quel gesto fosse apparso del tutto normale, si ritrovò a irrigidirsi quando sul volto di Aya, che continuava a fissarlo da un po’, cominciò ad allargarsi un sorriso che riconobbe all’istante e gli serrò per il disagio lo stomaco in una morsa nemmeno fosse stato un pugno.
Adesso che aveva avuto modo di conoscerla non avrebbe affatto preso bene l’eventualità che le accadesse qualcosa, ma ciò non implica che la sua fosse una premura dettata da chissà cos’altro. Quell’espressione non aveva motivo d’esistere né lei poteva continuare a travisare solo perché non era abituata a qualcuno che la trattasse in maniera decente. Il suo era un semplice scambio di favori, niente di più, niente di meno.
«È stato un suggerimento della ciurma, ma loro non hanno ancora vivrecard proprie e anche le avessero avute finiresti per distrarli di continuo o metterli in pericolo. Io non avrò di questi problemi e sarà tutto più gestibile.» precisò con forzato distacco, vedendola nonostante tutto sporgersi nella sua direzione.
Annullando la già poca distanza che li separava lì poggiati al parapetto, la puntò rigido da quei miseri cinque centimetri di disparità d’altezza che gli davano un vantaggio e la vide ammorbidire il proprio sorriso elettrizzato.
«Resta un bel gesto anche con il carico d’insulti che gli hai sbattuto sopra, arigatou.» mormorò riservandogli l’ennesima occhiata, prima di tornare veloce a ripoggiarsi sulla balconata per dargli fiato.
«Comunque… per renderti più “gestibile” tutto, prometto di utilizzarla solo e soltanto se non avessi altra scelta, cosa che avrò grazie alle lezioni di Bepo! Dice che imparo in fretta, sai?» chiese orgogliosa di se stessa.
In quell’accorto cambio di discorso Trafalgar non mancò d’intercettare una certa cura nei suoi confronti questa volta, che gli tolse l’espressione greve che si era creata sul suo volto olivastro per mutarla in un ghigno.
La sua compostezza nel rapportarsi agli altri sfiorava l’innaturale. Ancora gli sembrava impossibile credere che facesse parte di una razza tanto arrogante e che consuetamente si accompagnasse all’uomo che meno di tutti in quella società si preoccupava di trattare con garbo chi gli stava di fronte. Era un prodigio che fosse sopravvissuta, indice di quella volontà di cui a un primo sguardo i più non l’avrebbero detta capace.
«Sono stato messo al corrente.» ammise, tornando ad abbassare la guardia.
In realtà aveva spiato lui stesso un paio di lezioni nella sala di vedetta e oltre al lodare la diligenza con cui Aya vi si impegnava, le aveva riconosciuto una certa attitudine in quel campo. Era un po’ impacciata all’inizio, ma aveva il pregio di sbagliare una volta soltanto e quello era un vantaggio non irrilevante.
«Fra un po’ di tempo diventerò pericolosa.» previde, annuendo con un’espressione volutamente intimidatoria che gli strappò una mezza risata.
«Non essere così ottimista.» la schernì, spingendola a voltarsi piccata a guardarlo.
Per nulla scomposto da quell’occhiata sostenne il suo sguardo vedendola in silenzio farsi seria e allungare un indice sino al centro del suo torace con fare convinto.
«Potrei decidere persino di rivoltarti a mio piacimento se volessi e ti pentiresti di avermi sottovalutata.» minacciò scandendo parola per parola in una nuova frecciatina.
Gli era taciamente chiaro che non si trattasse di un vero avvertimento, ma istintivamente assottigliò le iridi grigie con una luce di sfida e si staccò dal parapetto per fronteggiarla. Affatto impressionata da quella che dovette riconoscere come una recita – forse già vista in una certa rumorosa testa rossa – Aya persistette nel tenergli l’indice addosso e solo non vedendola cedere alla sua occhiata, Law agì svelto afferrandole il polso per ridurre le distanze tra loro e allungare il proprio dito sul suo viso.
«Aaah!» la sentì gemere in una piccola lamentela, quando le diede un colpetto alla punta del naso.
«Ti ci vorrà più di “un po’ di tempo” e dovrei lasciartelo fare.» l’avvertì ghignando.
Continuò in quella sua innocua tortura indisturbato, nonostante la mano di Aya che gli batteva rimostrante sulla spalla, finché dietro di lui non si fece improvvisamente completo silenzio e si volse con le nocche ancora serrate sulla propria candida vittima per controllare. I suoi uomini, ad eccezion fatta di Bepo che persisteva a dormire, proseguirono a fissarlo in quella posa ammutoliti dalle proprie posizioni scomposte e Trafalgar gli rivolse un’indifferente occhiata interrogativa le cui uniche risposte furono i borbottii di Aya ancora bloccata e la sparizione di gruppo del resto dei presenti, i quali mezz’oretta dopo, una volta terminato il proprio divertimento inaspettato, avrebbe trovati rintanati nelle cabine a porte sprangate.



Serranilla era l’isola più piovosa del Grande Blu ed effettivamente a guardarla dal mare la sua conformazione ricordava proprio un ombrello aperto nel bel mezzo del nulla. Le onde, sempre burrascose, avevano scavato la sua base sino a ridurla ad una circonferanza di un centinaio di metri che si allargava via via che si saliva con lo sguardo, culminando in una piattaforma su cui sorgeva un’intera città in perenne festa malgrado il maltempo. Affinché le navi non rischiassero di fracassarsi sulla pietra, gli abitanti – gente sorridente che però borbottava sempre qualcosa tra una parola e l’altra – avevano imparato a sfruttare una strana corrente che si attorcigliava sull’isola in senso opposto al normale e che terminato il suo giro perimetrale riscendeva in mare con un salto nel vuoto. Le strade, battute dall’acqua durante l’intero anno, ospitavano tutte edifici rotondi rialzati dal terreno con pali e a cui si accedeva per scale di ogni foggia. Per combattere il senso di malinconia dato dalle precipitazioni incessanti, in ogni interno erano stati allestiti locali d’intrattimento per chiunque e sulla cui soglia stavano sempre due enormi ventole ad aria calda che asciugavano gli ospiti fradici già prima che potessero entrare. Non le sarebbe dispiaciuto trovare qualche posto che potesse distrarla dai pensieri che le riempivano la testa, ma s’era già fatta sera quando aveva terminato di stilare la lista con i negozi in cui il navigatore avrebbe dovuto rifornirsi il giorno seguente e alla fine era ritornata alla taverna dove si erano rintanati gli altri, sedendosi su una delle passerelle del patio, mentre all’interno il baccano e la musica parevano aumentare secondo dopo secondo.
Gambe penzoloni nel vuoto e capelli raccolti solo in parte, interruppe l’osservazione del foglietto – secondo la sua opinione bruciacchiato ad una estremità – e si volse a guardare la figura di Kidd, quando quello uscì per prendere una boccata d’aria umida dal Kuwabara, con gli occhiali da aviatore calati sul collo e una dolce compagnia alle calcagna che si meritò un gestaccio non appena gli si appese al braccio troppo insistente. Chiuse di riflesso la vivrecard tra le pagine del libro e rimase per un secondo a guardarlo, finché non ebbe accumulato abbastanza senso di colpa da decidere fosse meglio andar via. Riuscì tuttavia solo ad appoggiare una mano sul pavimento per aiutarsi a rimettersi in piedi e lo sguardo le cadde su uno dei vicoli di selciato dalla parte opposta della strada, dove una figura incappucciata se ne stava tra i pali apparentemente a guardarla. Non ebbe però nemmeno il tempo di distinguerne il volto prima che quella si girasse per allontanarsi di fretta e Kidd le fosse alle spalle, nuovamente solo e con gli occhiali in cima alla testa.
«Dev’essere interessante se ti ha addirittura distolta dall’esplorazione. Che roba è?» le domandò, adocchiando ciò che teneva poggiato sulla gonna e Aya abbassò d’istinto lo sguardo serrandoci le mani attorno.
Avrebbe ancora potuto rimediare a quella disattenzione con una frase come un’altra, ma erano giorni ormai che ripensava alla conversazione avuta con Wire a seguito dell’incidente al Rocky Port di cui Law era stato artefice e altrettanti che si arrovellava su come avrebbe potuto prendere quell’argomento con Kidd. Sapendo della pessima opinione che aveva nei confronti dell’altro e della fama di cui lei stessa godeva a bordo tra l’equipaggio, aveva sempre creduto che qualora fosse venuta fuori quella storia le cose sarebbero inevitabilmente precipitate. Non voleva che Kidd fraintendesse pensando che gli avesse rifilato una pugnalata alle spalle dopo tutto ciò che aveva fatto per lei, ma l’inaspettata fiducia con cui Wire l’aveva coperta in quel segreto, benché alla fine fosse consapevole di non aver fatto nulla di cui doversi pentire, le aveva provocato un terribile senso di colpa nei loro confronti e si era decisa a correre il rischio di dire tutto nonostante la quasi certezza di rimetterci.
«Credo possa dirsi un regalo, anche se l’ho estorto in un certo senso…» si convinse a rispondere dimentica della strana figura, lasciandosi scappare un sorriso malinconico al ricordo di quanto avesse esasperato Trafalgar stando davanti la sua libreria.
Una parte di lei avrebbe voluto mettere le mani dappertutto in quel paradiso di carte e libri che Law aveva creato in anni di studi, si era però trattenuta. Nondimeno non doveva esserle riuscito se alla fine lo aveva portato a dargliene uno pur di schiodarla dalla sua cabina – con altrettanti scarsi risultati poi –.
«Un altro? Li convinci a fartene, ma mai che siano decenti!» la schernì con un ghigno Kidd, poggiandosi al termine della balconata sotto cui lei si era seduta.
«… me lo ha dato Trafalgar Law.» sputò fuori tutto d’un fiato, ignorando la frecciatina.
Sollevò gli occhi per sondare la reazione di Kidd, ma lo vide rimanere per qualche secondo a ricambiare sbigottito lo sguardo finché non si abbandonò a una risata scuotendo le spalle larghe.
«Non ti è proprio piaciuto che mi stessi divertendo poco fa con quella!» sghignazzò, credendo che fosse una improvvisata ripicca dovuta alla gelosia per la dolce compagnia che aveva scelto nel locale.
Allibita da quell’ilarità immotivata e del tutto fuori luogo Aya ebbe un primo effimero momento di sconcerto in cui non poté fare a meno di domandarsi come gli fosse venuta in mente un’idea come quella, ma si ritrovò comunque subito dopo ad ispirare una profonda boccata d’aria per prendere coraggio e affrontare la faccenda.
«Dico sul serio Kidd.» sospirò paziente, puntandolo con abbastanza serietà da fargli morire la risata in gola.
Stordito da quel colpo inaspettato osservò la sua espressione mutare in una smorfia finché non ebbe serrato la mascella segno del nervosismo che cominciava a montare ed Aya abbassò il viso sulla copertina del libro, mordicchiandosi per un istante l’angolo del labbro inferiore.
«Ho incontrato i suoi uomini un paio di anni fa e poco dopo Law ad Awashima. Ci siamo rivisti altre volte all’incrocio delle rotte e nel tempo in cui sono stata separata da voi mi ha salvata dalla Marina. È con lui che sono arrivata fino a Sabaody, questo me lo ha dato mentre viaggiavamo… insieme alla sua vivrecard, nel caso avessi avuto ancora bisogno d’aiuto.» rivelò, sentendo un peso scivolargli via dalle spalle.
«Cosa?!» domandò in quello che parve sin troppo simile a un ringhio Kidd e Aya alzò lo sguardo su di lui.
A giudicare dalla tensione dei muscoli e dall’aria elettrica che gli si era creata attorno era evidente che non ci fosse stata una sola parola di quelle che lei aveva sino a quel momento pronunciate di suo gradimento, ma il fatto che si stesse trattenendo dall’urlare e non fosse ancora ammutolito dalla rabbia cieca era già di per sé incredibile.
«Sono state tutte casualità, quando sono salita sul suo sottomarino ero ferita, non l’ho deciso. La Marina mi aveva catturata a Sado per riportarmi a Marijoa, ero riuscita a scappare e sono rimasta nascosta fino a quando non mi hanno ritrovata e un marines ha gentilmente pensato di aprirmi la schiena con una spada… ho perso i sensi per strada, ma Law e i suoi uomini mi hanno portata via.» finì di spiegare, non lasciandosi scomporre.
Non si era mai pentita di essersi frapposta tra quell’uomo ed Avery, per degli interminabili secondi però malgrado la forza di volontà si era sentita terribilmente disperata a Fancytown. Aveva avuto la sensazione di staccarsi dal proprio corpo come in un incubo, le gambe le si erano congelate e l’era sorto il dubbio che quella fosse la punizione che le toccava per aver provato a fuggire la vita che gli era stata destinata. Le sarebbe stato di conforto avere Kidd vicino quel giorno e una parte di lei, pur consapevole dell’impossibilità di quell’evento, aveva sperato sino all’ultimo che arrivasse per farle ancora una volta da appiglio. Era arrivato Law però insieme al resto degli Heart ed Aya non avrebbe mai smesso d’essere loro grata, né avrebbe mai provato per contro il benché minimo rancore nei confronti dell’altro per non esserle stato vicino quando ne aveva avuto più bisogno.
A quell’ultimo resoconto Kidd lì accanto ispirò a vuoto spostando lo sguardo sulla strada bagnata e nel vederlo contenersi a quel modo decise fosse meglio non aggiungere altro.
«Perché lo scopro solo ora?» chiese roco dopo un minuto di pesante silenzio, tornando a girarsi.
«Pensavo ti saresti arrabbiato con me.» rispose sinceramente, meritandosi una lunga occhiata prima che si staccasse dalla balconata per scarmigliarle malamente i capelli.
«Cosa c’entri tu?! Non crederti più importante di quanto non sei, semmai lo sono con quel borioso di Trafalgar. Una vivrecard a te! Come se fosse l’uomo su cui tutti dovrebbero fare affidamento! È una fottuta provocazione, pensa che lo lascerò fare forse, ma si sbaglia. Abbiamo un conto in sospeso io, lui e Mugiwara e lo salderemo presto qui nel Nuovo Mondo.» promise con una strana luce negli occhi spigolosi che la lasciò basita.
Era stata abbastanza tempo con Law da capire che non fosse il gelido umanoide per cui si spacciava ed era convinta che il suo fosse stato un semplice gesto di premura, ma messa a quel modo era più che plausibile. Specie considerando che il suo passatempo preferito rimaneva il provocare ad oltranza, campo in cui eccelleva per originalità e prontezza con una naturalezza disarmante.
«Un insulto solo, l’hai presa incredibilmente meglio di quanto pensassi…» constatò stupita, scostando le ciocche arruffate dall’umidità che le erano finite davanti agli occhi.
Dall’interno del locale il chiasso parve di colpo aumentare sino al frastuono raggiungendoli chiaramente tramite le voci concitate dei membri dell’equipaggio che lo avevano scelto come ritrovo per la serata e dopo appena qualche istante, una tavolata mezza imbandita che fracassò una delle pareti di legno, piombando in strada. Un paio d’avventori uscirono con i volti pallidi quasi rotolando giù per le scalette ripide urlando e Aya ebbe la certezza che dentro fosse scoppiata una delle consuete risse, ma la cosa non le parve più tanto consueta quando una voce femminile inattesa parlò dalla parte opposta del patio.
«Eustass Kidd.» lo chiamò, sistemando gli occhiali rotondi sul minuscolo naso all’in su con due dita.
Aveva rasato i capelli color acquamarina su un lato e tenuto l’altra parte lunga sino alle spalle, le gambe erano coperte da pesanti calze scure che terminavano in una giarrettiera appena intravista al di sotto della gonna petrolio che le fasciava i fianchi e il top nero, che a fatica conteneva il seno prosperoso, pareva quasi un dettaglio insignificante a confronto della pesante collana d’oro massiccio che le serrava il collo sottile.
«C’è una quantità ragguardevole d’etanolo diluito in questo locale e tu ne hai ingerito circa due litri, sai cosa succede a questa sostanza se innescata?» domandò saccente, poggiando le piccole mani sui fianchi larghi.
Non era strano che Kidd fosse conosciuto anche in luoghi nei quali si recava per la prima volta, Aya stessa in fondo lo aveva sentito nominare dai giornali per poi conoscerlo solo mesi dopo, ma non altrettanto poteva dirsi di quella domanda. La chimica non era un argomento cui aveva mai prestato attenzione nemmeno nelle sue sedute di lettura intensiva, però sapeva che etanolo equivale ad alcool e che l’alcool può essere bruciato.
Di fianco a lei Kidd mosse un paio di passi avanti con volto indurito, tuttavia non ebbe il tempo di ribattere che un’altra ragazza venne fuori dall’apertura creata dalla tavolata alle loro spalle con i pugni serrati come un pugile.
«Uh! È grosso… mi piacciono quelli grossi, quando cadono fanno: “boom”!» sbottò elettrizzata, correndo sul posto con la coda in cui aveva stretto i capelli castani che dondolava da una parte all’altra.
Le allusioni furono abbastanza per far scattare un campanello d’allarme in Aya e spingerla a sollevarsi. L’ultima arrivata dovette interpretare quella sua azione come una prima mossa o forse fu solo spinta dall’impazienza cui pareva soggetta per carattere e si lanciò in corsa contro di lei, sferrandole una serie di pugni che riuscì per un soffio a scansare – con una prontezza di cui persino Aya si stupì –, che passandole accanto però le lasciarono comunque intuire che sarebbero davvero riusciti a farle fare un tonfo a terra benché non fosse robusta. Vedendola combattere e senza scomporsi troppo per quell’attacco all’apparenza insensato Kidd allungò un braccio creando una lamiera davanti a lei per ripararla, ma uno dei pezzi di cui era costituita si ammaccò attorno al pugno ben assestato e il suo sguardo si assottigliò. Soddisfatta di quel piccolo tacito riconoscimento la bruna si esibì in un sorriso smagliante e Aya ne approfittò per sbilanciarla sulle gambe, eseguendo una delle sequenze insegnatele da Bepo che le strappò un verso doloroso per il fianco ammaccato. Perse l’equilibrio scivolando di sotto, tuttavia fu abbastanza svelta da stringerle le gambe attorno ad una caviglia tirandola giù con sé.
«Kidd!» sentì urlare allarmato a Killer piombato sul patio con la maschera ammaccata, ma perse la visione di ciò che accadeva rotolando in mezzo alle pozzanghere.
«Flash point!» mormorò vellutata la voce della donna con gli occhiali schioccando le dita e il resto per Aya fu solo il boato di una tremenda esplosione.
Un’onda d’urto la costrinse a rimanere a terra, mentre scheggie di metallo e legno volavano come proiettili in strada dal Kumabara sventrato e la luce rossastra delle fiamme riempì il cielo screziando le nubi grigie di tonalità innaturali. Con il fiato corto e le orecchie che fischiavano stette accovacciata nell’acqua innaturalmente fresca rispetto alla temperatura bollente assunta dall’aria nei dintorni, finché non fu in grado d’inginocchiarsi con le mani sul lastricato guardandosi attorno come sperduta. Volse il capo fradicio da una parte all’altra nel tentativo di capire cosa fosse accaduto, finché una massa di ferro fuso non attirò la sua attenzione tra il fumo bianco ed ebbe l’impressione che il sangue le si bloccasse nelle vene. Senza che gli occhi le si riempissero di lacrime o le dita le si serrassero per la rabbia, fissò Killer con metà del busto annerito arrancare sul corpo scosso dalle convulsioni di Kidd, mentre il suo braccio ormai consumato dall’esplosione rimaneva abbandonato e tranciato di netto poco sotto la spalla a qualche metro di distanza e vide la donna dai capelli color acquamarina riemergere ancora perfetta nella sua tenuta dal fumo per posizionarglisi davanti con l’altra e un gruppo di uomini.
«Prendilo come un risarcimento nei confronti di Mama per la perdita che gli hai causato ad Arumi novellino… oh! Basque ti manda i suoi saluti e dei sentiti ringraziamenti per aver tenuto al sicuro i suoi frutti fino ad ora.» rivelò distaccata nel modo in cui si sarebbe potuto chiacchierare del tempo e nel vederli andar via impuniti Aya si sollevò senza nemmeno accorgersene, come se la sua mente stesse già elaborando qualcosa di diverso rispetto alla situazione in cui era.
Raggiunse in pochi passi la pozzanghera rossastra dentro cui Kidd stava boccheggiando, mentre altre voci si facevano a fatica strada tra il crepitio delle fiamme e dopo un’occhiata gelida nella direzione in cui il gruppo era appena sparito, si accovacciò dalla parte opposta a Killer posando la mano dietro la schiena del rosso ignorando la mancanza del braccio. Sentì lo sguardo del vicecapitano posarlesi addosso con un colpo di tosse dolorante e tirò per sollevarlo a sedere, provocando un rantolo simile a un ringhio in Kidd già privo di conoscenza.
«Dobbiamo portarlo subito dal medico.» impose ferma senza nemmeno un tremito della voce ed ebbe quasi l’impressione di vedersi da lontano, incurante del sangue che le sgorgava addosso.



















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Note dell’autrice:
Credo d’aver scritto il capitolo più lungo di tutta Teru Teru-Bouzu, ma non temete le noticine sono misurate non ho voluto premere troppo in questa occasione perché sarebbe stato troppo persino per me.

- Serranilla: adoro inventare isole, credo sia una delle maggiori attrattive che spingono a mandare avanti questa storia… comunque è soprannominata “Isola Ombrello” per la sua conformazione e anche perché come ben fa notare Wire prima ed Aya dopo, piove incessantemente ogni giorno ad ogni ora. Il suo nome però deriva dalla “serrana” una tipologia di melodia di origine portoghese che venne importata in oriente durante il colonialismo e che ha avuto influenza soprattutto sulla musica di Macao.
- Rocky Port: Je sais… l’ho fatto, l’ho citato… ho fatto così tante cose che non avrei dovuto fare in questo capitolo da perdere il conto. Stringendo comunque sappiate che io ho una teoria – chiunque fosse interessato a sentirla chieda pure –, ma non mi sono voluta sbilanciare perché l’ho già fatto in precedenza e Oda mi ha tranciato le zampine, quindi no. Non ho voluto nemmeno immischiarci Aya perché non ci azzecca nulla nemmeno nella mia fervida immaginazione, per questo l’ho lasciata ai margini. Detto ciò, chiarisco solo che secondo me Trafalgar ha prima chiesto di far parte degli Shicibukai consegnando i cento cuori alla Marina e solo dopo si è immischiato nell’incidente del Rocky Port, a questo sono giunta anzi tutto perché l’incidente viene nominato dopo nel manga rispetto alle modalità con cui è diventanto un membro della flotta dei sette e non vedo perché Oda avrebbe dovuto comportarsi a tal modo se fossero avvenuti in tempi inversi. Questo anche perché la sola candidatura ad eventuale Shicibukai gli avrebbe consentito a mio avviso un margine d’azione maggiore che in precedenza, poiché non sapendo se eleggerlo o no la Marina non ha potuto attaccarlo, ma si è premurata dopo quell’evento di nominarlo. Tutto questo per dirvi ai fini della mia storia perché l’incidente sia citato due settimane dopo il POV di Law… scusate.
- Myo: Dea nominata da Aya come fautrice della nascita di Serranilla, in realtà si tratta di Benzaiten kami che in Giappone rappresenta la fertilità, il talento e soprattutto la musica. Proprio per questo è anche detta Myoontenno ossia “Dea dalla voce meravigliosa”.
- Canzone: uno degli Heart intona nel flashback una canzone, in particolare questa strofa “Anmari entotsu ga takai no de! Sazoya otsukisan kemutakaro!” la cui traduzione sarebbe “Il camino è così alto! Mi domando se la luna si soffoca con il fumo!”. Si tratta di una canzone nipponica che veniva cantata a Kyushu nelle notti di luna piena nelle zone di montagna, ma divenne anche una delle canzoni preferite dai minatori di Miike e per questo oggi è nota come Tanko-bushi(canzone della miniera).
Kuwabara: è il locale di Serranilla in cui la ciurma di Kidd va a divertirsi e dove ho collocato il fattaccio. Letteralmente vuol dire “Campo di more” e in Giappone corrisponde ad una espressione con cui vengono allontanati i fulmini durante la pioggia. Deriva da una leggenda per cui un nobile assassinato sfogò la sua rabbia da morto nei fulmini uccidendo i propri nemici su un vasto territorio, l’unico luogo però che sfuggì alla sua ira fu un campo di more di sua vecchia proprietà in vita.



  
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