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Autore: Vampires Tranny    27/06/2016    1 recensioni
Storia partecipante alla challenge ‘Press Start' indetta da zenzero91 sul forum di EFP.
Una ragazza curiosa e ribelle, in un giorno apparentemente normale, incontra qualcuno di molto speciale...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante alla challenge ‘Press Start' indetta da zenzero91 sul forum di EFP​ http://www.freeforumzone.com/discussione.aspx?idd=11036330
Oggetto: Ali, Bambola, Ocarina
link all’Immagine: http://sonicgirl11.deviantart.com/art/To-Safety-171135082?q=favby%3Aceles91%2F69073894&qo=21 ; http://celes91.deviantart.com/art/Old-Castle-312046799

​ «Non allontanarti troppo!», gridò la mamma da dietro la porta. Carole l’aveva già richiusa uscendo di corsa.
«No mamma», rispose, con tutta l’intenzione di allontanarsi troppo. I piedi nudi della ragazza la portarono attraverso l’erba e le rovine senza incertezza. Era un terreno che conoscevano bene. Carole viveva in un mondo in cui gli esseri umani erano pochi, poveri e vivevano in zone ben ristrette: comunità piccole, quasi delle riserve, i cui confini era tassativamente proibito superare. Naturalmente, Carole li superava sempre.

C’era un posto, poco lontano dal confine, che le piaceva andare a vedere. Era un vecchio castello in cima a una collina, a tratti brulla, a tratti coperta da una fitta boscaglia. Nei cieli al di sopra del castello, i veri padroni del mondo spalancavano le loro ali nere e spiccavano il volo. Si chiamavano Demoni, e somigliavano agli umani, ma erano scuri di pelle, dai capelli blu, viola, neri, e sulla schiena avevano grandi ali da pipistrello. Per lo più, erano arroganti, prepotenti, violenti. Beh, loro hanno le ali, pensava Carole. Quando si può volare, è facile pensare di essere i più forti.
Naturalmente, fuori dal confine e così vicino a un luogo abitato da quei Demoni, era essenziale non farsi vedere. Tuttavia quel giorno particolare l’attenzione di Carole venne attirata da una macchia nera sull’erba. Era in un punto molto scoperto, fuori dal boschetto, ma la curiosità sopraffece la prudenza della ragazza, che, dopo aver dato un’occhiata ai cieli per assicurarsi che fossero sgombri, si avvicinò alla cosa scura. Era un paio di ali nere. Ali da Demone. Ma senza il Demone. Erano state strappate via e abbandonate sul prato. Carole si chinò per esaminarle. Diversi lembi di carne, rossi di sangue, pendevano alle estremità. Chiunque le avesse strappate non doveva aver fatto un lavoro di precisione. Forse non aveva voluto. Forse erano state tolte al Demone per punizione. E mentre Carole, china su quelle ali nere, rifletteva così, si sentì afferrare all’improvviso per i fianchi e sollevare in aria. Cacciò un grido. Il terreno vicino al vecchio castello si allontanava in fretta, e le vennero le vertigini. Chiuse gli occhi. Non molto tempo dopo sentì il fruscio di qualche foglia e poi il terreno di nuovo sotto di lei. Era stata adagiata, distesa, su un prato, a giudicare dai fili d’erba che le accarezzavano viso, braccia e gambe.
«Che fai fuori della riserva umana? E per di più allo scoperto! Sei forse impazzita?!», sentì chiedere una voce maschile, giovane. Ma non era arrabbiata, sembrava più… preoccupata. Carole non si mosse, non aprì gli occhi, quasi non osava respirare.
«Che stai facendo?!», insistette il Demone. «Ehi! Rispondi!»
«Mi fingo morta», replicò lei, sempre senza muoversi.
«Ma se hai appena parlato?! E poi ti ho appena vista camminare nel prato, lo so che sei viva. Mi credi scemo? Ma poi perché dovresti fingerti morta?»
«Mi hanno detto di fare così se qualcuno di voi mi vedeva fuori dal confine». Carole ancora non apriva gli occhi, e restava distesa a pancia in giù sul prato.
«Non ha alcun senso… forza alzati, sei ridicola!», intimò il suo interlocutore. «E comunque non voglio farti del male».
A queste parole Carole si mise finalmente seduta. Squadrò l’essere che aveva davanti. Era proprio un Demone, con le sue grandi ali nere da pipistrello, la pelle scura, i capelli corti e bluastri. Indossava una maglia nera e pantaloni di pelle marrone. Carole stimò che avesse all'incirca la sua stessa età. Non che sapesse come usavano contare gli anni i Demoni.
«Adesso mi spieghi che fai lontana da casa e allo scoperto in mezzo a un prato?», ingiunse lui, squadrandola tutta.
«Volevo vedere da vicino quelle ali. E ho controllato, prima di uscire allo scoperto. Tu non c’eri, in cielo ti avrei visto», protestò lei, come per scaricare la colpa sul ragazzo.
«Infatti non ero in cielo, ero in alto, seduto su un ramo». Il Demone indicò i fitti rami degli alberi sopra di loro. «Guardavi quelle ali, eh. Erano di un mio amico. Strappate via, perché l’hanno visto parlare amichevolmente con gli umani».
Carole impallidì.
«Ma quindi anche tu stai rischiando che…» indicò tremante le ali di lui, chiuse dietro la sua schiena. Quello non replicò. Cavò da una bisaccia un’ocarina, e vi soffiò dentro pensosamente.
«Se non devono vederci non mi sembra una buona idea mettersi a suonare», rilevò Carole, allarmata.
«Non c’è problema, non vengono mai fino a qui. Gli alberi sono troppo fitti. Soltanto io mi arrischio a scendere qua sotto», rispose lui allontanando lo strumento.
«Senti, ma… come ti chiami?», chiese Carole.
«Pete».
«Pete…», rispose lei, come per saggiare il nome sulle proprie labbra. «Grazie».
«Di che?»
«Di avermi portato via prima che mi vedessero. E di non volermi fare del male»
«Non la pensiamo tutti allo stesso modo riguardo agli umani. Io la penso più come il mio amico. Non siete per forza rozzi animali stupidi solo perché siete senza ali».
«Grazie, eh…»
«Anche se il fatto che giriate scalzi e mangiate con le mani sono punti a favore di questa teoria».
Carole si sentì punta sul vivo.
«Mai pensato che magari se non fossimo relegati in luoghi così piccoli e poveri potremmo avere delle scarpe e delle posate?»
«Scusa», rispose Pete, e tacque per un po’, riprendendo a zufolare con la sua ocarina.
Carole non voleva tornare a casa. Voleva restare a parlare ancora un po’ con Pete. I Demoni e le loro ali l’avevano sempre affascinata. Però lui pareva un tipo un po’ taciturno. E poi presto avrebbe fatto buio.
«Senti, Pete… io devo andare. Però ti posso rivedere? Tornerò qui dove hai detto che ci sono gli alberi fitti. Ho capito dove siamo.»
Lui la guardò per un po’, poi annuì lentamente.
«Sì, d’accordo. Però promettimi che non ti fai più vedere allo scoperto come un’idiota.»
«Te lo prometto».
 
Carole riprese la strada di casa quasi di corsa, procedendo in mezzo agli alberi e strappandosi un po’ del vestito rosa che indossava. I suoi capelli castani, lunghi fino appena sotto le spalle, a tratti si impigliavano ai rami. Non era una strada molto comoda da percorrere, ma la ragazza sentiva per qualche motivo di dover mantenere la promessa che aveva fatto al giovane Demone.
Quando le aprì la porta di casa, sua madre la aspettava con una scatola tra le mani.
«Buon compleanno!», le disse, porgendogliela. Carole rimase ferma sulla soglia, stupita. Non perché non si ricordasse che era il suo compleanno, ma perché sua madre non le stava dicendo nulla riguardo allo stato pietoso del vestitino rosa. Forse nella scatola ce ne era uno nuovo. La prese e l’aprì. Non era un vestito. Era una bambola di pezza, cucita a mano, una piccola Carole, con i capelli castani e il vestito rosa.
«L’ho fatta con i pezzetti di stoffa avanzati», disse sua madre. Carole l’abbracciò, ringraziandola a lungo. Un regalo fatto a mano è sempre il più bello che si possa ricevere.
Una volta in camera sua, Carole recuperò ancora un poco di stoffa dagli avanzi, nera, e cucì alla bambola un bel paio di ali. Poi la guardò a lungo, pensando all’incontro di quel giorno.
«Vorrei che fossimo tutti così. Né umani né Demoni. Tutti uguali», mormorò, e nascose la bambola sotto il cuscino, perché i suoi genitori e i suoi fratelli non la vedessero. Sapeva che da quel giorno, dopo quell'incontro, niente per lei sarebbe più stato lo stesso.
  
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