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Autore: La Chiave di Do    28/06/2016    1 recensioni
Fu come un fulmine a ciel sereno, un rombo di tuono, un cadere dal letto.
Era il suono di una risata, una risata calda e squillante.
«Beh, ci vediamo allora! Fammi sapere, ci conto!». Ed era una voce, una voce profonda, eppure incredibilmente fresca, una voce di miele tuffato nel tè bollente.
Genere: Drammatico, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Mitchell, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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MITCHELL
(Parte seconda)

 

 

Vene che esplodono, piogge rosse, grida distorte:
sento il mio cuore che si ferma e poi riparte.

 

 

Un bacio duro, di labbra tese contro i denti e mascella rigida, affannoso e irregolare; un bacio rude, primitivo. Un bicchiere in frantumi giaceva a terra in uno sputo di beaujolais.

«Le tue labbra… sono così fredde...»

Lei invece era morbida e tiepida, come un'albicocca matura; l'aveva baciata per impedirsi di pensarci, per gettarsi con foga in un altro tipo di eccitazione, più innaturale e… più umana. Ci stava riuscendo solo in parte.

Sudava freddo, e iniziò ad ansimarle fra le labbra quando si lasciò ricadere alle spalle la camicetta; serrò la bocca con una violenza tale da temere per i propri denti nello staccarsi da lei per sfilarsi la maglietta.

Le affondò le dita nel costato, stringendola: un brivido caldo gli percorse la schiena quando percepì il galoppare del suo cuore contro il petto. Due bramosie opposte s'intrecciarono lottando nel fondo della sua anima come le loro lingue: un delizioso desiderio di morte e un catastrofico impulso alla vita. La mano di Florence contro la patta dei pantaloni lo gettò con furia fra le braccia del secondo.

«Nel comodino...» balbettò. Premura inutile, lo sapeva: la sua capacità di generare era morta con lui, non poteva contrarre o trasmettere malattie; era un semplice vezzo, un'abitudine, un banale residuo di umanità.

Stavolta ci sarebbe riuscito, lo sapeva, ci contava: era pulito da settimane, lindo e innocente come un angelo, come la maledetta Vergine Maria. La fame di sesso avrebbe vinto sulla sete di sangue. Si sentì blasfemo e onnipotente a quel pensiero, una specie di divinità pagana con una femmina sudata a cavalcioni sull'inguine: “iconografico” pensò in un impeto di superbia. Rimpianse quasi di non potersi specchiare da qualche parte.

La riversò sul letto sfatto, l'incontro di labbra si fece più morbido, meno famelico, più erotico. Scivolò in lei con forza, tanto da sospettare di averle fatto male, ma la sentì sciogliersi all'istante: erano più di trent'anni che non si sentiva così intensamente vivo… o forse più di cento, quando fare l'amore con una donna era un gioco alla pari? Forse era solo l'astinenza a parlare nella sua testa.

 

E forse furono le unghie lungo la schiena, forse l'aritmia del suo cuore contro il proprio, forse il profumo del suo collo, forse il suo pulsare isterico. Avvertì l'ombra della fame attraversargli gli occhi, sentì i denti premere contro le labbra. Vide con chiarezza il terrore sostituirsi al piacere sul viso di Florence, ansimante e paralizzata fra le sue braccia.

La potenza di quel fiume gli irruppe fra le labbra non appena i canini si schiantarono contro la carotide, riempiendogli la bocca fino a rendere quasi difficoltoso inghiottire; bevve con foga, come un assetato nel deserto. Venne all'improvviso, ancora dentro di lei, soddisfacendo insieme due delizie; si lasciò sfuggire un gemito, e un rivolo d'un rosso quasi nero gli colò lungo il mento.

Sentì le unghie di lei configgersi dolorosamente nella carne, ma non respingendolo, stringendolo più forte a sé, in un rantolo che sembrava assai distante dal dolore: gli venne da sorridere, probabilmente in un moto di assurdo orgoglio virile.

Sentì il suo battito farsi frenetico in bocca, la pressione diminuire lentamente, permettendogli di berne a piccoli sorsi, quasi fosse quel vino costoso rovinato a terra meno di un'ora prima. Allentò il morso, prima rigido e potente come quello di una belva, lasciando che il sangue gli defluisse da solo fra le labbra.

Florence respirava a fatica, affamata d'aria quanto lui di vita; le passò le dita fra i capelli, delicatamente, in una carezza pietosa, poi sul viso: era sudata, e sempre più fredda. La presa sulle spalle si fece molle. Gli svenne fra le braccia.

Il cuore iniziò a rallentare, permettendogli di indugiare in quel gioco perverso di baci lascivi alla fonte di quel nettare di vita, di affondarci il mento, sporcandosi il viso di rosso come un guerriero o uno stregone.

Si abbandonò al suo fianco sulle lenzuola innaffiate di rosso, a occhi chiusi, ansante, cercandosi sulle labbra le ultime gocce di quel sapore.

“Non sei morta per assideramento” pensò cinicamente, senza neppure guardarla.

Poi pianse.



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sapere quale emozioni e trasmesso. Se siete arrivati a leggere fin qui
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