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Autore: Blueorchid31    28/06/2016    11 recensioni
LUI finalmente sembra aver preso una decisione - forse troppo tardi. LEI, stanca di aspettare, decide di cambiare atteggiamento e guardarsi intorno. L'altro, o meglio l'altra, ci metterà del suo per ingarbugliare ancora di più la faccenda.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ''' Il secondo tragico Sasuke '''
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Carissimi lettori,

molti di voi sono ormai abituati ai miei sbrocchi mentali. Eccone un altro.

Non ho molto da dire su questa storia: è una follia.

Ci tengo però a rassicurarvi su una cosa: se dopo averla letta qualcuno di voi non dovesse più rivolgermi parola o mi cancellasse dai suoi autori preferiti avrebbe tutta la mia comprensione.

* supplica in ginocchio di non farlo perché a volte non ce la fa proprio a non scrivere storie stupide *

La storia è quasi ultimata, manca un capitolo, e non sarà molto lunga. Pubblicherò un capitolo alla settimana, di media ( tanto sono già scritti) e sempre di martedì.

Alla fine del capitolo troverete il titolo di quello successivo, un piccolissimo spoiler

Intanto provo a terminare anche il capitolo di Mr Brightside che mi sta dando parecchi problemini.

Buona lettura





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1. LUI





Sasuke non aveva mai pensato in maniera '' costruttiva '' al rapporto con Sakura.

In tutti quegli anni si era impegnato talmente tanto a distruggerlo, ottenendo tra l'altro ottimi risultati, che trovava abbastanza assurdo, un pelino inquietante, l'essersi ritrovato a pensare a lei proprio adesso che poteva dirsi soddisfatto.

Dopo la fine della guerra, a parte la piccola parentesi ospedaliera durante la quale aveva già notato, dal poco garbo che la kunoichi gli riservava durante le medicazioni – in netto contrasto con la delicatezza e l'amorevolezza che dedicava a Naruto – , che ci fosse qualcosa di molto strano nel suo comportamento, una sorta di distacco. Ovviamente non se ne era lamentato, lì su due piedi, ma lo aveva notato… e sulla scia di quel rinnovato buonismo post combattimento mortale con il suo migliore amico, post amputazione sanguinolenta e post esame di coscienza, in qualche modo si era sentito un po' di merda. Sakura aveva tutte le ragioni per odiarlo, su questo non c'erano dubbi, ma aveva sperato che un paio di contrite scuse e un atteggiamento remissivo e pentito potessero bastare per rimettere le cose a posto.

Si sbagliava… e alla grande – tanto per cambiare.

La situazione era poi precipitata dopo che lui e Naruto erano stati dimessi dall'ospedale e Tsunade-sama, all'epoca ancora Hokage, aveva convocato l'intero Team 7 per decidere a chi affidarlo – come fosse stato un bambino piccolo incapace di badare a se stesso e tendenzialmente portato alla fuga.

Naruto si era offerto subito, alzando entrambe le mani e urlando un ''Io, io! '' che lo aveva fatto prima sospirare, poi grugnire e infine rimpiangere di non essere morto. Kakashi-sensei – colui che lo aveva definito il suo allievo preferito – e Sakura Haruno – colei che aveva spergiurato di amarlo con tutto il suo cuore –, al contrario, avevano continuato placidamente a fare orecchie da mercante. Lui li aveva guardati, con un espressione supplice, ma era stato cordialmente ignorato; in particolar modo lei, che non era riuscita neanche a coglierlo quello sguardo supplice, non si era neanche degnata di girarsi dalla sua parte, continuando a guardare davanti a sé come se niente fosse.

Non essendoci altri volontari, Tsunade-sama era stata costretta ad affidarlo a Naruto, almeno fino a quando la casa dei suoi genitori non fosse stata considerata agibile. A quel punto Sasuke, impettito, aveva voltato le spalle agli altri due, e con stizza aveva fatto cenno a Naruto di seguirlo.

Si era girato per un secondo, dopo aver varcato la soglia che conduceva fuori dall'ufficio dell'Hokage, sperando che il terrore di averlo in qualche modo contrariato avesse fatto provare un minimo di senso di colpa a quei due traditori impenitenti, ma niente. Niente di niente.

Ok, se l'era meritato. Ok, era stato uno stronzo. Ma a conti fatti sperava in un minimo di indulgenza da parte di quei due. Sakura non aveva pianto quando le aveva chiesto scusa? Gli aveva dato dello stupido, dopotutto; lo aveva insultato approfittando della sua debolezza e lui aveva ritenuto di meritarselo. Aveva pensato che quello fosse bastato a farla sentire meglio, a mettere una pietra sopra al passato… che idiota!

E se la convivenza con Naruto aveva messo a dura prova il suo di per sé già labile equilibrio psichico, l'atteggiamento di Sakura aveva rischiato di fargli venire voglia di ritornare tra le braccia di Orochimaru-sama – lui sì che lo amava davvero.

Lei, infatti, aveva continuato a ignorarlo, o meglio, a fingere di tollerarlo perché in un Villaggio come Konoha per quanto uno potesse sforzarsi di evitare qualcuno finiva puntualmente per ritrovarselo davanti.

Aveva provato a trovare una spiegazione a quel suo comportamento, ipotizzando che fosse dipeso dai traumi della guerra, da particolari episodi che l'avevano scossa nel profondo tanto da modificarne l'indole; episodi che naturalmente non riguardavano lui in prima persona, perché a parte un paio di omissioni di soccorso e un tentato omicidio, non ricordava nulla che potesse rientrare nella categoria '' crimini imperdonabili'', fermo restando che le aveva chiesto scusa, in modo generico, per tutto quello che aveva fatto proprio per non sbagliarsi.

Ma quando, alcuni mesi dopo, Sakura aveva tentato di fargli il calco nel muro portante dell'ufficio del Palazzo dell'Hokage, sotto gli occhi attoniti di Naruto e Kakashi, una nuova consapevolezza si era fatta strada nella sua eccelsa mente: Sakura, da insulsa ragazzina perdutamente innamorata, si era trasformata in una donna potenzialmente letale e poco incline al perdono.

Il suo spirito di sopravvivenza lo aveva, quindi, persuaso a non sfidare la sorte e a preservare l'incommensurabile patrimonio genetico di cui era unico portatore, optando per una fuga strategica. Si era arzigogolato il cervello per svariate notti alla ricerca di un pretesto per lasciare il Villaggio e, alla fine, lo aveva trovato.

Il giorno della sua partenza lei lo aveva fissato a lungo, con uno sguardo inequivocabilmente carico di odio, e quando Kakashi-sensei, appena nominato Hokage, gli aveva dato il via libera, dopo una serie di raccomandazioni, lui aveva atteso per un po' che Sakura dicesse qualcosa, una qualsiasi cosa... che, quantomeno, accennasse un piccolo pianto, ma il suo viso era rimasto indifferente e le sue labbra ermeticamente serrate: nessun ''Sasuke-kun portami con te'', o un ''ti prego non andare'' ed era stato seccante, molto seccante.

Sasuke si era voltato ed era andato via, sentendosi un po' come un cane bastonato, ma sicuro che con il tempo lei avrebbe sentito la sua mancanza e che, al suo ritorno, tutto sarebbe tornato come era un tempo.

Inutile dire che era rimasto abbastanza deluso nel constatare che questa volta la sua brillante mente avesse fatto cilecca perché a tornare era tornato, ma le cose non erano affatto cambiate, anzi, se possibile, erano addirittura peggiorate.

Una volta varcati i cancelli di Konoha, una mattina di primavera, si era precipitato da lei per appurare che il suo piano avesse funzionato. Era entrato di soppiatto nell'ospedale, ma al suo posto aveva trovato un'altra ragazza che gli aveva cortesemente spiegato dove poter trovare la dottoressa Haruno. Aveva seguito le sue indicazioni ed era giunto davanti a una struttura che riportava l'insegna ''Clinica per la salute mentale dei bambini''. Sasuke aveva alzato un sopracciglio non riuscendo a comprendere cosa avesse potuto spingere Sakura a dedicarsi a un gruppetto di marmocchi mentalmente deviati, non subdorando affatto che lui potesse c'entrare qualcosa – no, perché mai?

Onde evitare di fare un'ennesima figura barbina, aveva costeggiato l'edificio, portandosi sul retro ed era entrato da una finestra. Aveva percorso, guardingo, il corridoio fino a che non aveva letto su una targhetta il suo nome. A quel punto aveva preso un bel respiro ed era entrato, senza bussare, proclamando un ''Sono tornato'' carico di enfasi – per quanto possibile – e di buoni propositi.

« Buon per te» gli aveva risposto Ino Yamanaka, acida come un pomodoro cotto e lasciato nel frigo per settimane «Se stai cercando Sakura, e io se fossi in te non lo farei, ti comunico che è a Suna e che dovrebbe fare ritorno domani.»

Che bentornato del cazzo.

«Cosa intendi con ''se fossi in te non lo farei'' ?» le aveva chiesto, controvoglia: l'idea di dare importanza alle idiozie della Yamanaka lo inquietava, e non poco.

«Che non penso che abbia piacere di rivederti, non è difficile da capire» gli aveva risposto lei con tracotanza, facendo sventolare la sua lunghissima coda bionda per amplificare il concetto.

«E perché mai?»

«Ma ci sei o ci fai?»

L'esclamazione della Yamanaka, se possibile, lo aveva lasciato ancora più perplesso.

«Sei sparito per quasi tre anni!» aveva sbraitato la ragazza subito dopo «Spero che almeno tu abbia ritrovato te stesso perché ti servirà molta presenza di spirito se davvero hai intenzione di parlarle» lo aveva informato, incrociando le braccia davanti al petto.

Da quando la Yamanaka era diventata così criptica? Ritrovare se stesso, presenza di spirito, ma di che diavolo stava parlando? E poi, per sua informazione, era sparito per tre anni proprio per darle il tempo di sentire la sua mancanza!

Va bene, forse anche un anno sarebbe bastato, ma andare in giro per il mondo alla ricerca di se stesso non era stato poi tanto male e a un certo punto ci aveva preso la mano, tanto da definire quel viaggio una specie di ''cammino di espiazione'', un percorso mistico, in cui davvero aveva avuto modo di scoprire se stesso, arrivando alla conclusione di essere un gargantuesco coglione.

«Da quello che mi stai dicendo deduco che sia arrabbiata con me, ma non riesco a comprenderne il motivo»

«Questo perché sei un baka!»

Ma Ino, una volta, non lo amava perdutamente? Da quando tutte le donne che erano state innamorate di lui avevano preso a odiarlo?

Anche Karin non lo aveva accolto calorosamente quando aveva fatto visita al serpentesco sensei. In vero gli aveva dato l'impressione di essere arrabbiata con lui per qualcosa, ma non aveva approfondito l'argomento, non trovandolo interessante.

Sasuke si era chiuso istintivamente nelle spalle, dando segni di cedimento psicofisico: il viaggio era stato lungo e il ritorno abbastanza traumatico.

«Comunque, se permetti, io avrei da fare altro» lo aveva liquidato Ino, indicandogli la porta.

«Dove posso trovarla?» si era premurato di chiederle Sasuke onde evitare di incorrere nuovamente in qualche donna isterica e assai poco cortese.

«Domani non lavora, quindi puoi trovarla a casa sua» gli aveva risposto Ino, in modo sbrigativo, ritornando a sistemare alcuni medicinali dentro una cassetta di primo soccorso «Ma se vuoi un consiglio, Sasuke-kun… se ci tieni alla pellaccia io le starei alla larga» aveva aggiunto, mentre Sasuke usciva dall'ufficio, confuso e molto preoccupato.


Aveva passato la notte in una radura appena fuori Konoha, sulla strada per Suna, e aveva meditato attentamente sulle parole della Yamanaka, non riuscendo tuttavia a capacitarsi del fatto che nonostante tutto quel tempo Sakura non avesse smesso di odiarlo, anzi, a sentire Ino, sembrava che lo detestasse ancora di più. Era impossibile che lui avesse potuto farle qualcosa, essendo mancato per quasi tre anni, quindi doveva esserci necessariamente una spiegazione diversa, che non aveva nulla a che vedere con lui.

A metà mattinata, mentre era seduto ai piedi di un albero in contemplazione dell'universo, aveva visto sfrecciare a gran velocità una chioma rosa: era tornata. Si era mosso all'istante e aveva cominciato a seguirla. Una volta varcati i cancelli del Villaggio, l'aveva vista procedere in direzione opposta a dove era sita la sua casa paterna e fermarsi davanti a un palazzo non molto alto rispetto agli standard raggiunti in quegli anni a Konoha.

Secondo piano, terza porta.

Sasuke aveva ghignato, realizzando che adesso la ragazza vivesse da sola e che nessuno li avrebbe, pertanto, interrotti.

Si era portato dinanzi la porta e aveva lanciato una veloce occhiata alla targhetta per non avere altre sorprese. Constatato con sollievo che Sakura nel contempo non si fosse sposata, si era deciso a suonare e mentalmente aveva incrociato le dita, mentre la serratura della porta scattava e una Sakura molto diversa da quella che ricordava gli si parava davanti.

Le parole gli erano morte in gola non appena i suoi occhi si erano posati su quel corpo così femminile, armonioso, coperto solo da un asciugamano che lei teneva su con una mano poggiata sul petto, sul suo viso più spigoloso, ma sempre delicato, e aveva provato un brivido quando infine i loro sguardi si erano incrociati: il suo totalmente rapito, quello di lei... furioso.

Di già? E pensare che non aveva ancora aperto bocca.

«Ciao, Sakura» le aveva detto, cercando di imprimere alle parole un discreto calore che riuscisse in qualche modo a farle capire che era felice di vederla «Sono tornato» aveva aggiunto, abbozzando persino una specie di sorriso.

Sakura lo aveva osservato per qualche minuto, muta come non lo era mai stata in tutta la sua vita, e Sasuke aveva quasi cantato vittoria, ritenendo che un minimo di shock potesse essere anche comprensibile e che il fatto che non lo avesse pestato, lì sul momento, poteva considerarsi un passo in avanti.

«Io...» aveva esalato, ritenendo opportuno, per una volta, di fare il primo passo, ed era stato veramente seccante il dolore improvviso al naso procurato dalla porta che si era chiusa improvvisamente e con una tale violenza da far tremare l'intero isolato.


No, non aveva funzionato.


Si era portato la mano sul naso per constatare che non fosse rotto e se ne era andato, imprecando qualcosa di incomprensibile.

Per superare l'onta subita, Sasuke aveva poi deciso di barricarsi dentro casa, la sua casa, quella dei suoi genitori, che in quei tre anni avevano finito finalmente di ristrutturare, deciso a restarvi rinchiuso fino a che quella pazza scatenata non fosse rinsavita e non si fosse presentata, strisciante, a chiedergli umilmente perdono.

E così erano passati i giorni, e poi le settimane.

Sasuke ogni mattina si sedeva sul bordo dell'engawa, con le spalle appoggiate sempre alla medesima trave, in attesa del suo arrivo – perché era certo che prima o poi lei sarebbe capitolata, sapendolo lì, da solo – mentre Naruto si era preso la bega di rifornirlo di viveri e di arginare la sua ormai inequivocabile follia.

«Io spero che sappia che non la perdonerò mai» ripeteva tutti i giorni all'amico.

Naruto all'inizio aveva abbozzato, poi aveva preso ad alzare gli occhi al cielo e, infine, un bel giorno, non potendone più, aveva deciso che fosse giunto il momento di metterlo di fronte alla crudele realtà.

«Lei non verrà mai, Teme» gli aveva detto, serio come non mai, e dispiaciuto del fatto che fosse toccato proprio a lui quell'ingrato compito.

«Verrà» aveva replicato Sasuke, con un tono di voce stanco, malinconico, mentre il suo sguardo vagava per quel giardino di nuovo rigoglioso.

«No, non lo farà! Lei sta con un altro, Sasuke» e Naruto si era dovuto mordere la lingua per non aggiungere altro, per non insultarlo e poi finire col picchiarlo: faceva già abbastanza pena così ed era più che certo che le sue parole lo avessero ferito molto più di un cazzotto.

Sasuke, all'apparenza, era rimasto del tutto indifferente: aveva chiuso gli occhi e aveva poggiato la testa contro la trave di legno.

«Chi è?» aveva esalato, come in punto di morte, dopo alcuni istanti di opprimente silenzio scanditi dal rumore del shishiodoshi che si riempiva e si svuotava ritmicamente.

«Che importanza ha?» gli aveva domandato Naruto, esasperato.

«Rispondi»

Naruto aveva inspirato a fondo, dando adito a tutto l'affetto che provava per quell'imbecille e alla sua infinita pazienza, prima di rispondergli, certo che in un modo o nell'altro Sasuke lo avrebbe scoperto e, allora, tanto valeva che fosse lui a dirglielo.

«Il Kazekage» gli aveva rivelato, riuscendo a captare il preciso istante in cui il cuore di Sasuke aveva smesso di battere.


Da quel giorno Sasuke aveva smesso di sedersi sul bordo dell'engawa e si era dedicato a un'attività per la quale era sempre stato particolarmente portato: l'autolesionismo. Aveva iniziato a vagare per la casa come un fantasma, rifiutando persino la compagnia di Naruto che, nonostante tutto, continuava a presentarsi davanti alla sua porta ogni sacrosanto giorno, instancabile, paziente, in attesa che si sbriciolasse definitivamente per raccogliere con un colpo di scopa i suoi cocci e poi riattaccarli, a uno a uno, come sempre.

E non aveva neanche dovuto aspettare tanto: erano bastate un paio di settimane.

Un bel giorno Sasuke si era svegliato e si era guardato allo specchio, riconoscendo il vero se stesso dietro quelle occhiaie color prugna, quel viso smunto e grigio e quel fisico deperito. Si era dato dello stupido – questa volta da solo – e dopo aver fatto una lunga e salutare doccia – sì, puzzava, e anche molto – , aveva tagliato quei cinque strati di folta barba accumulati in quelle settimane scoprendosi più magro di quanto avesse immaginato.

Quando Naruto si era recato da lui, come ogni mattina, lo aveva trovato in giardino ad allenarsi – cosa che non accadeva da tempo – e l'Uzumaki si era chiesto quale molla fosse scattata in quel contorto cervello che si ritrovava, come avesse fatto a riprendersi così in fretta e, soprattutto, senza il suo aiuto. Non era riuscito a comprenderne il modo, ma era stato talmente felice di rivedere quella scintilla di pura follia nello sguardo dell'amico da ritenere assolutamente superfluo indagare.

Che errore fatale!

Solo molto tempo dopo, con il senno di poi, si era pentito di non averlo fatto, ma la situazione era ormai degenerata a tal punto da non lasciare spazio a inutili rimpianti.


҉




Prossimo capitolo : 2. Di quella volta in cui Naruto proclamò di avere un piano

   
 
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