Questa storia la avevo scritta per uno scambio di fanfic-fanart natalizie per lo Slayers Again Forum…^^ “E perché non l’hai postata prima?” direte voi... “Perché non ci ho pensato prima” rispondo io. XD Ma di recente la “committente” della fic mi ha chiesto di averne nuovamente una copia, e ho pensato di approfittarne per metterla on line. Un piccolo omaggio ai fan di Amelia e Zel. ^^
…e
nooooooo, non è un tentativo di distrarvi dal fatto che non aggiorno la mia fic
lunga da secoli, nooooo… XDDDDDDD (la aggiornerò prima o poi, prometto…ç_ç Ho
pure in mente una serie di oneshot, almeno per quelle la nuova serie mi ha
ispirato…XDDD)
Buona
lettura ^^
“E che ore saranno, ora?”
Zelgadiss levò lo sguardo dal libro, lo portò al sole, lo spostò sul profilo della sua compagna di viaggio. Ed emise un profondo sospiro.
Da più di due ore Amelia si trovava in piedi, poggiata alla sagoma di quell’albero, con le braccia incrociate al petto. Continuava a fissare senza requie il sentiero che, di fronte a loro, si biforcava in due rami, diretti rispettivamente alla costa e alla città ducale di Tellaria. La chimera provava una certa ammirazione per la sua costanza. Per quel che lo riguardava, dopo i primi cinque minuti di attesa aveva perso la pazienza, e aveva ceduto all’impulso di sedersi sul suolo gelido, per dedicarsi alla lettura di uno dei nuovi volumi che appesantivano la sua borsa da viaggio.
“Suppongo che siano due minuti dopo le ore che erano due minuti fa.” Replicò, stancamente, tornando a fissare lo sguardo sul testo. Le rune tracciate in inchiostro nero su cui si stava concentrando in quel momento narravano una affascinante storia non ufficiale del regno di Sailune. Un’altra mezz’ora, e avrebbe terminato la sezione dedicata agli studi dei sacerdoti non allineati con la corte…
“Zelgadiss-san!”
La chimera sussultò e levò lo sguardo. La principessa gli si era avvicinata, senza che nemmeno se ne accorgesse, e ora incombeva su di lui, con sguardo minaccioso.
“Cosa…?” Domandò, sulla difensiva.
“Non riesco a credere che tu non sia preoccupato!” Amelia si portò le mani ai fianchi, osservandolo con stizza. “Quando ci siamo divisi, questa mattina, eravamo d’accordo di ritrovarci qui al bivio per Tellaria due ore fa! Non pensi anche tu che possa essere accaduto loro qualcosa?”
Zel sospirò, e levò gli occhi al cielo. “Amelia, ti ho già detto cosa ne penso. Se anche non fossi convinto che sia scientificamente impossibile uccidere Lina e Gourry, non sarei preoccupato per loro. Li conosci. Avranno trovato una pista per rintracciare qualche banda di banditi, o qualche osteria che serve un piatto tipico locale che non hanno ancora provato, e si saranno completamente dimenticati di noi.” Si strinse nelle spalle. “Secondo me faremmo bene a proseguire fino al prossimo villaggio e trovarci un alloggio, prima che scenda la notte. Alla peggio, li ritroveremo lì domani.”
Amelia scosse la testa, con veemenza. “Non puoi pensarlo veramente!” Levò gli occhi, il pugno destro stretto in una morsa, e il bagliore della giustizia le illuminò istantaneamente lo sguardo. “Siamo loro amici. E’ nostro dovere non avere pace fino a che non sapremo che sono salvi!” Abbassò lo sguardo su di lui. “E poi, lo sai che Lina- san è una calamita per i guai. Ero un po’ stupita che non fosse ancora accaduto nulla di strano nel corso di questo viaggio.”
Zelgadiss ci rifletté. “Questo è vero.” Concordò. “In effetti, ho pensato che tuo padre stesse sfidando la legge della probabilità, quando la ha ingaggiata come guardia del corpo.”
Amelia era stata invitata, come rappresentante della corte di Sailune, a partecipare ai festeggiamenti per il matrimonio di uno dei vassalli di Eldoran, in un ducato nella parte occidentale del regno. Zelgadiss non era nuovo alla consuetudine di svolgere incarichi per Philionel, da quando grazie al braccialetto incantato con il Vision Spell che Amelia gli aveva regalato si teneva in contatto costante con lei, e in quella occasione il principe gli aveva affidato il compito di accompagnarla a destinazione. Lina e Gourry inizialmente non erano contemplati nel piano, ma dal momento che, circa un mese prima, si erano trovati a Sailune per fare visita ad Amelia, Philionel aveva chiesto loro se desiderassero fare le veci della scorta della figlia. Erano partiti da Sailune da più di una settimana, e mancavano ormai solo un paio di giorni di cammino all’arrivo. Il viaggio era stato più che tranquillo, come del resto si erano aspettati, muovendosi nei territori di Sailune. Ma con Lina coinvolta, in effetti, non era irragionevole pensare che un qualche tipo di cataclisma li stesse attendendo dietro l’angolo.
“Beh…in realtà è stata lei a offrirsi volontaria.” Replicò Amelia, grattandosi la guancia. “Sai… lei e Gourry-san erano al verde, in più le ho detto che il banchetto di nozze sarebbe durato per tre giorni…” La sua ansia parve rinnovarsi. “Capisci perché sono preoccupata? Tre giorni di banchetto. Credi che quei due si dimenticherebbero di una cosa del genere?”
Si guardarono negli occhi, per un istante.
“D’accordo.” Concluse la chimera. “Potresti avere ragione.”
Amelia non parve acquietata da quella ammissione. “Che facciamo, allora?”
Zelgadiss sospirò. E dire che era stato felice di poter passare una mezza giornata di tranquillità in compagnia della principessa. “Proviamo a tornare in città.” Propose alla fine, in tono sconfitto. “E’ lì che li abbiamo visti per l’ultima volta. Forse potremo trovare qualche indizio su dove siano andati a cacciarsi.”
Si alzò lentamente e la precedette sul sentiero. Un tratto di bosco li separava dalla distesa di campi che circondava le mura della città di Meryl. Era lì che si erano divisi, quella mattina. Lina doveva recarsi nel quartiere commerciale per vendere alcuni oggetti che aveva raccolto nel corso della sua ultima scorreria fra i banditi, e Zel aveva deciso di impiegare quel tempo per una visita alle librerie della città. In teoria, l’accordo prevedeva di ritrovarsi dopo l’ora di pranzo e avanzare fino al crepuscolo. Ma quando mai un programma veniva rispettato, quando c’era di mezzo Lina?
“Quanto meno, se è accaduto qualcosa in città, lo scopriremo presto.” Sospirò Zel, avanzando con passo stizzito lungo il sentiero. “Una verità universale è che ciò che riguarda Lina e Gourry avviene in modo appariscen…” La chimera si bloccò, a mezza frase. Arrestò la sua falcata e aguzzò l’udito, lo sguardo puntato verso uno degli angoli in ombra della foresta ai lati della strada.
Amelia, che non si era aspettata quell’arresto improvviso, rischiò di caracollargli sulla schiena. “Zelgadiss- san?” Seguì con lo sguardo la direzione in cui erano puntati gli occhi di Zel, evidentemente senza comprendere cosa lo avesse distratto.
“Mi era parso…” La chimera si bloccò, nuovamente. “No, eccoli ancora. Sento dei rumori di lotta.”
“Eh?” Amelia batté le palpebre. “Ne sei sicuro?”
Zel si limitò ad annuire. “Dev’essere più o meno a un chilometro da qui.” Si volse verso di lei. “Potrebbe trattarsi di Lina e Gourry. Forse è meglio andare a vedere.”
Il fervore catturò nuovamente il volto di Amelia. “Ma certo!” Si illuminò. “E se anche non fossero loro, chiunque sia potrebbe avere bisogno dell’intervento di due paladini della giustizia!”
Zel si chiedeva da quando esattamente Amelia lo avesse incluso nel numero dei paladini della giustizia. Ma suppose che non fosse il caso di addentrarsi nel discorso in quel momento.
Afferrò la mano di Amelia e… “Ray Wing!” Recitò. In un istante, furono entrambi
sollevati in aria. Con la coda dell’occhio, vide che la principessa preparava
una formula a fior di labbra, segno che doveva aver colto la sua tacita
esortazione: sarebbe stato necessario procedere a un attacco veloce, nel caso i
nemici che si fossero trovati ad affrontare fossero stati più pericolosi del
previsto… se fossero stati Mazoku, ad esempio.
Ma quando, nel giro
di pochi secondi, furono in vista di ciò che Zel aveva udito, la chimera si
rese conto che non solo Lina e Gourry non erano coinvolti, ma che lo scenario
era molto più banale di quanto avesse contemplato nei suoi timori.
Una ragazza era
impegnata in quella che aveva tutta l’aria di una lotta per la sopravvivenza,
contro un gruppo di quattro guerrieri. La schiena premuta contro il tronco di
un albero, li teneva a distanza con la sola minaccia delle sue dita protese, in
una postura da incantesimo. Il suo aspetto era indubbiamente attraente. La sua
pelle chiara, quasi eterea, era imperlata di sudore e i lunghi capelli biondo
crema le ricadevano in ciocche disordinate sulle spalle, ma le sue vesti da
sacerdotessa esaltavano quella che sembrava una naturale eleganza nella
postura. Tuttavia, era evidente che era stremata. Non avrebbe potuto portare a
compimento la formula che teneva pronta. Non aveva ferite visibili, ma pareva
reggersi in piedi a malapena.
“E’ inutile che tu
opponga resistenza!” Le stava gridando uno dei guerrieri. “Devi tenere fede al
contratto che hai sottoscritto!”
“Quel… contratto…
era menzognero.” Si sforzò di rantolare la ragazza, in risposta. “Se avessi
saputo… che cosa realmente il vostro signore mi avrebbe
chiesto, non avrei mai accettato.”
“Le tue rimostranze
ora non hanno valore.” Le rispose il guerriero. “Se non hai intenzione di
mantenere la parola data, dovrai prepararti a seguirci con la forza.” A quelle
parole, tutti e quattro i combattenti levarono le spade. Amelia, al fianco di
Zel, sussultò.
“Zelgadiss- san!”
Sibilò. “Dobbiamo aiutarla!”
La chimera sospirò.
Era stato sul punto di suggerire di lasciar perdere, dal momento che la cosa
non li riguardava… ma supponeva che fosse stato sciocco anche solo pensarlo,
trovandosi a fianco di Amelia.
Atterrò al suolo
alle spalle dei guerrieri, e non fece in tempo a rilasciare l’incantesimo, che
la principessa si era già fatta avanti.
“Ehi, voi!” Gridò,
puntando il dito contro gli armati. “E’ troppo comodo prendersela in quattro
con una ragazza stremata! Gettate immediatamente quelle spade!”
I guerrieri si
volsero, colti di sorpresa (non dovevano essere poi granché come combattenti –
considerò Zelgadiss – dal momento che non li avevano nemmeno sentiti arrivare).
Quello che aveva discusso con la sacerdotessa un istante prima – il capo,
presumibilmente – inarcò le sopracciglia e fissò Amelia con lo stesso sguardo
che probabilmente avrebbe riservato a un qualche fenomeno da baraccone giunto a
chiedergli l’elemosina.
“E tu chi diavolo
saresti?” Chiese, agitando la spada a rimarcare le proprie parole. “Fila a
giocare al principe azzurro e alla principessa da salvare da un’altra parte,
mocciosa.”
Ahi. Nella scala di
valori di Amelia, c’era solo un demerito maggiore rispetto all’aggredire
persone indifese nella foresta: aggredire persone indifese nella foresta E
dileggiare una paladina della giustizia.
“Come osi???”
La principessa
scattò in avanti, recuperando la formula che aveva iniziato a recitare in volo.
Zelgadiss considerò per un momento l’idea di aiutarla, ma finì per rinunciare
al proposito, e rimanere appoggiato a un albero a osservare la scena. C’erano
alcune occasioni in cui sprecare forze era tanto inutile da apparire quasi
ingiusto.
La battaglia finì
in fretta quanto era cominciata, con quattro guerrieri armati in fuga. Come
previsto. Non appena la foga della lotta si fu spenta, Amelia non perse tempo,
e corse in soccorso della sacerdotessa. “State bene, signorina?”
La giovane, quasi a
tenerla in piedi in precedenza fosse stata solo l’adrenalina, abbassò la mano
con cui era stata sul punto di lanciare un incantesimo, e si accasciò al suolo.
“Signorina!” Amelia
scattò in avanti. La afferrò per le spalle, per adagiarla contro il tronco
dell’albero, e provò a scuoterla lievemente. Tuttavia, pareva aver già perso i
sensi.
Zelgadiss le
raggiunse, inginocchiandosi al fianco di Amelia. “Ti sembra ferita?” Domandò.
“Sembra piuttosto
incredibilmente debilitata.” Replicò la principessa, che la stava esaminando,
ascoltandole il polso con le dita. “Non capisco. Sono stati l’inseguimento e la
lotta con quegli uomini a ridurla in questo stato?”
“In ogni caso, è
meglio riportarla al tempio, in città. Non possiamo abbandonarla qui, e laggiù
la cureranno nel modo più opportuno.”
Amelia si volse
verso di lui e lo fissò, vagamente stupita.
Zel spostò il peso
da una gamba all’altra, a disagio. “Che c’è?” Borbottò, arrossendo senza
particolare motivo. “Lo so che arrivare fino al tempio è una perdita di tempo.
Ma se non lo avessi suggerito io tu avresti voluto farlo comunque, o sbaglio?”
Le labbra di Amelia
si incurvarono in un mezzo sorriso, ma la principessa non fece commenti. “Puoi
aiutarmi a sorreggerla?” Propose invece. “Se usiamo il Raywing ci metteremo un
secondo ad arrivare.”
Il tempio si
trovava nella parte settentrionale della città, sul lato opposto rispetto al
punto in cui si erano fermati per attendere Lina e Gourry. Nel sorvolare
l’abitato, prestarono attenzione a eventuali tracce dei loro compagni, o
eventualmente di devastazioni che potessero segnalare il loro passaggio, ma la
vita della popolazione sembrava scorrere tranquilla come quando Zel e Amelia
avevano abbandonato la città, qualche ora prima. Se a Lina e Gourry era
accaduto qualche guaio, esso non doveva aver lasciato tracce evidenti.
Ruppero
l’incantesimo a pochi metri dalla loro destinazione, atterrando di fronte ai
portali d’accesso. Il tempio, una struttura imponente dalle eleganti mura
bianche, constava di due edifici, uno preposto ai riti e l’altro ai dormitori
delle sacerdotesse. Era circondato da un ampio giardino, e dal portale esterno
Zel poteva intravedere, nel cortile antistante gli alloggi, un gruppo di
giovani apprendiste che si addestrava ad una qualche magia difensiva. Per il
resto, in giro non si vedeva anima viva.
“Vado a cercare
qualcuno.” Amelia gli abbandonò la sacerdotessa fra le braccia, e lo precedette
attraverso il portale. “Dovremo almeno spiegare la situazione a una delle
sacerdotesse anziane, prima di tornare a cercare Lina e Gourry…” Ma prima che
potesse avanzare all’interno del giardino, una voce risuonò dalla loro
sinistra, facendola bloccare sui suoi passi.
“Posso esservi
d’aiuto?”
Sia Zel che Amelia
si volsero. Una donna di mezza età, dalla corporatura slanciata e dai capelli
bianchi raccolti in una elegante crocchia, avanzò verso di loro dalla
vegetazione a ridosso delle mura del tempio. Era avvolta in una veste da
sacerdotessa ricca di insegne, segno che doveva godere di una qualche autorità
all’interno del tempio. Apparentemente, era stata intenta a raccogliere qualche
tipo di erba – presumibilmente curativa – dal giardino. Aveva le mani coperte
da guanti, e reggeva nella mano sinistra una piccola borsa di stoffa e un paio
di cesoie.
“Oh… ” Amelia si
fece avanti, rivolgendole un breve inchino. “… in effetti, signora, siamo qui
per…”
Ma la principessa
non fece in tempo a terminare. La sacerdotessa si era accorta della giovane
svenuta fra la braccia di Zelgadiss, e aveva emesso un sommesso. “Oh.” Le sue
sopracciglia si arcuarono per la sorpresa, ma presto lo stupore lasciò spazio
al sospetto. Fissò in volto Zelgadiss, e quando si accorse delle sue fattezze
da chimera la sua diffidenza parve aumentare. “Che cosa significa, questo?”
Domandò, senza più traccia di cordialità nella voce.
Ad Amelia non era
sfuggita l’occhiata che la sacerdotessa aveva rivolto al suo compagno. La sua
fronte si aggrottò impercettibilmente e, quando riprese la parola, il suo tono
di voce suonò molto più duro che in precedenza.
“Sono la
principessa Amelia El Tesla Sailune.” Dichiarò, come prima cosa, come solo
quando desiderava intimidire qualcuno era solita fare. Estrasse il sigillo che
Philionel le aveva consegnato e lo mostrò alla sacerdotessa, che
nell’osservarlo ebbe un visibile sussulto. “Mi sono trovata a passare dalla
vostra città, insieme alla mia guardia del corpo, per dirigermi alla corte del
duca di Tellaria, in veste di inviata di mio padre alle sue nozze. Mentre
attraversavo il bosco mi sono trovata a soccorrere una delle vostre
sacerdotesse, che era stata aggredita da alcuni mercenari. Ha perso i sensi, ed
è visibilmente esausta. Ho pensato di ricondurla qui, in modo che potesse
riposare al sicuro.”
“P… principessa
Amelia!” Abbandonata ogni diffidenza, la sacerdotessa si piegò in un profondo
inchino. “Come… come è stato generoso da parte vostra! Aspettate… lasciate che
vi conduca dalla Grande Sacerdotessa! Sono certa che vorrà ringraziarvi di
persona per il servigio che magnanimamente ci avete reso.”
“Amelia…”
Intervenne Zel. “Ricorda che dobbiamo ancora trovare Lina e Gourry… non
possiamo perdere tutta la giornata qui.”
La principessa
annuì, brevemente. “Il mio compagno di viaggio ed io siamo di fretta.” Replicò,
in tono fermo. “Potete portare voi i miei saluti alla Grande Sacerdotessa? E
assicurarvi che la ragazza che abbiamo salvato riceva ogni cura?”
“Mi permetto di
insistere, mia signora.” L’anziana donna scosse la testa, scoccando un’altra
occhiata ostile a Zelgadiss. “Non è un evento che accade tutti i giorni, avere
l’onore di ricevere una visita della nipote del nostro beneamato sovrano. Sono
certa che la Grande Sacerdotessa sarebbe estremamente delusa se, pur trovandovi
qui, non voleste concederle il privilegio di ricevervi.”
Amelia parve
indecisa, ma alla fine emise un debole sospiro. Rivolse un breve sguardo di
scusa a Zelgadiss, prima di concedere, sconfitta. “E sia. Ma ho tempo solo per
una visita breve.” Si rivolse nuovamente alla chimera. “Zelgadiss- san, che ne
dici di aspettarmi qui fuori? Non ci metterò molto, in ogni caso.”
Zel fu estremamente
grato ad Amelia, per quella proposta. L’idea di entrare in un luogo zeppo di
sacerdotesse che non attendevano altro che lanciargli occhiate inorridite per
il suo aspetto da chimera non gli sorrideva per niente. “Mi siederò nel prato
fuori dalle mura e leggerò il mio libro mentre ti aspetto.” Assentì, con un
breve cenno del capo. Attese fino a che la sacerdotessa anziana non ebbe
mandato a chiamare assistenza per la ragazza che avevano salvato, quindi
osservò Amelia sparire fra le pareti candide del tempio.
Passò poco più di
un’ora, prima che tornasse. Le giornate invernali erano brevi, e quando
Zelgadiss la vide emergere dai portali che immettevano nei giardini il cielo a
oriente aveva già iniziato a scurire.
“Scusa il ritardo,
Zel-san.” Esordì, raggiungendolo. “La chiacchierata con la Grande Sacerdotessa
ha richiesto più tempo del previsto.”
L’espressione cupa
e pensierosa sul volto della principessa lo fece accigliare. “C’è qualcosa che
non va?” Domandò, con vaga preoccupazione.
Amelia scosse la
testa. “Non proprio.” Replicò. “Cioè, non è accaduto nulla di male a me, ma… ho
raccontato alla Grande Sacerdotessa in che circostanze abbiamo salvato quella
ragazza, e quello che mi ha risposto mi ha dato un po’ da pensare…”
La fronte di Zel si
aggrottò ulteriormente. “Ovvero?”
“Ha detto che la
ragazza aveva lasciato ufficialmente il tempio da circa una settimana. A quanto
pare, era stata chiamata ad entrare come guaritrice al servizio di un uomo di
nome Roguard… l’erede di un grosso impero mercantile, che risiede poco fuori
dalla città di Meryl. La Grande Sacerdotessa ha detto che le aveva sconsigliato
di accettare l’incarico, perché quell’uomo non gode di una buona reputazione,
ma, a quanto pare, lui la ha lusingata tanto da farla cedere.” Indietreggiò, mentre Zel si rialzava e si
ripuliva dalla polvere del terreno. “Quella ragazza era piuttosto rinomata in
città per la sua bellezza. Pare che per lei fosse un grosso motivo di vanto.”
Proseguì quindi. “Se ho ben compreso, Roguard ha fatto leva su questo, per
convincerla.”
La chimera digerì
quelle informazioni per un momento, pensieroso, prima di avviarsi lungo la
strada che conduceva fuori città. “E per quale motivo quel mercante ha una
brutta reputazione?”
Amelia si morse il
labbro, mentre gli si affiancava. “E’ proprio quello che la Grande Sacerdotessa
mi ha detto su di lui a preoccuparmi. Mi ha raccontato che è un uomo sempre
pronto a lusingare i potenti, per vivere nel riflesso della loro autorità. Che
la sua aspirazione più grande è quella di acquisire un titolo nobiliare, e che
si vocifera che sia pronto ad ogni mezzo, per ottenerlo.”
Zelgadiss si
accigliò. “E tu temi che possa arrivare a minacciare l’autorità del duca
nominato da tuo padre?”
La principessa
sospirò. “In parte sì, ma… non è questo. Vedi… prima di tornare da te, sono passata
a vedere come stava la sacerdotessa che abbiamo salvato, ma la ho trovata
ancora profondamente addormentata. E’ troppo priva di energie per essere
forzata a svegliarsi ora, mi hanno detto. E appare tanto deperita che le stanno
facendo assumere il cibo a forza.”
“E…?”
“Beh… per tutto il
tempo in cui sono rimasta in sua presenza… ha continuato a parlare nel sonno. O
a delirare, piuttosto. Ripeteva che qualcuno la stava torturando, per catturare
la sua essenza. Che se fosse andato avanti così, avrebbe finito per ucciderla.”
Zelgadiss rimase in
silenzio, per qualche istante. “Pensi… che ricordasse quello che è successo
presso quel mercante, non è così?”
Amelia annuì. “Ci
ho pensato, e… Zel- san, ti ricordi di quello che era successo ad Atlas, quando
Halcyform ha cercato di risucchiare la nostra energia vitale? E Lina- san poi
ci ha spiegato che esistono forme estremamente complesse di magia nera che
permettono a un essere umano di assorbire le capacità, le energie e le conoscenze di un altro individuo…”
Zelgadiss spalancò
gli occhi. “Tu credi che…”
La principessa gli
restituì uno sguardo ansioso, che valeva come un assenso. “E’ un modo come un
altro per accumulare potere… e meno pericoloso del radunare un esercito. Mio
padre interverrebbe subito di fronte a qualsiasi forma di attività militare
sospetta, ma in questo modo… quella ragazza è riuscita a fuggire, ma immagina
quante altre persone, maghi, sacerdoti o guerrieri capaci avrebbero potuto
sparire all’interno della sua villa senza che nessuno se ne rendesse conto.”
Zelgadiss si
accigliò. “Non so se hai ragione, ma di certo nella sua casa sta avvenendo
qualcosa di poco chiaro. Quella ragazza sembrava terrorizzata.”
Amelia tacque, per
un secondo. Quindi il suo mento tremolò, e le sue labbra divennero una linea
sottile. “Zel-san.” Esordì, in un tono che sembrava foriero di presagi oscuri.
“E se… e se ciò che ho supposto fosse vero, e quell’uomo fosse venuto a sapere
che in città erano presenti due combattenti abili e famosi come Lina- san e
Gourry- san…”
Zelgadiss si bloccò
sui suoi passi. Un brivido lo attraversò. “… potrebbe averli attratti con
l’inganno alla sua villa, per cercare di ‘assorbire’ anche loro!”
Amelia annuì,
mordendosi il labbro. “Sì… è quello che temo anche io.”
“Ma… anche se fosse
accaduto, credi che si sarebbero lasciati sconfiggere così facilmente?”
“Non lo so,
Zelgadiss-san… non sono sprovveduti, ma non sapevano nulla di questa storia. Di
certo deve averli colti di sorpresa. E non siamo certi di quanto potere
quell’uomo abbia accumulato… potrebbe essere un avversario più pericoloso di
quanto pensiamo.”
Si fissarono in
silenzio, per un secondo, mentre la mente di Zelgadiss lavorava freneticamente
in cerca di una soluzione. E la soluzione era soltanto una.
“D’accordo… dove si
trova la villa di quell’uomo?”
Amelia sospirò e
annuì, concordando silenziosamente con la sua scelta. “Poco a Sud di qui. La
Grande Sacerdotessa mi ha detto che, se proseguiamo lungo la strada per
Tellaria, superato il bosco la incontreremo sulla nostra sinistra.”
Si avviarono in
silenzio. Il crepuscolo aveva ormai calato un manto scuro sul panorama, e il
colore azzurro intenso del cielo pomeridiano aveva lasciato spazio a un gelido
blu violaceo, puntellato dalle luci bianche delle stelle. A Meryl i maghi addetti
al servizio cittadino avevano già provveduto a lanciare i loro Lighting sui
lampioni ai bordi delle strade, ma il sentiero attraverso il bosco era buio e
silenzioso. Gli unici rumori ad echeggiare nell’oscurità erano il canto lontano
di un uccello notturno, e lo stormire dei rami degli alberi, in risposta al
vento. Zelgadiss pensò con rimpianto alla camera di locanda in cui avrebbe
potuto cercare privacy e tranquillità in quel momento, se in quella giornata
tutto fosse andato liscio. Era abituato a programmare il proprio tempo da solo
e in funzione delle proprie esigenze. Gli imprevisti e le deviazioni dal
programmato erano più che seccanti, per lui: gli lasciavano addosso un senso di
impotenza, di incapacità di controllo, che da quando aveva subito la trasformazione
da Rezo gli risultava estremamente difficile sopportare.
Eppure, sapeva che
avrebbe accompagnato Amelia e che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutare
Lina e Gourry. Non aveva alcuna esitazione in merito. Nonostante il suo
carattere, Zel aveva trovato un suo spazio in quello strano gruppo, i cui
variamente assortiti membri avevano in comune proprio la strana predisposizione
a infrangere qualsiasi tipo di programma, o schema. E ci si trovava bene. Non
lo avrebbe mai ammesso, di fronte a loro, ma quelle persone avevano
probabilmente fatto più di chiunque altro per lui, in quegli anni: gli avevano
insegnato a contare di nuovo su qualcuno di diverso da se stesso. Questo non
era certo bastato a trasformarlo nella persona più affabile e socievole del
mondo. Ma nei momenti in cui contava davvero, come quelli di emergenza, era
pronto a dimostrare loro tutta la propria lealtà.
“Zelgadiss- san…”
Esordì Amelia, quando avevano ormai raggiunto il limitare del bosco. “… e se…
arrivassimo troppo tardi?”
“Quella ragazza era
partita da una settimana e la sua energia non era stata ancora completamente
assorbita, quando è riuscita a fuggire.” Replicò Zel, fermo. “E sono certo che
non possedesse nemmeno lontanamente un livello di abilità pari a quello di Lina
e Gourry. In più…” Si volse verso Amelia, con fare di rassicurazione. “Ce ne
vuole, per abbattere quelle due teste dure. E se te lo dice un pessimista come
me, puoi star certo che non ci sia da preoccuparsi.”
Le labbra di Amelia
si incurvarono in un lieve sorriso, a quelle parole. Non era certo l’attività
che a Zel riusciva meglio, rassicurare chi gli stava a fianco. Ma la sincera
gratitudine che trapelò dall’espressione di Amelia per quelle parole di
conforto gli provocò una piacevole sensazione di calore allo stomaco. A Zel
piaceva, vedere Amelia sorridere. La capacità di affrontare ogni cosa con
allegria ed energia, nonostante anche lei avesse conosciuto la sofferenza –
quella capacità che in fondo a lui mancava – era l’aspetto che più lo
affascinava del carattere della ragazza che aveva a fianco.
Avrebbe voluto
aggiungere qualcosa per scatenare ancora quella reazione, forse, ma non ne ebbe
il tempo. Il sentiero era ormai sbucato al di fuori degli alberi, e dopo un
paio di svolte, come la Grande Sacerdotessa aveva previsto, si trovarono a
fronteggiare, lievemente scostata rispetto alla strada, la sagoma imponente di
una villa signorile. Un viale alberato conduceva all’ingresso, illuminato da
lampade. Da molte delle innumerevoli finestre della facciata proveniva una luce
soffusa, e le pareti, di un bianco candido, emanavano un vago riverbero, alla
luce della luna.
“Forse faremo
meglio ad aspettare che sia notte fonda, prima di cercare di intrufolarci
all’interno. A quest’ora i servitori staranno preparando la cena, e la casa
sarà in piena attività. Dubito che potremmo fare molta strada, prima di farci
scoprire.”
“Zelgadiss- san!”
Amelia sbottò, al suo fianco, evidentemente contrariata. La chimera si volse
verso di lei, senza capire.
“Che ho detto di
male?”
“Noi non ci intrufoliamo!” Replicò la principessa, perentoria. “Non siamo dei ladri!”
Zelgadiss sospirò.
“E che cosa vorresti fare, allora? Bussare alla porta e chiedere a Roguard
‘scusa, hai rapito tu i nostri amici per farne un bel cocktail di energia
vitale’?”
Amelia incrociò le
braccia al petto. “Era proprio quello che avevo intenzione di fare.”
La chimera levò gli
occhi al cielo. “Amelia…”
Ma lei scosse la
testa, senza lasciarlo terminare. “Finora su quest’uomo abbiamo solo sentito
delle voci e fatto delle supposizioni. E’ innocente, fino a prova contraria.”
Dichiarò. “Se mi mettessi a irrompere in casa sua non sarei meglio di lui.
Voglio affrontarlo a viso aperto, come è giusto e onorevole fare.”
Zel sbuffò. Tendeva
a preferire l’astuzia agli scrupoli. “Non scopriamo subito le carte, quanto
meno.” Concesse, tuttavia, conscio del fatto che Amelia non avrebbe cambiato
idea. “Facciamoci invitare in casa sua con una scusa e cerchiamo di capire che
tipo di persona sia. Se i nostri sospetti sembreranno avere un fondamento,
allora potremo agire contro di lui senza farci remore. Se lo accusiamo subito,
perderemo ogni vantaggio su di lui e rischieremo di trovarci a combattere prima
di aver capito dove cercare Lina e Gourry.”
Amelia si accigliò.
“Mi sta bene, ma…” Esitò. “… come pensi che potremmo fare a farci invitare in
casa sua senza un motivo?”
Zelgadiss si esibì
in un mezzo sorriso. “Prestami il tuo sigillo e lascia parlare me.” Suggerì.
“Se ho capito il tipo di persona con cui avremo a che fare, basterà dire la
verità.”
Senza aggiungere
altro, sollevò il cappuccio del mantello, e si avviò lungo il viale che
conduceva al portale d’accesso della villa. I cortili erano silenziosi e
deserti, a quell’ora della sera, e la facciata dell’abitazione, con le sue
finestre ad arco avvolte nella luce violacea dell’esterno, aveva un che di
spettrale.
Raggiunse il
battente (un pezzo di ottone di pessimo gusto, a forma di testa di drago) e
bussò, ripetutamente. Bastarono pochi secondi perché la porta scivolasse verso
l’interno, e dall’oscurità emergesse la figura scarna di un anziano servitore.
“Sì?” Domandò, con
voce atona, scrutandoli con occhi cerchiati e avvolti da una fitta ragnatela di
rughe.
“Perdonate
l’orario.” Esordì Zel, in tono altrettanto neutro. “Mi chiamo Zelgadiss
Greywords, e sono la guardia del corpo personale della qui presente principessa
Amelia El Tesla Sailune.” Levò il sigillo reale, che scintillò alla luce delle
torce. “Viaggiavamo con il resto della sua scorta, ma caso ha voluto che ce ne
separassimo. Il buio ci ha sorpresi, e ora temiamo di esserci smarriti. Ci
chiedevamo se gli abitanti di questa casa sarebbero stati tanto cortesi da
indicarci la strada per la città o per la locanda più vicina, o un qualsiasi
luogo in cui sia possibile trascorrere la notte.”
Zel era piuttosto
soddisfatto del tono servile che era riuscito a produrre. Tuttavia, non era
certo che il servitore fosse riuscito a udire molto di quanto aveva pronunciato
dopo le parole ‘Amelia El Tesla Sailune’. Il suo sguardo, prima vacuo, si era
come acceso, al suono di quel nome. Aveva l’aria della persona che si è appena
trovata di fronte all’occasione della vita.
“Miei signori…”
L’uomo anziano si esibì in un inchino, e si rivolse loro con fare decisamente
più ossequioso che in precedenza. “… credo di poter parlare a nome del mio
padrone nel dire che siete i benvenuti in questa umile dimora. Vi offriremo
cibo, ristoro e le nostre migliori stanze per la notte. Aiutare un membro della
famiglia reale in difficoltà… è un onore che va oltre qualsiasi nostra
possibile aspettativa.”
“Davvero generoso.”
Replicò Zelgadiss scambiando una breve occhiata con Amelia. “La principessa e
la casata reale di Sailune vi saranno debitrici, per questo.”
Quelle parole non
fecero che esaltare ulteriormente l’umore del servitore. Si fece da parte, per
permettere loro di entrare, e fece loro strada nell’atrio. L’ambiente era
soffusamente illuminato da torce, e Zelgadiss ebbe un istante per contemplare i
quadri e i busti appesi alle pareti. Ne ricavò un impressione non dissimile da
quella che aveva ricevuto dal battente: un gusto decisamente pacchiano.
“Seguitemi, prego.”
Si incamminarono di
seguito al servitore attraverso un lungo corridoio. Lo decoravano arazzi dai
colori sgargianti e, intervallate alle porte che vi si immettevano, una serie
di statue antropomorfe in marmo dipinto, tanto realistiche da apparire quasi
inquietanti. Quando ne uscirono, sbucando in una sala circolare senza finestre
e dalle pareti costellate di porte chiuse, Zel si trovò a trarre un
involontario sospiro di sollievo.
“Vi prego di
attendere qui per un istante, miei signori.” Li invitò il servitore. Si
affrettò verso il lato opposto della stanza,
e sparì dietro una spessa porta in mogano.
Amelia si avvicinò
a Zel, non appena l’uomo fu scomparso, e gli rivolse un’occhiata stupita.
Sembrava ammirata della esattezza delle sue previsioni. “Immaginavi che Roguard
ci avrebbe ospitato per assicurarsi i favori di mio padre, non è così?”
Domandò.
Zel annuì,
vagamente compiaciuto. “La gente è tutta uguale, quando si trova di fronte a
una qualche autorità. Anche quando mi capitava di viaggiare con Rezo era lo
stesso: al suono del suo nome, ogni riserva spariva. Da quanto mi avevi detto
di questo mercante, era difficile pensare che sarebbe stato da meno.”
Amelia ci rifletté.
“Immagino che tu abbia ragione.” Rabbrividì, lievemente. “Questo posto ha un
che di inquietante, vero? Quelle statue…”
“So cosa intendi.”
Annuì Zel. “C’è un limite oltre il quale il cattivo gusto diventa letteralmente spaventoso.”
La principessa gli
rivolse un breve sorriso, ma non ebbe tempo di replicare. In quel momento, la
porta da cui il servitore era uscito si aprì nuovamente, e il loro ospite fece
il suo ingresso nella stanza.
Zelgadiss rimase
piuttosto colpito dalla sua figura. Era più giovane di come lo avesse
immaginato – sulla trentina, forse – e in qualche modo affascinante. La sua
figura slanciata risultava aggraziata, i suoi occhi erano di un peculiare
azzurro cielo e i capelli castano scuro, lasciati ricadere lunghi sulle spalle,
apparivano morbidi e lucenti. A rovinare l’insieme era più che altro il suo
modo di vestire: era avvolto in una ampia veste bianca da casa, decorata a
motivi dorati, che ricalcava in pieno lo stile poco sobrio dell’arredamento
della sua casa.
“Principessa
Amelia!” Avanzò a grandi falcate e, ignorandolo completamente, si avventò sulla
sua compagna di viaggio. Le prese la mano, e se la portò alle labbra,
ammiccando con le lunghe ciglia. “Quando il mio servitore mi ha detto che vi
trovavate qui, non potevo crederci. Quale incredibile onore.”
“Ehm…” Amelia
allontanò le dita, a disagio. “… vi ringrazio per la vostra ospitalità
signor…?”
“Roguard. Rufus
Roguard. Per voi Rufus, mia signora.” Si piegò in un profondo inchino. “Vi
prego, lasciate qui le vostre borse da viaggio, i miei servitori provvederanno
immediatamente ad allestire le vostre stanze. Ho già dato disposizioni perché
venga aggiunto un posto alla mia tavola, per l’ora di cena. La mia casa è anche
la vostra.”
Amelia e Zelgadiss si
scambiarono una breve occhiata.
“Se non è chiedere
troppo alla vostra ospitalità, signor Roguard…”
“Rufus, mia
signora.”
“… Rufus, gradirei
che anche la mia guardia del corpo venisse ammessa alla tavola. Sapete, mio
padre si è raccomandato che non mi sottraessi alla sua protezione in nessuna
occasione. E per lo stesso motivo, se fosse possibile, gradirei che ci fossero
assegnate stanze comunicanti… nulla di troppe pretese, chiaramente. Non vorrei
arrecarvi disturbo.”
Il mercante
indirizzò a Zelgadiss un’occhiata vagamente infastidita. Zel fece del suo
meglio per contenere l’espressione sprezzante che aveva preso forma sul suo
viso alle parole di Amelia.
Insomma, non era un
atteggiamento adulto e razionale.
“Ovviamente, mia
signora.” Concesse Roguard, sorridendo a denti stretti. “Due posti in più, allora. E due stanze comunicanti.”
Quindi si interpose
fra Zel e Amelia, e prese familiarmente la principessa sotto braccio. A
Zelgadiss, per qualche motivo, il sangue prese improvvisamente a ribollire
nelle vene.
“Mia signora, ora
non vorrei risultarvi eccessivamente impudente…” Riprese il mercante, prendendo
a condurre una principessa visibilmente a disagio verso la porta in mogano.
“Ma… vi hanno mai detto che avete un aspetto davvero splendido? Voglio dire… ho
capito al primo sguardo che avete quel qualcosa in più che la sola bellezza non
è in grado di conferire all’aspetto di una donna… voi… avete la regalità, ecco.”
“Ehm… io vi
ringrazio, ma…”
“No, dico sul
serio, mia signora, non prendetela come una lusinga. Lasciatevelo dire da
qualcuno che ha un affinato gusto per l’arte e per il bello.”
‘Oh, ti prego.’
Zelgadiss si trattenne a stento dall’erompere in una risata.
“Davvero, mia
signora, credo che voi possiate comprendermi. Nobiltà, quando è anche d’animo –
come sono certo sia la vostra, mia signora – vuol dire anche possedere una
superiore sensibilità per apprezzare le cose belle del mondo. E quella
sensibilità è il mio dono, mia signora. Io sono solo un umile mercante, ma sono
certo che noi ci troviamo sulla stessa lunghezza d’onda.”
Zel aveva pensato
che esistesse un limite entro cui un singolo individuo poteva essere irritante,
ma quella sera si rese conto di essersi sempre sbagliato. Quell’uomo continuò a
parlare, e parlare, e parlare, di fronte a una sempre più allucinata Amelia,
fino a che non furono seduti a tavola, e poi ancora oltre. Alla seconda
portata, Zel era prontissimo a credere che avesse assassinato Lina, Gourry e
metà degli abitanti del regno di Sailune, qualunque cosa pur di avere una scusa
per friggerlo a dovere con uno dei suoi incantesimi.
“Ma scusatemi,
principessa…” Esordì nuovamente Roguard, mentre i servitori distribuivano un
piatto di pesce affumicato ricoperto di una salsa dolciastra. “… finora mi sono
limitato a parlarvi di me, e non vi ho ancora chiesto cosa vi porti in questa
zona così periferica del regno. Immagino riguardi le nozze del duca di
Tellaria, giusto?”
“In effetti sì…”
Replicò Amelia, quasi stupita che le venisse lasciato spazio per una replica.
“… mio padre mi ha inviata come sua rappresentante ai festeggiamenti, e…”
“Si tratta di certo
di un lieto evento.” La interruppe il mercante, con aria saggia. “A maggior
ragione perché il duca non ha ancora un erede e tutti ripongono grandi speranze
nella sua futura sposa – una donna graziosissima, lasciatemelo dire. Lei e il
duca hanno visitato questi territori, subito dopo il fidanzamento ufficiale, e
sono certo che avessero sviluppato una certa parzialità, nei miei confronti.”
Sospirò. “Avrei davvero voluto essere presente ai festeggiamenti… ma solo la
nobiltà sarà invitata, chiaramente. Non ci si può opporre a certe tradizioni.”
“Beh…” Amelia cercò
di inserirsi nel discorso. Con scarsi risultati.
“Chiaramente, non
voglio che i duchi si convincano che questa esclusione mi porti a provare del
risentimento nei loro confronti.” Riprese Roguard. “No, non potrei mai
convivere con questo pensiero. Per questo sto preparando una importante
sorpresa, da far pervenire loro il giorno delle nozze. I miei… esperti ci
stanno lavorando da tempo. Qualcosa che, credo, sarà davvero di buon auspicio
per le sorti di questo ducato…”
“Davvero?” Domandò
Amelia, probabilmente più per cortesia che per reale curiosità. “E di cosa…?”
Ma anche stavolta
la principessa non poté terminare. A interromperla, giunse il suono di qualcuno
che bussava alla porta.
Un improvviso (e
gradito) silenzio cadde sulla tavolata. Zel, che fino a quel momento si era
risolutamente concentrato sul cibo, volse l’attenzione a Roguard, nell’attesa
che rispondesse. Si sorprese di quanto contrariata apparisse la sua espressione
in quel momento.
“Avanti.” Sibilò
alla fine il mercante, fra i denti. Il servitore che li aveva accolti fece il
suo ingresso, esitante. Era chiaramente conscio che la sua presenza non era
benvenuta.
“Che cosa succede?”
Domandò Roguard, prima che l’uomo potesse parlare. “Non avevo forse
espressamente ordinato che la mia cena in compagnia della principessa non
venisse disturbata per alcun motivo?”
“Perdonatemi, mio
signore.” Replicò il servitore, con vago disagio. “Ma avevate posto
un’eccezione a questa imposizione.”
Roguard rimase in
silenzio per un istante. Ma poi, parve comprendere ciò a cui il servitore si
riferiva. “Intendi dire… che la avete ritrovata?” Si levò in piedi, di scatto.
“E’ pronto?” Chiese, con bramosia. “Ritenete che sarà sufficiente, stavolta?”
“Lo speriamo,
signore. In ogni caso, abbiamo ritenuto opportuno avvisarvi quanto prima.”
“Ma certo.” Lo
sguardo del mercante si era fatto… stranamente acceso. A Zel diede i brividi.
“Vi prego di scusarmi, principessa.” Rivolse un inchino, quasi distratto, ad
Amelia. “Questioni urgenti richiedono la mia presenza. Terminate pure di
mangiare con calma, e per qualsiasi richiesta rivolgetevi ai miei servitori. Vi
incontrerò di nuovo domani mattina.”
Senza dare ad
Amelia il tempo di replicare, si affrettò fuori dalla sala da pranzo. Amelia e
Zel si scambiarono l’ennesima, interdetta occhiata.
Non osarono
parlare, in presenza dei servitori che accerchiavano la tavola. Dovettero
attendere di terminare la cena e raggiungere le proprie stanze (una lussuosa
camera con baldacchino, con annesso uno sgabuzzino con pagliericcio che fece
storcere il naso a Zelgadiss) per discutere lontano da occhi indiscreti.
Zel si appoggiò
alla porta, per prestare ascolto ad eventuali rumori dall’esterno, mentre
Amelia si abbandonava a sedere sul letto, con un sospiro esausto. Tacque per
qualche istante, in attesa che i passi della servitrice che li aveva
accompagnati si fossero allontanati. Quindi, quando fu certo che fossero
completamente soli, si decise a prendere la parola.
“Siamo d’accordo
sul fatto che è sospetto, giusto?”
Amelia annuì,
stancamente, fissando un punto nel vuoto di fronte a sé. “Di certo sembra il
tipo di persona che non si preoccupa di risucchiare le energie del prossimo.”
Zel la squadrò,
accigliato. “Credo che dovremo aspettare che i servitori vadano a dormire, e
ispezionare la casa. Quanto meno questa messinscena ci ha risparmiato la fatica
di fare irruzione.”
La principessa levò
gli occhi e gli restituì lo sguardo, pensierosa. “Zel-san… quando quel
servitore è giunto a chiamarlo… ha cambiato totalmente espressione, non è vero?
Sembrava così… bramoso. Non è stata solo una mia impressione, non è così?”
Zel annuì, nervoso.
Comprendeva completamente il motivo della sua preoccupazione.
“Ciò che ha detto…
‘è pronto’… non credi che si riferisse a…?”
“Di certo non a
qualunque cosa potrebbe aver fatto a Lina e Gourry.” Tagliò corto Zelgadiss.
“E’ passato troppo poco tempo, ricorda.”
Amelia non gli parve
convinta. E Zel, in fondo, lo era meno di lei. Decise di cambiare argomento, a
beneficio di entrambi.
“Piuttosto… quei
discorsi sul duca, non ti suonavano sospetti?”
“Sul duca?”
“Ha insistito tanto
sul fatto di non essere risentito per il mancato invito del duca al matrimonio
da farmi pensare che sia esattamente il contrario. In più… gli sta ‘preparando
una sorpresa per le nozze’. Non mi piace per nulla come suona questa frase…”
Amelia batté le
palpebre. “Credi che voglia vendicarsi? Del fatto di essere stato escluso solo
perché non membro dell’aristocrazia?”
“Forse…” Replicò
Zel. “O forse c’è anche qualcosa di più, sotto… Forse il motivo per cui sta
cercando di accumulare potere è proprio avere i mezzi per uccidere il duca. E’
solo un’ipotesi, ma… il duca non è ancora sposato, e non ha un erede. Forse
Roguard attraverso i legami che ha intrecciato con alcuni membri della nobiltà
di Sailune spera di riuscire a ottenere il suo titolo, dopo la sua morte. Il
matrimonio è fra pochi giorni, perciò è necessario che agisca ora. Se radunasse
un esercito e lo attaccasse tuo padre interverrebbe di certo, ma la magia nera
è un modo per accumulare forza velocemente e senza dare nell’occhio. Se
riuscisse a introdursi nel palazzo del duca da solo, senza lasciare testimoni,
nessuno potrebbe incolparlo di quello che è accaduto.”
Amelia impallidì.
“Ma è terribile. Devo immediatamente inviare un messaggio a mio padre per
avvisarlo, e dobbiamo raggiungere il duca per…”
“Amelia.” La
interruppe Zel. “Sono solo ipotesi. Non c’è alcuna prova certa che io abbia
ragione.” Emise un sospiro. “Per questo stanotte dobbiamo andare in cerca di
conferme. E aiutare Lina e Gourry, se davvero sono stati coinvolti in questa
faccenda.”
La principessa
abbassò gli occhi. “Immagino che sia l’unico modo.” Assentì, in tono vagamente
rassegnato. Ma in pochi istanti il suo sguardo si accese nuovamente, e i suoi
pugni si strinsero. “Ma tramare a questo modo contro un uomo di mio padre, e
coinvolgere persone innocenti… se davvero ha agito in questo modo spregevole,
non la passerà liscia. Farò tutto quello che è in mio potere per assicurarlo
alla giustizia di mio padre!”
A dispetto della
situazione, Zelgadiss dovette trattenere un sorriso. Amelia non si perdeva mai
d’animo. Avendola accanto, non era così difficile pensare che tutto si sarebbe
risolto per il meglio.
“In ogni caso…
approfittiamone per riposare per un paio d’ore.” Propose, allontanandosi dalla
porta. “Non ci servirà a nulla metterci a perlustrare la villa in preda al
sonno, e finché la servitù non avrà smesso di muoversi per i corridoi non
potremo muoverci liberamente.” Si avviò verso la porta del suo stanzino. “Terrò
io le orecchie aperte, nel caso qualcuno si avvicini alle nostre stanze.”
Amelia gli rivolse
un breve sorriso, e annuì. Zel la osservò mentre si stendeva sul baldacchino,
che per qualche motivo – improvvisamente e inopportunamente – gli parve ancora
più invitante.
Si appoggiò al
proprio pagliericcio e rimase a fissare il soffitto, senza chiudere occhio.
Si mossero quando
mancava poco più di un’ora alla mezzanotte.
Scivolarono
silenziosamente fuori dai propri alloggi, strisciando lungo le pareti del
corridoio, e fermandosi a ogni angolo per accertarsi della presenza di
eventuali guardie. La casa era avvolta nel più totale silenzio, e appariva
deserta.
“Dove pensi sia
meglio cercare, Zelgadiss- san?” Bisbigliò Amelia, scivolando alle sue spalle
verso lo scalone che qualche ora prima li aveva condotti lì, dal piano terra.
“Direi di tornare
al piano di sotto.” Mormorò la chimera, in replica. “E provare a cercare
l’accesso a un sotterraneo, o qualcosa di simile. Normalmente, per prudenza, ci
si serve di laboratori situati a una certa profondità per tentare esperimenti
di magia… per quanto quel Roguard non mi sembri precisamente il manifesto del
raziocinio.”
“Mi ricordo che
nell’atrio da cui siamo entrati c’era una piccola porta in legno. Poteva anche
solo essere uno sgabuzzino, ma nel vederla ho pensato che potesse condurre a
qualcosa come uno scantinato…”
Zel annuì. “Inizieremo
da lì, allora.”
Percorsero
velocemente e silenziosamente lo scalone, e l’ampio corridoio che da esso
correva fino alla camera circolare. Quando giunsero al più stretto passaggio
che conduceva all’atrio, tuttavia, entrambi rallentarono d’istinto. L’ambiente,
senza la luce delle torce, era illuminato unicamente da un lucernaio nel
soffitto, che all’andata Zel, distratto dalle decorazioni, non aveva notato.
Nella fioca luce della luna, le statue dalle fattezze umane apparivano ancora
più inquietanti. Sembravano davvero persone, intente a scrutarli dalla loro
eterna, forzata immobilità.
“Danno i brividi.”
Mormorò Amelia, in perfetto accordo con i suoi pensieri.
“Sono solo statue.”
Zel cercò di produrre un convincente tono noncurante. Avanzò di fronte alla
principessa, sforzandosi di guardare avanti, e di non lasciarsi distrarre dai
simulacri. Per questo, probabilmente, gli sfuggì ciò che era saltato allo
sguardo di Amelia.
“Zelgadiss-san!”
Per un istante, fu
distratto dal fatto che la principessa gli avesse arpionato il braccio. Solo
per un istante. Quando si rese conto di ciò che aveva spaventato Amelia, fu
troppo agghiacciato per lasciare spazio a qualsiasi altro pensiero.
Alla loro sinistra,
in uno spazio che quella sera era stato occupato solo da un piedistallo vuoto,
faceva mostra di sé una nuova statua. Raffigurava una donna, bellissima, esile
ed elegante, il volto ritratto in una espressione assorta incorniciato da
lunghi capelli color dell’oro. E le sue fattezze erano terribilmente familiari.
“E’… è lei, vero?”
Squittì Amelia. “Quella sacerdotessa…”
Zel allungò la mano
verso la statua, quasi certo che avrebbe avvertito il calore della pelle, il
suo tendersi nel respiro, o in risposta al battito del cuore. E invece la trovò
dura, e gelida come il marmo.
“Non è… una normale
statua. Non può essere una statua normale, non è così?” Amelia, in qualche
imperscrutabile modo, stava riuscendo a perforare con le dita la sua pelle di
pietra.
Zelgadiss si
sentiva la gola secca. “E’… questo che accade, allora? Una volta prosciugata
tutta l’energia in un corpo… questo è ciò che rimane?”
“Roguard, prima… ha
chiesto al servitore se avevano ritrovato qualcosa…” Amelia si coprì la bocca
con le mani. “Doveva essere lei, Zelgadiss- san! Hanno portato a termine il lavoro!”
“Quel pazzo si
tiene in casa i cadaveri come trofei.” Zelgadiss percorse con lo sguardo le
statue ammassate nel corridoio, come vedendole per la prima volta. Era
nauseato. “Amelia… dobbiamo trovare Lina e Gourry e andarcene di qui.
Immediatamente.”
“Non così in
fretta.”
Zelgadiss sussultò,
al suono di quella voce. Lui e Amelia volsero le spalle, all’unisono, e si
accorsero che la porta che dal corridoio immetteva all’atrio ora era
aperta. E nella sua cornice, semi
avvolto dall’oscurità, si trovava un volto noto: il capo dei quattro mercenari
che Amelia aveva sconfitto nel bosco quel pomeriggio. Alle sue spalle, si
intravedevano due dei tre uomini che lo avevano accompagnato.
“Eravamo appena
venuti qui a posizionare la nostra nuova statua.” Il mercenario occhieggiò la
figura inerte della sacerdotessa, alle loro spalle. “E stavamo uscendo a
goderci una meritata nottata di divertimento, quando abbiamo sentito delle voci
in corridoio. Peccato per voi.”
“Voi…” Amelia si fece avanti, rabbiosa. “Siete stati voi a catturare di
nuovo la sacerdotessa, non è così?”
“Aveva firmato un
contratto. Ci siamo limitati a far valere i diritti del mio padrone.” Le sue
labbra si piegarono in una smorfia. “Oggi pomeriggio vi abbiamo seguiti dal
suolo, dato che non potevamo battervi. E abbiamo visto che la conducevate al
tempio.”
Zel imprecò fra i
denti. Era stato sciocco da parte loro non inseguirli per finirli. Ma chi
avrebbe immaginato, in quel momento, che sarebbero rimasti invischiati in una
faccenda del genere?
“Dunque…” Proseguì
il mercenario, accigliato, rivolto ad Amelia. “… il mio signore, prima, mi ha
rivelato che stava ospitando niente meno che la principessa di Sailune… ma dopo
oggi pomeriggio, e dal momento che ti ho pescata qui a ficcanasare come una
ladra, devo supporre che tu lo abbia imbrogliato. Chi sei, in realtà?”
“Io sono davvero la principessa di Sailune!” Inveì Amelia, stizzita. “E stai certo che
quando mio padre saprà di tutto questo ve ne accorgerete!”
Il mercenario parve
scettico. “Suppongo che starà al mio padrone giudicare.” Replicò tuttavia,
seccamente. “Ciò che so per certo è che ora mi seguirai da lui.”
Amelia stava
letteralmente andando a fuoco. I suoi pugni tremavano per la rabbia, e Zel
sapeva che era a un passo dall’esplodere in una delle sue invettive. Sospirò.
Non era decisamente il momento.
Anche la chimera
fece un passo avanti. “C’è un piccolo dettaglio su cui vorrei richiamare la
vostra attenzione.” Dichiarò, in tono tinto di sarcasmo. “Come tu stesso hai
appena sottolineato, non potete batterci. Non credi che questo possa in qualche
modo… limitare la tua capacità di impartirci ordini?”
Ma, con suo scorno,
il mercenario non parve intimidito. “La differenza è che ora non siamo soli,
mostro.” Replicò semplicemente, con sguardo indifferente. “Ci sono le guardie
all’esterno, e ci basta un grido per attirare rinforzi. E comunque… il mio
signore si adirerebbe, se facessimo del male alla ragazza, qui, ma credo che
non avrebbe nulla in contrario se ci liberassimo di te. Perciò ti consiglio di
evitare gesti affrettati, o saremo costretti a difenderci.”
Ma Zel si pose di
fronte ad Amelia, risoluto. “Perché il vostro padrone non vuole che le facciate
del male?” Ringhiò. “Perché è la principessa?” Roguard era tanto folle da
credere che se la avesse lasciata andare Amelia avrebbe perorato le sue
richieste di fronte a Philionel?
“In effetti, credo
che il suo interesse vada oltre questo.” Il sorriso del mercenario si allargò.
“Ciò che ha ottenuto oggi non lo ha soddisfatto particolarmente…” Occhieggiò
nuovamente la sacerdotessa, per poi spostare lo sguardo su Amelia. “Ha bisogno
di nuovo materiale.”
Zelgadiss ebbe un
fremito. Volevano… no… no, non lo avrebbe MAI permesso. “Voi non la
toccherete.” Ringhiò. Stava sudando freddo, ora. Erano stati due stupidi.
Nessuno sapeva che si trovavano nella villa di Roguard, quella notte. Avrebbero
potuto sparire, inghiottiti nel buio di quei corridoi, senza che Philionel
sapesse dove andarli a cercare. La Grande Sacerdotessa avrebbe detto di aver
indicato loro quel luogo? O aveva mentito anche lei, per indirizzarli lì? In
fondo, come potevano quegli uomini aver portato via quella sacerdotessa dal
tempio, senza l’appoggio di qualche autorità al suo interno?
Stava pensando
freneticamente a un modo per uscirne – che possibilmente non comprendesse la
distruzione della intera villa, considerando che Lina e Gourry potevano essere
al suo interno – quando un rumore di passi risuonò dietro la porta dalla quale
erano giunti, e anch’essa si aprì. Roguard in persona fece il suo ingresso,
coperto da una assurda veste da notte argentata, e seguito da un drappello di
guardie. Zel imprecò, nuovamente. Erano circondati.
“Si può sapere che
cosa sta succedendo?” Domandò il mercante, con espressione allucinata, fissando
Zel e Amelia quasi fossero fantasmi. “Pensavo che una banda di banditi avesse
fatto irruzione in casa mia.”
Zelgadiss non diede
al mercenario il tempo di rispondere. Aveva appena realizzato che c’era un solo
modo per uscirne indenni.
Si lanciò verso
Roguard, con tutta la velocità che il suo corpo di chimera gli permetteva. Se
fosse riuscito ad avvicinarsi a sufficienza per prenderlo in ostaggio, avrebbe
potuto costringere le guardie a lasciarli scappare. Avrebbe potuto chiedere
dove si trovavano Lina e Gourry, avrebbe potuto…
“Zel- san!”
Non comprese
esattamente cosa fosse successo. Fece appena in tempo a realizzare che quel
grido di avvertimento – o di preoccupazione – giungeva da Amelia. La realtà
improvvisamente si capovolse. L’oscurità roteò attorno a lui, e il suo corpo
impattò contro qualcosa di solido e duro. Quindi un peso enorme gli schiacciò
il petto, e il fiato gli si mozzò in gola. Udì nuovamente qualcuno che gridava
il suo nome, in tono gravido di preoccupazione. Udì se stesso emettere un
rantolo soffocato, e quello che suonava pericolosamente come lo schianto delle
sue ossa.
E poi il mondo
esplose, per spegnersi davanti ai suoi occhi.
***
Quando riprese i
sensi, la prima cosa di cui ebbe coscienza fu il dolore. Da quando il suo corpo
era mutato in pietra, gli era accaduto raramente di provarne di così intenso.
Si sentiva come se un edificio gli fosse crollato sulla testa, o come se
qualcuno lo avesse investito in pieno con una carrozza a dodici cavalli. La
testa gli ronzava, e in un punto sopra l’occhio destro pulsava in modo così
orribile che Zel per qualche istante evitò di aprire gli occhi nel timore che
esplodesse.
Ma non appena la
sua mente riprese a formulare i pensieri in modo coerente e gli ripropose le
immagini che aveva registrato prima di cedere il passo all’oblio, il dolore
fisico cessò istantaneamente di avere significato. Zel si ritrovò a sedere, gli
occhi spalancati, il cervello catturato da un’unica idea.
‘Amelia.’
Il terrore, in un
istante, lo sopraffece. Zelgadiss lottò per soffocarlo, per sciogliere il nodo
che gli aveva attanagliato il petto. Non ottenne grossi risultati. Prese due
profondi respiri, chiuse gli occhi e li riaprì, lentamente, ignorando una nuova
fitta di dolore al capo. Doveva pensare razionalmente.
Come prima cosa,
doveva capire dove si trovava. Si guardò attorno, freneticamente, in cerca di
qualche segnale rivelatore. Era steso su una specie di branda, in una stanza
dalle pareti candide e dal mobilio spoglio: un cassettone, un armadio, un
tavolo in legno chiaro con un vaso di fiori. Se si trattava della casa di
Roguard, doveva essere un locale di servizio. Dubitava che il mercante
utilizzasse abitualmente un luogo del genere.
Ma quanto era
passato? La luce che filtrava dalle tende alle finestre lasciava pensare che
fosse giorno pieno… ma il giorno di che giorno?
E perché non lo
avevano ucciso?
Soffocando un
gemito di dolore, Zel scivolò giù dal suo giaciglio. Barcollava, ma
apparentemente era in grado di reggersi in piedi. Zoppicò fino alla porta,
aggrappandosi di peso alla maniglia per non crollare. E fu stupito di sentirla cedere sotto il peso delle proprie
dita.
La aprì, cauto, e
provò uno smarrimento ancora maggiore quando si ritrovò nella sala circolare
che gli era ormai tristemente nota. Dunque, quella era davvero la casa di
Roguard. Non comprendeva perché non lo avessero almeno chiuso nella stanza,
però. Pensavano che non si sarebbe ripreso tanto presto? Lo avevano dato per
morto?
Si sentiva confuso.
La testa gli doleva ancora, rendeva ovattata la sua percezione e rallentava la
sua capacità di ragionamento. Aveva solo una certezza, in quel momento. Doveva
trovare Amelia, e accertarsi che stesse bene.
Imboccò
automaticamente la porta che conduceva al corridoio delle statue. Non sapeva
per quanto tempo fosse rimasto privo di sensi, ma se Roguard stava cercando di
servirsi di Amelia per – rabbrividì – ciò che pensava, allora era probabile che
la avesse condotta nei sotterranei dove lui e la principessa avevano pensato di
cercare Lina e Gourry.
Il corridoio era
meno inquietante nella piena luce del giorno, ma per Zel non era fonte di
minore terrore. Lo percorse quanto più velocemente le sue condizioni fisiche
gli permettessero, fissando gli occhi risolutamente di fronte a sé, in modo da
non concentrarsi sulle statue. Era vigliacco, lo sapeva, ma non poteva – non voleva – pensare che avrebbe potuto trovarsi di fronte all’oggetto di quello
che in quel momento era il suo più profondo timore.
Raggiunse l’atrio,
e si chiuse con sollievo la porta alle spalle. La sala era deserta. Individuò
la piccola porta in legno di cui gli aveva parlato Amelia, e arrancò verso di
essa. Quando la aprì, trovò confermate le supposizioni della principessa: dei
gradini in legno scendevano dritti di fronte a lui, sparendo nel buio.
Zel posò il piede
sul primo, sentendolo scricchiolare sotto il proprio peso. Facendo appello a
tutto il proprio controllo mentale, evocò un Lighting, e lo lasciò fluttuare di
fronte a sé, mentre scendeva. Sulla sua sinistra c’era un corrimano, ma Zel,
occhieggiato il suo aspetto fragile, preferì premersi contro la parete alla sua
destra, che, con i suoi appigli nella pietra, gli dava una maggiore impressione
di stabilità. Il suo equilibrio vacillava, e a ogni gradino il mondo pareva
vorticare attorno a lui. Quando ebbe terminato la prima rampa, si fermò per
qualche istante per riprendere fiato, prima di procedere a quella successiva.
Il lezzo di stantio nell’aria gli diede il voltastomaco.
Coprendosi la bocca
con la mano sinistra per bloccare l’odore, riprese a scendere, aggrappandosi
con la destra alle asperità della pietra. Percorse quattro rampe, prima di
arrivare al fondo. Doveva essere sceso per l’equivalente di un paio di piani,
ma gli era parso di impiegarci un’eternità.
Sul fondo della
scala si apriva un ambiente ampio, dall’alto soffitto. Era più freddo delle
stanze in superficie, e non esisteva nessuna fonte di luce naturale. Nella
penombra, Zel intravide una serie di torce appese alle pareti. Avanzò verso di
esse e ne accese un paio con una fiamma magica, per rafforzare gli effetti del
suo Lighting. Quindi, percorse con lo sguardo la sala. Era ampia, forse tre o
quattro volte l’atrio del piano superiore, e ammobiliata in modo inusuale.
Numerosi cassettoni poggiati alle pareti, un ampio tavolo sommerso di bizzarri
attrezzi da lavoro, piedistalli vuoti. Contro una delle pareti erano allineate
delle librerie e alcuni degli scaffali erano occupati da provette e strumenti
che a Zel apparivano più familiari. Sembrava
in effetti un laboratorio da mago,
ma aveva anche qualcosa di inconsueto.
Quello che era
certo, però, era che non c’era anima viva all’interno. A meno che Amelia non
fosse rinchiusa dietro qualche porta nascosta dall’oscurità.
Avanzò, proiettando
la luce in alto in modo da illuminare tutti gli angoli della stanza. Percorse
con lo sguardo le pareti della sala, in cerca di un qualche passaggio, e fu
allora che la notò. E il suo cuore cessò istantaneamente di battere.
Era lì, poggiata a
una parete. La statua più bella e allo stesso tempo la più terrificante che
avesse mai contemplato. Avvolta in un voluttuoso abito bianco, il suo sguardo
era perso in una eterna contemplazione. Non avrebbe più potuto brillare della
fiamma che lo accendeva ogni volta che la sua compagna si lanciava in uno dei
suoi appassionati discorsi…
“No…”
Quella implorazione uscì dalle sue labbra in un rantolo. Avanzò, inciampò sui
propri passi, finì al suolo. Non gli importava.
Amelia.
Quando avevano
sconfitto Dark Star… aveva pensato che gli avrebbe chiesto di restare a
Sailune… e invece lo aveva sorpreso, donandogli quell’oggetto, un semplice
braccialetto magico, che Zel ancora custodiva come il più prezioso dei suoi
tesori.
‘Non voglio
fermarti.’ Aveva detto, con quel sorriso sereno a cui in quei mesi lo aveva
tanto abituato. ‘So che per te è importante cercare quanto per me è importante
occuparmi del mio regno. Ma nessuno ci impedisce di tenerci in contatto… come
due buoni amici farebbero, giusto?’
Da quel momento,
Amelia era diventata una presenza più che costante nella sua vita. Dopo Rodimus
e Zolf, Zel aveva pensato che non si sarebbe più permesso di affezionarsi
veramente a qualcuno. Essere soli era meno rischioso. Non ti esponeva al
pericolo di una perdita. Ma Amelia, Lina e Gourry si erano guadagnati la sua
amicizia suo malgrado, prima ancora che Zel potesse realizzarlo razionalmente.
Lo aveva compreso quando era ormai troppo tardi per impedirlo. Quando Amelia
aveva rischiato di essere ferita da Garv. Quando Gourry era stato rapito da
Fibrizo. Quando Lina e Gourry erano spariti nel mare del Caos. Aveva capito
che, a quel punto, non gli era più concesso tornare indietro.
E nonostante
questo, aveva permesso a se stesso di sviluppare un attaccamento ancora
maggiore per Amelia… Amelia, che in qualche assurda maniera riusciva a compensare
il suo carattere ombroso, Amelia che era ottimista ed energica quanto lui non
lo era, Amelia che con una semplice conversazione di dieci minuti attraverso un
braccialetto riusciva a risollevare le frustrazioni di una ricerca vana…
La verità era che
Amelia gli aveva fatto comprendere che non c’era paragone fra una vita in
solitudine e senza rischi e una vita in cui si amava qualcuno, al punto da
rischiare di essere distrutti dalla sua perdita. Ma in quel momento Zel aveva
la sensazione che il suo petto stesse per essere dilaniato.
“Amelia…” Si rialzò
in piedi, barcollando, e arrancò fino alla statua. “Amelia, svegliati.
Svegliati, per favore.” Le afferrò le spalle. Era immobile e gelida, come la
vera Amelia non avrebbe mai potuto essere.
“Amelia…” Sentiva
di essere sull’orlo del crollo, ma non poteva permetterselo. Doveva esserci qualcosa che poteva fare. Un contro incantesimo, un modo per
invertire il processo. A costo di uccidere Roguard e tutti i suoi servitori, lo
avrebbe trovato.
“Amelia…” La voce
gli morì, mentre accarezzava con le dita il volto freddo della sua compagna. La
sua mente concepì un pensiero, sciocco e illuso. Vi si aggrappò, con la forza
della disperazione.
Si protese in
avanti, e premette le proprie labbra contro quelle di marmo che lo
fronteggiavano. Sperò che quel sentore di fredda morte scomparisse, che quella
pelle normalmente calda e morbida si rianimasse al suo tocco, ma non accadde.
Forse era lui a essere inadatto a salvarla. Forse le sue labbra di pietra non
avevano quel potere…
“Zelgadiss- san…
scusa ma… cosa stai facendo esattamente?”
Zelgadiss si
bloccò, gelato nella sua posizione innaturale sul piedistallo della statua, al
risuonare di quella voce nota.
Considerò tre
ipotesi:
a)
Aveva appena
compiuto un miracolo. Possibile, ma perché la voce di Amelia giungeva dalle sue
spalle, invece che da di fronte a lui?
b)
Era impazzito.
Molto probabile.
c)
Aveva appena
fatto una figura che avrebbe ripercorso nei suoi incubi per diversi decenni a
venire. Agghiacciante, ma quasi certamente la giusta soluzione.
O forse era morto
anche lui, e si trovava in paradiso?
No. Dubitava che il
destino sarebbe stato tanto generoso, con lui.
Lentamente, molto
lentamente, indietreggiò, e si allontanò dalla statua. Con ancora più lentezza,
girò la testa verso la sala alle sue spalle.
Amelia era lì,
vestita del suo consueto abito da viaggio e con le loro borse a tracolla sulla
schiena, e lo fissava curiosa. Roguard, alle spalle della principessa, lo
squadrava sospettoso, reggendo alta, fra le dita, una lampada.
“Amelia?” La voce
gli uscì in un misto di isteria e sollievo. Resistette alla tentazione di
volgersi verso quella che in fondo doveva essere davvero una statua, perché
sapeva perfettamente che, trovandola perfettamente al suo posto, si sarebbe
sentito ancora più idiota.
“Ti senti bene,
Zelgadiss-san?” Gli chiese Amelia, guardandolo come se si aspettasse di vederlo
scoppiare in una crisi isterica da un momento all’altro. “Siamo venuti a
cercarti nell’infermeria per vedere se ti fossi ripreso a sufficienza per
partire, e quando non ti abbiamo trovato mi sono preoccupata… poi abbiamo visto
la porta aperta nell’atrio, e ti siamo venuti a cercare quaggiù.”
Zelgadiss
cominciava a temere seriamente le risposte che avrebbe ottenuto, ma si
costrinse comunque a chiedere. “Amelia… cosa mi è successo, esattamente?”
La principessa si
scambiò una breve occhiata con Roguard, che infastidì non poco Zelgadiss. “Ieri
notte, Zelgadiss- san… durante quel… ehm… piccolo equivoco… tu sei… inciampato
in un tappeto.”
Zelgadiss batté le
palpebre. Aveva pensato di essere stato freddato da un terribile incantesimo.
Di essere stato assalito da cento uomini armati di spade magiche. Di aver
lottato allo stremo con le statue che si erano improvvisamente animate al
servizio del loro creatore.
E invece era inciampato in un dannatissimo tappeto???
Amelia colse la sua
espressione, e vestì un sorriso di conforto. “A tua discolpa, Zelgadiss-san…
correvi davvero veloce. E il tappeto in un corridoio… non è
una cosa così consueta, giusto? Senza contare che era buio…”
Improvvisamente Zel
sentì la urgente necessità di sedersi sul piedistallo della statua di Amelia.
Indietreggiò e vi si appoggiò, prendendosi la testa fra le mani.
“Zelgadiss- san?”
Amelia scattò verso di lui. “Stai male?”
“Cos’è successo,
poi?” Domandò lui, di rimando, evitando di rispondere.
Amelia esitò. “Beh…
ehm… poi sei finito contro una statua, e quella ti è caduta addosso. Era
piuttosto pensante, anche. Se non fosse stato per il tuo corpo di pietra, temo
che non saresti sopravvissuto.”
Zelgadiss,
spadaccino ex seguace di Rezo, che aveva contribuito alla caduta del Signore
dei Demoni Shabranigdu… ucciso da una statua. Grandioso. Grandioso davvero.
Aveva
improvvisamente deciso che non voleva più sapere nulla.
“Oh, non ve la
prendete tanto a cuore, signore.” Intervenne Roguard, magnanimo. “Non era una
delle mie statue più belle, davvero. Non sto soffrendo troppo la perdita.”
Zelgadiss fu lieto
di non essere in condizione di lanciare un incantesimo.
“Però, signore…”
Riprese Roguard, ignaro di quanto a rischio si trovasse la sua vita in quel
momento. “Mi trovo costretto a chiedervi di scendere dalla mia statua nuova.
Sapete, non vorrei che si rovinasse.” Si volse a contemplare il volto marmoreo
di Amelia, lo sguardo estatico. “Regalità, ecco cosa mancava. La bellezza da
sola non era sufficiente, per ottenere la perfezione.”
“Ehm…” Amelia
intercettò lo sguardo omicida di Zel, e si avvicinò per trascinarlo in piedi.
“… in effetti, dal momento che la mia guardia del corpo si è svegliata, direi
che è il caso che noi due togliamo il disturbo.” Lo spinse verso le scale.
“Siamo proprio in ritardo rispetto alla tabella di marcia.”
“Ripasserete a
dirmi se il duca ha gradito il mio regalo, vero, principessa?” Le gridò dietro
Roguard.
“Credo dipenderà
dalle circostanze, Rufus!” Gridò lei di rimando, trascinando letteralmente Zel
all’esterno. “Probabilmente no.” Borbottò poi fra sé, con un sospiro.
Raggiunsero
l’esterno in silenzio. Amelia aspettò che avessero imboccato la strada verso
Tellaria e non fossero più visibili dalla casa, prima di fermarsi. Quindi porse
a Zel entrambe le loro borse da viaggio, e protese le mani verso la sua fronte.
“Scusami tanto, Zelgadiss-san.” Dichiarò, dopo aver pronunciato a mezza voce la
formula di un Recovery. “Ma non avrei resistito in compagnia di Roguard dieci
minuti di più.”
Zelgadiss di certo
non se ne sarebbe lamentato. Chiuse gli occhi, e si limitò a godere
dell’immediato sollievo procuratogli dal tocco magico di Amelia.
Attese che la
principessa ritraesse le mani, prima di risolversi a chiedere spiegazioni.
“Amelia… ho come il
sentore che sentirlo sarà umiliante, ma puoi dirmi che diavolo è successo,
stanotte?” ‘Rovinosa caduta a parte.’
Amelia sospirò
nuovamente, e si avviò lungo il sentiero. “Beh, molto semplicemente… avevamo
frainteso totalmente le intenzioni di Roguard.” Scosse la testa. “Stava davvero cercando di realizzare un regalo da inviare per le nozze del duca… una
statua antropomorfa di donna, che simboleggiasse la fertilità, o qualcosa del
genere. A quanto pare le sculture simili sono una delle sue passioni
artistiche.” Fece una smorfia. “Ha al suo soldo una specie di scultore-mago in
grado di realizzarla in poche ore. Ho accettato di posare mentre tu eri
svenuto, perché altrimenti mi avrebbe esasperato senza pietà.”
“Ma… e quella
sacerdotessa, allora?”
Amelia scosse la
testa. “La aveva assunta proprio per fare da modello alla statua per il duca,
dato che è una donna così bella. Il problema è che non era mai pienamente soddisfatto
del risultato: diceva che lo scultore non riusciva a cogliere l’essenza del
soggetto. Ha fatto fare e distruggere quella statua un centinaio di volte,
nella settimana in cui quella sacerdotessa è rimasta qui… quella poveretta a
malapena aveva modo di mangiare e dormire… ci credo che era ridotta a quel
modo.”
Zelgadiss provava
tutta la compassione del mondo per quella povera ragazza. Non per la mancanza
di cibo e sonno: bastava una settimana in compagnia di Roguard per portare
chiunque sull’orlo della morte, o di una crisi di nervi.
“Ieri sera, gli
uomini di Roguard si sono presentati al tempio, e hanno spiegato la
situazione.” Proseguì Amelia. “Le sacerdotesse hanno permesso allo scultore di
fare un ultimo tentativo di terminare il lavoro, senza costringere la
sacerdotessa a muoversi dal tempio. La statua che abbiamo visto ieri sera ne
era il risultato.” Amelia emise l’ennesimo sospiro. “Inutile dire che Roguard
non è stato soddisfatto nemmeno di quella. Perciò ha pensato di tenerla per la
sua collezione, e di chiedere a me di posare per la statua del duca… forse
spera che gradirà di più una raffigurazione della sua principessa.”
Zel fece una
smorfia. Chi mai a parte quello psicopatico di Roguard avrebbe desiderato
un’opera d’arte così inquietante in casa?
“Credo che sarà
meglio tenere questa storia sotto silenzio.” Commentò, cupo, mentre sbucavano
dal sentiero su una strada più ampia, circondata da campi. In fondo ad essa, si
intravedevano le mura di un nuovo villaggio. “Non posso credere che siamo stati
così idioti. La storia che ci siamo inventati era peggio della trama di un
brutto romanzo dell’orrore.”
Amelia ridacchiò.
“Beh, l’importante è che i nostri timori fossero infondati, e che nessuno si
sia fatto male.” Esitò per un istante. “A proposito…” Allungò la mano verso la
sua, e la strinse. “… mi spiace che tu ti sia dovuto preoccupare per me,
Zelgadiss-san.”
Zel si sentì
improvvisamente le guance in fiamme. Grandioso. Amelia aveva capito
perfettamente che cosa Zel aveva pensato vedendo la statua. E come se non
bastasse…
Si azzardò a
volgersi, per guardarla in volto. Aveva compreso… cosa stava facendo, quando
lei e Roguard lo avevano trovato? Non c’era nemmeno la vaga speranza che avesse
pensato che lui stesse semplicemente… esaminando la statua da vicino, vero?
Il sorriso di
Amelia si allargò. “Comunque, Zelgadiss-san… ti assicuro che per certe cose
preferisco che tu non attenda di credermi morta.”
Perfetto.
L’immagine di Zel era completamente rovinata. Ora Amelia sapeva che era
disposto a credere non solo a una trama da brutto romanzo dell’orrore, ma anche
ai peggiori cliché da fiaba, e…
Eh?
Un momento. Che
cosa aveva detto?
La fissò, stranito.
E la principessa ridacchiò. “Non guardarmi a quel modo, Zel-san, sembra che tu
pensi di avere di nuovo di fronte un ‘cadavere’.”
Zelgadiss non
replicò. Continuò a fissare la principessa in volto, con un vago imbarazzo. Ma
alla fine, sentì i propri lineamenti ammorbidirsi, in risposta al suo sorriso.
Il sollievo per il fatto averla di fronte sana e salva lo investì, realmente,
per la prima volta da quando era uscito da quel sotterraneo. Strinse la sua
mano di rimando, e le sorrise a sua volta. “Lo terrò presente.” Mormorò.
E non diceva per
dire. Lo avrebbe tenuto ben presente, la volta che si fossero trovati
da soli, in un luogo appartato.
Ripresero a
camminare in silenzio, continuando a tenersi per mano. Ormai avevano raggiunto
l’ingresso del villaggio, un piccolo ammasso di case di contadini, nella cui
via principale campeggiava un’unica insegna di locanda. Zel fece strada ad
Amelia verso di essa, senza esitazioni. Non provava più dolore, ma per quel
giorno era decisamente troppo frastornato per camminare ancora. Il duca avrebbe
potuto tranquillamente attenderli un giorno più del previsto.
Amelia lo seguì
senza opporsi. Evidentemente, una serata di riposo doveva allettare anche lei.
“Però… rimane una cosa da chiarire.” Commentò, mentre Zel apriva la porta
d’ingresso della locanda. “Se non erano prigionieri di Roguard, chissà che fine
hanno fatto Lina- san e Gourry- san.”
“Non lo so e non
voglio saperlo.” Sbuffò Zelgadiss, in risposta. “Se quei due non si fossero
cacciati in uno dei loro soliti guai noi non saremmo stati coinvolti in questa
stupida faccen…”
Zelgadiss si bloccò
a mezza frase. Aveva appena messo piede dentro la sala comune della locanda, e
abbracciato con lo sguardo una visione che era riuscita nell’impossibile
impresa di risvegliare in lui gli stessi istinti omicidi istigati dalla
parlantina di Roguard.
Lina e Gourry erano
là. Seduti a un tavolo, si stavano godendo, con evidente gusto, quello che
poteva essere un pranzo ritardato, o una cena anticipata. Quando Lina li vide,
si levò in piedi, e prese a salutarli con la mano. “Oh, Gourry, eccoli lì,
finalmente! Ehiiii, ragazzi! Siamo qua!”
Zelgadiss,
ammirevolmente, si trattenne dal gridare.
“Lina-san!” Amelia
avanzò verso di loro, stupita. “State bene?”
“Certo, perché non
dovremmo?” Replicò Lina, allegra. “Ieri abbiamo tardato un po’ all’appuntamento
– sapete, eravamo a pranzo e il tempo è passato senza che ce ne rendessimo
conto – e quando siamo arrivati al bivio non vi abbiamo più trovati. Qui al
villaggio nessuno vi aveva visti passare, perciò abbiamo pensato di attendervi
alla locanda, quando vi foste decisi a raggiungerci.”
“Raggiungervi?”
Ringhiò Zel. “E non vi è passato per l’anticamera del cervello che potessimo
avere bisogno d’aiuto???”
“Zel, Zel…” Lina si
protese verso di lui e gli rivolse un ghigno, abbassando la voce perché Amelia
non sentisse. “Veramente l’ovvia conclusione a cui siamo giunti è che voi due
foste ben felici di passarvene un po’ di tempo soli soletti. Mi auguro che tu
sia stato abbastanza furbo da approfittarne.”
Zel si sentì
avvampare. “Come se non sapessi che stai mentendo spudoratamente, Lina.
Probabilmente avevate solo fretta di andare a cena.”
“Forse sto
mentendo, forse no. Ma la cosa certa è che tu stai arrossendo, Zel.”
Volse lo sguardo ad Amelia. “E ciò rende la cosa molto interessante.” Alzò la
voce. “Ehi, Amelia, vieni un po’ qua! Perché non mi racconti che cosa avete
combinato in questa giornata?” Si levò, avanzando verso la principessa. Zel
avrebbe cercato di fermarla, se non fosse stato letteralmente paralizzato
dall’irritazione. Ripensò a quella giornata, alle deduzioni errate, alla trama
da brutto romanzo, e – soprattutto – al suo tentativo di approccio amoroso nei
confronti di una statua di marmo. Quanto glielo avrebbe fatto scontare, Lina,
se avesse scoperto tutto questo?
Gourry sorbì un
sorso dal suo bicchiere di vino. “Se c’è qualche aneddoto imbarazzante che
Amelia può raccontarle, stai certo che riuscirà ad estorcerglielo.” Commentò
poi, saggiamente, quasi gli avesse letto nel pensiero.
Zelgadiss sospirò.
Improvvisamente, i due giorni restanti di viaggio gli parvero incredibilmente
lunghi.