Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: pandafiore    28/06/2016    5 recensioni
{Peeta è depistato, nel distretto 13. Il dottor Aurelius ha un dialogo con lui.}
Dal testo:
"Entrai nella sua stanza, il 12 ottobre.
Era una stanza bianca, austera, sigillata, protetta e chiusa dall'esterno. Mi chiesi, in quella fredda giornata d'ottobre, se Peeta Mellark non avrebbe assalito anche me, prima o poi."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dottor Aurelius, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

OneShot

 

I've killed Peeta Mellark.





Entrai nella sua stanza, il 12 ottobre.
Era una stanza bianca, austera, sigillata, protetta e chiusa dall'esterno. Mi chiesi, in quella fredda giornata d'ottobre, se Peeta Mellark non avrebbe assalito anche me, prima o poi.

Paziente 215, caso di depistaggio mentale, esternazione della rabbia repressa per Katniss Everdeen, cioè paziente 206, mentalmente instabile.
-Buongiorno, Peeta.- Esalo con il mio consueto sorriso finto.
-Dottor Aurelius...- Un cenno del capo biondo, ora rasato quasi a zero. Si strappava i capelli durante gli episodi, abbiamo dovuto farlo.
-Come ti senti oggi?- Scrolla le spalle, non lo sa nemmeno lui.
-Sapete che tutto questo è inutile, vero?- Faccio finta di non capire, e lo invito a proseguire, mentre fissa il soffitto sdraiato sulla brandina. Intanto mi siedo.
-Tutto questo. Lei, dottor Aurelius, o l'infermiera grassa che mi mandate, o quello che mi rasa i capelli, tutto inutile. Io non tornerò più quello di prima.-
-Non dire così, Peeta... tu tornerai quello di prima! Noi siamo qui per aiutarti.- Esclamo, ma sinceramente ne sono poco convinto anch'io. Questo ragazzo mi fa paura, e incontrare le sue iridi nere ogni giorno, mi fa perdere la speranza; perché non migliora?
Sogghigna, con quel sorrisetto perverso, che si vede che non gli appartiene di natura, che gli è stato inculcato. -Volete aiutarmi?- Confermo. -Volete aiutarmi davvero?-
-Sì, Peeta, è così.-
-Allora uccidetela.-
Mi si ferma il cuore. Faccio finta di scrivere qualcosa sullo schermo per non incontrare i suoi occhi iniettati di sangue.
-Peeta, andiamo... tu non vuoi questo...- Tento di convincerlo, ma sembra tutto inutile.
-Sì. Voglio proprio questo, dottore. Se la uccidete, la fate sparire dalla mia mente, capito?- Fa una breve pausa, passandosi la lingua sulle labbra. -Lei non ha mai visto gli ibridi di Capitol City. Non dal vivo almeno. Sussurrano in modo penetrante il nome della loro vittima, fino a quando non la trovano e la fanno fuori. Io sono come loro, dottore. Durante gli episodi io sento che la mia voce sibila il suo nome.- Sussurra, apatico. Devo fare un respiro profondo. Peeta Mellark è un ibrido. Dannazione, è vero.
-Se non volete uccidere lei, perché è il volto della rivoluzione, perché è la Ghiandaia Imitatrice, o altre stronzate che vi siete inventati, allora uccidete me.- Non sembra importargliene molto, in fondo, della sua vita. Beh, è plausibile, dopo tutto questo. Poi la sua mente è confusa, ora... o è forse troppo lucida? Forse non ha più quel velo di bontà che gli faceva vedere tutto per il verso giusto: ora vede le cose per come stanno davvero. Katniss Everdeen è la stronza che gli ha calpestato il cuore, Capitol City è il potere che lo ha fatto diventare pazzo con torture di cui nemmeno parla... e lui? Lui è un ibrido, e sa che merita la morte.
-Non possiamo ucciderti, Peeta. Lo sai che non possiamo.- In realtà mi è stato detto che se il caso fosse diventato grave, lo avrebbero ammazzato, ma Peeta chiuso in questa stanza è quasi innocuo. L'unico che rischia al momento sono io, nessun altro entra senza armi in questa stanza.
-Non potete o non volete? Potrebbe farlo, sa, dottore? Potrebbe conficcarmi quel pennino proprio qui.- Si batte il dito sul collo, dove passa la vena principale. -Proprio qui...- Ripete, osservando il soffitto. Ticchetta col dito sul suo collo.
-Non lo farò, Peeta.- Sussurro, accavallando le gambe.
-Perché no? A chi servo io? È solo un'altra delle tante morti, no?- Sogghigna, e si passa una mano sul volto provato. -Pensavo che lei fosse un uomo con le palle, dottore.-
Mi alzo in piedi, e faccio per andarmene. Poi mi viene un'idea.
Torno indietro, lascio il mio pennino sul suo grembo, poi mi abbasso e gli sussurro all'orecchio:-Sei libero di fare quello che vuoi, ora. Ma non sarò io ad ucciderti.- E me ne vado.

Il 14 Ottobre, esattamente due giorni dopo, rientrai in quella stanza e lui era seduto nell'angolo della stanza, a rigirarsi il pennino luccicante tra le mani. Mi venne da sorridere alla mia vittoria, e mi stavo per sedere sulla mia piccola poltrona, quando notai le lenzuola chiazzate di rosso. Rosso sangue. Però lui era lì, vivo. Cosa era successo?

-Peeta, devi ridarmi il pennino.- Mormoro spaventato.
-No. Me l'ha regalato lei, ora è mio.-
-No, è mio. Mi serve per scrivere, Peeta, ridammelo.- Sento il cuore stridere. Cosa ha fatto con quell'arnese? Possibile che le infermiere non se ne siano accorte?
-Per scrivere tutte quelle stronzate su di me, giusto?- Merda...
Mi alzo e mi avvicino al suo corpo rannicchiato come un bambino. -Sei sordo? Ti ho detto di ridarmelo.- Tento di prenderlo, ma lui è più rapido e lo nasconde tra le mani. -Perché c'è del sangue nel tuo letto?- Domando a bruciapelo. E lui sogghigna.
-Me lo vuoi dire, perfavore?- Fa segno di no con la testa.

Poi all'improvviso alza gli occhi. Sono azzurri, consapevoli, sono i suoi. Piega la testa di lato, con un gesto naturale e morbido, ed infine sussurra:-Mi guardi, mentre lo faccio.-
Si pianta il pennino sull'aorta del collo e la recide.

Il sangue inizia a spargersi ovunque, attorno al suo cadavere, e corro a chiedere aiuto. Un aiuto che arriva troppo tardi. Lui è già morto.

Il mio primo ed unico caso fallito, in quel freddo Ottobre. Lo ricordo come fosse ieri.
E ricordo altrettanto perfettamente che i suoi occhi non erano offuscati dal depistaggio. Era il vero Peeta Mellark a voler morire, non quello depistato. Sapeva quello che faceva, e questo è ancora peggio. Non riusciva a convivere con l'odio che gli avevano inculcato, sapeva che prima o poi sarebbe andato totalmente fuori di testa. Sapeva che non sarei mai riuscito a guarirlo.

Rivedo il suo sangue sulle mie mani, ed è come se lo avessi ucciso io, perché se solo fossi stato in grado di farlo ragionare, di isolare il depistaggio dal suo corpo, creando così due entità separate, lui sarebbe ancora qui.
L'ho ucciso io, indirettamente.
Ho ucciso Peeta Mellark.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: pandafiore