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Autore: FireFistAce    28/06/2016    1 recensioni
"Tu non mi hai mai parlato del tuo passato, Marco."
E quella consapevolezza ad Ace aveva fatto molto, molto male. Si era sentito in qualche modo tradito per l’ennesima volta.
"Tu sai tutto di me, sei l’unico a conoscere il mio passato e l’identità di mio padre perché per me sei importante, molto più di quanto credi, e... scoprire che tu non hai mai fatto come me, che non ti sei mai fidato di me al punto da aprirti, ecco... mi ha fatto capire che probabilmente non sono abbastanza importante per te."
Dirlo ad alta voce, concretizzare quel pensiero e quella nuova consapevolezza faceva molto più male che lasciare che rimanesse tutto nella sua testa.
Marco, a quelle parole, sgranò di poco gli occhi cerulei e lo fissò incredulo. Era quello che Ace pensava? Era quello che lui gli aveva fatto credere? Si sentiva uno stupido, ma la verità era che Ace aveva ragione e Marco non aveva niente da ribattere per potersi difendere.
Non c’era niente da difendere.
"E questo vuol dire che avevi ragione quando mi hai detto che puoi vivere benissimo senza di me. Io posso vivere benissimo senza di te."
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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BORDER OF LOVE

Capitolo IV

L’estate era giunta con calma, portandosi dietro il caldo e il cielo terso, ed Ace aveva continuato a lavorare come tutte le sere.

Ormai non aveva più bisogno del giubbotto, la notte era calda e si stava bene a maniche corte, ma lui aveva continuato a portare una giacchetta di jeans che copriva le braccia muscolose e che recludevano la vista dei suoi pettorali fasciati da una maglia nera attillata che usava sempre a lavoro.

Da quando aveva avuto quel diverbio con Marco non ci aveva più parlato, dopo quella notte era rimasto a casa una buona settimana con un febbrone che non si decideva a scendere, complice anche il fatto che Ace non voleva starsene a letto a poltrire e si era riposato poco.

Nessuno gli aveva più portato un caffè, tranne Thatch ogni tanto quando gli andava, e Marco evitava Ace così come Ace evitava Marco. Era una situazione che gli faceva male e che gli insinuava uno strano freddo dentro, che lo faceva rabbrividire e stringersi nella giacca nonostante soffiasse un vento caldo.

Era così intento a rimuginare sui suoi pensieri che degnò di appena uno sguardo i clienti che entravano nel bordello, non rendendosi conto che Barbanera, che aveva già causato molteplici casini da loro, era sgusciato all’interno dell’edificio.

"Ace!"

Lo richiamò Marco, spalancando la porta di colpo e afferrandogli un braccio, lui lo guardò e adocchiò appena l’interno della sala.

"Teach è tornato a fare casini, sbrigati ad entrare! Stasera non c’è Rufy a riprendersi Nami!"

Già, perché Rufy non c’era quella sera? Oh, forse aveva avvertito che non avrebbe potuto esserci.

Formulato quel pensiero, la sua mente si concentrò su Teach mentre seguiva Marco nell’atrio dell’Harem e lanciava su una sedia il giacchetto, dato che così aveva maggior possibilità di movimento.

Il suo sguardo sondò con attenzione la situazione, soffermandosi sul grassone sdentato che si stava tenendo il polso destro con la mano sinistra, mentre Nami aveva tirato fuori da sotto il bancone il lungo bastone di ferro che utilizzava solo in casi estremi, come ad esempio un cliente che insisteva e non voleva darsi una bella calmata.

Ace sospirò e le si avvicinò, mettendole una mano sulla spalla per farle capire che poteva rilassarsi mentre invece lui adesso si scrocchiava le nocche. Era arrivato al limite massimo di sopportazione, e la cosa certa era che Marshall D. Teach non avrebbe mai più messo piede nel loro Harem.

"Adesso faremo così: tu vieni fuori con me senza fare storie, ti aiuto a farti passare la colossale sbornia che hai, poi ti allontano da qui a calci e la prossima volta che ti vedo non ti faccio entrare, che ne dici eh?"

Si allontanò da Nami, che nel frattempo aveva rimesso il suo bastone a posto, e si avvicinò a Teach per poterlo afferrare per un polso, trascinandoselo poi verso l’uscita.

Il gridolino di Nami fu la prima cosa che gli fece capire che qualcosa non andava come avrebbe dovuto, la seconda fu la faccia di Marco, diventata improvvisamente dello stesso colore dei fogli che si trovavano sul bancone, la terza fu Thatch che scattò verso di lui.

L'ultima, e la più significativa, fu rendersi conto di avere una lama piantata all'altezza delle costole, appena di fianco la fondina con dentro la pistola, e poi il dolore acuto che arrivò all’improvviso appena il bastardo strinse la presa sull’elsa dell’arma e girò la lama nella sua carne, facendolo gemere, quasi urlare di dolore ed accasciare sul pavimento.

"Ace!"

Marco si precipitò al suo fianco, e lui fu l'unica persona a cui riuscì a dedicare l'attenzione, mentre tutto intorno si faceva tutto più confuso: c'erano grida, pugni, insulti.
Era tutto troppo lontano al momento.

"Sto bene."

Farfugliò Ace a fatica, e l'attimo dopo si era lascia andare contro di lui, la fronte contro la sua spalla e la ferita che gli mandava continue stilettate di dolore; si sentiva stanco e senza forze, i rumori attorno a lui erano diventati un insieme indistinto di suoni e l’unica cosa che riusciva a mettere vagamente a fuoco era la camicia viola di Marco.
Quella camicia così bella. Sarebbe rimasta sporca di sangue.

"Resisti Ace, resta con me."

Lo sentì dire, e mugolò dal dolore quando le sue mani premettero sulla ferita, probabilmente cercando di fermare l'emorragia. Ma Ace aveva già gli occhi socchiusi, e quella fu l'ultima cosa che sentì prima di perdere coscienza.
  
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