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Autore: _LenadAvena_    28/06/2016    1 recensioni
"Sapevo che sarebbe stato difficile. E doloroso, anche. Sapevo che ne sarei uscita a pezzi. Ma non m’importava."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Icaro
 
Sapevo che sarebbe stato difficile. E doloroso, anche. Sapevo che ne sarei uscita a pezzi. Ma non m’importava. Volevo essere libera, volevo lasciar cadere tutti quei muri che avevo eretto attorno a me, quei muri che nascondevano il mio cuore malandato spacciandolo per un cuore di pietra. Quei muri che mi proteggevano dalle mie paure, dalle mie ansie, dall’uomo nero nell’armadio e il mostro sotto il letto. Avevo paura. Il buio mi aveva inghiottito, non vedevo più nulla, nemmeno una flebile luce, un luccichio. Ero caduta nell’oscurità di me stessa. Il mio più grande nemico ero io. Avevo imparato a non fidarmi di nessuno, a non lasciare che qualcuno s’infiltrasse tra le mie fragili barriere. Fidarsi voleva dire spogliarsi. L’unica volta che l’avevo fatto era andata male. L’unica fonte di luce da seguire ero io, ma poi è successo. Mi sono spenta. Si sa, quando giochi troppo col fuoco, rischi di bruciarti. Io ero incenerita. Cercavo di rimettere insieme i miei pezzi, cosi infiniti da sembrare coriandoli. Particelle infinitesimali che vagano nello spazio senta meta. Anche io mi sentivo così: persa. Non ho mai brillato per le mie scelte, ma avevo davvero toccato il fondo. Ancora non capisco cosa mi dicesse il cervello, ma evidentemente ero stata così stupida da seguire il cuore. Andava tutto bene. Sentivo di poter toccare il cielo con un dito, sentivo di volare. Ero felice. Ma le illusioni durano poco. Mi sono rovinata con le mie stesse mani, ho permesso al mondo di entrare e distruggermi, ridurmi a poco più che niente. E nel frattempo sorridevo. Sorridevo così tanto da illudere nuovamente anche me stessa, oltre che gli altri. “Sto bene” mi dicevo, “va tutto bene”. Ma non ha funzionato. Ho continuato ad andare giù, giù, giù. Fino a sprofondare. Ma ancora non lasciavo che le lacrime vincessero. Piangere è debolezza, piangere è solo uno spreco di tempo. Se piangi le cose non migliorano, non si mettono a posto. Per la verità, non si mettono mai a posto. La vita continuava a scorrere imperterrita. E mi scivolava dalle dita. Non avevo più una presa su niente, continuavo a precipitare e i miei coriandoli continuavano a sfuggirmi. E sorridevo, mentre dentro urlavo. Degli artigli invisibili mi laceravano il petto, ma “ciao, come stai?” “bene”. Per un po’ avevo potuto essere sincera. Rispondevo di star bene e davvero era così. Camminavo a tre metri dal terreno. Riuscivo anche a stare da sola, riuscivo a pensare. Non dovevo più soffocare i miei pensieri con la musica alta, piuttosto era un sottofondo. Poi, lame sottili avevano iniziato a spezzare tutte le mie certezze, l’illusione era svanita e io mi trovavo faccia a faccia con la verità. Che poi, cos’è la verità? La verità è una scheggia di ghiaccio. Gelida e affilata, penetra nella carne  e poi diritta al cuore. E non si può estrarre. Così piccola e sottile, questa maledetta scheggia, come le spine che s’infilano nella pianta del piede. Dolorose, ma invisibili. Sentivo come se dovessi scoppiare da un momento all’altro, una voragine che si apriva proprio al centro del petto. E io ci stavo cadendo dentro, senza sapere quanto fosse profonda. Avevo cominciato a cedere per ogni piccola cosa, ogni giorno ero di nuovo sull'orlo del baratro, ogni giorno scoprivo quanto fosse profonda quella voragine credendo di essere finalmente arrivata alla fine. E invece no. Non saperlo di certo non mi aiutava, vista la mia incurabile mania del controllo. Ero intrattabile, scostante, acida, sempre sulla difensiva. Allontanavo chiunque si accorgesse del mio stato, che ormai era una stentata sopravvivenza. Stavo scomparendo lentamente. Non trovavo conforto in nulla, mancavo di concentrazione ed ero instabile emotivamente. L'unico sfogo erano una biro e un diario consumato, proprio come me. Consumata: così mi sentivo. Così logora da non poter essere più rattoppata. E la colpa era tutta mia: se solo fossi riuscita ad andare avanti, se solo avessi permesso a chi di dovere di entrare dentro di me e salvarmi, non sarei finita in quel modo. O meglio, se solo non fossi stata così ridicolamente fragile. La mia determinazione, la mia testardaggine non esistevano più. Scomparse. Volatilizzate. Incenerite. Ero senza via d'uscita. Incastrata in una situazione che non potevo gestire e quindi - "oh, Dio"- ero fuori di testa. Perché avevo permesso che succedesse? Perché avevo lasciato che mi entrasse così profondamente dentro, nel corpo, nella pelle, cuore, fegato, stomaco? Ero stata un'incosciente, avevo ignorato il passato e c'ero ricaduta un'altra volta. Ero tornata ad essere un piccolo uccellino bramoso di libertà, di volare via dal nido. E come Icaro, ero arrivata troppo vicino al sole. 
Continuo a precipitare.
  
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