Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: CHAOSevangeline    28/06/2016    1 recensioni
{ Edmund/OC }
Improvvisamente le tornò in mente il dialogo tra Lucy e Susan, che non sapevano dove si fosse cacciato un certo Edmund.
« Sei la ragazza che è appena arrivata? » le chiese lui, inaspettatamente.
Avrebbe dovuto ringraziarlo: l'aveva appena sollevata dall'incarico di trovare qualcosa di dire.
« Sì, sono Eria, sorella di Caspian. Tu sei…? »
« Re Edmund. »
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo ottavo
 



Edmund proprio non capiva come potessero esistere persone votate alla battaglia.
Lui per primo era uno degli impavidi re di Narnia, pronto a tutto pur di difendere il regno ed i suoi abitanti, ma se c’era una cosa che odiava era allontanarsi da un luogo sicuro per andare incontro all’imprevedibilità di un conflitto.
Solo il fato conosceva i propri programmi e, Edmund lo sapeva, quella fastidiosa sensazione di tensione non gli si sarebbe scrostata di dosso fino a quando non avrebbe fatto ritorno insieme a tutti i suoi alla Casa di Aslan.
Aveva già indossato la cotta di maglia che i nani avevano confezionato per lui appena il giorno prima, scoprendola impeccabile; come tutti i lavori dei nani, in fin dei conti.
Dopo aver ripassato per l’ennesima volta il piano con Peter e riflettuto ancora sulle variabili che potevano essere loro sfuggite Edmund rimase in silenzio accanto all’ingresso, una mano sull’elsa della spada e un braccio che ricadeva morbidamente lungo il fianco.
Lo sguardo scorse sui presenti e si fermò per un attimo su Eria, che a qualche metro di distanza da lui parlava con Caspian.
Edmund era in ansia per la spedizione imminente e l’idea di non poter salutare pacificamente la principessa non alleggeriva affatto il peso sulle sue spalle.
Non poteva andare peggio di così, ne era convinto.
Il suo pessimismo gli fece pensare che non salutare Eria l’avrebbe presto portato ad avere un motivo di biasimo per essersi accomiatato da tutti meno che da lei.
Non riusciva a giustificare la propria scelta di starle lontano ripetendosi quanto Eria fosse una testarda che non voleva sentire ragioni: Edmund sapeva perfettamente di essere stato criptico la sera della riunione alla tavola di Aslan; nessuno, nemmeno un indovino avrebbe capito che si era comportato in quel modo solamente perché mosso dalla volontà di tenerla al sicuro.
Edmund decise di non fissare la giovane troppo a lungo, pur essendo convinto che lei lo avesse notato e lo stesse volutamente ignorando.
Non aveva torto: essere un buon osservatore era tanto un pregio quanto una condanna; Eria aveva notato gli occhi del ragazzo puntati su di sé avendo gettato un rapido sguardo oltre la spalla di Caspian, ma si era rifiutata di reagire in qualsiasi modo.
« Promettimi che starai attento », disse la giovane al fratello dopo essere tornata a concentrarsi su di lui.
« Quando mai non lo sono? », rispose Caspian, fingendo un tono spavaldo per tranquillizzare la sorella.
« Caspian, sono seria », sospirò, guardandolo dritto negli occhi.
« Starò attento, Eria. Non devi preoccuparti: ho già fatto qualcosa del genere. »
La ragazza si rassegnò, annuendo seppur debolmente, come se non volesse lasciarsi convincere troppo.
Mentre lei e Cornelius raggiungevano il campo della resistenza narniana, Caspian aveva dovuto affrontare diverse prove. Averne sentito parlare solo quando ormai quelle imprese si erano concluse, però, aveva fatto percepire ad Eria quegli avvenimenti come lontani, quasi come se fossero qualcosa di cui non era necessario preoccuparsi.
Adesso però doveva fronteggiare l’imminente partenza del fratello e la consapevolezza di non poter rimanere al suo fianco la stava già logorando.
« Perché devo sempre rimanere ad aspettare? È terribile. »
Caspian tacque, poggiando le mani sulle braccia di Eria.
In quel momento qualsiasi frase detta sarebbe suonata come un tentativo di convincerla che rimanere lì fosse la cosa migliore per lei, la cosa che più le si addiceva. E Caspian sapeva quanto Eria si sarebbe infuriata sentendo delle simili parole. Però sapeva anche di non potersi irritare per le proteste della sorella: se fosse stato lui a dover aspettare con le mani in mano il ritorno di qualcuno, l’agonia dell’attesa sarebbe stata tale da farlo impazzire. Sua sorella ormai stava diventando abile in questo e Caspian non ne era affatto felice.
« Pensa solo che saperti al sicuro mi farà concentrare di più su ciò che devo fare », cercò di rassicurarla, affrettandosi a proseguire. « So che non è piacevole, la parte che devi fare tu come tutti quelli che rimarranno qui è forse più esasperante della nostra, che siamo lontani e sappiamo cosa sta succedendo. »
Eria capì, nonostante Caspian non avesse parlato con troppa precisione, che si riferiva a ciò che era accaduto la sera prima. Anche se la ragazza non aveva prestato eccessiva attenzione al ringraziamento che il fratello aveva rivolto a Edmund quando quest’ultimo aveva convinto Peter a non portare Eria con loro, la giovane si era ugualmente resa conto che la persona che più aveva beneficiato di quell’azione era sicuramente suo fratello.
« Spero che tu capisca. »
« Sì, Caspian. Lo capisco. »
Allo stesso modo avrebbe dovuto capire Edmund allora, a cui invece aveva rivolto tante cattiverie. Ma quello era un discorso diverso; se solo il ragazzo le avesse parlato chiaro quando gli aveva chiesto spiegazioni, forse Eria sarebbe stata in grado di farsene una ragione e di sentirsi addirittura lusingata. Era ciò che era emerso da quel minuscolo pretesto a farla andare su tutte le furie.
Peter diede l’ordine di partire pochi attimi dopo.
« Non pensare troppo finché non torno », si raccomandò Caspian, chinandosi per lasciare un bacio sulla fronte della sorella.
Quando il ragazzo si allontanò Lucy, che aveva appena salutato tutti e tre i fratelli, la raggiunse ed Eria le avvolse affettuosamente un braccio intorno alle spalle.
Prima di restare sola con Caspian, Eria aveva avuto occasione di parlare con Susan. Come la giovane regina aveva chiesto a lei di badare alla sorella minore mentre erano lontani, Eria aveva chiesto a Susan di vigilare, per quanto le era possibile, sul fratello. Il sì di Susan l’aveva resa molto più tranquilla di quanto non avesse fatto la promessa di Caspian di essere prudente.
Occuparsi di Lucy – che invero aveva molta più esperienza di Eria in fatto di attese, cosa che l’avrebbe resa probabilmente più tranquilla di lei – sarebbe stato un ottimo metodo per non pensare ogni secondo a tutta la gente di Narnia e a Caspian. E a Edmund, su cui ora i suoi occhi si erano posati.
Eria aveva salutato persino Peter, ma lei ed Edmund si erano evitati come se avvicinarsi troppo potesse scottarli.
Incrociò lo sguardo del ragazzo e non lo distolse. Sapeva che si sarebbe pentita di non essergli andata a parlare prima che partisse per tutto il tempo che avrebbe trascorso in attesa nella grotta, ma la sua caparbietà in quel momento la stava facendo da padrona.
La compagine di narniani si allontanò sotto lo sguardo vigile dei rimasti, che ben presto tornarono alle proprie mansioni o ne trovarono di nuove pur di tenersi occupati.
Solo lei e Lucy rimasero ad osservare i compagni marciare fino a quando non scomparvero oltre la linea degli alberi.
La mattinata trascorse in modo relativamente tranquillo. Eria e Lucy dovettero occuparsi come al solito dell’incombenza di riempire i barili d’acqua, quasi del tutto svuotati durante la notte per riempire le borracce di coloro che erano partiti.
Chiacchierarono e parve quasi che tra loro vigesse il tacito accordo di non accennare in alcun modo alla partenza di quella mattina. Per un attimo fu quasi come se stessero vivendo uno dei tanti normalissimi giorni tra le fila della resistenza di Narnia.
Il pranzo fu silenzioso e il pomeriggio non fu da meno. Quasi tutti avevano finito di svolgere le proprie incombenze e il caso decise che, nonostante l’indicibile quantità di cose da fare ogni giorno, per quella giornata non fossero rimasti molti altri compiti da svolgere.
Rimuginare fu presto l’unico passatempo disponibile.
Quando il sole era già alto nel cielo tutti i presenti nella grotta sentirono uno scalpiccio furibondo sulla discesa che portava all’ingresso della casa di Aslan: erano i topi che fino a quel momento erano rimasti nascosti alla corte di Miraz.
« Dobbiamo vedere il Re supremo! » sentenziò uno di loro.
Lucy, che era seduta poco distante dall’ingresso, si alzò e andò loro incontro.
« Non c’è. È partito per raggiungere uno dei forti rimasti. »
I topi si scambiarono degli sguardi allarmati, poi quello che aveva parlato tornò a rivolgersi a Lucy.
« Vostra Maestà, siamo tornati tutti perché l’esercito di Miraz è partito. »
I nuovi arrivati vennero rapidamente sommersi di domande, a molte delle quali non sapevano nemmeno dare risposta.
Non era certo che l’esercito avesse preso la strada del forte, ma in ogni caso non c’era nulla che i presenti potessero fare: tutti coloro che potevano combattere erano già partiti, mentre i rimasti avevano ricevuto l’ordine tassativo di non raggiungerli per alcun motivo.
Una corsa disperata verso di loro sarebbe comunque stata inutile: sarebbe stato impossibile raggiungerli in tempo e la fretta avrebbe fatto rischiare ad un qualsiasi messaggero di lasciare tracce che sarebbero potute tornare utili al nemico.
Quando le tenebre cominciarono a calare, nella grotta sembrò quasi di impazzire.

 

Anche per coloro che si erano allontanati dalla Casa di Aslan la mattinata fu infinitamente più semplice del pomeriggio.
Se avevano attaccato di giorno non era stato certo per mancanza di riflessione: a furia di pensare erano giunti alla conclusione che comparire al forte durante le ore più buie non sarebbe stato sorprendente come farlo quando il sole era ancora alto nel cielo. Dopotutto le azioni losche vengono sempre associate al calar della notte e non tanto al giorno.
In realtà le cose non sarebbero nemmeno dovute andare troppo male, seguendo i loro calcoli minuziosi. Era stato proprio il fato che tanto faceva allarmare Edmund a mettersi contro di loro, cogliendoli alla sprovvista.
I narniani erano arrivati al forte quando il sole era già alto: purtroppo per loro tutte le roccaforti di Miraz si trovavano dall’altro lato del fiume Beruna, cosa che li aveva costretti a guadarlo lontano dal punto in cui si trovava il ponte per non rischiare di incontrare gli uomini di Telmar.
Avevano risparmiato le energie per attaccare appena giunti al forte. Combattendo con forza e tenacia nessun narniano era caduto sotto i colpi nemici. A dire la verità la cosa nemmeno sorprese troppo Edmund: colui che amministrava la fortezza, un lord basso e grassoccio, sembrava più bravo a urlare ai suoi uomini di difenderlo piuttosto che a impartire ordini utili in qualsiasi modo. La vittoria era assicurata.
I problemi erano giunti una volta trascorse le ore più calde.
I narniani erano ad un passo dalla vittoria, quando al rumore della battaglia, allo stridere delle spade e alle urla concitate dei soldati si era aggiunto quello di una marcia decisa.
Una vedetta di Narnia era stata mandata subito ad affacciarsi ai merli della fortezza e una compagine di uomini, palesemente di Miraz, era stata avvistata all’orizzonte.
Di certo non si trattava di un esercito, ma il quantitativo di soldati sarebbe comunque stato in grado di dare problemi agli invasori del forte.
Fu proprio così che andò: gli uomini mandati da Miraz a sorvegliare il castello – Caspian ne aveva già saccheggiati altri prima dell’arrivo dei Pevensie. Se quel tiranno di suo zio fece una sola cosa intelligente e giusta fu proprio questa – si riversarono oltre i cancelli e combatterono i Narniani.
Tutti gli uomini risparmiati nel corso della giornata caddero allora e i superstiti furono costretti a battere in ritirata.
Avrebbero dovuto essere più previdenti e andarsene subito, senza sperare di poter riuscire a fronteggiare il nemico in modo tanto spavaldo.
Sapevano che una volta raggiunta la foresta sarebbero stati salvi, perché gli uomini di Telmar com’erano i seguaci di Miraz non avrebbero mai avuto il coraggio di seguirli nel folto degli alberi per paura che si rianimassero inaspettatamente e facessero loro del male.
Fu una corsa folle e disperata, quella dall’uscita del forte fino al bosco; in mezzo si trovava una vasta pianura, ottimo territorio dove gli arcieri avrebbero potuto fare strage.
Gli sconfitti avrebbero potuto fermarsi subito dopo aver raggiunto la coltre di fronde, ma continuarono la propria fuga fino a quando non guadarono il fiume Beruna per la seconda volta nel corso della giornata.
Avevano fatto ritorno alla casa di Aslan a sera fatta, stanchi e feriti, sia dai nemici che dalle seppur non troppo numerose perdite.
Nella grotta si sentirono riecheggiare le indicazioni di Caspian e Peter su come disporre i feriti.
Peter fu il primo ad entrare.
« Lucy, ci serve il tuo cordiale! »
La bambina era già in piedi, pronta a correre incontro alla voce di Peter per controllare che lui e i fratelli stessero bene. Il fatto che avesse sentito la voce del maggiore dei Pevensie era già di per sé una garanzia che almeno lui fosse illeso, ma nella mente di Lucy era ancora vivo il ricordo della battaglia combattuta contro la Strega Bianca in cui Edmund era rimasto ferito e la richiesta del suo cordiale non fu affatto rasserenante.
Eria scattò insieme a Lucy per prestare soccorso ai feriti. Peter entrò di gran carriera nell’antro illuminato solo dal focolare, seguito da Caspian; stavano trasportando insieme Trumpkin, che fu il primo a saggiare la miracolosa medicina di Lucy.
Tutti coloro che versavano in condizioni peggiori rispetto agli altri vennero salvati dal cordiale della più piccola dei Pevensie, mentre gli altri ricevettero le attenzioni mediche man mano che qualcuno era disponibile per fornirgliele.
La grotta si riempì dell’intenso odore delle erbe usate per le cure.
Eria riuscì ad avvicinarsi a Caspian solo dopo aver aiutato Cornelius a medicare la zampa di un fauno zoppicante. Nulla di grave nel momento in cui era arrivato, ma era meglio occuparsene subito per scongiurare la possibilità che lo diventasse con il tempo.
Egoisticamente la giovane non aveva fatto altro che pensare di voler svolgere in fretta quel compito solo per essere libera di raggiungere suo fratello e i suoi amici. Se ci fossero state notizie infauste però sarebbe stata già raggiunta e che nessuno si fosse avvicinato a lei con sguardo cupo l’aveva rasserenata.
In un momento di tregua da fasciature ed erbe officinali, Eria si voltò e vide il fratello. Anche lui la notò e le corse incontro.  
« Caspian, stai bene? » gli chiese dopo avergli gettato le braccia al collo.
Le bastò sentire la stretta in cui il fratello la avvolse per capire la risposta alla sua domanda.
Eria si sentì in colpa a stringere così Caspian, al centro della grotta e davanti a tutti coloro che nello scontro di quel giorno potevano aver perso qualcuno.
« Non sono ferito », disse con voce piatta il ragazzo, fingendo un sorriso che gli riuscì così apatico da far quasi male a chi lo guardava.
Eria gli carezzò il viso, leggendo nei suoi occhi una disperazione tale che le sembrò di fare davvero poco rivolgendogli semplicemente qualche parola di conforto.
« I topi ci hanno detto cosa stava per succedere », sussurrò la ragazza, mordendosi il labbro. « Era troppo tardi per raggiungervi, però. »
« È una fortuna che nessuno abbia deciso di tentare un’impresa simile: sarebbe stato un suicidio. » Caspian la guardò negli occhi, omettendo le ultime parole che gli erano passate per la testa. Era particolarmente grato per il fatto che proprio Eria non avesse sellato un cavallo per raggiungerli e tentare l’impossibile contro il tempo e le forze nemiche che avrebbe potuto trovare lungo la strada.
Eria vide Susan avvicinarsi e le rivolse un piccolo sorriso.
« Qui state bene? » domandò la ragazza, dopo averla abbracciata.
« Non mi preoccuperei di noi », rispose Eria, il tono amareggiato.
Scambiò con Susan e il fratello qualche altra parola, limitando il proprio discorso ad un imbarazzato scambio di battute. Non c’era nulla capace di sembrare davvero adatto da dire per il momento.
A quel punto Eria si rese conto di non aver ancora visto Edmund. Diede per scontato che fosse lì, da qualche parte, perché altrimenti i fratelli Pevensie non sarebbero stati tanto tranquilli.
Per quanto poco conoscesse il carattere di Edmund, la giovane era più che convinta che con l’esperienza appena affrontata il ragazzo non volesse parlare con nessuno; doveva essersi rintanato in qualche anfratto nascosto della grotta con l’intenzione di non farsi trovare né di comparire fino a quando non si sarebbe leccato da solo le ferite.
Quello sciocco che non voleva mai farsi aiutare da nessuno.
In quel momento c’era così tanto bisogno di sostenersi l’un l’altro che ad Eria non importava nemmeno più quello che era successo il giorno prima. Forse se fosse andata ad interrompere il ritiro di Edmund lui si sarebbe arrabbiato e dopotutto non avrebbe potuto dargli torto: l’aveva insultato e, ripensandoci, si sentiva sciocca.
Avrebbe raccolto ciò che si meritava.
Prima che potesse avviarsi verso il corridoio di pietra che l’avrebbe condotta dove generalmente riposava Edmund, Eria si sentì chiamare; era Peter, che seduto poco distante insieme a Lucy aveva alzato lo sguardo verso di lei.
« Sì? » chiese lei con tono febbricitante, già pronta a scattare via come una molla.
« Stai andando a cercare Ed? »
Se in condizioni normali Eria avrebbe smentito quell’ipotesi, in quel momento nemmeno si sforzò di negare ed annuì.
« Bene, non voglio che stia solo. »
Eria lo rassicurò, dicendogli che sarebbe stata lei ad occuparsi di Edmund. Sempre che lui glielo avesse lasciato fare, ma questo non lo aggiunse.
Camminò in lungo e in largo per tutta la grotta, percorse persino cunicoli che conducevano ad angoli che non aveva mai esplorato. Ma di Edmund nessuna traccia.
La richiesta di Peter era stata una conferma del fatto che il ragazzo fosse lì da qualche parte e non riuscire a trovarlo fu per Eria la goccia che fece traboccare il vaso. Tutta la frustrazione dovuta agli avvenimenti degli ultimi due giorni, che fossero più o meno seri, si abbatté su di lei e le fu impossibile impedire a qualche lacrima di scendere lungo le sue guance.
Si sentì così piccola e stupida che prima di continuare la propria ricerca e farsi vedere in condizioni tanto pietose da qualcuno – sebbene quelle degli altri fossero anche peggiori delle sue –, Eria decise di dirigersi in quella che oramai definiva la propria camera da letto per calmarsi.
Quando arrivò lì si asciugò le lacrime, che continuarono imperterrite a scendere. Venne scossa da un brivido nervoso.
Scostata la mano e aperti gli occhi, finalmente Eria lo vide: Edmund era seduto una coperta, distesa accanto alla quella che lei usava come giaciglio. Aveva le gambe raccolte al petto ed era assorto nei propri pensieri. Fu l’arrivo della ragazza a interromperlo.
Eria rimase in silenzio sull’uscio, sentendo un moto di calma pervaderla. Edmund era davanti a lei e stava bene, solo un piccolo graffio gli solcava la pelle pallida della guancia, ma nulla di più.
Dal canto suo Edmund era andato lì perché avrebbe davvero voluto vedere Eria, ma allo stesso tempo temeva di farsi vedere da qualcuno perché si sentiva vulnerabile. Lei in particolar modo non avrebbe avuto nessun motivo per aiutarlo, però era comunque lei che aveva cercato.
« So che forse non mi volevi vedere, ma… » cominciò a borbottare Edmund, pronto ad alzarsi.
Eria non lo sentì nemmeno. Corse verso di lui e gli gettò le braccia al collo, una mano affondata tra i suoi capelli e l’altra arpionata disperatamente alla sua schiena.
« Mi dispiace! Mi dispiace, Ed », singhiozzò. « Sono così contenta che tu sia qui e stia bene. Io… oggi non sono nemmeno venuta a salutarti. Ero arrabbiata e… per cosa poi. »
Edmund rimase immobile, ma non perché quell’abbraccio gli desse fastidio: semplicemente si sarebbe aspettato tutto fuorché una reazione simile.
Ricambiò la stretta senza esitazione, affondando il viso contro la spalla di Eria.
Per un momento Edmund si dimenticò della terribile giornata appena trascorsa e di tutto ciò che aveva visto.
Quando Eria si allontanò da lui per poterlo guardare, Edmund lottò con forza contro le lacrime che volevano inumidirgli gli occhi dopo aver visto Eria lasciarsi andare.
La ragazza poggiò le mani sulle sue guance, carezzandole appena. Avrebbero avuto fin troppe cose di cui parlare, della battaglia e di ciò che era successo quel giorno, ma Edmund avrebbe fatto di tutto pur di non dover affrontare l’argomento.
Preferì piuttosto giustificarsi. Giustificarsi per ciò che aveva fatto la sera in cui si erano riuniti intorno alla Tavola di Aslan, la stessa sera in cui era stato deciso che Eria non avrebbe visto la battaglia a cui lui aveva invece partecipato.
« Non ti ho lasciata qui per farti un torto. Lo sai questo, vero? »
« Non serve che ne parliamo, Ed. Davvero: ho capito. »
« Voglio che sia chiaro », insistette lui dopo aver scosso la testa. « Ero sincero quando ti ho detto che avresti potuto combattere, ma ho preferito pensare a me e saperti al sicuro. »
Eria lo ascoltò in silenzio. Tra le lacrime si aprì un sorriso e la giovane annuì appena, lasciando che il ragazzo le asciugasse il volto con le dita.
Ora aveva davvero una ragione per sentirsi lusingata.
Rimaneva ancora in sospeso ciò che era successo a Cair Paravel, quando si erano concessi la loro piccola fuga, ma ci avrebbero pensato in seguito; non sarebbe stato quello a tenerli ancora lontani.
L’unica cosa che Edmund voleva, al momento, era sentire Eria vicina a sé nella speranza che questo lo confortasse. Almeno un poco.
Solo quando il ragazzo cominciò a sbadigliare, vinto dal sonno, Eria ruppe il silenzio.
« È meglio se ti riposi ora, Ed. Io rimango qui. »
Edmund si sdraiò e l’unica cosa che sentì furono le piccole carezze della ragazza sul proprio viso.

 

Era stato tutto così vivido da togliergli il fiato.
Gli sembrava che Jadis fosse lì, proprio di fronte a lui, pronta a confonderlo di nuovo, a fargli commettere il secondo sbaglio peggiore della sua vita.
Tra le mura asfissianti e buie dell’incubo i suoi fratelli non lo perdonavano; non c’era un lieto fine, non c’era nulla di tutto ciò che aveva conosciuto in realtà.
Rimuginare su come sarebbe potuto andare il passato era sciocco perché in cuor suo Edmund sapeva molto bene che la Strega Bianca non sarebbe più riuscita a farlo cadere nel proprio tranello, ma non poteva fare a meno di torturarsi pensandoci.
Gli succedeva sempre quando le cose si facevano difficili. L’aveva rivista nei propri sogni per molto meno: una battaglia era un motivo più che sufficiente.
Tiratosi a sedere di scatto Edmund si passò una mano sul viso, scoprendo delle gocce salate ad inumidirgli le guance.
Tutti dormivano, nessuno l’avrebbe visto.
Nessuno lo vedeva mai in quei momenti e a lui non dispiaceva affatto: sapeva consolarsi da solo e non aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno. O almeno questo era ciò di cui si voleva convincere.
« Edmund…? »
In quell’anfratto della grotta non c’era nessuno. A parte loro.
Eria aveva insistito per rimanergli accanto quando era tornato e lui le era stato grato, anche se non era certo che quel sentimento stesse permanendo.
Non si accorse nemmeno di non averle risposto; lo realizzò solo quando lei sistemò una mano sulla sua, allarmata.
« Ehi… »
« Sto bene, sto bene. Non ti preoccupare. »
Edmund distolse lo sguardo da un punto imprecisato sul viso della ragazza. Certamente non si trattava degli occhi, perché aveva troppa paura che lo vedesse scoperto e vulnerabile per guardarla direttamente.
Non si era mai lasciato andare nemmeno con i propri fratelli, di certo non voleva farlo in quel momento, anche se avere Eria accanto faceva premere le sue lacrime per uscire.
« No, non è vero. »
Eria gli si fece più vicina, continuando a carezzargli la mano. Si morse il labbro preoccupata, senza sapere cosa dire. Non insistette, ed Edmund non parlò.
Avvolse però un braccio attorno al suo, appoggiando silenziosamente la guancia sulla sua spalla.
Edmund le era grato per non aver insistito e per essere semplicemente rimasta accanto a lui.
« Ho sognato Jadis, la Strega Bianca. » Ricordò che Eria aveva molti meno anni di lui e che all’epoca della sua prima visita a Narnia ancora non era nata. Era una cosa che tendeva a scordarsi, perché alle volte le sembrava di conoscerla da una vita. « Sai chi è? »
Parlarle, se non avesse conosciuto nulla dell’identità della strega, sarebbe stato inutile e avrebbe resa necessaria tutta una serie di preamboli che Edmund non credeva di poter fare in quelle condizioni.
Eria alzò lo sguardo, facendo un rapido cenno con il capo.
« Il mio precettore me ne ha parlato, qualche volta », asserì.
« Chissà se ti ha raccontato anche di quello stupido bambino che ha tradito la sua famiglia per seguire la strega. »
Un sospiro più simile ad un singhiozzo sfuggì alla presa delle sue labbra ed Eria si spostò immediatamente, sgattaiolando di fronte a lui per poterlo guardare negli occhi.
« Il bambino che poi ha combattuto rischiando la morte? Quella storia me l’ha raccontata tua sorella Lucy. »
Edmund rimase spiazzato. Era convinto che l’invito di Aslan a non parlare del passato con lui avesse fatto passare qualsiasi voglia ai fratelli di parlarne in qualsiasi occasione. Per Lucy era sempre diverso, però.
« Lucy non è obiettiva. »
« Perché, tu sì? » lo incalzò, prendendogli le mani.
Lui gliele strinse di rimando.
« Edmund, cos’hai visto nel tuo sogno? »
« Narnia che cadeva a pezzi per colpa mia, i miei fratelli che non perdonavano un traditore come me, io che diventavo Re accanto alla strega. »
Ogni parola pronunciata gli bruciava in gola; pensava di meritarsi quel dolore, pur essendo passato diverso tempo ed essendosi riscattato. Ci sono sempre vecchie ferite che si riaprono quando meno te lo aspetti e quando credi che si siano rimarginate del tutto.
« Forse sei stato un traditore tempo fa, ma ora non lo sei più, Ed. »
Edmund la guardò di sottecchi, con scarsa convinzione.
« Quando hai detto che ho meritato il mio titolo conoscevi già questa storia? »
« Perfettamente. Non parlo mai senza sapere quel che dico. »
Eria accennò un sorriso, con cui cercò di alleggerire l’atmosfera pesante. Poggiò una mano sulla spalla di Edmund, sospingendolo affinché si sdraiasse e lo seguì, coricandosi di fronte a lui. Tracciò un percorso immaginario sulla sua guancia con la punta delle dita.
« Avrai sempre I tuoi fantasmi, Ed. Ma dipende da te se saranno in grado di ferirti di nuovo. Tra i tuoi fratelli sono sicura che tu sia quello che ha meno probabilità di cadere in un tranello del genere una seconda volta. »
Sembrava che Eria sapesse perfettamente cosa dire e come accarezzarlo, per farlo calmare.
Edmund non volle sapere chi, secondo la ragazza, avrebbe avuto più possibilità di commettere un errore. Forse in parte conosceva la risposta, ma per un momento voleva concedersi di essere egoista e non pensare a qualcuno che non fosse lui stesso.
« Cerca di riposare ora, d’accordo? Ne hai bisogno. »
Edmund credeva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi, un poco per lo spavento dovuto al sogno, un poco per paura che un altro incubo simile si ripresentasse, portandolo ad essere ancor più sconvolto.
Sprofondò fra le braccia di Morfeo improvvisamente, senza volerlo, venendo accolto da un sonno senza sogni.



 
- - - - - - - -
Di nuovo un po' in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia, ma sono oberata dalla mole di studio per gli esami.
Non ho molto da dire per quanto riguarda il capitolo se non che ci ho lavorato tantissimo perché, pur avendolo già scritto, non riusciva a convincermi del tutto. Ora credo di poterm idire quantomeno abbastanza soddisfatta!
Sperando nei vostri pareri, alla prossima ~
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: CHAOSevangeline