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Autore: Marilia__88    29/06/2016    3 recensioni
Una nuova storia che come "Ti brucerò il cuore" riparte dal presunto ritorno di Moriarty e dallo stesso momento. Un'altra versione della quarta stagione con nuove teorie e nuove congetture completamente diverse.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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… “Ma sarei venuto con te! Non ti avrei mai lasciato andare da solo, lo sai!” ribatté John.
Con un po' di fatica il detective alzò una mano ed accarezzò la guancia del medico. “Ed i-io…n-non ti avrei…mai messo…in pericolo…lo sai…” disse, sorridendo appena. Dopo alcuni istanti una forte fitta lo travolse all’improvviso. Un gemito sfuggì dalle sue labbra e strinse i denti nel vano tentativo di non farsi sopraffare dal dolore. Subito dopo, però, non riuscì più a resistere; chiuse gli occhi e smise di respirare.





 
 
Appena John si accorse che Sherlock non respirava più, un’ondata di panico lo travolse. “No…no…Sherlock…” urlò, scuotendolo con forza. Afferrò il polso tra le mani per controllare il battito, ma non sentì niente, soltanto il vuoto. “Sherlock…ti prego…non lasciarmi…” continuò disperato.
Proprio in quell’istante arrivò l’ambulanza e i paramedici si precipitarono con urgenza sul corpo del detective. Il medico provò a spiegare la situazione con fare professionale, ma non riusciva a smettere di tremare e altre lacrime continuavano a bagnargli il viso.
Gli addetti ai soccorsi, dopo aver preso l’attrezzatura, iniziarono la rianimazione di Sherlock.
Il rumore di quelle scariche di defibrillatore, riportarono John con la mente alla sera in cui era morta Mary. Quella sera era sconvolto, ma il dolore che aveva provato allora, non era neanche lontanamente paragonabile a quello che stava provando. Mary era sua moglie, certo, ma Sherlock era tutta la sua vita. Era stato uno stupido. Avrebbe dovuto capire le intenzioni del suo migliore amico, avrebbe dovuto capirlo dalle sue parole e dai suoi gesti. Se solo se ne fosse accorto in tempo, avrebbe potuto salvarlo, avrebbe potuto impedirglielo. Sentì le gambe tremargli pericolosamente e dovette sostenersi con una mano al muro per non cadere. Greg lo guardò e si avvicinò velocemente. Anche lui aveva lo sguardo spaventato e anche lui stava soffrendo.
“John stai bene?” chiese Lestrade preoccupato.
“I-io…non lo so, Greg…” rispose John, mentre fissava il corpo di Sherlock percorso da quelle scariche.
L’ispettore sospirò pesantemente e lo abbracciò con forza. Entrambi scoppiarono a piangere, cercando conforto l’uno nelle braccia dell’altro.



 
 
Sherlock stava vagando nel suo palazzo mentale. Nel momento in cui aveva preso tutte quelle droghe desiderava davvero morire, ma adesso, dopo aver visto la disperazione di John e le sue lacrime, qualcosa dentro di lui si era smosso. Voleva lottare, voleva tornare da lui.
Mentre correva disperatamente tra i corridoi, sentì la voce del medico in lontananza “Sherlock…ti prego…non lasciarmi…” diceva tra le lacrime. Si fermò un attimo ad ascoltare quella voce carica di disperazione e sospirò “Tornerò da te, John…te lo prometto!” esclamò convinto. Poi riprese a correre e, come il giorno in cui Mary l’aveva sparato, cercò tra quelle stanze qualcosa che lo aiutasse a non mollare, qualcosa che lo spingesse a resistere. Preso dall’angoscia, scese velocemente le scale e si trovò di fronte ad una porta. Senza neanche pensarci, la aprì ed entrò. Appena fu dentro, però, si accorse che era capitato nell’unico posto che voleva evitare. Era di nuovo in quell’orribile stanzetta dalle pareti imbottite. E lì c’era sempre lui: Moriarty. Istintivamente si voltò per uscire, ma la porta era bloccata.
“Devo resistere…devo resistere…” si ripeteva Sherlock tra sé e sé con il respiro corto.
“Stai morendo, Sherlock…ma non devi avere paura…” canzonò Jim, strattonando le catene.
Sherlock cadde a terra in ginocchio. Il suo corpo era nuovamente attraversato da dolori lancinanti. “Stai zitto…” sibilò tra i denti.
Moriarty scoppiò a ridere di gusto e si inginocchiò di fronte a lui. Poi cominciò a cantare di nuovo quella fastidiosa canzoncina: “…Tira vento e piove, Sherlock è scontento… sto ridendo e piangendo, Sherlock sta morendo…”.
“Smettila!” urlò il detective, ansimando pesantemente.
“Avanti, Sherlock…lasciati andare…lasciati morire…in fondo è questo ciò che volevi…” canzonò Jim tra le risate.
“No, devo resistere…devo tornare da John…” rispose Sherlock, parlando più con sé stesso che con il suo nemico.
“Oh, il caro John…lui sì che piangerà a secchiate!” esclamò Moriarty, iniziando a camminare per la stanza.
Il detective strinse i denti e, con un po' di fatica, riuscì a mettersi in piedi. Poi si diresse verso la porta e provò in tutti i modi ad aprirla, tirando pugni e calci. Nonostante tutto il suo impegno, però, non voleva saperne di aprirsi. Le forze lo abbandonarono all’improvviso e si lasciò scivolare a terra, tenendo i palmi e la fronte poggiati sulla porta. Alcune lacrime iniziarono a rigargli il viso “John…” disse disperato. Non c’era più niente che potesse fare. Ormai era troppo tardi. Sarebbe morto e lo avrebbe perso per sempre.
In quel momento, però, quando tutte le speranze lo avevano ormai abbandonato, la porta si aprì. Dovette fare un’incredibile sforzo per rimanere in equilibrio in ginocchio. Davanti a lui c’era qualcuno e, proprio quel qualcuno, doveva aver aperto la porta. Alzò lo sguardo, cercando di metterlo bene a fuoco e, appena lo riconobbe, il suo cuore perse un battito. “Mycroft?” esclamò sorpreso.
Il politico gli sorrise e gli porse la mano. “…Te l’ho detto, Sherlock…sarò sempre qui per te…”.
Sherlock afferrò la sua mano, ignorando Jim alle sue spalle che lo chiamava disperato. Appena fu in piedi, guardò suo fratello per qualche istante con le lacrime agli occhi. “M-mi dispiace…ho fatto una cosa stupida…” disse mortificato.
“Non sono arrabbiato con te…ma ora devi andare…” rispose Mycroft, indicandogli le scale.
Il detective lo superò e salì il primo gradino. Poi all’improvviso si fermò e si voltò di nuovo verso di lui, sospirando pesantemente. “So che non sei reale…ma volevo avere l’occasione di dirtelo almeno una volta…ti voglio bene, Mycroft…e te ne ho sempre voluto...”.
Mycroft non rispose. Si limitò a sorridergli con una dolcezza che non gli aveva mai visto negli occhi.
Sherlock ricambiò il sorriso e si aggrappò al corrimano, iniziando con un po' di fatica a salire di sopra. Poteva ancora farcela, poteva ritornare da John.  
 



 
Mentre John e Greg erano stretti in quell’abbraccio disperato, qualcosa attirò la loro attenzione: un piccolo bip, che si ripeteva con irregolarità. Si staccarono all’improvviso e si voltarono verso il corpo del detective. I paramedici erano riusciti a rianimarlo: il cuore aveva ripreso a battere, se pur in modo irregolare. Lo caricarono velocemente sulla barella e lo portarono di corsa in ospedale.
 
I due arrivarono al pronto soccorso qualche minuto dopo l’arrivo di Sherlock. Si accomodarono distrutti nella saletta d’attesa ed aspettarono con ansia di ricevere notizie.
Dopo un’ora circa un dottore uscì dalla porta del reparto. Aveva un’espressione cupa ed il suo sguardo non prometteva niente di buono.
“Allora, come sta?” chiese John, alzandosi di scatto.
L’uomo sospirò. “Per ora abbiamo fatto tutto il possibile. Non vi nego, però, che le sue condizioni sono gravi e non posso ancora garantirvi se ce la farà. Le prossime ore saranno quelle decisive”.
Il medico annuì e si passò le mani sul viso con disperazione. Non riusciva a pensare lucidamente. Desiderava soltanto svegliarsi ed accorgersi che si trattava soltanto di un brutto sogno, voleva svegliarsi e ritrovarsi di nuovo a letto con Sherlock, il suo Sherlock. “P-posso vederlo?” chiese con voce tremante.
Il dottore parve riflettere per qualche istante. “Non sarebbe possibile…ma posso fare un’eccezione” disse, con un mezzo sorriso. Poi fece cenno a John di seguirlo e lo portò nella camera del detective.
Il medico entrò nella stanza di Sherlock con il cuore che gli batteva all’impazzata. Restò fermo qualche istante sulla soglia della porta con la maniglia ancora in mano. Il consulente investigativo era pieno di tubi e di elettrodi in costante monitoraggio e aveva una flebo al braccio. Si avvicinò al letto e si sedette vicino a lui. Gli prese la mano e la strinse con forza, mentre alcune lacrime iniziarono a rigargli il viso. “Non azzardarti a morire, razza di idiota…mi hai capito?” disse con voce rotta. Poi si portò la mano sulla fronte e rimase fermo ad aspettare in quella posizione.
 
Dopo un’ora circa, il medico non si era mosso di un millimetro. Gli occhi iniziavano a chiudersi sotto il peso della stanchezza, ma cercava in tutti i modi di rimanere sveglio. All’improvviso sentì la mano di Sherlock muoversi. Alzò di scatto gli occhi e cominciò ad osservarlo attentamente in attesa di qualche reazione. Rimase a fissarlo con il cuore in gola, trattenendo il respiro. Dopo alcuni istanti, finalmente, le sue palpebre traballarono impercettibilmente e, con molta lentezza, i suoi occhi si aprirono.
Subito dopo il detective si voltò verso di lui e lo guardò intensamente.
John si specchiò nei suoi occhi chiari e, in quel momento, pensò che quello fosse lo sguardo più bello che avesse mai visto. Era così contento, che non riuscì a dire niente. Si alzò semplicemente dalla sedia e lo abbracciò con forza. Poi si staccò da lui e lo guardò con un misto di rimprovero e sollievo. “Sei davvero un idiota, lo sai?”.
Sherlock non rispose. Sospirò pesantemente ed abbassò lo sguardo.
“Potevi parlarne con me…avremmo trovato un’altra soluzione insieme…” continuò il medico “…I-io non so cosa avrei fatto se ti avessi perso di nuovo, Sherlock…” aggiunse con gli occhi lucidi.
“L’ho fatto per te…” disse il detective con voce flebile, alzando lo sguardo e guardandolo dritto negli occhi.
“Cosa?” chiese John confuso.
“M-mi stavo lasciando andare, John…m-mi stavo lasciando morire…” rispose con voce tremante “…poi ti ho sentito piangere…mi hai chiesto di non lasciarti ed io…io ho lottato per…p-per tornare da te…”.
Il medico non sapeva cosa dire. Quelle parole gli erano arrivate dritte al cuore. Una lacrima iniziò a rigargli la guancia destra e, nello stesso istante, sul suo volto apparve un enorme sorriso. Si fiondò su di lui e lo baciò.
 
Si stavano ancora baciando quando qualcuno bussò alla porta. Solo allora John si ricordò che avrebbe dovuto avvisare i medici e soprattutto Greg, che stava aspettando notizie.
“Avanti…” disse il medico.
Un uomo ben vestito entrò nella stanza. “Devo consegnare questa per Sherlock Holmes…” disse. Tra le mani aveva una rosa rossa ben confezionata su cui si intravedeva un piccolo biglietto.
“Può darla a me!” esclamò prontamente John, leggermente infastidito.
L’uomo consegnò la rosa e, senza aggiungere altro, uscì fuori.
Il medico si voltò verso il detective per chiedere spiegazioni e si accorse che, anche se con un po' di fatica, stava ridacchiando. “Si può sapere che hai da ridere? E poi chi diamine ti manderebbe una rosa rossa?”.
“Sarà qualche ammiratore…” scherzò Sherlock divertito.
“Molto simpatico!” esclamò John, staccando il biglietto e aprendolo velocemente. Quel piccolo pezzo di carta aveva un profumo familiare e la calligrafia era senza ombra di dubbio di una donna. All’interno c’era scritta una frase.

 
- Non finirò mai di ringraziarla per la sua disponibilità e per ciò che ha fatto…spero, ben presto, di riuscire a ripagarla come merita.
 
 
Il medico finì di leggere quelle parole ad alta voce e non riuscì a nascondere un’espressione irritata. Girò più volte il biglietto alla ricerca di una firma, ma non trovò nient’altro.
“Potresti darmelo?” chiese Sherlock, porgendogli la mano.
John gli porse il pezzo di carta con un gesto nervoso e poggiò sgraziatamente la rosa sul comodino.
Il detective rilesse il biglietto, lo annusò e lo scrutò con attenzione. Ci mise pochi secondi a capire chi fosse il mittente. Era difficile dimenticarsi di quella donna e di tutta la situazione che la riguardava. E poi quel profumo era inconfondibile e, questa volta, non poteva assolutamente sbagliarsi.
“Allora?” domandò il medico impaziente.
“Rettifico, John…è un’ammiratrice…” rispose Sherlock.
John gli lanciò uno sguardo furioso, infastidito da quelle parole.
“Sei geloso…” affermò il detective divertito.
“Devo andare ad avvisare Greg e dirgli che sei sveglio!” esclamò il medico, voltandosi di scatto.
Sherlock lo afferrò da un braccio e lo fermò. “John…”.
John non fece in tempo a voltarsi che il detective lo attirò a sé e gli stampò un passionale bacio sulle labbra.
“Va meglio?” chiese il consulente investigativo appena si staccò da lui.   
Il medico annuì e sorrise, piacevolmente sorpreso da quel gesto.
Dopo alcuni istanti, però, Sherlock sbiancò all’improvviso e si portò una mano sugli occhi, cominciando ad ansimare.
“Ehi…che succede?” chiese John allarmato.
“Mi gira un po' la testa…” rispose il detective a fatica.
“Non avrei dovuto farti sforzare!” esclamò il medico, iniziando a controllare i parametri vitali dai monitor. “Stai tranquillo, vado a chiamare qualcuno…” aggiunse, precipitandosi fuori dalla stanza. Dopo un po’ ritornò con un dottore ed un’infermiera al seguito.
I due visitarono Sherlock con attenzione e gli somministrarono qualche calmante per permettergli di riposare. Non appena i farmaci fecero effetto, infatti, si addormentò.
“Dormirà per qualche ora…ormai è fuori pericolo, ma ha bisogno di assoluto riposo per riprendersi completamente” spiegò il dottore.
John annuì e sospirò. Poi si avvicinò al detective, gli passò dolcemente una mano tra i capelli e lo baciò sulla fronte. Prima di uscire dalla stanza, però, prese il biglietto che era allegato alla rosa e lo mise in tasca. Era sicuro che Sherlock avesse capito chi fosse quella donna misteriosa ma, per qualche strana ragione, non aveva voluto dirglielo. Ancora pensieroso si recò nella saletta d’attesa per informare Greg. La stanchezza aveva avuto la meglio sul suo corpo, infatti lo trovò addormentato sulla seduta. “Greg…” lo chiamò, scuotendolo leggermente.
Lestrade aprì di scatto gli occhi. “Che succede? Come sta?” chiese allarmato e assonnato al tempo stesso.
“Sta bene, ora sta riposando. Ce l’ha fatta ed è fuori pericolo…” rispose il medico non riuscendo a non sorridere.
“Grazie al cielo!” esclamò Greg sollevato. Poi abbassò lo sguardo e sospirò. “Mentre eri dentro ho ricevuto una telefonata…”.
John lo guardò con aria interrogativa, facendogli cenno di continuare.
“Ciò che è successo non cambierà le cose, John…appena Sherlock verrà dimesso dall’ospedale dovrà partire comunque…” continuò Lestrade.
“Già…” disse semplicemente il medico. Per un attimo si era quasi dimenticato della missione. Era così concentrato a capire di chi fosse quel biglietto, da non rendersi conto che, nonostante tutto, il destino del suo migliore amico era comunque segnato. Ma questa volta, però, lo avrebbe seguito. Se Sherlock doveva andare incontro alla morte nell’Europa dell’Est, sarebbe stato al suo fianco e sarebbe morto con lui. Qualunque cosa avrebbero dovuto affrontare, l’avrebbero fatta insieme. Sarebbero stati, come sempre, loro due da soli contro il resto del mondo.  










Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il penultimo capitolo! Ebbene sì, la storia sta per finire e il prossimo dovrebbe essere l'ultimo capitolo (sempre se riesco a concentrare tutti gli avvenimenti in uno solo...altrimenti lo dividerò in due parti...)! 

Devo ammettere che questo capitolo è uno di quelli che mi è piaciuto di più. La scena di Sherlock e del suo palazzo mentale e di Mycroft che lo salva la trovo davvero tenera. Spero sia piaciuta anche a voi! Sherlock non è mai riuscito a dire esplicitamente a suo fratello "ti voglio bene", perciò ne approfitta in quell'occasione, anche se sa che quello non è realmente Mycroft, ma è solo una proiezione di lui nella sua mente. 


Sherlock non è riuscito a lasciarsi andare e a lasciarsi morire, non dopo aver visto le lacrime di John ed aver sentito le sue suppliche disperate. Non è riuscito a lasciarlo, almeno non in quel modo!

Qualcuno ha regalato una rosa al detective....una rosa rossa...una donna...chi sarà? Questo lo scoprirete nel prossimo capitolo! Comunque immaginare un John geloso, mi fa sempre divertire e poi era un modo per alleggerire un pò il capitolo. 

Il nostro John ha deciso di partire con Sherlock e di affrontare tutto al suo fianco e stavolta nessuno potrà fargli cambiare idea!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto...Grazie a chi continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento...Alla prossima ;)

 
   
 
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