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Autore: Sofyflora98    29/06/2016    2 recensioni
Dal primo capitolo:
"Tutto era iniziato con un cadavere. Un uomo sui cinquanta, vedovo, che faceva una vita abbastanza tranquilla, senza avvenimenti degni di nota. Un bel giorno, di punto in bianco, era morto. L'avevano trovato riverso sui gradini di fronte alla porta di casa. Quando avevano cercato di identificare la causa del decesso, i dottori erano rimasti allibiti. Non c'era una causa. Niente che potesse spiegare come mai un uomo di mezza età perfettamente in salute fosse all'improvviso crollato a terra. Come se tutto il suo organismo si fosse fermato dolcemente, e basta.
Fino a che non colsero sul fatto l'assassino. Quello che fu presto chiarito era che non si trattava di un essere umano. Non del tutto perlomeno. Mangiava e respirava e dormiva. Solo che a volte assorbiva la vita dagli altri."
****
Johnlock
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aspettare. Questo gli aveva detto di fare Mycroft. E questo avrebbe fatto, per il momento, dato che comunque non aveva idea di come procedere, per cercare di scoprire dove fossero Sherlock e quel Victor Trevor di cui il maggiore degli Holmes gli aveva parlato.
John era tornato a Baker Street da ore, ormai. Era rimasto seduto sul divano praticamente da quando era arrivato all'appartamento. Non sapeva nemmeno a cosa aveva pensato per tutto quel tempo, lì immobile. A Sherlock, probabilmente. Continuava a non aver intenzione di alzarsi.
Era sempre stato consapevole di quale fosse la differenza tra ciò che Sherlock sapeva di lui e ciò che lui sapeva di Sherlock, ed era sempre stato consapevole del fatto che si trattasse di un divario enorme. Lui non era mai venuto a conoscenza i molti aneddoti sulla sua vita, fatta eccezione per qualche piccola cosa raccontatagli dalla signora Hudson, ma solo ora si rendeva conto di aver vissuto con un quasi sconosciuto.
Ciò che lui aveva saputo prima di quel giorno ammontava praticamente a nulla. Zero assoluto. E non si trattava solo del coinquilino, ma dell'intera città, del mondo in cui viveva. Una guerra tra esseri sovrannaturali era in corso, mentre le vicine di casa si raccoglievano per cucire centrotavola all'uncinetto.
Un'intera nuova specie viveva nel paese, svolgeva le proprie attività e si era addirittura spezzata in due per uno scontro feroce, senza che gli umani se ne accorgessero per anni. Ora che ci pensava, secondo quello che gli aveva detto Mycroft, le Creature dovevano esistere già da qualcosa come una ventina d'anni, e probabilmente gli esperimenti si protraevano già da un pezzo quando le cavie erano fuggite dai laboratori. La loro presenza invece era stata percepita solo da quattro anni e qualche mese.
E sorgeva  a quel punto un nuovo problema: anche supponendo che riuscissero a distinguere le Creature dagli esseri umani a colpo d’occhio, come capire quali erano ostili e quali no? Perché non potevano certo andare ad arrestare o a sparare alla prima Creatura che vedevano fare la spesa in giro, ora che era stata chiarita la questione della divisione di fazioni.
Ad un certo punto, John si accorse di essersi alzato per accostarsi alla finestra e guardare fuori.
Chiunque avrebbe potuto essere una Creatura, tra le persone lì fuori, pensò. Avrebbe potuto aver parlato e magari fatto amicizia con molte di loro, senza nemmeno essersene reso conto. Anzi, era molto probabile.
Ricordò un sogno in cui aveva visto ali, artigli e zanne affilate. Cacciatori mimetizzati tra le loro prede, che si fingevano parte di loro. Alcuni con l’intento di sopprimere i propri istinti animali, ed altri in attesa di balzare sul primo individuo che si ritrovava solo in un luogo fuori mano. Non molto diverso da come molti uomini erano già per conto loro, in effetti. Solo con la capacità fisica di distruggere gli altri, ed una necessità biologica, rendevano le Creature più pericolose.
Le fazioni erano come due branchi animali. In guerra tra loro, guidate da dei capi che avevano ottenuto quel ruolo con la loro forza o scaltrezza, decise a prevalere sull’altra per cancellarla o inglobarla, e con un territorio conteso.
E poi c’era Sherlock. Solitario, fragile e diffidente Sherlock. Non riusciva a togliersi l’impressione che lui non facesse realmente parte di tutto questo, che ne fosse come trascinato contro la sua volontà. Due volte vittima, prima di Baskerville e poi del sistema formatosi successivamente a quei tragici avvenimenti.
Sentiva un bisogno impellente, bruciante, di proteggerlo. Non da Moriarty, non si trattava di proteggerlo da qualcosa di preciso, ma dal mondo piuttosto. Sentì una scarica d’ansia nervosa opprimergli lo stomaco, come se in ogni istante che Sherlock passava lontano dalla sua vista, ci fosse il rischio che il mondo lo spingesse troppo e lo mandasse in frantumi.
Sherlock era come il cristallo. Durissimo, quasi impossibile da graffiare o scalfire, e freddo. Ma un solo colpo ben assestato nel punto giusto, avrebbe sgretolato completamente la sua struttura. Quindi sì, a suo modo era fragile. Non per questo, però, debole. No, non era affatto debole o indifeso. Erano gli altri ad essere assurdamente spietati.
Da quando avesse iniziato a pensare in termini come “noi”, inteso lui e Sherlock, e “gli altri” era un mistero ancora più intricato che quello su come riconoscere le Creature.
E fanculo a tutte le sue affermazioni sul non essere gay, perché discorsi del genere erano inutili e stupidi. Non aveva a che fare con l’essere o non essere gay. Si era deciso ad ammetterlo, sì, e quando formulò la frase nella propria mente, dopo settimane di tentennamenti, un peso gli si levò dal petto.
 Lui amava Sherlock. Fine della storia.
 
 
 
Quasi tutto il giorno Sherlock l’aveva passato nel suo Palazzo Mentale, seduto a gambe incrociate sulla moquette. Victor non l’aveva disturbato: era abituato a questo, e sapeva quando non era il caso di disturbarlo. Il detective, infatti, nemmeno si accorse dell’uomo che andava avanti e indietro, e dei rumori prodotti dai suoi movimenti e dai suoi gesti.
Sembrò risvegliarsi di scatto, con un profondo respiro simile a quello di un uomo che esce dall’apnea, solo verso sera, mentre Victor leggeva un volume sui miti scandinavi seduto accanto al tavolo della cucina. Non appena udì il cambiamento del respiro dell’amico, sollevò gli occhi dalle pagine.
- Ben tornato. – gli disse, con un sorriso, che Sherlock contraccambiò.
- Quanto tempo sono rimasto nel Palazzo Mentale? – domandò, alzandosi con cautela. Tutte quelle ore passate sul pavimento gli avevano indolenzito il fondo schiena.
- Beh, parecchio, anche se non ti sei avvicinato al tuo record. Sono già le nove di sera. Ho pensato però che avresti preferito essere lasciato in pace mentre meditavi. –
- Grazie, Victor. –
- Hai fame? Non hai ancora mangiato, da questa mattina. –
Sherlock scosse il capo, e spostò una sedia vicino a quella del Gatto. Allungò il collo sul libro che aveva posato in grembo. – Di cosa si tratta? –
Trevor rise piano, scuotendo la testa. – Solo favole inventate da popolazioni antiche, Sherlock. A te non sono mai interessate questo genere di cose. –
Ciononostante lasciò che la Libellula prendesse il libro dalle sue mani, iniziando a sfogliarlo. Sembrava più affascinato dalle figure che dalle leggende narrate. Era vero che quel tipo di storie non l’avevano mai attratto molto, ma essere seduto ad un tavolo a sfogliare un libro illustrato, in quel momento lo fece sentire come se fosse ancora nell’abitazione in cui aveva vissuto assieme a suo fratello, a Victor e a Jim nei primi anni dopo la fuga da Baskerville. Erano stati anni colmati dalla paura di essere scoperti, durante i quali ancora soffrivano molto per la loro nuova condizione, ma erano stati tutti assieme. In un certo modo, sentiva che era stato più felice in quel primo periodo che negli anni a venire.
- L’uomo in quest’illustrazione ti somiglia incredibilmente, Victor. – mormorò mentre guardava la raffigurazione di uno dei personaggi.
- Oh, lo pensi anche tu, quindi? –
Sherlock rimise il volume sulle gambe di Victor, che invece lo chiuse e lo posò sulla superficie del tavolo.  - Cos'hai fatto in questi ultimi anni, Victor? - la voce di Sherlock era poco più di un sussurro.
- Nulla. Mi sono nascosto dalla fazione di sotto, perlopiù. Da quando mi hanno identificato come un pericolo diretto non mi danno pace. Ci è voluto un po', ma alla fine sono riuscito a far perdere loro le mie tracce, anche se dubito che riuscirei a celarmi ai loro occhi ancora a lungo se Jim si mettesse a cercarmi in prima persona. -
- No, immagino di no. -
Il Gatto gli avvolse le spalle con un braccio, portandoselo più vicino. - È un secolo che non vedo tuo fratello. Lui come sta? -
Il detective alzò le spalle. - Come al solito. La sua dieta non funziona, è scocciato da ogni altro essere vivente e dirige il governo britannico all'insaputa del governo stesso. –. Alzò una mano, e la portò sulla spalla di Victor, vicino a dove si collegava al collo. Quest’ultimo s’irrigidì un istante dalla sorpresa, ma si rilassò quasi subito, e coprì le dita di Sherlock con le proprie.
- Da quando sei sparito, noi… - Sherlock sembrava indeciso su come continuare.
- Voi avete sentito la mia mancanza? – scherzò Victor.
- Sì. –
Il Gatto sentì un fiotto di calore pervadergli il petto. – Davvero? –
- Davvero. -. E Victor sapeva che era la verità, e che non era un’esagerazione, perché Sherlock a lui non aveva mai mentito né gli aveva nascosto alcunché.
- Com’è che con gli altri praticamente non riesci a comunicare, e con me diventi così sdolcinato, eh? –. Voleva suonare scherzoso, ma si accorse che sembrava più che stesse facendo le fusa.
- Perché tu non sei un’idiota, e perché parli una lingua comprensibile. –. Probabilmente anche l’investigatore voleva sembrare ironico, ma anche lui finì per fare cilecca, e la sua voce uscì come un sospiro malinconico. – Perché ti conosco da una vita, credo. – disse infine.
Victor trascinò ancora di più Sherlock verso di sé, fino a che non fu praticamente appoggiato sul suo petto, e infilò prontamente le dita affusolate tra quei soffici riccioli bruni. La Libellula non oppose alcuna resistenza, sciogliendosi quasi letteralmente addosso all’altro, e fu il suo turno di fare le fusa, mentre il Gatto attorcigliava i suoi capelli e gli massaggiava lo scalpo affettuosamente.
Si chinò a posargli un bacio lieve sulla fronte, e il detective si sollevò per inseguire quel contatto. Victor non sapeva se poteva sperare che quel movimento significasse che le cose tra loro erano rimaste com’erano prima che lui fosse stato costretto a nascondersi. Fece un tentativo, strofinando la punta del naso sulla vicinissima guancia di Sherlock, che sembrava davvero proteso verso di lui.
Sherlock lo baciò. Era un bacio leggero, a stampo, ma più che sufficiente come messaggio. Victor aggrottò le sopracciglia. – Sei sicuro? – osò domandare. Sherlock, come risposta lo baciò di nuovo.
Mentre stava per ritrarsi, Victor allungò il collo, prendendogli il viso tra le mani, e approfondendo il bacio. Sherlock afferrò saldamente le sue spalle, e il Gatto gli circondò la vita per trascinarlo via dalla sedia per portarlo invece a sedersi cavalcioni sul suo grembo.
Ora aveva le braccia di Sherlock strette attorno al collo, come una minaccia nel caso avesse provato ad allontanarlo, e si affrettò a spostare le proprie così da riuscire ad accarezzargli la schiena da sopra la camicia. Ricordava quella sensazione, il tepore dolce del corpo della Libellula, quella sorta di morbidezza che sentiva, come se l’altro gli si stesse sciogliendo addosso. Gli era mancata da morire, e non poteva negare di aver pensato e sperato di sentirla di nuovo da quando aveva portato l’amico nella propria casa, ore prima. Nonostante sapesse che lui era l’unico ad essere innamorato dell’altro. Nonostante sapesse che anche se avevano avuto quel tipo di relazione da quando erano giovani, aveva perduto ormai quella minuscola possibilità di avere anche il suo cuore.
Fece scivolare giù le mani e gli strinse le natiche sode, accompagnando il movimento ondulatorio dei suoi fianchi. Si staccò dal bacio per riprendere fiato, boccheggiando.
- Aspetta… - ansimò. – Di là, non qui. –
A malincuore lo scostò dal proprio corpo, solo per trascinarlo verso la camera da letto. Era un sacco di tempo che non succedeva, non aveva intenzione di iniziare e finire lì, su una sedia.
Lo spinse sul materasso, e appoggiò le mani ai lati della sua testa, fermandosi un attimo ad ammirare quel bel viso arrossato, circondato da riccioli scarmigliati e ribelli. Meraviglioso. Quasi gli strappò la camicia di dosso, dalla foga con cui cercava di far scivolare via i bottoni dalle loro asole, ed ottenne per questo una risata divertita. Sherlock fece molta meno fatica, invece, a sfilare la sua. Era sempre stato più abile nel mantenere una discreta manualità in ogni situazione.
Quando si ritrovò di fronte a quel mare di pelle color latte, dovette fare un enorme sforzo per non avventarsi su di essa e marchiarla: Sherlock non era suo, anche se gli sarebbe piaciuto. Oh, quanto lo desiderava!
Comunque non oppose alcuna resistenza all’istinto di accarezzarla a tratti con delicatezza e a tratti più voluttuosamente, a palmo aperto, sia sul petto che sulla schiena, mentre l’altro gli solleticava la nuca e la base del collo con quelle dita affusolate che avrebbe volentieri preso a morsi, solo per sentire com’erano.
- Aiutami a… via, via tutto! – disse di nuovo, con il fiato reso corto dalla velocità dei battiti cardiaci. Sherlock intuì al volo cosa intendesse con quella frase appena abbozzata, e iniziò a sbottonarsi i pantaloni, sollevando il bacino perché anche Victor potesse aiutare a sfilarli via. Il Gatto lo imitò solo qualche secondo più tardi, gettando sia i suoi che i propri sul pavimento, assieme alle camicie. Ben presto anche l’intimo fece la stessa fine.
Victor appoggiò le mani sulle ginocchia dell’altro, invitandolo gentilmente a divaricare le gambe. Sherlock lo fece senza alcuna esitazione, e protese le braccia verso di lui.
Il Gatto si chinò in avanti, appoggiando tutto il corpo contro quello della Libellula, che strinse le braccia attorno alla sua schiena. Lo baciò con vigore, spingendo la lingua nella sua bocca dal sapore così dolce. Si sollevò leggermente per potergli tenere la testa fra le mani mentre gli mordeva le labbra rosee.
- Sherlock… - boccheggiò, ad un soffio dal suo volto. Questi gli accarezzò la fronte con il dorso della mano. Victor non era mai riuscito a capire se Sherlock sapesse o meno di ciò che provava nei suoi confronti. A volte sembrava comportarsi come se ne fosse consapevole, come se quasi volesse consolarlo per il fatto di non essere ricambiato come avrebbe voluto. Altre, al contrario, pareva completamente ignaro e ingenuo in proposito.
Portò le mani sotto alle cosce di Sherlock, che portò attorno ai fianchi, dove l’uomo le strinse con forza, trascinando Victor ancora di più contro di sé. Quest’ultimo fece scivolare una mano tra i loro corpi fino a che non raggiunse i loro membri. Sherlock emise un sottile pigolio quando lui li prese entrambi in una mano, iniziando a massaggiare con il pollice.
Incoraggiato da quei deliziosi suoni, Victor aumentò la velocità e l’intensità del movimento, il respiro sempre più affannoso e le gambe dolenti, i gemiti di Sherlock che si facevano man mano più forti e spezzati, tanto che ad un certo punto si ritrovò ad avere le sue unghie conficcate nei glutei.
Sherlock fu il primo a raggiungere l’apice, con un soffice grido che non si prese la briga di trattenere. Victor soffocò il proprio sulla pelle del suo petto, le mani strette attorno alle sue braccia tanto da fargli sbiancare le nocche.
Si spostò dalla posizione in cui si trovava dopo neanche un minuto, sollevando la coperta ormai non più ben sistemata così che potessero scivolarci sotto.
Gli sarebbe piaciuto, a quel punto, stringere Sherlock tra le braccia fino a che non si fosse addormentato sulla sua spalla, il respiro che gli solleticava il collo. Probabilmente, però, non glielo avrebbe permesso, e anche se lo avesse fatto, Victor non intendeva illudersi. L’affetto era certamente reciproco, ed erano diventati così intimi quando avevano poco più di diciassette anni, ma nonostante Sherlock gli volesse bene, non lo amava, e non l’avrebbe mai fatto. Ne era stato consapevole sin dalla prima volta, e aveva fatto del proprio meglio per non prendersi in giro.
Il detective si era già addormentato, o perlomeno lo fingeva, con il viso rivolto nella sua direzione. Nessun altro segno, però, di volersi avvicinare più di così. Victor, invece, gli rivolse la schiena, fissando lo sguardo verso il muro.
Se ti sei innamorato della persona sbagliata, non puoi dare la colpa a Sherlock si disse. È solo un problema tuo.
 
Per quasi tutta la notte non aveva dormito. Non aveva fatto altro che pensare e rimuginare su come procedere. Era chiaro che Sherlock difficilmente sarebbe tornato a parlare con John Watson di sua spontanea volontà, o almeno non l’avrebbe fatto di lì a breve. Victor però credeva che fosse il caso che si vedessero il prima possibile, e dubitava che Mycroft sapesse come trovarlo, quindi non restava che lui per far smuovere la situazione, e alla svelta: non aveva nulla in contrario a tenere Sherlock con sé, ovviamente, ma in quel modo questi avrebbe finito per isolarsi nuovamente, e non avrebbe giovato per nulla alla stabilità del detective.
Ricordava com’era quando era completamente rinchiuso nel suo guscio, quando erano ragazzini. Fatta eccezione per lui, era come se il resto del mondo fosse invisibile ai suoi occhi, o tanto incomprensibile e lontano da non suscitare in Sherlock alcun interesse. Non si poteva dire che le altre Creature fossero così socievoli, ma quella sua indifferenza e quel terrore cieco che provava per il mondo esterno inquietava sia lui che Mycroft.
Poi c’era stato l’incidente del 221C, dove il suo coinquilino lo aveva quasi ucciso, in preda al panico. Erano riusciti a far sciogliere almeno un po’ quell’indecifrabile libellula negli anni che avevano trascorso tutti assieme, e in un batter d’occhio era tornato al punto di partenza. Anzi, era diventato ancora più solitario e cupo di quanto non fosse mai stato. Diffidente e freddo, come una statua di ghiaccio.
Quel John Watson, però, aveva fatto miracoli in quegli ultimi mesi, e non poteva permettere che Sherlock ricadesse in quell’abisso un’altra volta senza provare a fare alcunché.
Quando giunse il mattino, aveva deciso che quel giorno stesso si sarebbe recato a Baker Street, all’insaputa di Sherlock, per parlare con quel dottor Watson. Poi avrebbe fatto in modo di farli incontrare, sempre all’oscuro del detective. Se gli avesse proposto di tornare nel suo appartamento a chiarire con il coinquilino ciò che era accaduto, sapeva che Sherlock avrebbe rifiutato di vederlo. Avrebbe scelto di rinchiudersi nel suo bozzolo, fuggire da ciò che lo spaventava, piuttosto che affrontare un’altra persona. Anche se era consapevole che tale persona non aveva alcuna cattiva intenzione nei suoi confronti.
Si stropicciò gli occhi, soffocando uno sbadiglio. Fece leva sugli avambracci per sollevare il busto, e quando fu seduto voltò il capo alla propria destra per guardare l’uomo accanto a lui. Sherlock era disteso sulla schiena, con la testa girata verso l’esterno del letto. Aveva una mano appoggiata languidamente sul petto, ed una gamba leggermente piegata, la coperta sollevata dal ginocchio che lasciava vedere una sinuosa coscia diafana. La luce pallida del sole mattutino sembrava fatta apposta per risaltare il contrasto tra quella pelle di porcellana e i capelli scuri.
Gli si avvicinò, chinandosi su di lui. – Sherlock? – sussurrò, sfiorandogli un orecchio.
Questi emise un breve mugolio per fargli capire che era sveglio. – Scusa, non avrei voluto svegliarti. Io questa mattina devo uscire, e non sono sicuro di quanto resterò fuori. Una questione delicata. Volevo solo avvertirti. Resta pure qui a dormire finché ti pare. –
Conoscendo la sua tendenza a stare giorni senza chiudere gli occhi un minuto, non si sarebbe mai sognato di buttarlo giù dal letto una delle rare volte in cui riposava così pacificamente.
Sherlock mormorò un “sì” assonnato, e diede all’altro l’impressione che non si sarebbe mosso di lì per un bel pezzo. Meglio così, si disse. Se mai Sherlock avesse pensato di cercarlo, non aveva dubbio che gli ci sarebbe voluto fin troppo poco tempo per capire dov’era andato.
Dopo aver fatto una colazione veloce ed essersi vestito il più rapidamente possibile, sgattaiolò silenziosamente fuori dall’abitazione. Meno ridestava i sensi dell’amico, meglio era, in quel caso.
Uscito dalla porta, si guardò attorno per controllare che non ci fosse nessuna Creatura della fazione di sotto a gironzolare in giro. Per questo i suoi sensi felini acuiti gli facevano molto comodo. Verificato il via libera, si diresse verso la strada principale per prendere un taxi.
Aveva un problema con le Creature della fazione opposta da qualche anno, poco dopo l’incidente accaduto a Sherlock, e poco prima che gli umani puri venissero a conoscenza della loro esistenza.
Nonostante molte delle Creature conoscessero i volti e le caratteristiche animali delle altre, lì a Londra, di rado sapevano anche nomi e cognomi dei nemici. Per non essere facilmente rintracciati, cercavano di custodire le loro identità il più gelosamente possibile. Era più facile rintracciare qualcuno sapendone il nome, che conoscendone solo i lineamenti.
C’erano alcune eccezioni i cui nomi erano di pubblico dominio, ma che erano quasi intoccabili perché ricoprivano un ruolo importante nell’organizzazione delle fazioni, come gli Holmes e Moriarty. Pochissimi osavano alzare dito contro loro personalmente, o almeno non lo avrebbero fatto fintantoché non fosse crollato quel sistema.
Victor, per sua sfortuna, non rientrava tra questi, e sebbene Moriarty non si era mai dimostrato particolarmente interessato a lui nonostante conoscesse perfettamente la sua identità, altri membri della sua fazione erano riusciti a scoprire che il Gatto aveva per nome Victor Trevor, e questo gli aveva procurato parecchi guai.
Aveva dovuto non solo iniziare a spostarsi spesso di casa in casa e lasciare il lavoro, ma anche farsi procurare dei nuovi documenti con un nome falso, perché il suo non fosse reperibile in alcuna sorta di documento che avrebbe potuto renderlo rintracciabile. Questo, però, l’aveva reso quasi impossibile da trovare anche per gli Holmes.
Mentre il taxi si fermava ad un semaforo, gli parve che uno dei passanti si fosse fermato a fissarlo attraverso il finestrino. Non poté reprimere un senso di inquietudine. Da quando si nascondeva, aveva sempre l’impressione di essere osservato. Forse era la costante tensione, forse lo stress, o magari era davvero così, ma comunque era estenuante.
Sperava solo che se davvero qualcuno lo stesse osservando, non avesse visto anche che Sherlock era entrato nella sua casa il giorno prima. A lui potevano fare quello che volevano, avrebbe tenuto testa a tutti loro, ma Sherlock non andava toccato. Era importante, era prezioso e troppo fragile per finire nelle mani di quella gente. Avrebbe ucciso, si sarebbe fatto uccidere per proteggerlo. Non lo considerava certo debole, ovviamente: sebbene non avesse le capacità di combattimento date a molte Creature dalle loro Estensioni, possedeva comunque le sue spine. Aveva a che fare con l’emotività, la sua fragilità.
E poi, era più l’idea che qualcun altro volesse fargli del male, ciò che gli faceva torcere lo stomaco. Sarà stato perché Victor aveva ancora in mente il ragazzino esile e pallido che era quando si erano visti la prima volta nei laboratori, ma il pensiero che delle persone sul serio desiderassero spezzarlo per poter sradicare la fazione che impediva loro di trucidare gli umani per farne nutrimento… credeva che esistesse un limite a ciò che una persona sarebbe potuta arrivare a fare per raggiungere il proprio scopo.
Il veicolò si fermò davanti all’appartamento di Baker Street.
Dopo averlo pagato, Victor rimase a contemplare la facciata dell’edificio. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che era stato lì? Anni, credeva. Probabilmente l’ultima sua visita era stata per aiutare Mycroft a portare via Sherlock, dopo che il fratello maggiore l’aveva trovato in un lago di sangue nel 221C. Si erano visti qualche altra volta prima che lui scomparisse, ma mai in quella casa. Sherlock aveva smesso di vivere lì subito dopo essersi rimesso in piedi. E c’era voluto del tempo, davvero molto tempo sia per la guarigione che per la riabilitazione muscolare. Era un miracolo che il suo corpo si fosse ristabilito completamente, senza lasciargli difficoltà di movimento. Probabilmente l’essere una Creatura aveva influito in questo: guarivano molto più rapidamente delle persone normali. Un umano comune probabilmente sarebbe rimasto paralizzato, dopo una molteplice frattura alla spina dorsale.
Mentre si avvicinava alla soglia, c’era una sorta di contemplazione nei suoi occhi verso quell’edificio, quasi di reverenza. Era il luogo dove per molti anni aveva vissuto Sherlock, e dove tutt’ora viveva. Era impregnato del suo odore di sicuro, della sua essenza. Caotico e polveroso, con tocchi retrò mescolati agli strumenti scientifici. Se non avesse saputo che abitava lì anche un’altra persona, John Watson, avrebbe potuto scommettere che sarebbe stato anche buio per le tende tirate e dall’aria viziata e pesante. Ma sperava che la coesistenza con qualcun altro avesse limitato certi eccessi che sembravano puntare all’autodistruzione.
Si chiese se John Watson fosse in grado di farlo mangiare se non adeguatamente, almeno sufficientemente da non farlo stramazzare a terra durante un caso, o qualcosa del genere. Sorrise tra sé, pensando a quante volte l’aveva accompagnato nei suoi casi, in passato, e a come non era mai e poi mai riuscito a farlo ragionare quando si trattava del cibo e delle altre sue cattive abitudini.
Suonò il campanello.
Passò relativamente poco tempo da quando aveva pigiato il bottone a quando la porta si spalancò di scatto, aprendogli la vista ad un uomo abbastanza basso, dai capelli corti biondo cenere e gli occhi blu scuro. Ah. Eccolo qui, il soldato.
Non era certo bravo come Sherlock, ma certe cosette riusciva a dedurle pure lui. Vide perfettamente cosa aveva fatto capire al coinquilino che quest’uomo era stato un militare. E non aveva bisogno di chiederlo per poter dire che di sicuro era stato Sherlock a capirlo prima che gli venisse detto.
Vide un lampo di delusione spegnergli un istante il volto, quando Watson lo vide. – Buongiorno, signore. Uhm… come posso aiutarla? – gli domandò, incerto.
Victor chinò il capo. – Buongiorno a lei, dottor Watson. È un piacere conoscerla di persona. –
Dovette trattenere una piccola risata, quando si accorse che l’uomo lo stava scrutando come fosse un campione da laboratorio. Doveva aver preso quest’abitudine da Sherlock.
- Posso chiederle chi è lei, signore? – si sentì dire. Eccolo, sempre all’erta. Non sarebbe stato così semplice coglierlo impreparato, se qualche Creatura della fazione di sotto avesse provato a ingannarlo. Perlomeno era preparato ad aspettarsi i problemi in arrivo. Fortuna che Victor non rappresentava un problema!
- Mi perdoni, dottor Watson. Il mio nome è Victor Trevor. –
Vide un lampo di riconoscimento farlo irrigidire un poco. – Riguarda Sherlock, quindi? – e mentre diceva questo, Watson sembrava preoccupato.
Victor annuì, cercando di sembrare il più tranquillo e rilassato possibile. Gli fu lampante come quest’individuo avesse a cuore il suo compagno (o amico, o amante, o qualsiasi cosa erano stati da non ricordava nemmeno lui quanti anni). Decise che poteva fidarsi di lui immediatamente.
- Posso entrare? Vorrei parlare con lei, e la strada non è il posto adatto. –
Ora visibilmente più bendisposto nei suoi confronti, Watson gli disse di sì, e si scostò per farlo passare.
Dentro, già dall’ingresso, tutto era identico a come lo ricordava. E sebbene gli umani non fossero in  grado di percepirlo, lui sentiva chiaramente il particolare odore dolce e sensuale che veniva emanato dalla Libellula. Anche l’aria nella piccola casa dove abitavano da ragazzini ne era stata resa satura, e quel profumo lo aveva perseguitato e ossessionato da quando era stato in grado di sentirlo.
Anche nell’appartamento vero e proprio, al piani superiore, nulla era cambiato.
Non avrebbe mai finito di stupirsi di come le apparenze ingannassero la vista.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
******
 
Note:
Tanto per la cronaca, nel caso qualcuno non lo sapesse, i miti scandinavi sono quelli che narrano delle divinità norrene, come Odino, Thor, le valchirie, eccetera. Posso supporre che sia chiaro a cosa si riferiva Sherlock, quando ha detto che una delle illustrazioni somigliava a Victor, a questo punto, partendo dal presupposto che per me Trevor è Tom Hiddleston? XD
Kisses<3
 
Sofyflora98
 
   
 
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