È tardi.

So solo questo. Non so che ore siano, che giorno sia, dove mi trovo o dove sto andando. So solo che è tardi.

A dirmelo è l'aria fredda della notte, le pesanti nuvole che nascondono il cielo ed il mio fiato che si condensa ad ogni respiro.

Ho freddo. Ma non quel tipo di freddo che si sotterra sotto strati di lana e paille. Ciò che provo io è un freddo diverso, un freddo che si può attuire con un'unica fonte calore, una fonte che ha un paio di braccia rudi e forti, un petto scolpito e una lunga chioma ribelle. Un calore che ha un nome unico al mondo.

Ho bisogno di lui, ogni giorno sempre di più ed è straziante. È ingiusto.

Avevamo deciso di non prendere impegni... ma questo va ben oltre. Ho paura di essermi innamorata e questo non va bene.

Tiro un sospiro più pesante degli altri mentre costeggio il ponte di ferro battuto che da sul fiume. Mi appoggio alle sbarre coi gomiti e guardo l'acqua che scorre tranquilla: è nera e gelida, come la mia anima.

Se mi avessero detto prima che sarebbe finita così non avrei mai accettato. Le lacrime pungono i miei occhi e le scaccio con un movimento della testa, non ho intenzione di versare una sola lacrima per lui. Né ora né mai.

Alzo gli occhi al cielo grigio che promette una nevicata in piena regola ma il pensiero di tornare a casa non mi sfiora minimamente.

Non voglio tornare in quell'appartamento troppo vuoto dove so lui potrebbe trovarmi... scuoto il capo: che stupida che sono, lui non verrà mai da me. Che motivo ne avrebbe?

Appena ho varcato la soglia della sua sua porta ed ho incontrato quei caldi e curiosi occhi castani il mondo mi è crollato addosso; non ci volevo credere eppure lei era lì.

I capelli rossi ben pettinati e stirati, il viso perfetto, il seno sodo e la pancia che ospitava un feto al sesto mese ben in evidenza.

Lei, chiunque essa fosse, era lì: sulla soglia della sua camera, in camicia da notte che mi scrutava curiosa... volevo sotterrarmi. Lui non mi aveva detto di avere una fidanzata, incinta per giunta, ma ora mi è tutto chiaro.

Mi è chiaro perché voleva sempre essere avvertito con largo anticipo dei miei arrivi mentre lui poteva presentarsi sotto il mio portone a qualunque ora, mi è chiaro perché volesse solo una compagna di letto e nessun impegno... mi è chiaro tutto.

Che stupida sono stata.

Le lacrime tornano a reclamare attenzione e stavolta non le fermo, non voglio fermarle, non potrei. Cosa mi ha spinto ad andare da lui senza nemmeno avvertirlo non lo ricordo nemmeno.

Stringo la ringhiera e guardo ancora il fiume, l'acqua gelida sembra chiamarmi tra i mormorii del suo corso... voglio andare.

Voglio liberarmi di questo peso. Voglio essere libera per una volta.

Tolgo la sciarpa che mi sta troppo stretta e la getto sul marciapiede, tra la neve, senza smettere di guardare in basso, come se fossi in trance.

Il mio telefono vibra nella tasca del cappotto, com'è accaduto spesso nei minuti precedenti ma non l'ho mai preso. Ora non è un semplice messaggio, qualcuno mi sta chiamando. Infilo la mano in tasca ed estraggo lentamente il telefono, senza guardare nemmeno chi è lo getto a terra, con pacata lentezza. Lo sento aprirsi a contatto con il marciapiede e il brusio della vibrazione cessare di botto. Ignoro tutto è mi avvicino alla ringhiera, vi poggio le mani e mi alzo in piedi dove sto comodamente.

"Uno..." sussurro muovendo un passo di lato "...due..." continuo "...tre. Giravolta" unisco i piedi e faccio un giro su me stessa fermandomi perfettamente dritta, le braccia aperte, completamente rivolta al fiume. Adesso penso.

Ai miei genitori, finiti in un fiume dopo aver perso il controllo della macchina, scivolata sulla strada ghiacciata.

Era una fresca giornata di gennaio, come questa.

Ai miei amici, Jet e Droy, che tengono a me più che a loro stessi.

A Lucy, che mi vuole un bene dell'anima.

A Natsu, che mi è sempre stato vicino sin da bambini.

A Gray, alla quale raccattavo sempre i vestiti che lui toglieva senza nemmeno accorgersene.

A Gerard, che sta per diventare padre ma non ci ha mai fatto conoscere la sua compagna.