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Autore: Collyn    30/06/2016    2 recensioni
Cara non sa molte cose: quale sia il vero viso di sua madre, ad esempio, o se quella in cui vive ora sia davvero casa sua o soltanto l'ennesima sosta di pochi mesi prima che suo padre la costringa a fare le valigie e partire di nuovo, verso mete sempre più lontane. Ma ci sono due cose che sa con assoluta certezza: la prima è che ha amato Haley, l'ha amata davvero; la seconda è che, con ogni probabilità, è stata proprio lei ad ucciderla.
Will, al contrario, sembra avere tutta la sua vita sotto controllo. Nella sua ordinarietà, sa bene qual è la quantità giusta di cibo da mangiare per non essere considerato troppo anormale, il numero esatto di passi che da casa sua deve compiere fino al bar in cui lavora prima che la voglia di andarsene prenda il sopravvento e il limite di sigarette da fumare a settimana per evitare di prendersi il vizio.
Ma ci sono sicurezze che bisogna essere disposti a perdere, soprattutto quando anche la certezza di vivere inizia a vacillare. Perché Cole, al contrario, è sicuro di una cosa soltanto: è disposto a tutto pur di vendicare la morte della sorella.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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"And the freedom of falling
And the feeling I thought was set in stone
It slips through my fingers

And I'm trying hard to let go
But it comes and goes in waves
It comes and goes in waves
And carries us away"

Waves - Dean Lewis
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Il verde e l'arancione sono i miei colori preferiti. Questi mi riportano alla mente un'immagine che vidi su un libro di animali da piccola, che mostrava una volpe, splendida nel suo manto aranciato illuminato dalla luce del giorno, immersa nell'erba altissima. Ora, però, mentre con la forchetta li mischio in un'immangiabile poltiglia di verdure, mi fanno solo pensare al vomito, facendomi passare definitivamente l'appetito; il tutto a discapito dello stomaco che, ignorando i miei pensieri assillanti e senza un filo logico, continua a brontolare imperterrito.

Distolgo lo sguardo dal piatto, sperando di trovare un soggetto più interessante a cui dedicare le mie riflessioni insensate dettate dalla noia, notando così i minuscoli granelli di polvere che si muovono davanti a me, illuminati dalla luce pigra di un sole che, nonostante sia a malapena mezzogiorno, sembra non vedere già l'ora di tramontare. Ospiti invisibili che danzano nell'aria in infinite piroette improvvisate, sospinti dal mio respiro lento e annoiato e da quello controllato e calmo di mio padre, seduto proprio di fronte a me. Quest'ultimo è, come sempre, perfettamente composto e vagamente rigido, come se questa situazione non piacesse particolarmente nemmeno a lui. E, sinceramente, la cosa non mi stupirebbe affatto.

Ha gli occhi concentrati sul suo pranzo e non fa molto caso al mio sguardo su di lui, che lo studia proprio come era abituato a fare quando, da piccola, lo guardavo ancora come qualsiasi bambino osserva il proprio genitore, ovvero come l'esempio che bisognerebbe seguire. Pensa al lavoro, come sempre. Nonostante questa sia la prima volta che ci vediamo dopo due settimane, non mi degna minimamente della sua attenzione. Lo vedo da come mima impercettibilmente delle parole con le labbra tra un boccone e l'altro, da come ogni tanto si blocca con la forchetta a mezz'aria e lo sguardo aggrottato e attento, ma non a ciò a cui dovrebbe prestare davvero attenzione in questo momento.

"Non hai fame, rêveur*?"

Il mio sguardo si sposta dalle sue mani ferme ai suoi occhi, ora puntati con fin troppa attenzione su di me, come se soltanto ora si fosse accorto della mia presenza all'interno della stanza. Nonostante il tono apparentemente dolce nella sua voce, riconosco senza sforzo il sarcasmo di cui sono impregnate le sue parole, reso evidente anche dal nomignolo appena affibbiatomi, che utilizza spesso per rimproverarmi.

Quando ero piccola e ancora potevo affermare di ricevere un minimo di affetto paterno da parte sua, usava chiamarmi così a causa della mia abitudine di perdermi fra le mie fantasie da bambina. Tuttavia, nei miei ricordi la sua voce era carica di una cadenza calda e mielosa che non ha niente a che vedere con il tono tagliente che mi ha appena rivolto e che sono ormai abituata ad incassare; quello che una volta era un dolce nomignolo carico d'affetto, infatti, ora non è altro che un brutale schiocco di dita davanti alla faccia che mi urla di svegliarmi.

"Sai bene quanto io odi gli sprechi, quindi, se hai proprio intenzione di fare lo sciopero della fame per qualche motivo a me ignoto, fammi almeno il piacere di non giocare con il cibo" risponde infine al mio silenzio, sospirando con esasperazione e tornando a pensare ai suoi affari.

Abbassando gli occhi sul mio piatto, noto che la poltiglia vomitosa di mia creazione, prima esiliata in un angolo del piatto, in quei pochi minuti di disattenzione era riuscita, aggrappandosi ai denti della forchetta che continuo a far roteare ritmicamente, ad espandersi nei territori della bistecca, sporcandola con il suo orribile e poco invitante colore. A questa vista, lo stomaco mi si contorce lievemente, accompagnato dal sussurro di un brontolio che tradisce il mio reale appetito.

Prima che possa rendermene conto, un'espressione vagamente schifata si disegna sul mio viso nel guardare il pezzo di carne sulla ceramica bianca, mentre il mio labbro superiore si arriccia verso l'alto, scoprendo leggermente i denti. Non mi è mai piaciuta la bistecca al sangue. Non so perché, ma la vista della bistecca ancora rossa all'interno mi ha sempre suscitato un irrefrenabile moto di disgusto e lui, questo, l'ha sempre saputo bene. Eppure, non so se per semplice distrazione o se per ripicca per la freddezza con cui l'ho accolto al suo ritorno, nel cucinarla lui ha pensato bene di fregarsene totalmente di questo dettaglio.

"Non hai nulla da dire?" mi richiama nuovamente all'attenzione, mentre i suoi occhietti verdissimi, così simili ai miei, mi guardano nervosi.

Non più abituata ad un'attenzione tanto prolungata da parte sua, rimango interdetta per qualche attimo, mentre le mie sopracciglia si aggrottano a tal punto che riesco senza problemi ad immaginarle dare vita all'unica domanda che ora riesce ad aleggiarmi nella testa: che diamine vuoi ora?

"Tipo cosa?" gli chiedo allora, pronunciando per la prima volta qualcosa dall'inizio del pasto.

"Non so, magari chiedermi come sto, dirmi come stai tu, aggiornarmi su cosa hai fatto durante le mie due settimane di assenza. Fai tu, hai l'imbarazzo della scelta!" mi risponde sbuffando spazientito e non cercando minimamente di nascondere il sarcasmo, cosa che mi fa infuriare.

Senza preoccuparmi di contenermi, lascio che il rancore impregni le mie parole, pur continuando a mantenere un distacco glaciale."Esattamente come tu ti sei preoccupato di aggiornarmi del fatto che saresti sparito per l'ennesima volta, senza nemmeno informarmi, non dico del tuo ritorno o del luogo in cui ti saresti recato, ma nemmeno della tua partenza?" gli chiedo retoricamente, guardandolo nei suoi occhi spalancati per lo stupore o per la rabbia, non so dirlo con certezza.

"Smettila subito, Cara. Non sono proprio in vena di discutere con te oggi."

"Certo, tu hai già i tuoi problemi, no?" lo interrompo, guardandolo negli occhi e rendendomi conto che il mio sguardo, più che essere furioso, deve sembrare quello di una bambina che fa i capricci.

Mi schiarisco la gola, ascoltando il mio battito cardiaco cominciare a calmarsi, mentre intorno a me il silenzio regna sovrano. "Cosa vuoi sentirti dire, papà? Come sono stata quando la mattina mi sono alzata e ho scoperto della tua partenza grazie ad un post-it sulla porta? Sarebbe uno stupido cliché stare qui a spiegartelo, non trovi?"

Nonostante ora la mia voce e la mia espressione sembrino quasi pacate, le provocazioni che continuo a lanciargli addosso sono così violente che, per un momento, anche quei granelli di polvere che aleggiano fra di noi mi paiono spostarsi più velocemente, come disturbati da quell'improvviso astio. Il solo ricordo di quella mattina, del silenzio che mi avvolgeva e insieme la consapevolezza che iniziava a farsi spazio dentro di me, mi fa andare in bestia. Lui non risponde, rimane immobile ad incassare, contraendo la mascella; se non fossi così arrabbiata, darei più peso alla vena che gli pulsa sul collo, segno inequivocabile che è ormai vicino a perdere totalmente le staffe.

"Dopotutto, se non hai dato ascolto ai pianti e alle suppliche di una bambina di sette anni, perché dovresti ascoltare le mie parole ora?" continuo imperterrita, approfittando del suo silenzio.

"Basta!" urla, guardandomi duro e pieno d'ira.

Con uno scatto repentino, lascia cadere senza grazia la forchetta sul suo piatto ancora mezzo pieno, mentre il rumore dello scontro inaspettato fra l'acciaio e la ceramica mi fa sussultare. Appoggia entrambi i gomiti sulla superficie di legno del tavolo, facendo il gesto a me ormai familiare di portare le mani a massaggiarsi il retro del collo e abbassare la testa, cosa che mi fa capire che sta cercando di trattenersi dall'urlarmi contro. Il suo petto, quasi ansimante, esala lentamente due respiri profondi nel tentativo di fermare l'affanno provocato dalla rabbia, mentre io cerco di rilassare la schiena, ancora rigida per lo spavento.

"Puoi andare" pronuncia con tono basso dopo mezzo minuto, tornando composto e riprendendo in mano la forchetta, come se non fosse successo nulla, come se mi stesse congedando da un colloquio di lavoro.

Stringo forte il pugno e mi ficco in bocca a forza un po' di verdura, cercando di ignorare il groppo che mi ha preso improvvisamente la gola. Mastico con fatica il cibo ormai freddo, trattenendo a stento l'impulso di risputare tutto nel tovagliolo al mio fianco. Voleva che mangiassi? Benissimo.

All'improvviso, però, un forte botto mi fa saltare sul posto, mentre l'acqua dentro al mio bicchiere si agita ed esce dai bordi per andare a bagnare la tovaglia bianca. Quando i miei occhi incontrano quelli spalancati e furiosi di mio padre, un brivido mi percorre velocemente le braccia; avevo dimenticato quanto fossi brava a farlo infuriare, nonostante la sua abituale calma. 

"Ho detto che puoi andare, Cara."

 

*sognatrice in francese.

 
  
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