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Autore: _montblanc_    01/07/2016    5 recensioni
«Mi sono risvegliata in mezzo alla foresta di Konoha e mi sono detta: ”Beh, non è un male, infondo è sempre stato il mio sogno”, ma poi l’Hokage mi aizzato contro un gruppetto di Anbu e tutto è degenerato...» stava sbraitando la ragazza, una certa isteria nel tono di voce.
~
«Vuoi unirti all’Akatsuki?» domandò di rimando lui, senza distogliere lo sguardo dal combattimento; si stava visibilmente spazientendo.
Vuoi unirti all’Akatsuki? VUOI UNIRTI ALL'AKATSUKI?! Certe cose non si chiedevano così! Non ci si poteva mettere un minimo di introduzione tipo “Ehi, ciao! Ma lo sai che anche se non sei una ninja e non sai un emerito cippolo di come ci si comporti in una battaglia, saresti un membro eccellente nell’Akatsuki? Eh? Che ne pensi?”.
Se lo faceva in modo così diretto e, sopratutto, ad una che non desidera altro nella vita - in mia difesa potevo solo dire che ognuno merita di avere le proprie ambizioni-, questa, poverina, rischiava l’infarto. Ed io non ero Kakuzu, a me ne bastava uno per rimanerci secca.
(Ho cominciato a scrivere questa storia veramente tanto tempo fa, quindi sto piano piano riscrivendo i vecchi capitoli nel disperato tentativo di renderli più leggibili)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Akatsuki, Altri, Deidara, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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Angolino dell’autrice:
*sbuca dall'ombra temendo di ricevere pomodori o altri oggetti potenzialmente contundenti in faccia* Ehm... no, non sono morta e sono ancora dietro a questa storia malsana. Mi rendo conto che questo aggiornamento arrivi vagamente ( terribilmente) in ritardo e che molti mi abbiano data per dispersa, ma non ho intenzione di lasciare sospesa questa storia, quindi pian piano ritorno. Non darò la colpa alla maturità ( brutto periodo della mia vita xD) e all'inizio dell'università, sono soltanto lenta e pigra, perdonatemi *si prostra di fronte a coloro che ancora hanno la determinazione di seguirla... se ci sono* Beh... immagino che non siate qui a sentire le mie filippiche sul "potete uccidermi per il mio ritardo", ma che vogliate il capitolo. A vostro rischio e pericolo, quindi, vi auguro buona lettura!

 
Capitolo 40
 
Nella mia lunga esistenza - sono stati diciassette anni molto intensi dal mio punto di vista- mi era capitato spesso di non riuscire a cogliere le cose esattamente al volo: il mio cervello aveva dei ritmi tutti suoi e necessitava di tempo per adattarsi ad una nuova situazione, elaborarla e trovare un modo per reagire – solitamente sbagliato-.
Ero il tipo di persona che, se un ragazzo le ammiccava o le lanciava un occhiolino strategico, si domandava se, per caso, fosse stato centrato in pieno occhio da un moscerino, invece che sospettare ci fosse dietro qualche intenzione particolare.
Per queste ragioni potrete benissimo capire che, se fino ad un attimo prima stavo per ricevere un pugno in piena faccia dalla tizia che se ne andava in giro con il mio corpo e subito dopo mi ero ritrovata a terra, sopra di lei, con un altro aspetto, avevo tutte le ragioni del mondo per esserne quantomeno confusa.
Lo strabiliante senso ninja che Sasori aveva cercato di impiantare a forza - usando letteralmente la forza, nel modo meno gentile  e cavalleresco che potete immaginare- dentro di me mi stava praticamente urlando che forse sarebbe stato il caso di rialzarsi e mettere qualche metro - se non un intero continente- di distanza dalla ragazza che aveva appena tentato di farmi partire la faccia come una pallina da ping-pong, ma la mia testa aveva decisamente bisogno di un time-out per fare il punto della situazione.
Dunque, l'Akatsuki mi aveva portata in quel mondo per i suoi loschi scopi e la cosa mi avrebbe anche reso estremamente felice se non fossi stata immediatamente additata come pericolosissima traditrice dall’Hokage – cosa discutibilissima dato che avevo la stessa aura di pericolosità di un marshmallow- e poi lanciata dall’organizzazione in un campo di battaglia, quando nemmeno giocando a Tekken riuscivo a sopraffare il minimo avversario – e dubitavo seriamente che nella realtà bastasse premere tasti a caso per risolvere la situazione-. Avevano poi tentato di insegnarmi a evitare quantomeno di uccidermi con le mie stesse mani  quando impugnavo un'arma - cosa che a parer mio avrebbero dovuto fare prima di mandarmi allo sbaraglio contro Sakura- e nel mentre mi avevano chiesto gentilmente - letto nel modo più sarcastico possibile- di evitare che i membri dell'organizzazione venissero accoppati uno dopo l'altro come zanzare.
L'unico inconveniente era che, almeno da quello che avevo capito, siccome le tecniche di Pain non erano abbastanza powerful da prendere una persona da un universo e sbatterla in un altro, il povero portatore di rinnegan aveva dovuto trasferire la mia anima nel corpo di una tipa di quel mondo, selezionata secondo chissà quali requisiti – secondo me l’avevano estratta totalmente a caso-. Perciò fino ad allora me ne ero andata in giro con l'aspetto di quella ragazza, piatta come lo stomaco di una manta birostris – che sarebbe una semplice grossa manta, ma inserire il nome completo da un brivido intellettuale al racconto- e con venti centimetri di altezza in meno rispetto al mio corpo originale.
Improvviso colpo di scena, il buon vecchio Orochimaru riesce a utilizzare un jutsu più potente rispetto a quello a cui era ricorso Pain - infondo anche agli Dei pieni di piercing e di dolore capita di fare cilecca- e aveva riportato qui il mio vero corpo - il perché era ancora da determinare-. Corpo che avevo finito per incontrare proprio quel giorno, quando ero partita per la mia scampagnata suicida per evitare che Itachi facesse la più grande cavolata della sua vita – o almeno, di quella che gli restava-.
Dato che in quel mondo i problemi si potevano risolvere solo a suon di scazzottate o non erano contenti, mi ero ritrovata sul punto di prendere un pugno in faccia da lei e, prima che me ne rendessi conto, eravamo giunte al momento clou della vicenda: quando la sua mano aveva toccato la mia guancia mi ero trovata, di nuovo, catapultata all’interno del mio vero corpo, perdendo l’equilibrio e cadendo a terra - capitemi, un cambio di prospettiva così repentino ha un che di destabilizzante -.  Guardiamo il lato positivo: dopo tutti questi casini era bello essere di nuovo a casa!
Un terribile dolore alla pancia mi riportò nel mondo reale, facendomi improvvisamente mancare il fiato e il mio corpo si piegò automaticamente in avanti, annaspando in cerca di aria – finendo probabilmente per inalare qualche povero innocente moscerino che passava di lì-.
«M-ma perché proprio allo stomaco?» mormorai con un filo di voce e le lacrime agli occhi, mentre mi stringevo l’addome per tentare, invano, di arginare il dolore, appoggiando la fronte contro il terreno sabbioso; ero troppo presa ad affondare nella mia sofferenza per poter pensare obbiettivamente a quanti insetti avessi appena tirato una testata.
Fuko, la vera Fuko, quella piatta come la manta dal nome latino di prima, sembrava dotata di un senso ninja molto più sviluppato del mio – come tutti in quel mondo, d’altronde- e aveva deciso che non avrebbe avuto senso continuare a giocare alla cavallina in mezzo al nulla; ovviamente, invece di chiedermi gentilmente di spostarmi – e quando mai!-, aveva preferito colpirmi non appena mi ero distratta e provvedere da sola.
In qualche modo ero comunque felice che si fosse limitata ad utilizzare la mano e non un kunai potenzialmente letale, ma l’esperienza non era stata comunque la più piacevole che avessi vissuto. Poi avevano anche il coraggio di chiedersi per quale motivo in quel mondo ci fossero solo morte e distruzione! Magari avrebbero dovuto smetterla di crescere ninja incazzosi dal “ora ti stendo" così immediato.
Fuko balzò - un vero balzo che faceva molto ninja!- lontano da me, atterrando dopo un paio di capriole all'indietro, che secondo me erano solo per fare scena, a qualche metro di distanza.
Con un movimento della mano si tolse la cappa dell'Akatsuki e la gettò al suolo con aria "vagamente" disgustata – stolta! La sua piccola mente non era in grado di cogliere la potenza e la magnificenza intrinseca di quella veste-.
«Oh, non pensavo sarebbe stato così facile» affermò candidamente lei con un sorrisetto soddisfatto, gli occhi violetti che scintillavano di un qualcosa che non volevo nemmeno provare a decifrare – temevo stessero immaginando la mia morte- e il vento scenico che le scompigliava i capelli con grazia; mai che capitassero a me quei momenti magici.
Seguì qualche istante di silenzio, scandito soltanto dal fruscio del vento contro le chiome degli alberi che circondavano quell'area, e dalle imprecazioni che continuavo a ripetere sotto voce per il dolore allo stomaco, con una cadenza e una litania tale da sembrare fossi in procinto di evocare chissà quale creatura dall'oltretomba.
Non avrei mai dovuto abbassare la guardia in quel modo, poco prima: avevo finito per imparare, nel modo meno piacevole possibile, che in quel mondo mettersi a pensare alla propria vita non impedisce al tempo di continuare a scorrere normalmente intorno a te; aver visto Holly e Benji – che durante le partite, prima di colpire il pallone, potevano tranquillamente ricordarsi anche di quante volte loro amata nonna andasse in bagno durante la giornata senza alcun problema- non aveva decisamente giocato a mio favore.
L'unica cosa certa era che Sasori non sarebbe mai dovuto venire a sapere che mi ero incantata come un'idiota durante una battaglia o, dopo avermi guardata con la sua solita faccia che urlava “sarei dovuto rimanere a intagliare sedie a Suna”, avrebbe deciso di aumentare ancora le mie sessioni di allenamento. Cosa che probabilmente non avrebbe sortito il minimo effetto dato che, dopo tutto quel tempo, le mie abilità ninja erano ancora pari – se non inferiori- a quelle dei bambini che dovevano ancora iscriversi all'accademia. Cominciavo a sospettare di non essere propriamente portata per quel genere di cose...
Un rumore metallico vagamente preoccupante attirò la mia attenzione e voltai la testa verso di lei, senza tuttavia muovermi dalla posizione di palla di dolore in cui mi trovavo.
Il fatto che stesse tenendo un kunai tra le mani non voleva necessariamente dire che aveva intenzione di usarlo contro di me, vero?
Alla vista dello scintillio del sole sulla lama dell’arma – quella cosa era più affilata dei coltelli da cucina che mia nonna usa per i cenoni di Natale-, deglutii a vuoto, l’ombra del dolore del pugno che avevo appena preso che ancora mi stringeva l’addome.
Magari la vena da giardiniera che fino a quel momento era rimasta sopita dentro di lei si era improvvisamente destata alla vista del campo in cui ci trovavamo e aveva deciso di mettersi ad estirpare quelle antiestetiche erbacce; o forse si era semplicemente resa conto che era venuto il momento di radersi i baffi. A me andava bene qualsiasi opzione non prevedesse quella lama conficcata nel mio collo.
Mentre mi osservavo intorno per constatare che non c'era poi molto da estirpare nei dintorni lei decise di prendere parola. Avrei veramente preferito che non l'avesse fatto e si fosse limitata ad andarsene.
«Sai… il piano iniziale era quello di ridurti in fin di vita e di utilizzarti come merce di scambio per arrivare a parlare con il tuo capo per persuaderlo a farmi ritornare nel mio corpo» cominciò lei «E poi eliminarvi tutti,  nel modo più orribile possibile, per quello che mi avete fatto passare» aggiunse con un sorrisino molto poco rassicurante, rigirandosi il coltello tra le mani e studiandolo come se lo stesse vedendo per la prima volta «Ma ora non mi servi più».
Stava forse cercando di intimidirmi? Pensava bastasse così poco per spaventare me, Ambra Ricci, impavida guerriera dell'Akatsuki? Se era così, beh… ci stava riuscendo perfettamente!
Per sicurezza - ma solo per sicurezza, eh!- decisi che forse era il caso di smettere di contorcersi a terra per il dolore e di alzarsi in una posizione che mi permettesse se non altro di riuscire a fuggire se ce ne fosse stato bisogno; anche la vista di qualche formica sul terreno dove mi ero rotolata fino a quel secondo prima aveva contribuito a tale scelta.
«Sai» la scimmiottai io, dopo essere riuscita in qualche modo a riassumere una posizione vagamente eretta «Normalmente le intenzioni malvagie vanno rivelate PRIMA di colpire il tuo avversario, in modo che quest’ultimo abbia il tempo di pensare ad una via di fuga, liberarsi e tramortire il nemico. E’ questo il tipo di cliché che la gente vuole vedere».
«Non ho idea di quello che stai dicendo»
Sbuffai, scuotendo la testa, senza tentare di celare il mio disappunto: soliti ninja ignoranti.
«Con cliché si intende-»
«So che cosa sono. Ho vissuto al tuo posto fino a poco tempo fa, mi sono dovuta adattare»
«E’ stato divertente?»
«Volevo uccidere tutti»
«Ah.»
Lo sguardo che ci lanciammo non fu molto amorevole. O meglio, il suo trapelava omicidio da tutti i pori, io avevo soltanto l'aria di una che si era appena presa un pugno e che voleva passare a letto il resto della giornata, o comunque molto lontano da lì. Che poi, io sarei veramente dovuta essere molto lontano da lì, con Itachi per l’esattezza, alla ricerca della sua voglia di vivere; e invece ero bloccata in quel posto, con un agglomerato di odio e rancore - e non stavo parlando di Sasuke- che continuava a guardarmi come se avesse appena scoperto che ero stata io a bollire il suo amatissimo pesce rosso - in mia difesa potevo dire che mi era successo soltanto una volta e portavo ancora con me il peso di quell’errore-.
Accennai un passo in avanti e un rametto si spezzò sotto il mio dolce peso.
«Io… avrei tipo parecchia fretta di andare a fare altro. Non fraintendermi! Trovo molto stimolante continuare a fissarti nelle palle degli occhi in questa radura desolata, ma ormai abbiamo risolto tutto, no? Possiamo anche salutarc-»
«Ho detto che ti avrei uccisa»
«… e non era un modo metaforico per dire “ciao, come va?”. All’Akatsuki lo usano un po’ come un intercalare, quindi non gli ho dato molto pes-»
«Quindi ti ucciderò»
«Conosci anche qualche altro vocabolo?»
«Ti scuoierò viva»
«P-preferivo quello di prima»
Che ragazza simpatica! Aveva un umorismo che faceva quasi invidia a quello di Kakuzu nei suoi giorni no – ovvero in ogni singolo momento della sua esistenza-.
Ma non era quello il momento di cincischiare; le opzioni erano due: o tentavo di stenderla con le mie discutibilissime abilità ninja o ricorrevo alle mie magiche abilità oratorie; pensandoci, tra le due, la seconda mi aveva salvata più volte da qualche meritatissima insufficienza durante le interrogazioni al liceo, quindi decisi che doveva trattarsi della mia più spiccata qualità. Non c’era nessuno che potesse resistere al mio grandissimo carisma!
Mi schiarii la gola in modo molto poco professionale e alzai una mano dritta verso un punto imprecisato del cielo - tutti i protagonisti degli anime lo facevano almeno una volta nella loro carriera, che male c'era se ci provavo anche io?- pronta a sviscerare tutte le motivazioni per cui no, non c’era alcun bisogno di cominciare a massacrarsi a vicenda in una così bella giornata.
«Oh, piccola anima smarrita, apri bene le orecchie. Nel mio luogo d’origine c’è un detto: salva un amico e risparmia un nemic
«Sei pronta a conoscere il dolore?»
Gli lanciai un’occhiataccia piuttosto offesa e scocciata. Come aveva potuto troncare sul nascere il mio De Ambrus? Un’orazione che Cicerone stesso avrebbe potuto soltanto sognare di fare!?
«Per Jashin, Pain sei tu?»
Conosci il doloreTM era la frase preferita del leader dell’Akatsuki, non poteva mica mettersi a violare copyright con tutta quella leggerezza!
Non feci in tempo a palesare il mio disappunto che la ragazza si era già lanciata nella mia direzione, sollevando una leggera nuvoletta di terra alle sue spalle.
Per un attimo fui tentata di girarmi e cominciare a correre nella direzione opposta come se non ci fosse un domani – magari aggiungendoci anche qualche urletto isterico qua e là-, ma la consapevolezza di essere veloce almeno quanto una faina zoppa mi fece sospettare che, forse, non sarebbe stato molto utile – anche perché sapevo che sarei comunque inciampata prima di riuscire a percorrere anche solo un metro-.
Non avendo particolarmente altra scelta – i miei tentativi di buttarla sul pacifico erano stati brutalmente ignorati- afferrai Quella, la mia bellissima falce caduta a terra poco prima e mi preparai a ricevere il colpo – o se non altro a convincermi di esserlo-.
Avevo bisogno assolutamente di qualcosa: un diversivo, una manna dal cielo, un improvviso power-up, un panino col prosciutto, un…
«KATSU!»
Un cazzutissimo Deidara sarebbe andato più che bene – o un Katsutissimo Deidara, giusto per rimanere in tema-. Era anche più di quello che potessi sperare.
Una delle sculture del bombarolo esplose improvvisamente fra di noi, facendomi lanciare un urletto sorpreso, mentre Fuko si allontanava nuovamente con un salto, visibilmente irritata da quella intrusione. Le stava bene.
Qualcosa offuscò momentaneamente la luce del sole, gettando un’ombra sul paesaggio circostante e sollevai automaticamente lo sguardo verso il cielo: a questo punto esordire con “era l’uccello di Deidara” potrebbe suonare in modo alquanto fraintendibile, ma era veramente l’uccello di Deidara e non ero mai stata così contenta di vederlo.
Il biondo in questione scese dalla sua amata scultura di argilla, atterrando precisamente fra di noi, la cappa dell'Akatsuki che ondeggiò in modo molto scenico prima di tornare a fasciare il suo corpo.
«D-» cominciai, facendo un passo verso di lui, ma avvertii qualcosa stringermi le corde vocali, bloccando ogni suono. Confusa mi portai le mani alla gola, ma non sembrava esserci nulla di diverso dal solito.
Fuko si approfittò di quel momento di smarrimento per prendere parola, accennando qualche passo verso il dinamitardo.
«Deidara! Ho finalmente ritrovato il mio corpo!» fece la bionda, con un tono di voce decisamente troppo melenso per i miei gusti, puntando un dito verso di me «Aiutami a recuperarlo!».
Lo sguardo azzurro, a me tanto familiare, si spostò nella mia direzione, privo del solito calore che lo caratterizzava, come se stesse osservando una completa sconosciuta finita per sbaglio in mezzo al suo cammino e io mi ricordai drammaticamente che era la prima volta che mi vedeva con quell’aspetto.
Aah… avevo come la sensazione di trovarmi in una bruttissima situazione.
  
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