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Autore: holly73    18/04/2009    0 recensioni
Non so come introdurre questa storia. All’inizio non c’è una trama precisa, si svilupperà più avanti. La poesia di Robert Frost che ho messo all’inizio è una delle mie preferite in assoluto. Spero che la storia vi piaccia.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so come introdurre questa storia

Non so come introdurre questa storia. All’inizio non c’è una trama precisa, si svilupperà più avanti.

La poesia di Robert Frost che ho messo all’inizio è una delle mie preferite in assoluto.

Spero che la storia vi piaccia.

 

STRADE

 

Due vie si dipartivano in un bosco giallo,

E dispiaciuto di non poter a un tempo

Percorrere l’una e l’altra, a lungo mi fermai

E seguii tutta la prima con lo sguardo

Fino a dove essa girava fra gli arbusti;

Poi presi l’altra, che era altrettanto buona,

Con forse un motivo in più per farsi preferire,

Essendo tutta erbosa e assai poco segnata;

Sebbene, quanto a quello, il transito di là

Le avesse, in fondo, rese più o meno uguali,

E fossero ambedue coperte quel mattino

Di foglie da nessuno calpestate e annerite.

Oh, mi riservai la prima per un altro giorno!

Ma sapendo che più si va, più si è costretti ad andare,

dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Tutto questo racconterò con un sospiro

un giorno e un luogo lontanissimi da ora:

Due vie si dipartivano in un bosco e

Io presi quella che meno era battuta,

E tutta la differenza stette in questo.

Robert Frost

 

CAPITOLO PRIMO: MATTINA

Ero circondata d’azzurro.

Il mare brillava al sole del primo mattino, il cielo era limpido senza una nuvola. Era ancora presto quindi non c’era afa, anzi, soffiava un leggero venticello, che faceva ondeggiare l’erba e gli arbusti ai lati della strada.

Arrivai alla scogliera godendomi la sensazione del mondo che sfavillava intorno.

Mi accoccolai sulla roccia che mi sembrava più comoda, con l’album da disegno in grembo.

Adoravo quel posto. Durante l’alta marea il mare arrivava a coprirlo per un buon tratto, così, quando poi si ritirava lasciava delle pozze d’acqua nelle cavità della roccia. Guardando nell’acqua cristallina potevo trovare pesci, granchi o molluschi che erano rimasti intrappolati all’ arrivo della bassa marea, oppure potevo anche solo godermi la roccia blu-viola ondulare, scomporsi e ricomporsi deformata dall’acqua.

Arrivando al limite estremo, nei giorni di calma, osservavo le onde che si infrangevano scrosciando lungo gli scogli.La formazione compatta dell’acqua si lanciava impavida contro la roccia, ma non potendo rompere le sue difese si sfaldava in mille goccioline e schiuma bianca.

Mi disturbava che ci fosse altra gente. Parlando mi impediva di ascoltare i suoni del mare o lo stridio dei gabbiani che sorvolavano il promontorio, per questo ci andavo sempre la mattina presto, quando non c‘era nessuno.

Così la mia immediata reazione quando, alzando un attimo gli occhi dal foglio su cui stavo disegnando, vidi una persona camminare tra le rocce, fu di irritazione e delusione.

Era una giornata così bella, ideale per darmi la forza di disegnare. Chi era quello scocciatore? Sperai che fosse solo di passaggio e se ne andasse in fretta.

Invece non sembrava affatto intenzionato a sgombrare il campo, oltretutto mi aveva notata e si stava dirigendo verso di me. Accidenti!

Abbassai di nuovo lo sguardo sul foglio fingendo di non averlo visto e cercai di riprendere la concentrazione sul disegno.

Stavo riproducendo una visione generale degli scogli cercando in particolare di rendere il riflesso sfaccettato delle rocce sull’acqua. Una cosa abbastanza complicata.

<< posso vedere?>>

Non mi ero accorta che si fosse avvicinato così tanto!

Gli lancia un’occhiata irritata. O meglio, questo è quello che avrei voluto. A causa della timidezza cronica che mi affligge non riesco mai a rivolgermi con spontaneità agli estranei, quindi probabilmente quello che gli lanciai somigliava più ad uno sguardo spaventato.

Era un ragazzo tra i diciotto e i vent’anni, con i capelli castano chiaro e gli occhi scuri, molto carino e decisamente alto.

Avvicinò il viso all’album e osservò attentamente il disegno, poi alzò lo sguardo e osservò con uguale attenzione gli scogli che stavo riproducendo, quindi guardò di nuovo il mio lavoro.

Ero stupita e anche a disagio. Non era la prima volta che qualcuno mi chiedeva di vedere i miei disegni, ma si trattava spesso di oziosa curiosità. Questa gente lanciava loro occhiate distratte, li liquidava con uno sbrigativo <> e se ne andava.

Il ragazzo invece mi disse, serio <>.

Lo fissai in preda a emozioni contrastanti; da: <> a: <>

Comunque tentai di atteggiare il viso ad una sprezzante indifferenza.

<< ti sei offesa?>>

Quel sorrisino che aveva stampato in faccia mi stava dando sui nervi.

<< certo che no! Bisogna saper accettare anche le critiche>>

Il sorriso aumenta: << la mia non era certo una critica >>

<< e che cos’era allora?>>

<< un consiglio>>

Ma chi si crede di essere!?

Raccolsi matite e pennini e mi alzai. << a quest’ora la scogliera diventa troppo affollata e non si riesce più a lavorare in tranquillità. Arrivederci>>

Mi voltai e mi incamminai verso casa.

<< magari ci si rivede in paese >> sentii che mi gridava dietro.

<< forse>> risposi. Si, come No.

Girai l’angolo e salii la ripida stradina che si inerpicava per la collina, con la mano che stringeva forte l’album da disegno. In poco tempo arrivai al muro di cinta della casa del nonno, dove stavo per l’estate.

Mi infilai nel giardino di limoni subito dietro il cancello. Erano pieni di frutti. I bei frutti gialli e ruvidi che, anche se così piccoli, hanno tutta la promessa dell’estate dentro.

Ma quel giorno neanche i limoni mi calmarono. Certo, l’incontro con un ragazzo impiccione è una cosa da niente, se non fosse per quelle parole.

<>.

Erano le stesse parole che mi andavo dicendo da mesi, sebbene non le avessi espresse in modo così chirurgicamente preciso.

Non riuscivo a lasciarmi andare, quando dipingevo o disegnavo. Me ne ero accorta da un po’, di questo muro che mi bloccava, ma non riuscivo a demolirlo. Il muro era stato eretto da me, dalla mia cautela, dalla mia ossessiva attenzione ai particolari, dalle mie riflessioni, che spesso strozzavano le idee per disegni o quadri.

Avevo dipinto qualcosa ultimamente ma con risultati mediocri, che mi scoraggiavano.

È sempre stato il mio sogno quello di diventare un’artista, ma non mi è mai sembrato tanto irraggiungibile come in quel periodo.

Staccai la schiena dal tronco dell’albero dove mi ero appoggiata e mi trascinai depressa verso casa.

  
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