Videogiochi > Life Is Strange
Segui la storia  |       
Autore: GirlWithChakram    01/07/2016    4 recensioni
Max Caulfield, neolaureata, è riuscita ad ottenere la possibilità di lavorare per la nota rivista di arte "FRAME", creata e gestita da Mark Jefferson, suo professore ai tempi della Blackwell Academy. Trovandosi con il compito di individuare un artista emergente da portare sotto i riflettori, la giovane non ha idea che il destino metterà sul suo cammino, nel modo più inaspettato, una pittrice dal passato problematico. Cosa accadrà quando l'arte porterà a convergere le loro vite altrimenti destinate a non incrociarsi mai?
[Pricefield]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
IV: Alliances Require Trust | Le alleanze richiedono fiducia
 
L’indomani, quando mi alzai per andare al lavoro, la testa mi pulsava oltre ogni limite, avevo uno strano senso di nausea, non sapevo se causato dal non aver mangiato o dall’aver esagerato con la birra.
Il telefonino, scarico, giaceva senza vita accanto al mio viso. Non appena lo avessi acceso ci avrei trovato come minimo un centinaio di chiamate di Kate, ma non potevo affrontare una discussione con la Marsh in quello stato.
Rantolando, mi trascinai in bagno per tentare di svegliarmi con una doccia fredda, che non ebbe altro risultato se non quello di farmi sentire ancora peggio. Cercai qualcosa da indossare che non fosse troppo spiegazzato e poi uscii, più demoralizzata che mai.
Il viaggio in autobus mi rese ancora più di malumore, probabilmente ciò fu accentuato dalla pioggia battente che era riuscita ad infradiciarmi nel tragitto fino alla fermata nonostante l’ombrello.
Entrai nel palazzo sperando di riuscire a scivolare inosservata fino alla mia scrivania, dove poi mi sarei accasciata, pregando che qualche divinità decidesse di porre fine alle mie sofferenze.
«Ma guarda un po’ chi ha fatto baldoria fino a tardi!» mi accolse al sesto piano la voce trillante di Dana «Passato un buon San Valentino?»
«Per forza» si aggiunse Juliet «Quella ti sembra la faccia di qualcuno che ha dormito? Se la sarà spassata alla grande!»
Mugugnai una risposta che a nessuna delle due interessò realmente, dato che la loro attenzione era già stata calamitata dal nuovo outfit di una delle altre colleghe.
Arrivai alla mia sedia e ci sprofondai con un sospiro, appoggiando poi la testa vicino allo schermo già accesso del pc. Tirai fuori dalla borsa il cellulare e il cavo per metterlo in carica, pronta ad affrontare le conseguenze del mio eccesso di riposo.
Sei chiamate perse: quattro di Kate, una di Warren ed una di Daniel.
Liquidai i primi due con un messaggio, promettendo di spiegare più tardi le ragioni della mia mancata risposta, decisi, invece, di affrontare DaCosta faccia a faccia. Con una scusa, salii al decimo piano, facendomi poi indicare la sua postazione di lavoro.
«Max!» mi salutò «Che fine avevi fatto? Mi sono preoccupato.»
«Ho trascorso la giornata in archivio» gli spiegai «E ieri sera non mi sono accorta di avere il telefono scarico.»
Il giovane mi studiò con gli espressivi occhi scuri, sondando la verità delle mie parole. «Ma la storia non è tutta lì, vero?» mormorò.
Alzai lo sguardo al cielo, non sapendo che altro fare.
«È coinvolta la bella donna dai capelli blu?» domandò con fare cospiratorio «Oh, ti prego dimmi che hai passato la notte con lei!»
«Daniel!» lo richiamai, tirandogli un colpo al braccio «Ma ti sembrano cose da dire?»
«Se hai reagito così può esserci una sola spiegazione» gongolò ignorando il dolore «Ci ho preso in pieno.»
«No, non potresti essere più lontano dalla verità» sbuffai «Ho solo esagerato col bere.»
Mi scrutò scettico, inarcando il sopracciglio destro al di sopra della linea degli occhiali. «Tu non me la conti giusta, signorina…»
«E va bene» capitolai, sapendo che in un modo o nell’altro mi avrebbe costretta a cedere «Mi ha invitato da lei a bere qualche birra…»
«Lo sapevo!» esultò trionfante «Ho fatto lo stesso con Bruce e ha funzionato alla perfezione.»
Sorrisi nel vedere il suo viso illuminarsi nel semplice gesto di citare il futuro marito.
«E poi che è successo?» chiese «Voglio ogni dettaglio.»
«Non ti avevo preso per una simile pettegola, Dan» mormorai.
«Oh, Max, non farmi stare sulle spine! Se mi intrometto nella tua vita sentimentale è solo perché sono un tuo amico.»
Accolsi quelle parole con un nuovo sorriso. Benché lo conoscessi solamente da una settimana o poco più, mi ero molto affezionata a lui e non potevo nascondergli quanto avevo fatto, anzi, forse parlarne ad alta voce mi avrebbe aiutato a lasciarmi quell’evento alle spalle.
«Lo so, lo so» replicai «Sicuro di volerlo sapere?»
Lui annuì con un’enfasi tale che le lenti sobbalzarono leggermente, scivolandogli fin sulla punta del naso.
«Dopo aver bevuto un po’» raccontai «Mi ha sfidata ad “Obbligo o verità”, una cosa che solo un’adolescente sbronza avrebbe proposto, e mi sono vista costretta a stare al gioco. Dopo qualche scambio di battute, mi ha fatto la domanda da un milione di dollari…»
«“Ti piaccio?”»
Spalancai le palpebre, stupita. «Come lo sapevi?»
«È il trucco più vecchio del mondo!» ribattè, come se stesse spiegando la nozione ad un bambino «È un trabocchetto senza uscita: la vittima o è costretta a dire la verità, e fidati, si capisce lontano mille miglia nel caso menta, oppure è costretta a scegliere l’obbligo e lì si sfodera la carta del bacio.»
Ammutolita, compresi che in un modo o nell’altro la Price avrebbe ottenuto un mio bacio o una mia confessione.
«E quindi che hai risposto?» insistette, facendomi tornare con i piedi per terra.
«Ero brilla, resa audace dalla birra…» tentai pateticamente di giustificarmi «Era così vicina che non ho resistito. L’ho baciata.»
Pronunciare quelle parole mi tolse un peso dal cuore, permettendomi di condividere quel segreto con qualcuno, ma l’oppressione al petto tornò presto quando la consapevolezza mi scosse l’anima facendola vibrare con un rombo di tuono. Con quel bacio avevo compromesso ogni possibilità di farla tornare a collaborare con FRAME, avevo incrinato quella che sarebbe potuta essere un’amicizia e nulla di più, perché, per quanto odiassi ricordarlo a me stessa, c’era pur sempre Rachel.
«Che coraggio!» commentò il disegnatore «Posso dire che non me lo sarei aspettato da parte tua? Insomma, se lei ti fosse saltata addosso e tu avessi ceduto, lo avrei anche capito… Ma, Max, da ubriaca devi essere tutta un’altra persona! Devo assolutamente conoscere questo diverso lato di te» concluse ridacchiando.
Stavo per rispondergli, quando una mano sulla spalla mi fece sobbalzare.
«Taylor» salutò Daniel diretto alla persona dietro di me.
«Il signor Jefferson vorrebbe vederti, Max» mi disse la segretaria, facendo un cenno di buongiorno a DaCosta «Sembrava avesse fretta. Ho provato a cercarti alla tua scrivania, ma mi hanno detto che ti avrei trovata qui.»
Mi diedi della scema, ricordando a me stessa che ero pur sempre in prova per un lavoro molto ambito e non potevo permettermi di assentarmi per diversi minuti senza alcuna ragione. Probabilmente il capo aveva intenzione di darmi una bella strigliata o forse, addirittura, di dirmi che potevo tranquillamente prendere i miei averi e tornare a casa perché i miei servigi presso FRAME non erano più richiesti.
Chiesi alla biondina il permesso di radunare le mie cose, così dopo una rapidissima sosta al sesto piano, mogia mogia, camminai dietro alla Christensen, risalendo verso quattordicesimo piano e proseguendo poi verso l’ufficio del direttore.
Bussai alla porta e, dopo aver ottenuto il via libera, entrai.
«Max!» mi accolse Mark, con un sorriso a trentadue denti «Sei arrivata, finalmente.»
Ero sconcertata, non pensavo che la conversazione sarebbe iniziata con tale leggerezza.
«Ciao, Max.»
Sbarrai gli occhi.
Una testa blu comparve a lato dell’uomo, seguita naturalmente da un corpo che sfoggiava abiti scuri.
«Chloe…» mormorai incredula.
«Beth» mi corresse «Qui sono Beth.»
«Avevi detto che l’avresti riportata da noi» si congratulò l’ex-professore «Davvero un gran bel colpo, signorina Caulfield.»
«Ora che ci siamo tutti» riprese la parola la pittrice «Possiamo discutere i termini di questa collaborazione.»
«Molto bene, signorina Price» replicò Jefferson, invitandoci a prendere posto sul divano per discutere comodamente «Quali sono questi termini?»
«Primo» stabilì, fissando l’uomo con una freddezza quasi inquietante «Questa collaborazione non implica che tu ed io siamo tornati amici come ai vecchi tempi, per cui dovrai starmi fuori dai piedi.»
Il capo sembrò scocciato da quelle parole, ma non potè far altro che annuire per lasciarla proseguire.
«Secondo: sarà Max, lei solamente, ad occuparsi dell’articolo su di me. Selezionerà le opere, le fotograferà e scriverà il pezzo. Sono disposta a cooperare con lei soltanto, quindi non si transige.»
«Certamente» acconsentì Mark «Altro?»
«Terzo: le pagherai questo lavoro come fosse quello di uno qualsiasi dei tuoi editor, anzi, dovresti darle un bonus per essere riuscita a scovarmi.»
Rimasi molto colpita da quelle richieste, che erano chiaramente fatte nel mio interesse e non nel suo.
«Quarto: qualsiasi possibile acquirente interessato ai miei quadri dovrà rivolgersi alla sottoscritta, passando per il minor numero di intermediari. Non mi lascerò fottere come l’ultima volta.»
«Mi sembrano richieste…» sibilò il direttore «Ragionevoli» terminò con una nota acida.
«Sapevo che saremmo stati d’accordo» sorrise trionfale la ragazza, incrociando le braccia al petto.
Seduta accanto a lei, osservai la battaglia di sguardi proseguire sostenuta. Se l’accordo era stato formulato e teoricamente accettato a parole, i loro animi in guerra erano ben lontani dal posare le armi.
«Vogliamo sigillare questo accordo con una stretta di mano?» propose Jefferson, sostenendo le occhiate cariche di disprezzo dell’interlocutrice.
«Sono a posto così, grazie» ribattè lei dura «Nessuna ragione sarà mai troppo buona per farmi fare una cosa simile. Piuttosto, metti per iscritto quanto abbiamo stabilito e mettiamoci tutti una firma, tanto per essere sicuri.»
Quando il foglio fu pronto, Chloe lo ricontrollò diverse volte, come se stesse cercando una qualche fregatura inesistente, poi alla fine siglò con il suo solito simbolo ed io apposi una firma poco distante.
«Allora, qui abbiamo finito» stabilì la pittrice, afferrandomi il braccio, senza lasciarmi tempo di dire la mia «Noi due andiamo a cominciare il lavoro. Inutile dire che Max sarà molto presa, per cui potrebbe mancare qualche turno in ufficio, ma non sarà un problema, vero?»
Con un verso scocciato, Mark capitolò ancora una volta.
«Perfetto» trillò l’artista, rinsaldando la presa su di me «Ce ne andiamo. Arrivederci Mark, è stato un piacere rivederti» concluse con il tono più falso possibile.
«Lo stesso vale per me, Beth» replicò lui allo stesso modo «A presto, Max» aggiunse, facendomi un saluto con la mano.
Non ebbi modo di aprire bocca e venni trascinata fino all’ascensore, passando davanti alla scrivania di Taylor che mi lanciò uno sguardo preoccupato vedendomi andar via in quel modo.
«Hai qualcosa da prendere?» mi chiese Chloe una volta che fummo sole in ascensore.
Scossi la testa, pronta ad aggiungere che, però, avevo comunque dei compiti affidatimi da Victoria e non potevo volatilizzarmi senza una spiegazione.
Come intuendo i miei pensieri, lei mi fermò prima che potessi parlare. «Il grande capo si occuperà di informare gli altri del tuo nuovo lavoro» mi assicurò «Conosco Mark, dagli trenta secondi e tutto il palazzo saprà di me, del mio ritorno e della tua occasione d’oro. Alcuni dei tuoi colleghi potrebbero non prendere bene la tua nuova posizione, sappilo. Ho visto amici rivoltarsi contro amici per anche solo la remota possibilità di gestire uno scoop come questo.»
Sembrava avesse assunto una nuova, diversa personalità. Era sicura di sé, fiera e decisa, sembrava persino più alta mentre mi si stagliava di fronte, con il petto gonfio di orgoglio per la vittoria ottenuta contro Jefferson.
Il ding ci segnalò di essere arrivate al piano terra e la mano della punk mi si appoggiò alla schiena, spingendomi gentilmente fuori, prima nell’atrio e poi verso il diluvio che proseguiva ad infuriare.
Non erano neppure le dieci quando ci lasciammo alle spalle il complesso di FRAME, sgommando sotto la pioggia all’interno del malconcio pick-up.
«Questo è un rapimento, per caso?» trovai la forza di rompere il silenzio, dopo qualche minuto che eravamo in macchina.
L’autista si voltò per un secondo nella mia direzione, scoccandomi un’occhiata di fuoco, resa ancor più efficace da quelle sue espressive iridi celesti. «No, ma posso sempre farlo diventare tale. Tengo del nastro isolante nel cruscotto, nel caso decidessi di doverti imbavagliare e immobilizzare.»
Avrei voluto ridere, ma il tono con cui venne pronunciata quella finta minaccia sembrò inquietantemente serio.
«Cosa c’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» domandò, notando l’assenza di una mia reazione.
In effetti, in quel momento, avrei preferito essere incapace di parlare, almeno il mio silenzio avrebbe avuto una valida giustificazione.
Chloe non insistette nel farmi parlare, tornò a concentrarsi sulla guida fino a che non arrivammo al parcheggio del nostro condominio.
Dopo aver arrestato il veicolo, mi invitò a seguirla, offrendomi la mano per aiutarmi a scendere. La studiai, in piedi davanti a me, incurante della pioggia che la stava infradiciando. Era sorridente, rilassata, genuinamente amichevole, dunque, rassicurata da quella facciata, le porsi la mano e lasciai che mi avvicinasse a sé, mentre aprivo l’ombrello per ripararci entrambe, seppur con scarsi risultati.
Appiccicate l’una all’altra, gocciolanti, raggiungemmo il portone.
Mentre eravamo alla ricerca delle chiavi ognuna nella propria borsa, l’uscio si aprì, rivelando il pescatore, vicino di casa mio e di Warren.
«Salve» lo salutai, come da buona educazione.
Lui grugnì una risposta, scansandoci per lanciarsi sotto l’acqua, verso la propria autovettura.
«Stronzo» commentò la Price a denti stretti «Mi ha fatto un sacco di storie per i maledetti bidoni del riciclaggio.»
Mi trovai nuovamente a corto di parole. Non sapevo per quale ragione mi facesse quell’effetto, ma sembravo incapace di mettere insieme una manciata di sillabe che avesse un senso, forse perché nella mia testa, ogni volta che mi fissava, si ripeteva come in un film la scena del bacio.
Mossa da istinto automatico, presi a salire le scale, mentre sentivo la presenza della pittrice alle mie spalle. Passai il pianerottolo del primo piano e non mi arrestai neanche al secondo, avevo capito che volesse parlarmi e lo avrebbe fatto solamente in casa propria.
Lasciai che mi sorpassasse per andare ad infilare le chiavi nella serratura, facendola scattare.
Entrai, pronta a togliermi le scarpe per evitare di lasciare impronte bagnate in giro, ma una simile accortezza sembrò non sfiorare minimamente il cervello della padrona di casa, i cui stivali iniziarono a lasciare grosse chiazze d’acqua in giro.
«Accomodati pure sul divano» esordì, andando a recuperare un pacchetto di sigarette abbandonato sul ripiano della cucina.
Dopo essermi tolta la giacca, che aveva assorbito la maggior parte della pioggia, ed averla sistemata su un appendiabiti poco lontano dall’entrata, mi sedetti sul sofà, ripiombando per un istante nel passato, rivedendo il viso di Chloe così vicino al mio, così invitante.
«Prima di parlare di affari» riprese, sprofondando al mio fianco «Vorrei spendere due parole su quanto accaduto ieri.»
Gelai sul posto, irrigidendomi come una statua. Se qualcuno avesse tentato di scalfirmi con uno scalpello, in quel momento, mi sarei frantumata in migliaia di schegge.
«Devo farti le mie scuse» mormorò con aria colpevole.
Rimasi ancor più spiazzata. Quella che doveva scusarsi, semmai, ero io.
«Ieri non ero in me» balbettò «Ero un po’ sbronza, mi sentivo piuttosto audace, però non avrei dovuto comunque baciarti… Spero che la mia avventatezza non rovini questo rapporto di lavoro.»
Spalancai gli occhi. Non era stata lei a baciare me, ma viceversa. La situazione mi sembrava paradossale.
«Non so dirti esattamente perché io lo abbia fatto» proseguì, levandosi il capello e passandosi una mano tra i capelli bagnati «Ma vorrei che mi perdonassi, prometto che non si ripeterà.»
Sbattei le palpebre, sconvolta. Quella conversazione aveva preso una piega più che inaspettata.
«Quindi, Max?» domandò «Mi perdoni?»
«Certo, naturalmente» risposi meccanicamente, senza riflettere veramente.
«Grazie» mormorò sorridendo «Significa molto per me.»
«Figurati» bisbigliai, cercando ancora di capire con quale intento mi avesse riportata lì.
«Ora, vorrei darti la possibilità di conoscermi meglio, come artista» riprese «Come Beth. Devi conoscere l’artista per comprenderne l’arte, no?»
Annuii, incapace, ancora una volta, di dare un senso a tutto ciò.
Mi raccontò brevemente della propria infanzia, della tranquilla vita famigliare che aveva condotto fino ai quattordici anni facendo impazzire sua madre con dispetti e marachelle.
«Tutto è cambiato dalla morte di papà, nel 2008» disse, lasciando che un tono malinconico allontanasse tutta la spensieratezza della più tenera età «Mamma ha iniziato a chiudersi in se stessa ed io ho fatto lo stesso e abbiamo finito per allontanarci. Lei ha poi trovato conforto in David Madsen, un uomo che ha conosciuto al diner e che ha finito per sposare, mentre io ho accantonato la pittura e ho iniziato a frequentare brutte compagnie… Con loro sono arrivate prima le sigarette, poi le birre e infine le droghe via via più pesanti.»
Le si leggeva in faccia che avesse avuto un passato tormentato e non le facesse piacere parlarne, ma si stava aprendo con me, forse perché in parte si sentiva in colpa, in parte dimostrare che si fidava di me tanto da affidarmi non solo la sua arte, ma anche i segreti dietro la sua vita.
«A diciassette anni precipitai in una spirale discendente, iniziai a farmi del male, ad avere pensieri suicidi…» sussurrò, abbassando lo sguardo «E sarei arrivata a togliermi la vita, se non avessi conosciuto Rachel.»
Al sentir pronunciare quel nome la mia schiena venne percorsa da un brivido freddo, come se la presenza della modella fosse stata evocata all’improvviso.
«L’ho incontrata al Two Whales, era venuta per fare colazione mentre io ero lì per scroccare un altro pasto gratis a mia madre. Mi ha vista sedere da sola e ha deciso di farmi compagnia, attaccando bottone con una scusa patetica… Siamo state unite da allora, prima come amiche, poi come coppia.»
«È una cosa molto dolce» commentai «Dovete essere davvero innamorate.»
Quella mia osservazione la portò a rialzare gli occhi, per puntarli verso di me. Mi parve che volesse perforarmi con quelle iridi di ghiaccio, come se l’avessi offesa in qualche modo. Dal poco che le avevo viste interagire non potevo realmente sapere quanto profondo fosse il loro legame, ma pensavo che la mia intuizione fosse accurata.
«È complicato.» Pronunciò quella frase come un bisbiglio, quasi lei stessa non lo volesse ammettere.
Restammo in silenzio qualche minuto, Chloe con la testa tra le mani, presa da chissà quale ragionamento, ed io intenta a studiarla con nascente preoccupazione per quel mutismo improvviso.
Mi alzai, poggiandole una mano sulla spalla. Lei sollevò il capo, permettendomi di notare i suoi occhi lucidi.
«Ti prendo una birra» dissi, dirigendomi verso il frigorifero. Aprii lo sportello, afferrai una delle numerose Blue Moon in fresco, che sembravano non mancare mai, artigliai l’apribottiglie e la stappai, porgendola poi all’artista.
«Grazie, Max» mormorò, prendendone un primo sorso «Vuoi che continui?»
«Mi farebbe piacere, ma solo se te la senti» risposi.
La punk annuì, portando nuovamente la bottiglia alla bocca. «Dopo che conobbi Rach, ripresi a dipingere, lasciando che qualche volta posasse come mia musa. Ritrovai una ragione per vivere, ma non bastò per sistemare tutti i casini in cui mi ero cacciata. Avevo problemi di soldi, in particolare con il mio spacciatore, Frank.»
Quel nome mi suonò familiare e mi ricordai dell’uomo con il cane che avevo incontrato la settimana passata.
«È stata Rachel a salvarmi, ancora una volta. Frequentando la Blackwell aveva conosciuto Jefferson e lui l’aveva presa in simpatia, così mi propose di incontrarlo per fargli vedere qualcuno dei miei lavori. Mark rimase molto colpito soprattutto dai miei ultimi quadri, quelli che ritraevano la mia nuova musa e, sicuro che il mio fosse un ottimo potenziale, mi prese sotto la propria ala. Mi fece consultare libri di arte, mi accompagnò a diverse mostre e mi presentò a molti galleristi ed artisti famosi, permettendomi di farmi un nome, fino a che nel 2015 non si iniziò a parlare di una mia possibile installazione. Nel frattempo Jefferson aveva cominciato a mettere da parte il capitale per FRAME e aveva già dato il via ai lavori per il palazzo e le prime bozze editoriali, ma non mi aspettavo che quel suo sogno avrebbe finito col degenerare nel mio peggiore incubo.»
Fece un’altra pausa, chiedendomi con lo sguardo di portarle un’altra birra. Mi tirai in piedi e tornai con due bottiglie: una per lei e una per me.
Incoraggiata dall’alcol, riprese a raccontare. «Mark mi promise che dalla vendita delle mie opere avrei ricavato un bel mucchio di soldi, che mi avrebbe permesso di lasciare Arcadia Bay una volta per tutte e dedicarmi al mio lavoro in una città più vitale, magari persino frequentare una vera scuola d’arte. Mi riempì di belle speranze e vane promesse, che mi parvero vere fino all’ultimo momento. La mia esposizione a San Francisco, inaugurata nel gennaio del 2016, servì per lanciare ufficialmente FRAME, attirando su di me l’attenzione della critica.»
A quel punto mi aspettai che crollasse sotto il peso di un fallimento epocale, per cui mi preparai a consolarla se necessario.
«Fu un successo strepitoso.»
Decisamente non le parole che mi sarei aspettata.
«Le mie tele andarono vendute quasi tutte per prezzi da capogiro e FRAME partì con il piede giusto, imponendosi fin da subito su tutte le altre riviste del settore.»
Non capivo dove volesse andare a parare con quel discorso.
«Pensai di avercela fatta, di essere riuscita a combinare qualcosa di buono…» sussurrò con tono nostalgico «Poi, in un istante, mi crollò tutto addosso.»
Ispirata da non so quale istinto, le afferrai la mano destra e gliela strinsi, facendo intrecciare le mie dita con quelle smaltate di blu.
«Scoprii che il mio conto in banca non si era riempito quanto mi era stato promesso, così affrontai Jefferson per chiedere spiegazioni. Feci irruzione nel suo appartamento, all’ultimo piano di quel palazzo maledetto, essendo riuscita ad ottenere un duplicato della chiave e il codice di sicurezza dalla segretaria.»
Temetti cosa potesse seguire quelle frasi.
«Lo trovai a letto con Rachel.»
Fu lapidaria, distaccata, quasi stesse descrivendo la scena di un brutto film che avrebbe voluto a tutti i costi dimenticare.
«Naturalmente persi le staffe ed iniziai a demolirgli il fottuto super attico lanciando in giro tutto ciò che mi capitasse a tiro. Fu Rach ad impedirmi di sfracellargli la faccia a pugni. Ovviamente, provavo un odio bruciante anche nei suoi confronti, ma lei era pur sempre il mio angelo, la ragazza sorridente che mi aveva risollevata dal fondo e avrei potuto perdonarle qualsiasi cosa, compreso il tradimento. Ciò che non potevo perdonare, però, era il fatto che Mark si fosse preso non solo la mia donna, ma anche i miei soldi e i miei diritti artistici. Scoprii, e con ciò intendo che glielo feci confessare con la forza, che lo stronzo mi aveva convinto a firmare una serie di carte tramite cui gli cedevo più della metà dei miei profitti e qualsiasi introito relativo alla notorietà ottenuta per mezzo di FRAME. Mi aveva fottuta alla grande e non potevo farci niente.»
Mi diedi della stupida per aver anche solo pensato di proporle di tornare da FRAME. Se avessi saputo tutto quel retroscena, non le avrei neppure permesso di farsi avanti per la collaborazione a cui avremmo dovuto lavorare.
«Quel giorno presi una decisione drastica: avrei lasciato Arcadia Bay e non sarei tornata indietro… Naturalmente, in seguito, ho dovuto riconsiderare quella decisione, ma ci arriverò con calma… Dopo la scenata nell’attico di Jefferson, inseguita da Rachel che mi scongiurava di perdonarla, tornai a casa e feci i bagagli in fretta e furia. Caricai i bagagli sul pick-up e dissi a Rach che me ne sarei andata, stava a lei decidere se venire con me o dirmi addio, inutile dire che scelse di seguirmi, soprattutto dopo aver sentito del piano di Mark per arricchirsi alle mie spalle. Partimmo insieme alla volta di Los Angeles, convinte che tutto si sarebbe sistemato: lei avrebbe finalmente potuto lanciare la propria carriera di modella ed io avrei continuato a vendere arte nel mio piccolo. Le prime settimane andarono bene, insomma, avevamo comunque una discreta somma da parte e potemmo permetterci di tenere un buon tenore di vita. I problemi arrivarono quando Rachel iniziò a ricevere una serie di rifiuti: era troppo bassa, troppo inesperta, troppo arrogante; ogni casting director aveva da dire la sua, minando la sua inattaccabile fiducia in se stessa. Dapprima cominciò a fumare una canna ogni tanto, poi passò ad inghiottire antidepressivi come caramelle. Non ci volle molto prima che sprofondasse nella stessa spirale da cui mi aveva salvata anni prima, ma io non fui in grado di aiutarla, anzi, mi feci risucchiare verso il fondo con lei. Bruciammo tutti i nostri risparmi in droghe sempre più pesanti, sempre più potenti, per staccarci dalla deludente realtà che ci stava lentamente uccidendo.»
Mi chiesi come potesse non piangere rivangando quei ricordi. Dietro la maschera di punk tosta ed irascibile si nascondeva una ragazza spezzata che non era mai riuscita a ricomporsi del tutto. Era il classico ritratto dell’artista tormentato che traeva ispirazione proprio dal dolore.
«Mi capitò un paio di volte di risvegliarmi in ospedale, attaccata a flebo e macchinari vari senza idea di cosa fosse successo, ma ciò nonostante non riuscivo a smettere. Rachel ed io eravamo interdipendenti, l’una dall’altra ed entrambe dalla droga. Tentammo con la riabilitazione, ma ogni volta che ne uscivamo, in qualche maniera, finivamo per ricascarci, eravamo quasi senza speranza… Se non fosse stato per Cory, avremmo fatto tutte e due una fine miserabile. Il nostro amico morì per overdose a metà del 2017 e fu allora che prendemmo la decisione di tentare seriamente di smettere. Io non toccai più eroina, pasticche varie e qualsiasi altra schifezza il nostro pusher fosse solito rifilarci, all’oggi mi concedo una canna nelle giornate nere, ma nulla di più…»
Sapevo che sarebbe arrivato a breve un “ma”.
«Ma Rach…» proseguì «Lei non ci riuscì. Decisi che fosse inutile restare ad L.A. dove eravamo costantemente circondate da tentazioni che si sarebbero potute rivelare fatali, così le proposi di tornare qui. All’inizio non ne fu entusiasta, tutt’altro, mi accusò di volerla portare via dal suo mondo proprio nel momento in cui iniziava ad emergere, ma io lo facevo per il suo bene. Tornammo qui ed affittammo questo buco di merda ad un buon prezzo su gentile concessione dei Prescott, visto che Nathan era stato nostro amico prima della fuga. Il resto della storia credo tu lo conosca.»
Anche se non lo aveva detto esplicitamente, era chiaro cosa fosse successo: lei aveva cercato di rimettere insieme i pezzi, tornando a dedicarsi alla pittura, mentre Rachel aveva continuato a tenere vivi i propri vizi senza rinunciare al sogno di modella.
«Puoi ricavarci qualcosa di buono per il tuo articolo?» mi domandò, finendo le ultime gocce di birra.
«Decisamente sì» risposi «Mi servirebbe solamente qualche informazione in più sull’evoluzione della tua arte durante questi cambiamenti, poi, ovviamente, citerò solo le parti salienti e lo farò nel massimo rispetto della tua persona.»
Sorrise, stringendo più forte la mano che le avevo offerto per conforto. «Allora, iniziamo a dare un’occhiata a queste vecchie croste e dimmi quale potremmo schiaffare sulla maledetta rivista di Jefferson.»
Mi mostrò alcune delle tele non esposte che teneva nel proprio safe space e mi raccontò le storie dietro alcune di quelle appese ai muri, lasciando che la mia giornata scorresse senza che quasi me ne accorgessi. Ad un certo punto Chloe si lasciò scappare che ci fossero altri quadri in un luogo che ancora non avevo visto, ma si affrettò a liquidare la questione con un borbottio incomprensibile. Quando ci stancammo di parlare di lavoro, ci mettemmo a chiacchierare del più e del meno, sgranocchiando patatine innaffiate con un altro po’ di Blue Moon e guardando qualche programma in tv, come avrebbero fatto due vecchie amiche. In quel frangente, per pareggiare un po’ le cose, le narrai dei miei anni a Seattle, il breve ritorno in città per il diploma alla Blackwell e poi la mia esperienza al college. La fiducia doveva essere bilaterale e mi sembrava il minimo condividere il mio passato come lei aveva fatto con me.
Ci tenemmo compagnia, il che risollevò decisamente il morale ad entrambe, che non era esattamente alle stelle dopo la conversazione sul passato della pittrice.
Verso le tre del pomeriggio decisi di scendere a casa, per cominciare a scrivere il pezzo per FRAME.
«Domani possiamo trovarci di nuovo per iniziare a fotografare i tuoi lavori?» le domandai, quando ormai ero sulla soglia dell’alloggio.
«Se non hai da lavorare, con molto piacere» ribattè, giocherellando con la sigaretta che le si stava consumando tra le dita.
«È sabato, non ho doveri d’ufficio nel weekend» le spiegai «Quindi sarò tutta tua.»
Mi resi conto di quanto ambigue potessero suonare quelle parole solo dopo che le ebbi pronunciate.
La Price arrossì, ma non si fece bloccare la voce dall’imbarazzo: «Perfetto, partner, ti aspetterò con impazienza.»
Sentendo la mia pelle prendere fuoco fino alla punta delle orecchie, lusingata all’idea che, sebbene separate solo da qualche metro e da un soffitto, lei sarebbe stata ad attendermi, mi fiondai giù per le scale.
Entrai nel 2A e per prima cosa mi andai a sciacquare il viso, come se dovessi ad ogni costo cancellare le tracce di quell’ultimo scambio di battute. L’acqua fredda servì a fare chiarezza nella mia testa, ricordandomi che avevo promesso a Warren e Kate che mi sarei fatta viva dopo il lavoro e, seppure fosse presto rispetto al mio solito orario, decisi di provare a sentirli.
Mi cambiai indossando il pigiama, intenzionata a non dover mettere più piede fuori casa durante tutto il resto della giornata, ed iniziai componendo il numero di Graham.
«Alla buonora, Caulfield!» mi rispose, come se non stesse aspettando altro che la mia chiamata «Cosa ti è capitato?»
«Ieri sono stata fuori casa durante il pomeriggio e la sera sono collassata» gli spiegai «Ma dimmi di te!» deviai il discorso «Come sta tua madre?»
«L’ho vista bene» replicò «Nonostante la frattura, si ostina a dire che non hanno motivo di tenerla sotto osservazione, quindi domani dovrebbero dimetterla e ciò per me vorrà dire passare il mio tempo ad assicurarmi che non si sforzi…»
«Sei proprio un bravo figliolo» commentai.
«Puoi dirlo forte! Dovrebbero farmi santo! Ho passato le ultime due ore ad aiutarla a fare un giornaletto di parole crociate. Se non mi avessi dato una scusa valida per distrarmi, mi sarebbe esploso il cervello.»
«Sei ancora in ospedale, quindi?»
«Sì» ribattè «Resto ancora un’oretta, per lasciare a papà il tempo di chiudere il negozio ed arrivare qui prima della fine delle visite.»
«Hai già un’idea di quando rientrerai ad Arcadia Bay?» chiesi, sprofondando sempre più nel divano su cui mi ero sdraiata.
«Mia zia dovrebbe tornare tra cinque giorni» rifletté «Ma mi fermerò almeno un giorno in più per assicurarmi che se la cavi bene anche senza di me… Insomma, tra una settimana potremo tornare a guardare la tv insieme.»
«Molto bene» sorrisi, premendo una serie di tasti del telecomando.
«Ora dimmi del lavoro: cos’hai combinato nelle ultime quarantotto ore?»
Non sapevo esattamente cosa raccontargli, ma non potevo evitare di spiegargli la storia della mia collaborazione con Chloe, per cui mi decisi a dirgli che avevo trovato l’artista da presentare e avevo già preso accordi con Jefferson. Non reagì in maniera particolare nel sentire che si trattava della nostra vicina di casa, mi raccomandò solamente di fare la brava e di non lavorare troppo.
Dopo qualche altro minuto di chiacchiere, ci congedammo con la promessa di risentirci l’indomani.
Sbadigliai, tentata dall’idea di concedermi un po’ di sonno, ma poi ricordai a me stessa di avere ancora una persona da chiamare e poi avrei dovuto tenere fede alle mie parole e dunque iniziare a lavorare al pezzo.
«Katie? Ci sei?» domandai nell’apparecchio, sentendo un rumore di sottofondo.
«Ciao, Max» udii poco dopo «Scusa, ma sono al supermercato, il segnale è pessimo.»
«Non ti preoccupare» replicai prontamente «Possiamo sentirci dopo.»
«Ti richiamo» concluse, prima di interrompere la connessione.
Visto che non avevo voglia di alzarmi, mi lasciai prendere dalla pigrizia e mi ritrovai a guardare la maratona di un banale programma di cucina, fatto più di insulti che non di cibo e fornelli. Ogni tanto allungavo l’orecchio, come se potessi sentire la Price combattere anche lei la solitudine con la compagnia del televisore.
Quando si fece sera, aspettando ancora notizie della Marsh, pensai, per distrarmi ulteriormente, di tornare al piano superiore, ma alla fine decisi di rimanere dov’ero.
Come per premiare la mia perseveranza, il telefono squillò.
«Ehi, Max» mi salutò Kate dall’altra parte «Sei ancora viva?»
«Dovrei essere io a farti questa domanda!»  sbottai «Che fine avevi fatto?»
«Mentre ero alle casse ho incontrato un ragazzo del mio gruppo di preghiera e abbiamo passato un po’ tempo insieme, niente di che…»
«Certo, come no, “niente di che”» cantilenai «Mi nascondi qualcosa, Katie?»
«Io?» ridacchiò «Non lo farei mai!»
«Ti caverò la verità a forza» scherzai «Anche dovessi venire fino in Montana a piedi.»
«Ma la misteriosa punk non sentirebbe la tua mancanza?» mi prese in contropiede.
La risposta mi morì in gola.
Dal mio silenzio, la Marsh intuì che qualcosa bollisse in pentola. «Uh! È successo qualcosa, lo sapevo!» gongolò.
«No, niente di ciò che credi» frenai il suo entusiasmo «Abbiamo passato un po’ di tempo insieme, tutto qui.»
«A San Valentino?» mormorò con tono cospiratorio «Ieri eri con lei, vero?»
Arrossii e fui lieta che la mia amica non fosse lì per vederlo. «Beh, ero con lei, sì» ammisi, negarlo non sarebbe servito a nulla, anzi, avrei dovuto svelare subito le mie carte «Abbiamo bevuto qualche birra e giocato a Truth or Dare» le raccontai «E… C’è stato un bacio.»
Un verso acuto partì dall’altra parte della linea telefonica, un misto tra un grido di gioia e uno squittio eccitato. «Lo sapevo! Ci avrei scommesso la coda pelosa di Alice!»
«Non mi hai lasciato finire» brontolai «Abbiamo deciso di comune accordo di lasciarci alle spalle la faccenda… Adesso collaboriamo solo per lavoro.»
«Oh, Max, devo proprio venire di persona a cacciarti a forza un po’ di sale in zucca? Perché non potete provare con qualcosa di più?»
«Lei ha già una ragazza» le ricordai «E comunque non voglio nulla di più, mi va bene così come stanno le cose.»
«Bugiarda» disse «Sai che mentire è peccato.»
Sbuffai. «Quand’è che vieni a trovarmi?» chiesi, cambiando argomento.
«Le vacanze di primavera sono ancora lontane» ribattè «Ma potrei prendermi un paio di giorni di permesso tra qualche settimana.»
«E allora scendi dai monti e vieni a prendere un po’ di sole in spiaggia!»
«Ma se ci saranno sì e no dieci gradi!» rise «Vuoi che mi prenda una polmonite?»
«Oh no!» esclamai «Hai scoperto il mio diabolico piano per liberarmi di te.»
«Molto spiritosa, Caulfield» mormorò «Frequentare quella punk sta tirando fuori il peggio di te.»
«Adesso basta parlare di Chloe o ti tirerò fuori ogni informazione riguardo il misterioso ragazzo del gruppo di preghiera.»
«Va bene, tregua» accettò Kate «Vuoi sentire che cosa hanno combinato oggi i miei bambini?»
«Certo.»
Lasciai che mi raccontasse della propria giornata, degli ennesimi litigi tra i suoi studenti e di qualche dramma dei suoi colleghi. C’era sempre qualcosa di nuovo in quella piccola scuola.
Quando ci salutammo era ora di cena, così mi alzai dal divano e per combattere il senso di fame recuperai un barattolo di gelato dal freezer. Non mi preoccupai di prendere una coppetta in cui metterlo, intenzionata a mangiarlo direttamente a cucchiaiate giganti dal contenitore. Non era il pasto più salutare che potessi fare, ma era ciò di cui avevo bisogno.
Il giorno seguente, a metà mattina, mi presentai davanti alla porta della Price e fin oltre mezzogiorno andammo avanti a fare foto per l’articolo. Erano passate settimane dall’ultima volta che avevo realizzato uno scatto. Da quando ero tornata ad Arcadia Bay mi ero sentita poco ispirata, quasi intimorita all’idea di tornare a dedicarmi a quella passione che non era mai riuscita a darmi le soddisfazioni che avrei voluto. Ma grazie alla presenza di Chloe era cambiato tutto: la sua fiamma interiore, che le ardeva negli occhi, mi aveva ridonato la confidenza che mi serviva, facendomi divertire nello svolgere il lavoro, rendendolo un vero e proprio piacere; in più, la giovane artista era di ottima compagnia, il che mi invogliava ancor più a trascorrere del tempo con lei.
Anche la giornata seguente la trascorsi insieme alla pittrice, raccogliendo qualche altra informazione e continuando con la serie di fotografie. Più tempo trascorrevo accanto a lei, più mi rendevo conto di esserne affascinata. Chloe era una donna molto particolare: un momento prima poteva essere tranquilla e giocherellona, ma bastava un nonnulla per farla scattare e farle tirare fuori zanne ed artigli e poi, qualche istante dopo, diventava civettuola e maliziosa. Ogni aspetto della sua personalità mi calamitava e, nonostante cercassi di non lasciarmi incantare troppo, era difficile ignorare i battiti del mio cuore che acceleravano ogni volta che lei mi sfiorava.
Il lunedì ripresi a fare i turni in ufficio, decisa comunque a proseguire con il mio “stage”, se così potevo definirlo. Jefferson mi aveva inviato una mail informandomi che avrebbe provveduto a farmi percepire un salario minimo durante il tempo che ci separava dal numero di aprile, garantendomi una piccola rendita e per ciò dovevo ringraziare la Price e la sua determinazione.
Il giorni iniziarono a scorrere tranquilli, diventando settimane. Tra me e la vicina dai capelli blu si era creato uno strano equilibrio rinsaldato dalla reciproca fiducia e complicità che non venne minimamente turbato dal ritorno di Warren e, poi, da quello di Rachel. L’artista ed io continuavamo a passare molto tempo insieme. Ero talmente assorbita da quella nuova conoscenza che quasi non mi accorsi del momento in cui la bacinella sparì dal centro del bagno perché l’idraulico era finalmente venuto a riparare la perdita.
La mia vita sembrava aver trovato una stabilità che mai mi sarei aspettata di sperimentare, mi ero convinta che nulla sarebbe potuto cambiare e avrei vissuto in quello stato di quiete perenne.
Ovviamente scoprii presto di essere in errore.
Venerdì 8 marzo iniziò come un giorno qualsiasi: mi svegliai presto per avere tempo di farmi una rapida doccia e prepararmi il pranzo, salutai Graham da poco sveglio, presi l’auto e mi recai al lavoro.
In ufficio avevo preso l’abitudine di fare da tramite tra gli editor e il reparto artistico, in particolare Daniel con cui avevo sviluppato un ottimo rapporto, e mi trovavo spesso a fare su e giù con l’ascensore, cogliendo ogni buona occasione per fare quattro chiacchiere con i miei colleghi. Quando non ero presa da fare il galoppino, mi trovavo alla scrivania di Dana o Juliet per revisionare i loro lavori, oppure ero al pc a ritagliare, incollare e riscrivere tutto il materiale per il mio pezzo, che sarebbe dovuto essere pronto in meno di due settimane, ma di cui non riuscivo ancora ad essere soddisfatta.
Anche durante quella giornata lavorativa, come quelle venute prima, non accadde nulla di rilevante. Alle cinque, seguendo la fiumana sbuffante per la settimana appena conclusa, tornai alla mia autovettura, dirigendomi poi verso casa.
Avevo preso l’abitudine di passare dalla Price direttamente dopo l’orario di ufficio, per tenerla aggiornata sui miei progressi dell’articolo e per chiacchierare un po’ e quel giorno feci lo stesso.
Arrivai davanti alla porta del 3A, bussai ed aspettai che qualcuno mi venisse ad aprire.
Quando la porta si aprì notai la faccia scocciata di Chloe che sembrava pronta a sbattermi l’uscio in faccia senza tanti complimenti.
«Ah, Max, sei tu» esordì, sorpresa «Pensavo fosse qualche altro festaiolo del cazzo.»
Sbirciai oltre le sue spalle. Percepii un rumore di sottofondo a cui non avevo fatto minimamente caso: c’era musica molto ritmata, come da discoteca, che sovrastava il parlottare di diversi presenti, giovani uomini e donne intenti a divertirsi con alcolici, fumo e chissà che altro.
Una creatura trotterellante arrivò a verificare chi avesse interrotto il divertimento.
«Ciao, Pompidou» salutai la bestiola, mantenendo comunque una certa distanza di sicurezza.
Dopo avermi dato un’annusata sommaria, il cane tornò zampettando tranquillo ai piedi del proprio padrone, che naturalmente non poteva mancare a quel genere di evento.
Frank, Rachel ed un altro paio di persone erano assiepati attorno al tavolino e si passavano una specie di tavoletta a cui, a turno, si avvicinavano con il viso, inspirando profondamente.
«Sei capitata in un brutto momento» mi invitò ad entrare la padrona di casa, guardandosi attorno apprensiva, come per assicurarsi che non vedessi qualcosa che avrebbe potuto turbarmi «Rach ha invitato un po’ di gente per festeggiare l’ultimo contratto che il suo agente le ha procurato.»
I miei occhi dardeggiarono a destra e sinistra, registrando quanto stava avvenendo introno a me. I presenti sembravano tutti talmente fatti da non essersi accorti della mia presenza.
«Quelli sono Trevor, Justin, Evan» iniziò a farmi le presentazioni a distanza, indicando gli indesiderati ospiti «Quelli invece sono Logan, Courtney e Sarah.»
«Un mucchio di amici per un appartamento piccolo come questo» commentai.
«Lo so» sbuffò la pittrice, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans «Allora, com’è andata oggi nella prigione di FRAME?»
Provai a raccontarle della mia giornata priva di particolari eventi, ma fummo interrotte a più riprese dai festaioli che, in preda ad un’euforia giustificata dall’alcol e le droghe, si sforzavano in ogni modo per fare più rumore possibile.
«Che cazzo!» imprecò Chloe, allontanandosi improvvisamente da me per raggiungere la propria ragazza «Rach, io e Max stiamo cercando di parlare! Spiega a questi idioti che non si può fare tutto questo bordello.»
La modella alzò la testa e fissò l’artista con sguardo vacuo, bofonchiando una serie per me incomprensibile di parole.
«Ma vaffanculo» ringhiò la Price tornando nella mia direzione.
«Vieni» disse, afferrandomi per un polso e trascinandomi verso il suo atelier.
Venni sballottata all’interno della camera e, prima che potessi rendermene conto, mi ritrovai in mezzo alle tele, mentre la porta sbatteva, chiudendo lontano da noi il caos del resto dell’alloggio.
«Tutto bene?» mi venne istintivo domandare, vedendo che la ragazza dai capelli blu era ancora tesa dal breve scambio di battute avuto poco prima con la compagna.
La luce del tramonto, proveniente dalla finestra alle mie spalle, illuminò il viso furente della pittrice. Rachel doveva averla fatta davvero incazzare.
Senza darmi una risposta, spostando le iridi da un punto indefinito al mio viso, Chloe iniziò ad avvicinarsi, la sua espressione adirata ancora stampata sulla faccia.
Per un momento ebbi paura ed indietreggiai, come se volessi darle spazio per calmarsi, ma lei avanzò, riducendo sempre più la distanza tra di noi.
Arrivai con le spalle al muro, urtando qualche cornice e una tavolozza, che emise uno strano scricchiolio quando minacciai di spezzarla col piede.
I pozzi blu di fronte al mio volto si fecero sempre più vicini.
«Chloe, che cosa…?» chiesi, non riuscendo, però, a finire di pronunciare la frase.
La mano destra della Price si stampò contro la finestra, situata immediatamente accanto al mio braccio sinistro. Il corpo tatuato e avvolto in abiti scuri mi aveva bloccata contro la parete e l’arto teso mi aveva tagliato l’unica via di fuga. Non che io, in realtà, volessi scappare. Tutt’altro.
«Io non credo sia una buona idea…» mormorai, sentendo un nodo stringersi alla bocca dello stomaco.
L’artista ignorò le mie parole, portandosi ogni secondo sempre più dolorosamente vicina.
«Dovresti dare retta al buon senso…» sussurrai con le sue labbra ad un soffio dalle mie.
«Al diavolo il buon senso! Ho aspettato anche troppo» replicò.
Il suo respiro, lievemente accelerato, come il mio, si infrangeva contro la mia pelle, solleticandomi, facendomi rizzare i capelli sulla nuca, come se mi stesse trasmettendo un senso di agitazione, eccitazione e pericolo.
«Chloe, pensaci bene…» tentai un’ultima volta di dissuaderla, ma quando notai il luccichio nei suoi occhi, lo stesso che lei doveva vedere nei miei, mi arresi.
La mano destra della giovane punk scivolò lungo la parete fino ad arrivare alla mia collottola, portando i nostri volti ad avvicinarsi, mentre con l’altra mi cinse gentilmente il fianco facendo sì che il suo corpo si scontrasse con il mio.
Dopo quelli che mi parvero secoli, momenti dilatati all’infinito durante i quali le mie sensazioni si amplificarono per permettermi di cogliere ogni particolare, finalmente le nostre labbra si incontrarono.
Per  un istante, dalla mia mente scomparve ogni altro pensiero che non fosse Chloe e per la prima volta dopo molto tempo mi sentii incredibilmente felice.
 
NdA: rieccomi, signore e signori, con il nuovo capitolo di questa storia, che ricordo essere il penultimo, settimana prossima, infatti, pubblicherò l'ultimo aggiornamento che giusto per farvelo sapere sarà piuttosto lunghetto, circa il doppio di quello di oggi... Ma non posso aggiungere altro, devo lasciare un minimo di aura di mistero. Ora, la mia cara parte dei ringraziamenti: a wislava per il suo lavoro di beta sempre preciso e puntuale, a Camyglee e Hydro_Warner per le loro recensioni, a coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e naturalmente un ringraziamento anche a chi legge in silenzio, perchè un grazie è dovuto, se vi state sorbendo tutta questa roba. Bene, spero di cuore di ritrovarvi fra sette giorni per la conclusione, nel frattempo buona lettura e buone cose.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Life Is Strange / Vai alla pagina dell'autore: GirlWithChakram