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Autore: ChiiCat92    01/07/2016    1 recensioni
"Per un istante, in quell'istante: suo.
Un errore di una volta, da fare una sola volta.
Lasciarsi andare non gradualmente, ma tutto insieme.
Una sola volta. "
Genere: Angst, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Saix, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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01/07/2016

 

Una Sola Volta

 

Per un istante, in quell'istante: suo.

Un errore di una volta, da fare una sola volta.

Lasciarsi andare non gradualmente, ma tutto insieme.

Una sola volta.

Incrociare il suo sguardo nella folla, seguirlo, desiderarlo. E poi vederlo in sogno.

Negli incubi oscuri e densi i suoi occhi sono d'oro, come la luce corroborante del mattino, una luce viva che salva...e distrugge.

Ogni pensiero si rivolge a Lui, ogni emozione riporta a Lui, ogni ricordo si contorce intorno a Lui.

È stato un tradimento, ma è successo una sola volta.

 

Capelli rosso fuoco scompigliati sul cuscino: la prima cosa che vedo aprendo gli occhi. La sua esile figura voltata di spalle, rannicchiata in se stessa.

È notte fonda, intravedo la luna dalla finestra.

Anche oggi è stato lì dove non sarebbe mai dovuto essere: nei miei pensieri durante il giorno, nei miei sogni la notte.

Per quanto mi sforzi, per quanto io ci provi, tutto il mio essere si tende nella ricerca, come radici di una pianta assetata verso l'acqua.

E inganno me stesso allontanando il pensiero. Lo voglio, lo voglio ancora.

Un fruscio di coperte mi fanno abbassare lo sguardo. Il mio gattone rosso si volta per appoggiarmi la testa sul petto. Anche se ha gli occhi chiusi riesco a immaginare le infinite sfumature delle sue iridi di smeraldo.

« Non riesci a dormire? »

Mormora, leggero, caldo. Il suo corpo emana un'aura di benessere. Vorrei poterla percepire come un tempo, vorrei che potesse curare le mie ferite di nuovo.

È automatico il movimento della mano che si appoggia tra i suoi capelli, accarezzandoli lentamente come a volergli dare conforto. Deve essere il senso di colpa.

« No. »

Allora lui apre gli occhi. Quei due gioielli preziosi mi squadrano, mi cercano, sanno che sono lontano. Sanno che sono altrove, con qualcun altro.

« Hai avuto un incubo? »

Perché mi costringo a toccarlo, a sentire la sua pelle a contatto con la mia. Perché mi costringo ad amarlo.

Sarebbe più facile per entrambi se lo lasciassi andare.

« Non ho cinque anni. »

Lo bacerei il broncio che nasce su quelle labbra carnose, e vorrei spianare la ruga indignata tra le sue sopracciglia rosse. Vorrei essere quello che lui vuole che io sia.

« Non bisogna avere per forza cinque anni per avere un incubo, Saïx. »

Saïx.

Sento il mio nome pronunciato da altre labbra, lievemente, come un sussurro alle orecchie.

Stringo i denti, scuoto la testa.

Lui è sempre qui, dentro di me.

« Torna a dormire. »

Forse brusco, scostante, ma Axel sa.

Lo sento sospirare, lentamente, mentre torna a chiudere gli occhi, sistemandosi meglio con la testa contro il mio petto.

Sente il mio cuore che non batte più per lui.

« Buonanotte Saïx. »

« Buonanotte. »

Il suo respiro si fa più pesante mentre sprofonda nel sonno.

Ho paura di addormentarmi perché ho paura di rivederlo. Ma ho paura di rimanere sveglio perché sopportare la veglia senza di Lui è un'agonia.

Mi costringo a chiudere gli occhi, concentrandomi solo sul calore di Axel, sul suo respiro, sulla curva dei suoi fianchi sotto il lenzuolo.

Quel bambino nervoso e irritante è sbocciato in un meraviglioso uomo.

Il suo profumo è terra bruciata, fiamma viva. Lo aspiro a fondo sperando che possa invadermi.

Non posso credere che non ci sia più niente per noi due insieme.

Non ho il tempo di prendere sonno perché il vibrare del cellulare sul comodino mi riscuote. Il primo pensiero è controllare Axel, controllare che non si sia accorto di nulla, prima di allungare una mano per prenderlo.

Non farlo, non farlo.

Potrebbe essere importante.

Quando lo schermo si illumina il cuore prende a galopparmi in petto.

1 new message unread, no number, 03:55 am”

Qualcosa dentro di me si agita, scalcia.

Non dovrei aprire quel messaggio, dovrei cancellarlo senza leggerlo.

Chiunque tu sia, qualunque cosa tu voglia, non sono la persona che stai cercando.

Il pollice corre su “delete”, ma prima passa da “read”.

Di nuovo, ossessivamente, il mio sguardo cade su Axel, ancora addormentato. È ignaro di tutto, si fida di me.

Cancellalo, sei ancora in tempo.

Trattengo il fiato.

Due semplici parole.

  • Ti voglio.

“Delete”.

Il messaggio scompare, la schermata rimane vuota.

You have no new message”.

Sento il sangue rombare nelle orecchie, furioso, il cuore mi esplode in petto.

Ti voglio.”

No.

Per quanto la ragione si ostini a cercare una spiegazione valida, niente riesce a placare la turbolenza dell'animo.

È Lui, lo so, lo sento. C'è Lui dietro quelle due uniche parole.

È successo una sola volta, non deve, non deve succedere di nuovo.

Mi mordo le labbra a sangue per non emettere un fiato e poggio il telefono sul comodino.

Axel si agita, mugugna qualcosa, qualcosa sul fatto che è tardi e dovrei dormire. Ha ragione: dovrei.

Lo abbraccio piano, lo stringo a me in modo che il suo corpo combaci con il mio. Se fosse abbastanza lucido da rendersene conto forse se ne lamenterebbe, ma non lo è per cui acconsente e si accoccola a me come un gatto.

Il mio gatto, il mio bel gatto rosso.

Il telefono vibra di nuovo. Stringo di più Axel a me.

Nessuno mi porterà via da lui stanotte.

 

Quando mi sveglio il calore di Axel non c'è più. Per un attimo tremo al pensiero di quello che posso aver fatto tanto da costringerlo ad andarsene, poi realizzo che deve solo essersi alzato per andare a lavoro, prima di me, come sempre.

Apro gli occhi e niente mi sembra più sbagliato del profumo della colazione che Axel deve aver lasciato per me in cucina, e del biglietto piegato in due sopra il cellulare con il mio nome scritto in fretta e furia.

Buona giornata, ti amo. Axel.”

Lo metto da parte prima che il senso di nausea mi prenda lo stomaco.

Il telefono ha lo schermo spento, deve essersi scaricato durante la notte.

Non posso rimanere senza tutto il giorno.

Maschero dietro quel pensiero il desiderio di leggere l'ultimo messaggio ricevuto, e lo metto sotto carica.

Non posso rimanere senza tutto il giorno.

Me lo ripeto in cucina, mentre consumo in fretta la colazione preparata dal mio premuroso compagno. Me lo ripeto sotto la doccia. Me lo ripeto mentre mi vesto. Me lo ripeto mentre sistemo i documenti nella borsa da lavoro.

Me lo ripeto quando lo riaccendo. E quando vedo sullo schermo “1 new message unread, no number, 04:00 am” tutto sembra perdere importanza.

  • Dove ci siamo incontrati la prima volta.

Frettolosamente premo “delete”, e impongo al mio cuore di rallentare i battiti, gli occhi fissi sullo schermo come se mi aspettassi di vederlo attraverso lo schermo, come se stesse per scrivermi di nuovo.

Ma non lo farà, non mi scriverà, mi ha detto tutto quello che doveva dirmi. Ora siederà in attesa che il suo pesce abbocchi alla lenza. Stavolta, però, andrà diversamente.

Infilo il cellulare in borsa e prendo la giacca, una lunga giornata mi attende.

 

Tra i volti delle persone per strada cerco il suo volto. Vedo la sua ombra inseguirmi, la sua è presenza ovunque.

La prima volta, quell'unica volta: sembra perseguitarmi.

I suoi occhi, ricordo ancora il modo in cui mi guardavano, come aspettandosi qualcosa da me, qualcosa che non avrei mai dovuto dargli; come si è avvicinato, forse percependo che c'era qualcosa di rotto in me; l'assoluta tranquillità nel prendere posto al tavolo dov'ero seduto da solo. Sapeva che sarei stato suo ancora prima che lo sapessi io.

Era bastato abbassare le difese quel tanto che serviva perché fossimo occhi negli occhi.

La sua pelle d'ebano era morbida contro la mia, ma le sue mani e le sue erano spinti pesanti. Il bacio soffocato contro le sue labbra per trattenere ogni gemito. La parete gelida del bagno. L'odore del suo corpo.

Il desiderio irrefrenabile di essere posseduto.

Sobbalzo quando un clacson mi riporta bruscamente alla realtà e faccio un passo indietro prima di essere investito da una macchina. Stavo per attraversare con il rosso.

Mi sento ansimare, la cravatta oggi è troppo stretta, la borsa pesa troppo, così come le mie responsabilità.

Scatta il verde, attraverso di corsa.

La mia mente percorre con ansia il tragitto da qui al locale, il Broken Wing, il posto dove ci siamo incontrati la prima volta. Non è lontano, è proprio sulla strada, a portata di mano.

All'improvviso sento in bocca un sapore amaro, lo stesso di quella sera, la stessa rabbia, la stessa impaziente voglia di perdere la ragione, lo stesso rancore. Gli stessi sentimenti che mi hanno portato in quel bar, che mi hanno fatto ordinare un drink di troppo, che mi hanno fatto dire “sì”.

Uno stupido litigio con Axel, non ricordo più neanche a cosa fosse dovuto, iniziato da un'inezia e finito in tragedia come tutti i nostri scontri verbali. Noi giochiamo a chi si fa più male, e quella sera aveva vinto lui. Non mi era piaciuto perdere.

Batto le palpebre e mi fermo, il telefono in tasca sta vibrando di nuovo.

No, non ancora, ti prego.

  • Ti voglio.

Come il precedente, cancello anche questo in fretta e furia ignorando il contorcersi delle budella, il dolore del cuore. E il desiderio di assecondare la sua richiesta.

Ricaccio il cellulare in tasca e mi affretto.

Lavorare vicino casa è insieme un vantaggio e uno svantaggio. Non mi servono mezzi per raggiungere il posto di lavoro, ma percorrere quel tratto di strada a piedi mi rende vulnerabile, influenzabile, esposto.

È stupido scendere in strada con un bersaglio dipinto sulla schiena quando il mio cecchino è nascosto da qualche parte pronto a sparare.

L'unico punto sicuro è l'ospedale, il mio studio. Lì dentro non potrà raggiungermi, il desiderio di rivederlo, i pensieri che lo riguardano, saranno sommersi dalle mille cose da fare, dai problemi da affrontare, i pazienti da visitare.

Da medico mi hanno insegnato a salvare più vite possibili, e lentamente la mia mi sta scivolando via di mano. Io non posso essere salvato.

 

Il mio studio, quattro pareti appena arredate, un silenzio rotto solo dal chiacchiericcio sommesso delle infermiere che passeggiano nei corridoi, le cartelle cliniche da valutare e controllare. Non ho tempo per niente e per nessuno.

Il mio codice deontologico e il giuramento che ho fatto mi rendono attivo, concentrato, completamente al di sopra di tutto.

O almeno, fingo che sia così. Perché il telefono continua a vibrare, i suoi messaggi sono diventati ossessivi.

Contengono sempre lo stesso testo, sempre le poche laconiche parole, e non c'è alcun numero a cui rispondere.

È ovvio che voglia farmi cedere, tentarmi nascondendosi nell'oscurità. Riesco ad immaginarlo mentre muove i fili come un burattinaio, sperando che la sua marionetta agisca così come ha programmato, tanto per soddisfare il capriccio del momento.

Ma io non sono la sua marionetta, non sono ai suoi ordini. Non posso lasciarlo vincere.

C'è una foto mia e di Axel sulla scrivania. Un cliché, ma lui desiderava tanto che lo “portassi con me a lavoro”, è il suo modo per essermi vicino. Nella foto non sorrido, come sempre, ma c'è qualcosa nei miei occhi mentre guardo Axel che non riesco più a ritrovare. È una foto scattata prima di quella volta, prima che diventassi un traditore, e che scoprissi quanto mi è piaciuto esserlo.

Eravamo innamorati in quella foto, felici, ci definivano una coppia adorabile. Io, il burbero dall'espressione di ghiaccio, e lui, il caldo fuoco in grado di sciogliermi. Sembravamo destinati a durare per sempre.

Axel è riuscito a sciogliere lo spesso strato intorno al mio cuore tanto da farlo tornare a percepire una parvenza di calore. Ma non è riuscito a capire quanto inutili siano tuttora i suoi sforzi.

Il cellulare vibra ancora e ancora. Stavolta non è un messaggio, è una chiamata.

No, no, no.

La rifiuto, così il telefono smette di vibrare, ma io non riesco a distogliere lo sguardo dallo schermo. So che ci riproverà, è solo questione di tempo.

Bussano alla porta e mi affretto a rispondere con un secco “avanti”.

Un infermiere si affaccia dalla porta dello studio solo con il busto, di fretta.

« Dottore, c'è il paziente del bypass della settimana scorsa, dice che è urgente ma che non ha appuntamento. Lo faccio entrare o ha da fare? »

« Fallo entrare. »

Fallo entrare per carità, ho bisogno di distogliere l'attenzione dal “1 missing call”.

L'infermiere annuisce.

 

Pensavo sarebbe stato più difficile, invece il lavoro è riuscito come speravo a lavare via ogni traccia di Lui. Avere le mani e la mente impegnata mi hanno tenuto lontano. Stento quasi a crederci, mi sento così bene.

Il cellulare ha smesso di vibrare, dopo quell'ultima chiamata non è più arrivato nulla.

È l'ora di pranzo e riesco a pensare che andrà tutto bene, la supererò, è stata solo l'ennesima prova di volontà.

Sono fedele ad Axel, ho ceduto una sola volta.

Raccolgo le mie cose e chiudo la porta dello studio per andare in caffetteria. Non ho fame ma non voglio rimanere da solo, ho bisogno di perdere me stesso nel ciarlare della folla, nella confusione delle persone sedute al tavolo. Ho bisogno di proiettarmi nella vita di qualcun altro e dimenticarmi.

C'è il solito trambusto di tirocinanti, infermieri e medici in pausa, qualche sparuto paziente accompagnato dai parenti. C'è vita.

L'odore del cibo non mi procura la solita nausea, riesco persino a comprare un club sandwich convinto di mangiarlo tutto.

Raggiungo un tavolino vicino alla finestra e mi accomodo, solo.

È una bella giornata pur non essendo troppo calda. Strano tempo per essere il primo luglio. Ma in ogni caso l'aria condizionata accesa mantiene l'ambiente fresco.

La caffetteria da sull'ingresso dell'ospedale, quasi del tutto deserto se non per qualche fugace apparizione di un'ambulanza. Sembra tutto tranquillo.

Cerco di organizzare il pomeriggio in modo da non lasciarmi troppo tempo per pensare. Non ho in programma nessuna operazione, e a parte due visite non avrei nient'altro da fare. Potrei occupare il tempo accumulando qualche ora al pronto soccorso, ne ho già più di quante dovrei averne, e stare a stretto contatto con pazienti raffreddati, con dita tagliate o febbricitanti non mi esalta. L'alternativa sarebbe rimanere nello studio a compilare scartoffie. La vita del chirurgo è meno esaltante di quanto avessi pensato mentre studiavo per raggiungere la laurea, e ancor meno dopo la specialistica. Ha raggiunto il suo picco con i tre anni di praticantato, dopo di che si è trasformata in una sorta di routine con picchi non così significativi.

L'unico avvenimento degno di nota è stato andare a vivere con Axel.

Mi viene da sorridere e scuotere la testa.

Per dieci anni, dieci lunghissimi anni, la sua amicizia aveva tormentato le mie giornate. Sempre presente, sempre assurdamente incollato al mio fianco come un gemello siamese.

Se non fosse stato così suscettibile alla vista del sangue forse si sarebbe iscritto a medicina pur di seguirmi all'università, esattamente come aveva fatto al liceo.

E poi quella stupida dichiarazione di intenti. Mi aveva messo davanti al fatto compiuto come un bambino di cinque anni.

Sono qui, sono io, amami.

È stato anche troppo facile acconsentire, lasciarmi andare a quel sentimento mai provato prima. Axel è stato il mio primo bacio, il mio primo ragazzo, il mio primo compagno, il mio primo disordinato coinquilino, e il mio primo amore.

È bastato distrarsi un attimo per distruggere tutto.

Il club sandwich ha il gusto del cartone, o forse è solo la mia bocca a percepirlo tale. Per distrarmi origlio le conversazioni ai tavoli vicini, mentre il mio sguardo si perde fuori dalla finestra.

Due pediatre al tavolo alle mie spalle si raccontano dell'ultimo bambino arrivato in day hospital, si chiedevano se fosse il caso di chiamare gli assistenti sociali: era in pessime condizioni.

Un infermiere del pronto soccorso, alla mia destra, bofonchia parole di scuse alla fidanzata al telefono: non riuscirà ad arrivare per cena, gli hanno spostato il turno.

Il capo reparto di reumatologia, una bella donna seduta di fronte, spulcia il suo tablet con aria pensierosa, poi un collega le chiede se può sedersi, e lei acconsente.

Tante vite, tante anime, tutte insieme nello stesso posto, eppure siamo appena consapevoli della presenza l'uno dell'altro.

È allora che il mio sguardo cade in basso, catturato dal movimento di un'ambulanza che parte con le sirene accese. È allora che lo vedo.

La sua figura è inequivocabile, persino da quella distanza riesco a cogliere la forma delle sue spalle, la linea dura del suo volto, i capelli argento lasciati sciolti sulle spalle.

Il cuore per un attimo manca un battito, e il telefono torna a vibrare. Ho paura di distogliere lo sguardo da quell'apparizione, perché potrebbe sparire se mi distraggo. O peggio, potrebbe rimanere.

  • Ti vedo.

Lo sento, i suoi occhi d'oro sono su di me. Sono troppo lontano per poterlo vedere, ma so che mi sta guardando, e so che sta sorridendo.

Perché non può lasciarmi in pace? Perché quest'ombra continua a calare e oscurare il sole della mia vita?

E perché desidero che lo faccia?

Il cellulare comincia a squillare. È lui, sta chiamando.

Per un attimo guardo quella figura giù, nel cortile, la mano all'orecchio regge il telefono, e gli occhi sono ancora fissi su di me.

Con rabbia crescente rispondo, determinato a urlare, a esplodere in tutta la mia frustrazione, ad allontanarlo con le parole più crudeli che riesco a concepire.

Ma dalle labbra mi esce solo un tremante:

« Cosa vuoi da me? »

Lo sento respirare, esita per un attimo. So che sta godendo del mio traballante tono di voce. Quanto di me riesce a vedere da quella distanza? È tanto quanto riesco a vedere io di lui?

Spero che non si accorga che sto tremando.

« Voglio te. »

La sua voce.

Qualsiasi cosa intorno a me perde consistenza e importanza. Quella voce calda e vellutata tocca corde nascoste nel mio animo, accende e stimola terminazioni nervose, mi intrappola. È una ragnatela di vibrazioni che conducono a lui, il ragno pronto a finirmi con il suo morso letale.

« Non mi interessa. »

Sibilo, e riesco a capire da solo quanto sono patetico e quanto poco controllo ho su me stesso.

Vorrei poter sentire quel respiro sulla pelle, vorrei poter avere le sue labbra sulle mie. Vorrei che non mi tentasse come sta facendo, e che non riducesse il mio corpo a quel fascio di primordiale desiderio.

« Adesso o mai più, Saïx. »

Quel suo modo particolare di pronunciare il mio nome, lettera per lettera, scandendo bene ogni singola parte come se avesse scoperto il giusto modo di toccarmi.

Vorrei supplicarlo di dirlo ancora, ma lui chiude la chiamata.

Lo guardo riporre il telefono in tasca e voltarmi le spalle.

Sta andando via.

Adesso o mai più, Saïx.

Prima di rendermene conto sto correndo.

I pensieri si susseguono veloci, sono istinto e sono ragione, parte dell'uno e dell'altro.

Vai.

Non andare.

Corri.

Rimani.

Tradisci.

Sii fedele.

Ubbidisci.

Ama.

Raggiunto l'ingresso cerco la sua figura, cerco Lui, riesco a malapena a respirare.

Dove ci siamo incontrati la prima volta.”

È come perdere il cuore, strappato via dal petto quando ancora pulsa.

È lì che rimane, alle mie spalle, sull'ingresso dell'ospedale. Forse qualcuno lo troverà e potrà prendersene cura, forse potrà insegnargli di nuovo ad amare.

Io non lo voglio, non ne ho bisogno per stare con Lui.

 

Sono io, solo con la mia lussuria, con il mio desiderio, ad un passo dal fare l'ultimo passo.

Non posso più tornare indietro.

Quello che c'è di rotto in me, quello che Lui ha percepito, non è mai stato riparato.

Sono difettoso, malfunzionante.

Sono un traditore.

E poi lo vedo.

Seduto al nostro tavolo, dove ci siamo incontrati la prima volta, la stessa espressione sul volto, lo stesso gelido calore.

Non c'è nient'altro per me in quel posto, c'è solo Lui.

Il viso appoggiato pigramente sulla mano, lo sguardo d'oro fuso che percorre il mio corpo. Mi sento nudo, scoperto, mi sento inferiore.

Potrei gettare l'ultima briciola di dignità e chiedere perdono. Perdono per averlo ignorato tanto a lungo, per averlo fatto aspettare, per essermi fatto desiderare.

Con un cenno del capo mi invita a sedere ed io ubbidisco, veloce. Non c'è più niente in me che desidera opporsi.

Colgo sulle sue labbra umide il mio nome appena sussurrato, e il brillio divertito nei suoi occhi.

Sono stato una pedina sulla sua scacchiera per così tanto tempo, pensando di essere un giocatore alla pari. Non ho mai avuto la possibilità di essere più di un pedone.

Non sembra passato neanche un giorno da quella notte buia in cui è entrato nella mia vita, quando ha gettato dentro di me le sue radici oscure.

Un mese, un anno, non riesco a ricordarlo. Il tempo si dilata all'infinito in sua presenza.

Fuori è giorno, ma qui è tenebra.

Desidero sentire la sua pelle d'ebano contro la mia, desidero il suo corpo, desidero che faccia di me ciò che vuole.

Desidero di nuovo quell'istante, essere suo.

La mia vita è lontana, persa, tutto ciò che sono sempre stato ha cessato di esistere nel momento in cui ho rivisto il suo volto, la perfezione dei suoi lineamenti, la curva delle sue labbra.

Quando allunga una mano per accarezzarmi il viso non mi ritraggo, anzi, mi appoggio per sentire meglio il suo tocco.

Sfiora i miei capelli, prende una ciocca zaffiro per portarsela al volto, aspirare il mio profumo.

Voglio essere la luna nel suo cielo scuro.

Si alza e mi riscopro in trepidante attesa. Il padrone ha chiesto del suo servo, e non vedo l'ora di soddisfare ogni sua richiesta.

Come la prima volta lascia che sia io il primo ad entrare, e lui chiude la porta alle nostre spalle.

In quel cubicolo che basta appena per uno, il suo corpo mi sovrasta.

Cerco il suo sguardo prima di poggiare le mani sul suo petto e accarezzarlo con gentilezza. Le spalle, le braccia, il collo, il viso. Le forme del mio Signore, impresse a fuoco nella mia mente, nei miei ricordi.

« Xemnas. »

È un timido richiamo il mio, la mio voce giunge come da molto molto lontano.

Per un attimo mi lascia fare, lascia che lo tocchi, che i ricordi della nostra prima volta insieme riaffiorino così che possa goderne.

Ma è solo un attimo.

Mi afferra le mani e mi spinge contro il muro, soffoco un gemito contro le sue labbra. Baciarlo è baciare la notte, il buio, illuminato solo da bagliori d'oro e d'argento: i suoi occhi, i suoi capelli.

Mi morde le labbra con forza, sento il sapore del sangue mentre il corpo formicola tutto sotto il suo tocco.

Sento la sua eccitazione premere contro di me, e così la mia.

Il suo respiro sul collo è caldo, come lo ricordavo, e il morso che lascia sulla pelle mi fa stringere gli occhi per il dolore.

È così, lui è dolore, è dolore e piacere insieme.

Mi tira la testa all'indietro afferrandomi i capelli in modo che possa esporre a lui la giugulare. Se fosse un predatore ed io la preda sarei già morto, mi starebbe già divorando. O forse è così, e banchetta con quel che resta del mio cuore.

Frettoloso, gli slaccio i pantaloni, mentre lui fa lo stesso con i miei. La sua pelle scura contro la mia chiara risalta dolorosamente.

Le mie mani scivolano verso le sua erezione, voglio toccarlo, voglio dargli piacere, ma lui mi fulmina con lo sguardo e mi sento invadere da quella colata d'oro fuso.

Mi punisce con un bacio che si trasforma in un morso, ora il sangue mi riempie la bocca.

Deglutisco a fatica, supplicandolo in silenzio, quasi contro il mio volere mi ritrovo a strusciarmi contro di lui, in cerca di qualcosa che possa lenire il dolore che sento al basso ventre.

E lui sorride. Quel sorriso mi fa trattenere il fiato per un attimo, mi ustiona. È l'ultima cosa che vedo prima che mi costringa faccia al muro.

Non mi oppongo, lascio che faccia di me ciò che vuole.

Lo sento premere contro la schiena mentre accarezza i glutei nudi. Lo sento fremere.

Vuole me quanto io voglio lui.

In questo gli sono padrone: non può giocare senza giocattolo.

Mi tiene la testa contro il muro con una mano così che non possa vederlo come vorrei. Il mio e il suo respiro sono un'unica cosa, i nostri battiti sono all'unisono.

Si avvicina per mordermi il lobo, un brivido caldo mi scuote dalla testa ai piedi.

Un gemito mi sfugge senza che io possa farci niente e lui mi poggia l'indice sulle labbra per ridurmi al silenzio. Allora lo lecco, fino a sfiorare la punta del dito con la lingua prima di prenderlo in bocca, guardandolo eloquentemente.

Sorride di più e so che farà male, molto, prima di essere davvero piacevole.

Per un momento quando mi penetra il dolore è tale che riesco a malapena a reggermi in piedi, se non fosse che mi sorregge per la vita cadrei a terra.

Mi mordo le labbra per sopprimere i gemiti mentre lui si spinge contro di me. Inutilmente cerco appiglio contro il muro, qualcosa a cui aggrapparmi per non perdermi, per rimanere cosciente.

Annaspo alla ricerca d'aria, non posso muovere la testa perché la tiene ancora bloccata.

Ad ogni spinta il dolore si fa più intenso, vedo scintille bianche nel mio campo visivo. Non resisto, non ce la faccio.

Poi subentra il piacere. Strisciante e non meno doloroso annebbia i sensi, rende tutto ovattato e confuso.

I suoi sospiri contro la mia pelle mi fanno rabbrividire, finalmente mi lascia libero, solo per avere entrambe le mani sui miei fianchi per assecondare il movimento del bacino.

Cerco il suo sguardo, cerco l'oro dei suoi occhi, e quando lo trovo è puro piacere quello che mi investe.

Per un istante, in questo istante: suo.

È successo una volta

Un errore di una volta, da fare una sola volta.

Una sola volta.

Una sola volta.

Una sola volta.

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The Corner 

Ciao Meanie,
davvero pensavi che ti avrei lasciato senza in questa giornata speciale? 
Buon Xemsai Day *Lancia coriandoli*

   
 
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