Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: Lettrice_del_mondo    01/07/2016    0 recensioni
I banchi splendevano lucidi sotto i raggi del sole, attraversati dalle finestre pulite, la lavagna veniva incisa da un gessetto. ma, quando l'ultimo libro della giornata veniva chiuso, la porta chiusa dietro le spalle del professore, il sole iniziava a calare con rapidità. E, ad ogni scocco dell'orologio, i passi nelle strade aumentavano, il vociare iniziava a riempire qualsiasi angolo, gli occhi raccogliere qualsiasi movimento, i telefoni mandare nuovi messaggi, i bambini dormire, le macchine mettersi in moto, i computer funzionare, le televisioni mandare in onda programmi per adulti, la gente diventare libera, le finestre abbassarsi, i negozi chiudersi, gli angoli bui riempirsi di gente, le discoteche occupare tutti i posti liberi, il bagliore della luna risplendere nel buio, l'aria catturare l'ultimo respiro, le mani afflosciarsi nel tentativo di un appiglio di salvezza, i sorrisi ghermire l'ultima goccia di vita, le grigie mattonelle macchiarsi di segreti e sangue, infinito toccava i passanti portando con se paura e timore.
Il telefono squillò. Squillò. Lo stridulo segnale appuntito come lame di coltelli. Si diffondeva. Silenzioso. Stridulo. Mortale. La morte creata come un gioco. Le vite strappate come cibo. Insaziate.
La luna calò. Comparve il sole.
Silenzio.
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il grigiore ammuffito saliva, su, su, con mille funivie urlanti per il terrore, gracchianti come mille corvi. Mattoni grondanti di odio, terrore, visione di corse di gente impaurita, urla inserite tra le taglienti pietre oscure come il cuore della notte, la luna inalzata. Uragani di devastazione rialzavano la polvere, la più inconscia voglia di sfuggire, di scappare, di poter respirare, finalmente. Scriccoli di crudele pazzia. Yennelle si fermò, il piede alzato, intenta a scoprire cosa dovesse fare. No, no. Si urlava contro, un silenzioso alveare di grida pungenti come mille pungiglioni di api assassine. Yennelle. Era lei, solo lei. Unica, preziosa, rara, cara Yennelle. Si, si, lei. Vuoi, realmente oltrepassare quella porta, far sparire la tua vita. Morirai, non ci saremo più. Non ci saremo, mai. Sarà il nostro ultimo momento di vita, l'ultimo momento di gloria. << No. non mi succederà nulla. >> Il chiarore lunare riversato sulle corte braccia asiatiche dal più antico lamento. Invece sì , Yennelle . Ti prenderanno, ti risucchieranno. Non ci sarai più . Loro.... loro faranno di te. << Non mi succederà nulla. Nulla. >> Nulla? Non è vero. Saranno i tuoi burattinai, le braccia non altro che striduli accenni di vita intrisi in orridi antichi pezzi di legno, ogni movimento sarà solo un sussurro di dolore e perdite. Le tue braccia, la tua mente, uccis.... << No. Loro non lo faranno. >> Il piede si poggiò, sicuro. No, Yennelle. E le dolci pupille risplendenti di dolore, cercarono di ricordare le urla di gioia, le mille cadute foglie negli autunni più freddi, i sospiri cercati e mai persi, i sorrisi, gli abbracci. Lei. Lei. Lei. Lei era... Lei era morta. Non era altro che un orrido sacco ammuffito di abiti intrisi in ricordi non suoi. Ricordi stracciati. Addio. La voce di una bambina che riviveva le sue paure. Quelle paure. Addio Yennelle. Una mano tremolante, un sussurro disperato. Per l'ultima volta quel demone. Quel demone... Un labirinto quadrimensionale di minuscole farfalle nere d'oblio. Luccichi insignificanti di bagliore argenteo, la cupola divina di ciò che caccia, contrae, cattura. Tutto. Tutto, lì. Solo lì. L'interno della casa non era altro che la dominazione dell'oscurità, la tana degli amanti del putrefatto, dei corpi smembrati, dei sorrisi lacerati, delle vite sfratte. Le scale quasi invisibili ad occhio umano, una possibile apparizione alle torridi lampadine giallognole delle torce arrugginite, sconosciute. << Enni? >> disse Stefani dalle alte scale abbandonate alla memoria di stracci bagnati o scope. << Sei tu Enni? >> Le finestre chiuse da anziani, troppo anziani, sbarre di legno rinsecchite, rigonfiate dalla muffa e dall'umido tetro. Al lato delle scale una piccola finestra faceva oltrepassare ciò che Yennelle conosceva, quegli urli di perdita, quegli strazzianti lamenti di ricerca senza fine, senza riposo, senza sussurrare un " aspetta " o " un secondo ". Morire fino alla fine. Arrivare, raggiungere l'obbiettivo. E, dall'immenso Paradiso, lugubre di sorrisi, lacrime di sole, gocce di gioia, ricerche di felicità, un solo raggio conficcato nel baratro dell'inferno, sfigurando come acidità il volto del demone. Gocce. Gocce. Gocce. Nulla, niente. Secchi. Ancora secchi. Cannonate .... E.... Nulla. Il diavolo rosso vivo, in piedi, trionfante. Il sorriso splendente da quel raggio. Uno tsunami di nere onde profumate di vaniglia e incremate si alzò in aria, le gambe in direzione delle scale. Il corpo immobile come una statua greca, gli zigomi perlacei ben definiti, le spalle dritte, il corpo regolare ricoperto da tessuto. << Sei solo tu? >> L'altra scosse la testa. Si girò ed oltrepassò la porta , una porta vecchia, rovinata, la parete distrutta nel tempo, crepe, spazi, fessure colme d'assenza. Oltrepassò la porta, scomparsa, i piedi ululanti facevano echegiare la sua assenza. Devi seguirla. Le suggerì qualcuno, in fondo alla sua testa. Lei è come te. Le suole delle converse nere correvano, leggere, come se stesse volando, come se i suoi piedi toccassero grige, tetre, assassine, nuvole. Le scale salivano, salivano ancora. E lei era lì. Si, si. Una mano tesa, in aiuto. Le loro dita s'intrecciarono, come se fossero state sempre insieme. Lei ti vuole. Le dita strette, le gambe flesse in un movimento continuo: corse dopo corse. Un turbine di movimenti. La stanza in cima era alta, il corridoio tempestato di schegge di tempo e vetro, il parquet bagnato di una strana macchia rossa, maleodorante e visiva, molto visiva. La bruna puntò i piedi. 《 Stef. 》 disse, sembrava impaurita, la voce di una bambina, di una bambina la cui vista era stata accecata da un genocidio. 《 Cos'è questo? 》 Il dito indicava la macchia. L'altra alzò le spalle, girandosi. 《 Prima sono inciampata e si è rotta la bottiglia di vino. 》 Il rimbombo di vetri era insinuato nella sua testa, ricordandosi la chiamata di quel pomeriggio, i piedi che schiacciavano i vetri, senza pensare al dolore.《Quando mi hai chiamata? 》 L'amica accennò un si. 《 E non hai pensato a pulire? 》 Era arrabbiata, infuriata. La voce alta. Stefanie stava indietreggiando, quasi cadde nel tentativo di allontanarsi. Orrore sul suo volto. La mano toccava il pavimento di legno rovinato. 《 Enni. Che hai? 》 Yennelle guardò l'amica, i piedi tesi cercavano di scalaciare l'aria per allontanarsi, le mani graffiate dai pezzettini di legno. Gli occhi sembravano voler scappare, non vedere, andarsene. 《 Cosa? Che ci fai a terra? 》Stefanie, quasi sbalordita fece un balzo e si alzò. 《 Su, andiamo. 》 La bruna asiatica avanti, come se nulla fosse accaduto. Il corridoio, pian piano, si riempiva di colore, le pareti costeggiate da tavolini ricchi di vasi con fiori rinsecchiti, i vasi decorati poggiati su tovagliette di pizzo lavorate ai ferri. I fiori non erano gli unici ad arrichire la stanza, ricordando che, anche le cose più belle muoiono, hanno una fine. I muri gli aiutavano, ricordavano la vecchia carta da parati, strappata e stracciata penzolante dai muri, un richiamo di fiori confinati con lo sfondo panna, a volte ricoperti da vecchie foto polverose, così polverose da far venire interesse a chiunque le guardasse. Stefanie era ormai davanti a Yennelle di almeno un metro, era sicura mentre camminava, non esitava, come se conoscesse tutti i segreti di quelle piccole mura. Lei, però si era fermata, non perché non conoscesse la strada ma, più che altro, perché aveva voglia di sapere, conoscere, racchiudere nella propria testa i volti dei vecchi abitanti o, forse, quelle foto erano vuote, la polvere abitava solo un vetro lugure e depresso dalla solitudine, le larve ne avevano fatto il nido, creando una leggera compagnia. Oppure mancava anche il vetro. Quella casa era troppo vecchia per poter annunciare che ci abitasse qualcuno, che qualcuno, realmente, avesse deciso di appendere delle proprie foto, che qualcuno si ricordasse di quei volti incorniciati. 《 Oh signore. 》Le spalle contro il muro, la mano polverosa si ripuliva sul vestito indossato dalla ragazza, gli occhi fissi al volto. Non ci credeva. Non poteva. Era impossibile. Un urlo soffocato graffiava la trachea, le unghie conficcate nella carne risalivano, come un mostro rinchiuso in un pozzo cercava di sfuggire alla sua eterna gabbia. Stefanie era sulla soglia, in lontananza delle suole di scarpe si avvicinavano alle due ragazze, eppure sembravano così lontane, come se non potessero mai arrivare, come se quei passi, in realtà, non cercavano di correrle incontro ma di scappare via. 《 Ste..ef.. 》 la voce balbettante, il corpo tremante, gli occhi lucidi. Forse era la polvere. Forse lo spavento. 《 Stef... que-quella ragazza. 》 Fissava solamente quella foto, quella terrificante foto. Come poteva succedere qualcosa del genere? Come poteva essere vero? Forse era solo una visione, forse era solamente una finzione. 《 Quella ragazza. 》 Ripeté di nuovo. Due grandi occhi grigi erano fissi verso chiunque avesse catturato quell'immagine, le labbra leggere sembravano segnati da un colore roseo per risaltarle, le guance rosse tentavano di emettere un sorriso, la pelle quasi chiara, come se non avesse mai visto il sole, i capelli scuri raccolti in un'acconciatura alta lasciava liberi qualche ciuffo, uno di essi sulla fronte, quasi arrivava all'occhi sinistro, sembrava non darle fastidio, altri fuoriuscivano per trovare la libertà. Un cappello grande sulla testa, le mani ricoperte da due guanti corti di pizzo bianco arrivavano fino al polso, un bracciale di perle sul polso sinistro, il corpo coperto da un vestito, il petto completamente coperto, il tessuto di un leggero celeste , una collana di perle pendeva, una collana più piccola ricordava una croce, le maniche del vestito coprivano i bicipiti, la base ricoperta da altro pizzo, partendo dal seno si poteva notare un insieme di pizzo e ghirigori neri sul tessuto chiaro, la gonna quasi visibili mostrava tutta la sua grandezza, la sua eleganza. Una ragazza dai capelli biondi, alta, i fianchi esaltati, il seno abbondante, le cosce più grosse coprivano i polpacci magri, un paio di scarpe bianche ai piedi, un paio di pantaloncini di jeans insieme ad una maglietta gialla, corta davanti e lunga dietro, ciò che non era coperta dalla maglietta gialla era stata coperta da una camicia denim. Passava lo sguardo da Yennelle al presunto quadro dell'orrore. Si avvicinò all'orecchio di Stefanie e le sussurrò qualcosa all'orecchio, l'altra rispose nello stesso modo, chi ascoltava non toglieva mai lo sguardo dal corpo terrorizzato. Le unghie di Yennelle si erano conficcate tra i suoi capelli, la testa le scoppiava, come quella stessa mattiva. Sapeva, sapeva qualcosa ma non ricordava. 《 Quella ragazza. 》 sussurrava, un disco rotto, nessuno aveva voglia di aggiustarlo o toglierlo, far smettere l'agonia. 《 Quella ragazza. 》 la voce si abbassava, la frase si allungava. 《 Quella ragazza. 》 Venye si avvicinò all'amica, voleva che si alzasse, i suoi occhi grigi facevano paura, sembravano fuoco ardente, alimentato dalla paura e dalle brutte sorprese. 《 Vieni qui, tesoro. Andiamo. 》 L'altra si perse nelle braccia dell'amica. Gli occhi delle due s'incrociarono. 《 Quella ragazza. 》 Una lacrima, una lacrima di terrore. Avrebbe preferito scappare. 《 Quella ragazza sono io. 》
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Lettrice_del_mondo