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Autore: Jessie    02/07/2016    2 recensioni
La prima cosa che vidi nella frazione di secondo in cui la figura si fermò, improvvisamente, a qualche metro da me, fu una copia venuta male di Edward.
Il millesimo di secondo successivo mi accorsi che era un uomo che non avevo mai visto prima. [..]
«Dove hai preso quell’anello?» domandò all’improvviso guardingo.
Spostai sorpresa lo sguardo verso il punto in cui si era fissato il vampiro. Il diamante incastonato all’anello di fidanzamento della madre di Edward scintillava al tenue riflesso del sole che filtrava appena tra le fronde degli alberi.
«È.. il mio anello di fidanzamento..» mormorai colta alla sprovvista.
«No. Quell’anello apparteneva a mia moglie. »
.
E se il passato di Edward Cullen tornasse a fargli visita in modo inaspettato? A distanza di tre anni dalla nascita di Renesmee, la famiglia Cullen, Jacob, Seth e Leah avranno a che fare con una nuova città, un nuovo branco, un nuovo ibrido, una neo-strega e nuove battaglie..
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clan Cullen, Edward Senior Masen, Leah Clearweater, Nuovo personaggio, Seth Clearwater
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Cap.8
Anelli Diurni
 
̴E
 
Nell’istante in cui Bella lasciò la mia mano e fece una decina di passi verso la direzione in cui la mutaforma e mio padre se ne andavano, mi sentii raggelare. Mentre una parte del mio cervello, in sordina, contemplava la figura elegante e leggera di mia moglie, e riusciva a fare commenti su quanto l’immortalità le donasse fino all’indicibile, pensai che sarei potuto tremare. Se avessi potuto avrei sentito ogni nervo del mio corpo scuotersi come una tempesta e sradicarsi dai muscoli.
Non comprendere era una sensazione che non provavo da svariati decenni ormai, dalla mia vita umana, caduta quasi per intero nel più fosco oblio. Non era compatibile con ciò che ero diventato.
Eppure, non coglievo nulla di quello che era appena successo.
Tutto era iniziato quando Alice si era alzata di scatto e precipitata fuori in terrazzo con così tanta foga da non riuscire a vedere simultaneamente i pensieri che le passavano, vorticosi, davanti agli occhi. Vidi il volto di un uomo che parlava con Bella e Carlisle, che si avvicinava a casa nostra. Un viso.. famigliare. I miei occhi erano certi di averlo visto altrove ma la mia mente non era altrettanto celere nel seguirli.
Vedere la sua figura a svariati metri da me non lo rese più reale fino a che un frammento di ricordo non emerse all’improvviso. Una scheggia di passato raccolta nel baratro delle mie memorie umane, un oggetto smarrito rimasto in pezzi all’epoca in cui i miei sensi avevano delle falle. La mia vita umana.
Non avevo grandi ricordi del periodo in cui la natura vampiresca non aveva infettato e plasmato radicalmente tutto il mio corpo e la mia mente; non ne avevo affatto. Di come fosse la mia vita prima di Carlisle avevo perso la quasi totale percezione, eccetto l’ultimo giorno della mia vita – quel dolore provato, così lacerante e profondo, si era impresso lasciando una cicatrice sul nuovo me stesso. Potevo visualizzare il viso di mia madre, in ricordi della stessa entità di tasselli di un puzzle pieno di lacune o difettoso; la sensazione della sua mano tra i miei capelli prima di augurarmi la buona notte, la sua risata gioiosa. I suoi occhi, a volte ansiosi. Verdi, come i miei, da quello che avevo potuto vedere chiaramente nella mente di Carlisle. Le uniche immagini vivide di entrambi, con mio rammarico quelle più spaventose, erano il suo incontro con me e mia madre, nella lunga agonia della malattia. Avevo cercato di seppellire anche quelle, ma non era facile gestire una capacità  contenitiva di pensiero così immensamente vasto.
L’uomo che mi trovavo davanti, il vampiro che stava di fianco a Bella sembrò appigliarsi con tutta la realtà possibile a quei pochi ritagli di vita a Chicago che potevo ancora contenere in fondo alla mia testa, riemergendo violenti. Mentre m’impietrivo le mie sinapsi compivano un’altalena di sovrapposizioni, dove il viso marmoreo di quel vampiro si incrociava con quello scolorito e disperso di un ricordo. Un uomo, dalla barba quasi inesistente, l’espressione stanca e cupa, che rientrava dalla porta – di casa? – , una valigetta in una mano, sigarette nell’altra.
Quell’uomo, la quale personalità avevo quasi del tutto ignorato durante la mia vita umana, era mio padre.
All’improvviso, come se quel frammento fosse arpionato a tanti altri, riemersero briciole di vita perduta che non sapevo neppure di possedere. L’aria raggiante di mia madre quando lo vedeva arrivare, i dialoghi stentati tra di noi, le assenze. Il senso di impotenza nel modo in cui i nostri interessi divergessero tanto o nella maniera stantia in cui semplicemente non ci conoscessimo.
Tutte quelle sensazioni mi colpirono in una paralisi di gesso, ed i pensieri che tormentavano le mie orecchie, la mia testa, ora erano solo un gorgoglio di voci senza forma, che si perdevano in un unico rumore di fondo. Cercai di concentrarmi e fu, se possibile, ancora più frustrante: le immagini che saettavano dalla mente di mio padre alla mia mi investivano di troppe sensazioni tutte insieme, che sembravano distorcersi contro le mie. Felicità, gioia, il mio volto mentre suonavo al piano, viaggi in treno e una foto di famiglia tra le mani ruvide; sensazioni di spossatezza, amore, il volto di mia madre appena sveglia.. Io. in fasce. Tra le sue braccia.
L’unica parola che riuscii a sputare fuori - mentre i pensieri furiosi di Rosalie, quelli preoccupati di Esme e di mia moglie, quelli colpevoli di Carlisle e quelli perplessi di Jasper ed Alice mi investivano assordanti – fu “padre”. La dissi come se fosse il vocabolo più duro da pronunciare, più difficile da assemblare. Padre.
Mi sembrarono mille anni dall’ultima volta che lo avevo fatto, nonostante avessi chiamato a quel modo i miei nuovi genitori adottivi, indefinitamente. Era passato troppo tempo, troppa distanza dalla mia vita umana. Che non mi apparteneva più.
E questo individuo, quest’uomo che ricordavo a malapena essere stato a lungo di fianco a mia madre, quest’uomo che non rammentavo affatto nei giorni di malattia, ora stava lì in piedi, tra la colpevolezza e la gioia ad offrirmi foto di mia madre.
Eppure io affogavo in oceani più profondi e pericolosi.
 
 
̴B
 
Nessuno si presentò a casa di Edward Masen per tutto il giorno seguente.
Mi intristiva pensare a come la sua espressione fosse mutata quando Edward gli aveva detto che aveva bisogno di tempo. Nemmeno Jacob sembrava aver metabolizzato del tutto chi o cosa fosse Ashley, soprattutto quando gli avevo detto di aver sentito un fruscio di zampe al posto dei suoi passi e che odorasse allo stesso modo in cui tutti i mutaforma odoravano. Aveva preso a telefonare sparendo e ricomparendo dal giardino; lo sentii parlare con Billy a proposito degli anziani, poi con Seth e Leah. Probabilmente voleva avere maggiori informazioni possibili perché considerasse Renesmee fuori pericolo. Fu bizzarro quanto quello fosse l’ultimo dei miei problemi – è vero, gli occhi glaciali di quella donna così sicura di sé mi avevano innervosita, ma non mi sembrò particolarmente interessata a mia figlia.
Per quando riguardava Edward, da quando avevamo visto suo padre lasciare casa nostra con Ashley, ci aveva messo un po’ a parlare. Si era seduto lentamente su una sedia a fissare il punto in cui erano spariti e poi mi aveva guardato, con occhi a metà tra il malinconico e il triste. Sembrava non riuscisse a metabolizzare, così per qualche minuto nessuno gli disse più nulla. Io mi ero seduta di fianco a lui, con la testa appoggiata alla sua spalla, e lui distrattamente mi aveva presa per mano.
«Quello è tuo padre?» aveva detto Rosalie dopo essere rimasta in silenzio per quasi tutto il tempo in cui Edward Masen era rimasto. Sembrava voler sdrammatizzare senza riuscire a dissimulare un filo di ammirazione per la figura statuaria che aveva appena lasciato la casa. Anche gli altri cercarono di fare delle domande ad Edward o tentarono di buttare giù ipotesi, ma nessuna delle loro parole sembrarono attecchire. Alla fine, di fronte all’espressione vacua di Edward, rinunciarono e ci lasciarono un po’ da soli.  
Dopo un’ora - durante la quale nostra figlia aveva premuto la sua manina sulla mia guancia e quella di Edward, preoccupata, in cerca di risposte -  Carlisle era venuto a controllare che fosse tutto a posto ed Edward aveva sospirato di non saperlo.
«La mia svista è stata imperdonabile Edward » cominciò calmo ma molto serio «Sono contento di aver passato questi ultimi ottanta-novant’anni insieme, e non mi pento della scelta che ho fatto; sono orgoglioso della famiglia che abbiamo costruito. Ma se avessi fatto più attenzione, se mi fossi accorto..»
«Carlisle, tu non hai nessuna colpa. » lo aveva interrotto Edward riuscendo  a fare un debole sorriso, ma sincero ed affettuoso. 
«Non è colpa di nessuno » aggiunsi guardandoli entrambi  «Forse dobbiamo solo metabolizzare la cosa, ci ha colti tutti di sorpresa..»
Secondo Esme la sofferenza della perdita del proprio unico figlio era una delle peggiori del mondo – non potevo darle torto – ed incitò Edward ad andare a parlare con il padre il giorno seguente. Anche Alice e Carlisle erano d’accordo; Alice in particolare, sosteneva che,se avesse potuto, avrebbe chiesto molte più informazioni sulla sua vita umana quasi inesistente.
Edward aveva annuito varie volte, distrattamente, ma non sembrava particolarmente entusiasta, né sicuro delle proprie sensazioni. Cambiò argomento per gran parte del pomeriggio, così alla fine la famiglia Cullen smise di parlargliene. Quando avevamo messo a dormire Renesmee decisi però che volevo sapere cosa stesse pensando davvero di tutta quella storia. Mi spiegò che della sua vita mortale ricordava sempre meno, ma sapeva che il suo rapporto col padre non era mai stato particolarmente forte; si ricordava bene certi dettagli legati a sua madre, Elizabeth, perché trascorreva molto tempo con lei a casa. Edward senior invece era quasi sempre via per lavoro. Dei loro momenti insieme non ricordava quasi nulla, se non il senso di mancanza o assenza. Era il tipico padre in carriera che poteva garantire istruzioni private e lezioni di musica ma che puntualmente rimandava i piani di famiglia.
Mi sembrò una descrizione strana associata all’uomo con cui avevo parlato, anche se pochissimi secondi. Non che la tensione tra loro non fosse saltata agli occhi di tutti, era chiaro..
«La mia vita mortale è così lontana che non ricordo nemmeno bene come fossi sul serio o come fossero davvero i miei genitori.» mi spiegò « Hai visto, ho stentato a riconoscerlo. Carlisle è stato il mio compagno e mio padre per più di ottant’anni, un padre ideale, da cui ho imparato moltissimo. Non ho interesse nel cambiare la mia vita.. Non so cosa pensare o cosa.. Dovrei provare. »
Per quanto lo capissi, pensai che nemmeno per suo padre doveva essere semplice.
«Entrambi avete vissuto novant’anni con la convinzione di essere sopravvissuti alla vostra famiglia. Ma al tuo risveglio avevi Carlisle, che ti ha detto tutto quello che avevi bisogno di sapere. Avete formato una famiglia insieme.. » gli dissi decisa «Lui era solo e all’oscuro di tutto. Non sapeva nemmeno cosa poteva o non poteva fare un vampiro, come controllare la sua sete. Forse è solo anche adesso. Io.. credo che meriti una possibilità..»
Ci rifletté un attimo poi si accigliò:«Forse è così. Ma non credo sia solo..»
«Hai visto qualcosa?» domandai curiosa.
«Sì e no.» scosse la testa «Pensava molto in fretta, per immagini. Non riuscivo ad afferrarle bene perché balzava da una cosa all’altra, come se i suoi pensieri vorticassero. O forse.. I miei sensi sono stati sopraffatti dalla sorpresa..»
«E che immagini sei riuscito a vedere?»
«Tante. Perlopiù.. Della sua – della nostra – vita mortale. Mia madre..» strinse la labbra esitante «la vecchia Chicago.. Me stesso.. »
Chissà come doveva essere strano vedersi dopo essersi dimenticati. Quando Renesmee mi aveva mostrato l’unica immagine che aveva di me non riuscivo più ad associarla a me stessa. Ma l’aspetto più orribile del solito probabilmente dipendeva dalla condizione in cui ero arrivata a partorirla. Come doveva essere stato Edward ammalato di spagnola? Mi immaginai un giovane ragazzo con gli occhi verdi e non potei pensarlo meno attraente di come lo vedevo ora.
Edward, perso nei ricordi, proseguì:«Mi pare di aver visto una vampira.. Giovane, forse poco meno di diciotto anni.. O forse era più come.. Era così veloce da sembrare sfuocata. Potrebbe essere una conoscenza, o una compagna. Quando ha visto Jacob gli è saltato in mente un altro lupo.. Era associato a Lui che correva con due mutaforma.. Poi dei flash della sua transizione e.. Ashley.»
A quel nome mi venne subito in mente una domanda che mi frullava in testa da un po’:«Ashley ed Edward non si sono stupiti di Renesmee.. Pensi che..?»
«Ho sentito il suo pensiero nel momento in cui l’ha vista. Ha pensato: “Un altro ibrido”. Quindi..»
«Quindi devono conoscerne uno. » mormorai pensosa.
Edward non aggiunse nulla per un po’, ma guardava davanti a sé senza sorridere, con un’espressione indagatoria. Anche io riflettei per qualche minuto di fronte a quelle nuove informazioni. Che sapevano Ashley ed Edward degli ibridi e perché? Chi era quella Makeda che aveva nominato? Ashley non era sola. Ma questo significava che aveva un branco? Era così strano pensare che ci fossero degli altri mutaforma in giro. A sentir parlare Edward di fronte ad Aro – rabbrividii al ricordo di quelle settimane di tensione e paura -  gli avi di Jacob non erano veri licantropi, ma la loro magia era nata insieme a loro e si protraeva da una lunga linea di sangue. Era quella tribù specifica ad essere diversa ed unica, era la casualità che aveva fatto sì che lo Spirito Guerriero diventasse il lupo nel cui corpo aveva trovato asilo tanto a lungo. Che fosse una discendente?
«Non è stata una grande idea dirgli del mio dono..»
«Che intendi dire?»
«Da quando lo sa mi pare sia molto più attento a ciò che pensa. Ho sentito la sua concentrazione, quali cose cercare di evitare,  e che ho sentito solo in sordina..»
«Forse sta solo cercando di proteggere Ashley..» pensai a Jacob la notte in cui era piombato dentro camera mia per cercare di raccontarmi cos’era diventato, senza riuscire a parlarne per via dell’ordine di  Sam «Magari la sta aiutando a mantenere la segretezza di altri come lei.. Ti ricordi com’era contrariata all’idea che ci fossero vampiri qui? Come pensi che avrebbe reagito Sam se avessimo socializzato con altri otto vampiri, sul suo territorio, senza avvisarlo?»
Edward sembrò contrariato e storse la labbra con sospetto:«Non sono del tutto sicuro che abbiano un patto come quello tra noi e i Queliute.. Ma potrebbe essere plausibile. Ashley ha un modo di pensare, diciamo, sintetico. Come fosse abituata a dover tenere certi pensieri per sé..»
«Come in un branco.» completai, mentre mio marito annuiva.
 «La cosa che potrebbe confermare la teoria è che, ho visto correre mio..Padre con un lupo nei suoi ricordi; quando ha detto che conosceva altri mutaforma ha pensato “abitano a Pacifica”..» sospirò senza rilassarsi «Tuttavia credo che ci sia dell’altro.»
«Makeda non sarà contenta, lo sai. Ma c’era un Protettore con loro..»     «Non gli hai ancora raccontato di Izzy?»
Era vero, qualche mistero irrisolto c’era e con Edward non ne avevo parlato, senza capirne il motivo. Forse perché, nonostante tutto non riuscivo a considerare il padre di mio marito come una minaccia. Ma allora perché nascondere certe informazioni?
«È un buon motivo per andare da lui allora.» ribadii lanciandogli un’occhiata che fosse intransigente.
Edward alzò gli occhi al cielo ma sembrò aver depositato le armi.
«Stasera?» suggerii speranzosa.
«Domani.»
«Vuoi davvero che..»
«Domani.» ripeté categorico.
Non ribattei nulla ma mi limitai a sospirare sperando di stemperare l’atmosfera.
«È meglio se andiamo insieme. Tutti..»
«Non pensi sia meglio che abbiate.. Un po’ di intimità?» domandai cercando di essere delicata. Capivo come nessun altro cosa significasse dover riempire silenzi imbarazzanti con persone che t’intimidiscono, perciò non insistetti tanto. Ero tuttavia combattuta all’idea.
«No.» borbottò accigliandosi. Scrollò le spalle subito dopo assumendo un’espressione più dubbiosa che seccata:«Non ora.»
Annuii senza voler aggiungere altro: mi sembrava un buon compromesso. In fondo c’erano moltissime cose che non sapevamo di lui..
Non seppi perché, ma sentii che fidarsi era la cosa giusta.
 
***
 
Quando arrivammo laggiù il sole era alto. La prima cosa che apparve alla fine del boschetto di alberi che circondavano il lotto dell’abitazione, fu un vasto spiazzo d’erba, che le girava attorno – un giardino ordinato – su cui si affacciava una versione moderna di una casa colonica a tre piani. La facciata era di rustiche pietre a vista, ed un ombroso porticato in lastre grezze cingeva una parte del piano terra, poggiando sullo stesso livello del prato. Era una struttura costellata di finestre regolari – vecchio stile, con le persiane rosse come appena tinteggiate – e quasi grande quanto quella in cui abitavamo a Forks, il che mi parve bizzarro per un uomo solo. Salendo in alto verso il terzo piano, la base diminuiva e il tetto spiovente s’interrompeva con un paio di abbaini. Vidi Esme parecchio interessata all’architettura che la dominava.
Ad accoglierci trovammo inaspettatamente Ashley, distesa su una sdraio sulla sinistra della casa, e della musica – fui piuttosto sicura che si trattasse di una famosa canzone degli AC/DC – provenire dal garage-dependance che le stava alle spalle, il portone totalmente sollevato e riempito di penombra. A quella distanza si vedeva appena scintillare la sagoma di un manubrio, simile a quello di una moto, ed una figura accovacciata.
Non appena ci individuò al limitare del giardino, la donna tirò giù gli occhiali da sole fino alla punta del naso, per poi ricacciarseli su, ben aderenti agli occhi. Di sicuro una fila di otto vampiri colpiti dal sole doveva essere parecchio fastidioso da guardare..
Vidi, avvicinandomi a velocità umana insieme agli altri, che era in costume, e reggeva in mano alcuni fogli; un bicchiere di quello che sembrava the freddo appoggiato come ferma carte su un tavolino di plastica bianco. Senza vestiti era ancora più difficile darle un’età. Avevo assistito alla crescita sorprendente e fulminea di Jacob alcuni anni prima, invecchiare all’improvviso dimostrando più di quanto avesse nonostante la prestanza fisica intatta e potenziata. Per Ashley era diverso. Sebbene si notasse, in certi tratti ed espressioni del viso, che fosse attorno alla quarantina, il suo fisico era impeccabile e senza una grinza. Tozzo ed abbondante sulle gambe e sul petto, ma affusolato e slanciato nel modo in cui tutte le parti si armonizzavano: era come vedere una personal trainer che si allena tutti i giorni in palestra senza fare troppi pesi ma attenta ad una dieta ferrea.
Quando le fummo davanti e la musica ci investiva potente – Have a Drink on Me, ci avevo indovinato -  Edward aprì la bocca per parlare ma Ashley si voltò appena, facendo un sospiro annoiato in direzione della dependance:«Masen! Ha sentito che c’è tuo figlio o hai bisogno di una controllata alle orecchie?»
Ci voltammo tutti focalizzando i nostri sensi affilati verso una zona ombrosa della dependance dove la musica si spense all’istante. Trovammo Edward Masen che si rialzava accanto a quella che sembrava una motocicletta luccicante. Portava una canottiera larga, sporcata in più punti da strisce nere; nella scollatura sembrava sparire una catena, come di un ciondolo legato al collo. Lo vidi sorridere non appena ci individuò, come un bambino di fronte ad un regalo.
«Una Triumph Scrambler..» sentii sussurrare Jacob con aria interessata. Jasper di fianco a lui annuii e poi sembrò fargli cenno verso il lato opposto del garage. Seguii il suo indice per notare che, oltre al muso centrale di una Mercedes-Benz, c’era un’altra moto, il tipico modello su cui si vedevano scorrazzare le bande di motociclisti nei film americani, dai manubri alti e il retro steso. La passione per i costosi mezzi di trasporto era di famiglia, a quanto pare.
«Stupenda..» sentì grugnire Emmett che si avvicinò a gran passi ai due.
«Salve» salutò divertito l’uomo venendoci incontro al limite della dependance, restando nella zona d’ombra.
«Salve..» mormorò cauto il figlio, guardandolo con un’espressione indecifrabile. Restarono a guardarsi per qualche secondo senza dire nulla; il proprietario di casa con un sorriso luminoso, mio marito incerto.
«Saremmo dovuti venire prima, mi dispiace.» disse alla fine in tono neutro.
Edward Masen scosse la testa strofinandosi uno straccio sulle mani bianche sporche di grasso.
«Be’ accomodatevi, mentre mi vado a dare una ripulita..» annunciò gioioso, e con un braccio fece cenno di metterci sotto il porticato. I suoi occhi si spostarono su Ashley, che ci guardava, voltata indietro. Non si dissero nulla ma parvero capirsi al volo. Sembrò quasi che Edward senior avesse bisogno di una conferma. La donna sbuffò appena poi si rivoltò poggiando i piedi a terra:«Vi raggiungo..»
«Grazie Ash..» disse come tra sé e sé. Lanciandogli un fugace sguardo, mentre seguivo gli altri verso l’ingresso, lo vidi tirare fuori dall’incavo della canotta la catena che aveva al collo, slacciandosela velocemente. Rimasi stupita nel vedere che si trattava di qualcosa di circolare, come un anello scuro – forse aveva una pietra nera? – e metallico. Se lo mise all’indice distrattamente ed appoggio la catena al manubrio del motore, seguendo le linee d’ombra che lo portavano al portico.
In un attimo fu davanti alla porta spalancandola per farci entrare e ci trovammo di fronte ad un enorme stanza che inglobava salotto,soggiorno e, in parte, la cucina. Era il classico ed enorme spazio aperto che metteva insieme forme moderne e tradizionali integrandole alla perfezione, dalle travi in legno che ricoprivano il soffitto alle forme quadrate e semplici degli accessori. Nonostante tutto, le tre zone sembravano perfettamente integrate ma perfettamente separate: alla sinistra dell’entrata c’era il rettangolo dei divani, televisore e tavolino; alla destra  una tavolo di medie dimensioni. La cucina, procedendo a destra rispetto al tavolo, si divideva dal salone solo per via di due gradini che la rialzavano rendendola una stanza a sé ma in perfetta continuità con le altre.
«È davvero magnifica. L’integrazione tra antico e moderno è così armoniosa..» commentò Esme con gli occhi luccicanti.
 Il proprietario sorrise divertito ringraziandola, ma i suoi occhi si spostarono su quelli del figlio, come se sapesse cosa stava attirando la sua attenzione. Lo imitai e vidi Edward con lo sguardo fisso verso il comodino che stava accostato alla parete esattamente opposta a quella dell’entrata. Sopra a questo, c’era una grande foto d’epoca.
Nella classica sfumatura marroncina che ravvivava un bianco e nero piuttosto marcato ma impreciso, era presenta una donna a mezzo busto. Aveva lunghi capelli raccolti in una treccia che le scendeva oltre le spalle e ci guardava con un’espressione dolce, quasi ingenua. Era così bella e così familiare..I suoi grandi occhi luminosi, la forma degli zigomi, la struttura smilza, l’eleganza.. Colorai i suoi occhi di verde smeraldo e i capelli della stessa sfumatura bronzea di mio marito e mi trovai di fronte Elizabeth Mazen. Ora capii perché Carlisle trovava si somigliassero così tanto.
«Mi ricordo questa foto..» sussurrò con gli occhi persi nel vuoto.
Suo padre annuì, guardandola pieno di dolcezza:«Prima di scappare via da casa ho cercato di raccogliere tutte le cose possibili.. Gliela scattai sul lago Michigan, per il nostro decimo anniversario di matrimonio..»
Edward annuì e per un po’ restammo tutti in contemplazione. Eravamo così rapiti dall’aria malinconica e romantica di quella foto che non mi era accorta della presenza di un altro quadro della stessa dimensione, appeso al muro. Erano Edward Masen ed Ashley, in primo piano in bianco e nero. Sembrava un effetto di ritocco, molto diverso dalle scale di grigio nella foto di Elizabeth. Gli enormi occhi della mutaforma erano ancora più marcati e brillanti, ed entrambi sorridevano, guancia contro guancia. Non avevo mai visto Ashley sorridere così, spontanea. Sembravano davvero felici.  
Spostai lo sguardo  poco più a sinistra e nota uno spazio bianco sormontato da un chiodo, che rompeva la simmetria di quei riquadri. Era come se qualcuno avesse tolto una cornice. O forse non l’aveva ancora appesa.
Il mio flusso di pensieri fu interrotto dal rumore di una maniglia tirata giù e voltai la testa verso sinistra, dove vedemmo entrare Ashely, dalla portafinestra che dava sul fianco del salotto. Si era messa un pareo e portava una maglietta a mezzamanica che terminava poco sotto al seno. Non disse nulla né ci guardò un granché, ma entrò in cucina e come se niente fosse aprì il frigorifero. Da quello che potei intravedere era piuttosto spoglio, ma di sicuro molto più pieno di quello che utilizzavamo per salvare le apparenze –  e spesso per Jacob. Tirò fuori quello che sembrava un grosso barattolo di burro d’arachidi e una fetta di pane, ed appoggiò tutto sull’isola che si affacciava ad un metro dai gradini, come fosse da sola. Nemmeno Edward Masen sembrò farci caso. Forse Ashley viveva qui? Mi sembrò bizzarro, ma nemmeno così insolito. Lanciai un’occhiata verso mio marito che guardava di sottecchi la donna che, con un balzo silenzioso e felino era saltata su quella specie di grosso bancone e vi si era seduta con le gambe penzolanti nella nostra direzione, addentando il suo panino imburrato.  
«Sedetevi, vado a prendere qualche altra foto. » disse Edward Masen cordiale mentre schizzava via fuori dalla stanza.
 
***
Scoprimmo ben presto che Edward Masen era un vulcano di parole.
Dopo aver sparso una ventina di piccole foto della vita umana dei Masen -  vedere mio marito da piccolo sciolse di tenerezza sia me che Esme, mentre Emmett ironizzava sulle dimensioni troppo grandi della sua testa (non ero affatto d’accordo) - ci aveva raccontato molti aneddoti su i posti in cui la famiglia Cullen gli aveva detto di essere stata o dove si era stabilita prima di Forks  sotto il monitoraggio silenzioso di Ashley, che spostava i suoi enormi occhi glaciali su ognuno di noi. A quanto sembrava, Edward Masen aveva viaggiato continuamente per quasi sessant’anni per svariate parti del mondo. Lo trovai molto interessante visto che era, in parte, una storia nuova anche per me. Anche Renesmee, vicina a Jacob guardava suo nonno come se pendesse dalle sue labbra. Aveva la stessa espressione di Edward di fronte ad un libro aperto. Mio marito d’altra parte, sembrò fissare ogni foto a lungo, ascoltare ogni parola, ma pareva ancora piuttosto a disagio. Non potei biasimarlo per quanto l’entusiasmo di suo padre mi divertiva parecchio. Sembrava molto diverso dall’uomo che mi aveva dipinto attraverso i suoi ricordi.
All’improvviso, però, successe qualcosa di strano.
Il signor Masen stava rispondendo ad una domanda di Jasper, su come conoscesse le storie degli eserciti di neonati, e l’espressione di mio marito che ne seguì catturò la mia attenzione
«Ho vissuto parecchio anche al Sud, quando ho potuto. Come ho detto prima, per un bel pezzo sono stato una specie di nomade, e l’area che si affaccia sul Golfo del Messico è piena di storia e di fascino e..  »
Vidi Edward aggrottare la fronte e ripensai a quello che aveva appena detto per cercare di capire cosa potesse aver visto di così strano nei suoi pensieri.
Ho vissuto parecchio anche al Sud. Non mi parve esserci nulla di strano, se non che..
Pensai a mia madre, alle spiagge luccicanti della Florida, decisamente troppo perché la nostra pelle non desse nell’occhio.
«Al Sud?» mormorò perplesso.
«Scusi signor.. Ehm.. Edward » mi corressi di fronte al suo sguardo divertito «Come ha fatto a vivere al Sud?»
L’uomo sembrò per un attimo non afferrare la domanda poi si guardò istintivamente il dito anulare della mano destra:«Intendi per la luce del sole?»
Senza comprendere il gesto annuii curiosa, mentre avvertii Edward – Cullen -  di fianco a me immobilizzare la schiena per lo stupore.
«Anello diurno» fece  gentilmente alzando il dito. Indossava un grosso anello a banda larga, metallico, con una pietra nera in alto; quello che aveva al collo al nostro arrivo.
Per un attimo ripensai alle due semplici parole che avevo appena sentito senza trovare un collegamento alla mia domanda. Dal modo in cui tutti lo guardavano sembrò che non fui l’unica a non capito cosa intendesse. Eccetto suo figlio, che lo fissava paralizzato dallo stupore.  
«Edward?» lo guardò Esme incerta.
«Anello diurno» ripeté il padre  «O qualsiasi altra cosa, suppongo, ma ho visto solo anelli. È un amuleto. »
«Impedisce alla luce di rifrangersi diversamente dalla pelle umana..» bisbigliò mio marito di fianco a me. Lo guardai curiosa mentre suo padre annuiva di fronte all’intuizione.
«Mai sentita una cosa simile..» borbottò con aria perplessa Emmett scambiandosi uno sguardo con Rose.
«Come lo ha avuto?» domandò Carlisle facendo un passo per osservarlo meglio.
«Be’ l’anello apparteneva al mio bisnonno. L’incantesimo che prende forza dall’amuleto lo ha fatto una strega, Hazel.»
«Stiamo parlando di una… Strega “strega”?» domandò Emmett portando avanti le mani come se volesse fermare il tempo. Diede un’occhiata ad Alice e Carlisle con aria scettica.
Annuì serio:«Le storie che conoscevo sui vampiri raccontavano chiaramente che la luce del sole li avrebbe arsi vivi, come vi ho detto - la prima volta che mi risvegliai il sole era quasi del tutto tramontato. Accidentalmente, un giorno, la luce mi colpì un braccio e mi accorsi che ne ero immune. Ovviamente l’estremo bagliore della mia pelle restava un problema. Cominciai a pensare che avrei dovuto nascondermi in posti meno assolati, ma la vita al freddo non mi era mai piaciuta molto. Pensai che dovevo sapere di più su me stesso, così iniziai ad interessarmi.. Storie, leggende, quello che potevo trovare. Alcune delle leggende più famose d’America riguardavano la caccia alle streghe, quindi partii da lì.»
«Parla delle vicende di Salem del 1692?» domandò Carlisle attento.
Edward annuì con capo:«Ho pensato che se le storie leggendarie sui vampiri risultavano vere, perché non potevano esserlo anche quelle delle streghe? E se i vampiri erano in grado di fare cose così al di sopra della media, una strega non avrebbe fatto altrettanto? Ovviamente all’inizio fu difficile.. In molti casi le donne considerate streghe erano solo persone troppo emancipate e bizzarre..»
Carlisle sospirò ma sembrò d’accordo. Suo padre in fondo aveva fatto incarcerare un mucchio di persone innocenti prima che suo figlio scovasse dei veri vampiri; chissà come doveva essere ora che era un vampiro.
«Carlisle è stato a Salem nel 1740. » intervenne Edward, guardandolo.
Suo padre parve sorpreso annuendo un po’ di volte come se stesse calcolando qualcosa:«Oh lei dev’essere un vampiro da tantissimo tempo allora!»
«In effetti sì, dal 1633. Andai a Salem passandoci per raggiungere Boston.. C’era ancora parecchia gente superstiziosa all’epoca, ma, considerando le donne processate, fui convinto si trattasse di uno sbaglio.» ammise Carlisle con aria pensosa.
«Be, Tituba Indians ed Elizabeth Parris sicuramente no. Ma a quanto pare non si sbagliarono su Sarah Osborne..» spiegò Edward « Ad ogni modo, tramite dicerie e conversazioni origliate ho incontrato un vampiro in una bettola nei pressi di Lynn, in Massachusetts. Mi disse di aver sentito di vampiri che andavano in pieno giorno, senza brillare. Studiai leggende che parlavano di amuleti e stregoneria. Sono andato a Salem e lì ho trovato Glorya e lei mi ha mandato da Hazel. Che dopo qualche prova mi ha incantato l’anello e.. Dato una guida spirituale. »
Concluse lanciando un sorriso affettuoso in direzione della licantropa che ascoltava a braccia conserte, senza perdere di vista i movimenti dei vampiri nella stanza. In tutta risposta storse la bocca in una smorfia amichevole.
«Vuole dire che.. Le streghe esistono?» esordì Jasper lanciando un’occhiata lunga ad Edward che sembrava serio e concentrato.
«Sono il fondamento stesso della vostra razza, e quelle che proteggono il mondo da esseri come voi, allo stesso tempo. » esordì Ashley con aria stanca. Vedendoli ancora più confusi sospirò:«Non vi siete mai domandati perché esistete e come siete finiti in questo mondo?»
«Me lo sono sempre chiesto ma non ho mai saputo dare risposta. Credevo che i Volturi fossero alcuni dei vampiri più antichi.» ammise Carlisle con una nuova luce di curiosità sugli occhi.
«I vampiri originali.» mormorò Edward serio fissando la donna stupita. Questa sembrò aggrottare le sopracciglia, forse chiedendosi come avesse potuto indovinare i suoi pensieri, poi annuì.
«Se le streghe proteggono il mondo da esseri come noi, perché ci hanno creati?» domandò Rosalie con una smorfia di scetticismo sulle labbra.
«Per ogni magia richiesta la Natura vuole qualcosa in cambio. Una delle più antiche streghe voleva creare esseri più forti in grado di difendersi e di equiparare il potere della strega-lupo Raaka, e la Natura gli restituì la morte e la sete di sangue. » sintetizzò la donna sostenendo l’aria di sfida della vampira. 
Aggrottai la fronte mentre Edward sembrava tentare di decifrare maggiori informazioni tra i suoi pensieri.
«È una leggenda molto lunga; fu uno sciamano a raccontarla a Makeda, e lei ad Ashley quando le spiegò le origini della sua natura da lupo. » spiegò Edward Senior guardando verso l’amica come incitandola a raccontarla. 
«Mak..?» cominciò Emmett
«Makeda, la mia padrona di casa» precisò Ashley di fronte ad alcune espressioni perplesse « Scusa Edward, non posso restare qui. Sono in ritardo con una consegna di lavoro. »
L’uomo annuì con un sorriso:«Grazie Ash, a più tardi..»
«Non ci contare..» borbottò alzando gli occhi al cielo mentre faceva per andarsene. Con un cenno di saluto si congedò dalla nostra congrega di vampiri.
«Dovete scusarla. È una persona molto affabile in realtà, ma il suo compito è quello di proteggere gli umani  dai vampiri. Sono l’unico vampiro che conosciamo ad essersi fermato stabilmente da qualche parte con la propria famiglia e che non si nutre di sangue umano.. Il motivo per cui me lo permette è che ci conosciamo da più di mezzo secolo.»
Jacob sgranò gli occhi stupito: un mutaforma che non era invecchiata per più di cinquant’anni.
Esme appoggiò una mano sul braccio di Carlisle annuendo con aria comprensiva. Il marito la seguì:«Lo capiamo. Anche noi conosciamo solo un altro clan come il nostro.»
«Quindi è davvero una mutaforma..» mormorò Jacob in direzione del signor Masen. Edward  - Cullen - con la coda dell’occhio annuì appena.
«Sì. Sono sicuro che Makeda sappia raccontare la storia e rispondere a molte più domande di quanto possa farlo io. Posso.. Organizzare un incontro stasera. So che avevano in programma una grigliata.»
«Avevano? » domandò Jacob incrociando le braccia.
«Ashley vive insieme a loro?» lo seguì Edward accigliandosi appena. A tutti sfuggì qualcosa ma fu piuttosto chiaro che si trattasse di un pensiero non espresso.
«Ashley vive con il branco » rispose con semplicità «Be’ a dire il vero il branco è suo.»
Un sorriso sghembo attraversò il volto di Edward Masen di fronte alle nostre espressioni stupite.




Ciao a tutti, grazie ancora per le tantissime visualizzazioni e le recensioni - siete stati tutti gentilissimi, apprezzo il supporto! 
Non è stato semplice comporre questo capitolo, che è venuto più lungo di quello che pensassi; volevo spezzarlo ma ho preferito lasciarlo così, anche perché probabilmente nei prossimi giorni non avrò troppo tempo per scrivere. Su consiglio preso da una delle vostre recensioni ho inserito anche uno stralcio di visione da parte di Edward: spero che sia riuscito a fare almeno un po' di chiarezza, insieme al suo dialogo con Bella, sui suoi sentimenti contrastanti e su come questi forse abbiano interferito sull'uso del suo dono.. Fatemi sapere cosa pensate di questo esperimento e del capitolo! 
Ci tengo a specificare che l'idea degli anelli diurni l'ho presa da alcuni dei telefilm che seguo/ho seguito trattanti vampiri, come The Vampire Diaries :)
Anticiperò che dal prossimo capitolo ci raggiungeranno a bordo Leah e Seth e.. Molti nuovi personaggi!
Buon weekend,
Jess


 
  
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