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Autore: Sagitta90    02/07/2016    3 recensioni
Vanno avanti così da anni: attraverso il Messico ed il Brasile, separati per troppo tempo, insieme per troppo poco.
Forse è arrivato il momento di cambiare. Nell'atmosfera rovente di Toluca, tra le labbra rosse di Panchito e gli occhi verdi di Josè.
[JosèXPanchito. Gijinka]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: José Carioca, Panchito Pistoles
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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TIERRA DE DIOS, DE INSPIRATIÓN Y AMOR


Toluca è una bella città: è piena di vita, allegra, colorata e chiassosa. Non è Città del Messico, con tutti i suoi grattacieli e palazzi moderni, che hanno nascosto il vero volto del paese. 
A Toluca è ancora possibile vedere gli antichi tocchi della colonizzazione spagnola: la Catedral e los Portales sono un ricordo perenne di quei tempi, in cui i monaci missionari decisero di fare di quel luogo arido e brullo una delle più fiorenti città dello stato. 
Potranno anche aver pavimentato le strade, ma là dove il cemento si sgretola a causa del caldo torrido e del sole rovente, la terra compare nuovamente; ed è terra rossa che macchia la pelle, strappata al deserto e tutt’ora presente. E’ un pezzo di storia che non riesce davvero ad integrarsi con il nuovo secolo, un posto che non riuscirà mai a liberarsi delle sue radici polverose. E’ il Messico, señoras y señores, ed è per questo che la gente lo ama.

Nella strada principale, davanti alla chiesa di San Pedro, un gruppetto di bambini gioca con le biglie. La passione traspare dai loro volti, la concentrazione dalla contrazione delle loro dita. 
Basta un istante di distrazione e si perdono punti, una mancanza imperdonabile che porta ad una punizione ancora più terribile: perdere la figurina del più grande calciatore mai esistito, Luis Hernàndez.
Si va a turni e adesso tocca al più piccolo del gruppo, Tito. La tensione sale come non mai quando si prepara a lanciare e per un istante il silenzio regna sovrano: il bambino deve dimostrare che pur avendo solo cinque anni è all’altezza degli altri; quel tiro sarà la sua vittoria sul mondo. Purtroppo è giorno di mercato e Mara, la fruttivendola, sceglie proprio quel momento per annunciare la sua merce.
La biglia scivola dalle sue dita prima che possa mirare come si deve e oltrepassa il suo bersaglio, saltellando via, incurante della tragedia che ha appena causato.
Alle spalle di Tito scoppiano due diversi tipi di grida: uno è di gioia battagliera e ha il sapore della soddisfazione, l’altro è scontento, pura frustrazione. Le lacrime gli bagnano le ciglia all’istante e per evitare di vedere la delusione negli occhi dei suoi amici, il piccolo caracolla in avanti, alla ricerca della sua crudele compagna.
Si è fermata contro lo stivale di un uomo e solo quando Tito si abbassa per raccoglierla nota gli speroni. La ghetta del pantalone li copre quasi completamente ma lui potrebbe riconoscere quelle dentellature ovunque, perché il suo papito fa il fabbro.
La stoffa dei pantaloni è color ciliegia e veste due gambe molto lunghe. Quando i suoi occhi arrivano al cinturone di pelle con le due pistole, Tito alza gli occhi allarmato, ma ciò che vede non è niente di pericoloso: l’uomo indossa una casacca in tinta, una canotta rossa e sulla testa porta un largo sombrero.
E’ lui stesso ad abbassarsi e a raccogliere la biglia. Gliela porge con un gran sorriso ed il cuore del bambino comincia a galoppare freneticamente.
<<-Non ti abbattere pequeño, è stato un buon lancio.>> - Tito prende la biglia come se fosse un diamante e non riesce che a balbettare:
<<-Va…va bene…señor González.>> - Glielo ha detto la sua mamma che devono chiamarlo così, che prendersi troppa confidenza sarebbe scortese nei suoi confronti. L’uomo gli strizza l’occhio e poi si dirige all’altro lato della strada, verso la staccionata alla quale è legato il suo cavallo. Con una mano regge un sacchetto di sapodillas, con l’altra si issa in sella. Non ha nemmeno bisogno di infilare il piede nella staffa, sembra nato in groppa al suo roano. 
Non appena cavalca via, gli amici di Tito lo assediano e nessuno si sogna di rimproverarlo per aver sbagliato il tiro; la figurina è completamente dimenticata. Perché Luis Hernandez sarà pure un eroe, ma Panchito Pistoles è una leggenda e lui gli ha appena parlato.
 
Gli zoccoli del Señor Martinez sollevano un turbine di polvere quando Panchito lo fa fermare davanti alla stazione. Smonta con un balzo e si specchia nella vetrina dell’emporio: i suoi abiti sono freschi di lavanderia e profumano di cedro, gli cadono addosso in maniera impeccabile. Non è mai stato un tipo vanitoso e a completi tradizionali e rigidi ha sempre preferito vesti morbide, pratiche e leggere, adatte al suo cavallo e al suo paese, due dei grandi amori della sua vita. Tuttavia oggi fa un’eccezione: vuole essere nella sua forma migliore, perché dopo mesi di lontananza potrà rivedere il terzo grande amore della sua vita. 
Beh…il primo in ordine di importanza.
Non riesce a mascherare l’eccitazione quando raggiunge il capostazione per chiedergli informazioni sulla corriera da Città del Messico.
<<-Hola Juan! Cuando llega el autobùs de la capital?>> - L’uomo è piuttosto corpulento e ai più incute timore, ma lui sa che è tutta apparenza e che in realtà Juan è uno degli uomini più gentili di Toluca.
<<-Dios te salve héroe! El autobús de la ciudad de México llegó y se divide por veinte minutos.>> - Il sorriso gli si congela sulle labbra. Arrivata e ripartita? Da venti minuti? 
Si congeda dall’uomo con un cenno alla falda del sombrero e comincia a guardarsi attorno come un disperato. Dove può essere andato? Non si sarà avventurato da solo per le strade della città, spera! Forse ha preso un taxi. 
Lo sente prima di vederlo: un po’ per la risata sommessa, un po’ per l’odore di tabacco costoso.
Quando si volta lui è lì, sotto il portico dell’emporio. Ha il completo che gli ha visto indosso metà delle volte che si sono incontrati e non dovrebbe essere così incredibilmente bello, eppure per qualche ragione Panchito non riesce ad abituarsi allo charme di quell’uomo. 
La giacca giallo pastello è aperta e così i primi due bottoni della camicia bianca; sono il solo segno che dimostri che ha aspettato sotto il sole per quasi mezz’ora. Quello ed il fatto che ha il cappello tra le dita invece che sulla testa, appena inclinato di lato come suo solito.
L’altra mano affonda nella tasca dei pantaloni color menta ed il suo ombrello nero pende dall’avambraccio, la punta di metallo crea piccoli giochi di luce sul terreno.
Panchito gli si avvicina e non può evitare di sorridere.
<<-Sono in ritardo, mi dispiace.>> - Josè si toglie il sigaro dalle labbra e ricambia il sorriso, con quella dolcezza che gli viene spontanea quando parla con lui.
<<-Sono io che sono in anticipo Paco.>> - Panchito trema al suono di quel nomignolo, quello che solo il suo compagno può usare e che pronuncia spesso quando sono da soli.
Di solito non lo chiama in quel modo in pubblico; non in Messico quantomeno, dove la gente è più tradizionalista e dalla mentalità più chiusa. 
Sa che effetto gli fa, sa che le sue mani prudono dalla voglia di stringerlo a sé, di strappare quel cubano dalle sue labbra e reclamare la sua bocca con impeto, lo sa. Subdolo provocatore.
Ma possono giocare in due a quel gioco.
<<-Ti sono mancato Zè?>> Lo pronuncia strascicando pigramente la z, ed il nome diviene un ronzio basso e roco. Josè stringe i denti sul sigaro, la sua espressione riflette un vero e proprio sforzo fisico.
<<-Sempre.>> - E Panchito decide che lo bacerà, ora e subito, perché non c’è la malizia che si aspettava nella risposta del brasiliano e questo dimostra che stavolta sono stati separati davvero troppo tempo.
Allunga una mano e gliela passa tra i capelli, così lisci e morbidi, di quel colore così assurdo e adorabile. Josè preme appena contro la sua mano, le palpebre che si abbassano lievemente al contatto, ed emette un lungo sospiro, metà fumo e metà sollievo. Panchito si morde un labbro ed il desiderio è una cosa viva e vibrante dentro di lui.
Sta quasi per abbassarsi quando Josè solleva una manica della giacca e gli mostra quello che ha legato al polso. E’ la bandana rossa di Panchito; la sua preferita, che lui gli ha dato cinque mesi fa, quando si sono separati alla stazione di Rio de Janeiro.
Lui estrae dalla tasca un papillon nero. Lo ha portato al naso ogni notte per due mesi, finché non ha del tutto perso il suo profumo; dopo ha continuato a passarci le dita sopra, perché la stoffa gli ricordava la pelle serica del suo proprietario.
Si muovono insieme, con coordinazione e ritmo, come se stessero ballando; una delle molte passioni che hanno in comune.
Josè entra nello spazio delle sue braccia e Panchito li circonda entrambi. Impiegano qualche minuto a tirare, stringere ed allacciare e ancora una volta il messicano si domanda che senso abbia evitare effusioni quando l’intimità di quel gesto è maggiore di qualunque carezza o “ti voglio” gridato ai quattro venti.
Quando Josè finisce di fare il nodo sono di nuovo integri, in tutti i particolari che caratterizzano le loro personalità. Le dita guantate del brasiliano indugiano un secondo di troppo sul collo, in un tocco appena accennato ma colmo di un bisogno doloroso. 
Panchito si ritrova ad osservarlo dall’alto del suo metro e novanta: ha delle ciglia così lunghe, degli occhi così verdi, un profumo così buono…
Lo adora. Qualcosa gli si scioglie nel petto ogni volta che guarda Carioca e si rende conto di quello che hanno, di quello che sono, insieme. 
<<-Andiamo a casa?>> - Ha la voce roca e si trattiene a stento dal mordersi un labbro a causa di quelle dita sulla sua pelle; spera che il suo compagno non se ne accorga. La bocca di Josè si tende in un sorrisetto che la sa lunga. Certo che se ne è accorto.
<<-Ci sono già a casa.>> - E come se quelle parole non fossero già una stoccata vengono sottolineate da una carezza gentile sulla guancia. Dios mío…quell’uomo sarà la sua rovina.
<<-Monta a cavallo Zè.>> - E’ un ordine e una supplica al tempo stesso e Panchito prega che Josè abbia pietà di lui. L’altro ridacchia e spegne il sigaro nella sabbia di una ciotola vicina.  

Arrivano al ranch quaranta minuti dopo. Venti li hanno impiegati nel viaggio e gli altri venti a litigare.

[<<-Non metterò mai le valigie in groppa al Señor Martinez!>> 
 <<-Il Señor Martinez può trasportare di tutto, è un mostro di resistenza!>>
 <<-És realmente tão louco?!>>
 <<-Non credere che non capisca quando un brasiliano mi dà dello scemo solo perché sono messicano!>>
 <<-Non ho detto che sei scemo, ho detto che sei matto!>>
 <<-E’ la stessa cosa!>>
 <<-Caricherò i bagagli su un taxi, entendido?!>>
 <<-Dammi quelle valigie o le prenderò con la forza!>>
 <<-Cabeçuda!>>
 <<-…Che cosa diavolo vuol dire?>>
 <<-Che sei scemo!>> ]

Un tempo ‘La Herradura’ era immenso, il più grande appezzamento terreno della zona: ben duecento ettari di prateria, con altrettanti capi di bestiame che pascolavano liberamente.
Miguel Gonzales ne era sempre stato orgoglioso. Aveva ceduto la proprietà al figlio soltanto nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, quando lui e sua moglie avevano capito di essere stanchi di lavorare così intensamente e avevano deciso di cominciare a viaggiare. Erano tornati a Baia, dove Maria Morales era nata e cresciuta e lì si erano stabiliti.
Panchito e suo padre si erano beccati a lungo quando il primo aveva deciso di ridurre drasticamente i confini per fare spazio a nuove fattorie, ma alla fine non c’era stato niente da fare: il ranch era diventato più piccolo, più intimo, più simile ad una casa che ad un intero paese.

Il cowboy arresta il suo destriero davanti alla villa, tutta legno scuro e tegole rosse.
Smonta con un balzo e tende le braccia al compagno, ancora ostinatamente immusonito.
<<-Cosa ti avevo detto? Tutto perfetto!>> - Una volta a terra Josè agguanta le sue valige e commenta con uno stizzito.
<<-Barbaro incivile, abbiamo rischiato di romperci il collo cento volte.>> - Dopodiché si dirige verso la casa con passo marziale. Panchito lo segue con calma, le dita affondate nel cinturone ed un ghigno sulle labbra. 
Fa appena in tempo a varcare la soglia che l’altro gli si avventa contro, l’irritazione completamente svanita. La forza con la quale s’incontrano è talmente intensa che fa volare via il cappello dalla testa di entrambi. 
Cercano l’uno le labbra dell’altro con frenesia, quasi con disperazione. Inebriato dal suo profumo, Panchito non si rende conto nemmeno di stare mormorando:
<<-Te extrañé mucho mi corazon…>> - Il sapore delle labbra del suo compagno, le sue braccia serrate attorno al collo, quei piccoli gemiti sfacciati che emergono dalla sua gola…gli mandano completamente in pappa il cervello. Non riesce a concentrarsi abbastanza per parlare in inglese.
<<-Mi sei mancato anche tu Paco…>> - Sono decisi colpi di tosse, emessi unicamente a loro beneficio, che li fanno separare. Sulla porta si staglia una donna; una matrona vecchio stampo avvolta in almeno tre scialli variopinti. E’ piuttosto bassa ma li guarda con un’espressione talmente sferzante che la fa sembrare un gigante.
<<-E’ questo il modo di comportarsi? Ci si sbaciucchia nell’ingresso, como niños? Senza nemmeno salutare?>> - Panchito geme di desolazione, affondando il viso nel collo di Josè. Il brasiliano sospira con un sorrisetto, prima di staccarsi da lui.
<<-Bom dia Roquelle! Ogni volta che la vedo è meravigliosa!>> - Lei borbotta:
<<-Arruffi sempre le penne come un pappagallo.>> - Ma accetta con un sorrisetto il bacio che Josè lascia sulla sua guancia rugosa. Poi si rivolge al nipote con un ordine che fa sobbalzare entrambi gli uomini.
 <<-Francisco! Và a mettere le valige nella camera che ho fatto preparare!>> - Panchito fa per risponderle che non c’è alcun bisogno di un’altra camera, perché tanto lui e Zè dormiranno insieme, ma la donna gli lancia un’occhiata imperiosa e lui si affretta ad obbedire.
<<-Sì tia!>> - Vede Josè che nasconde una risatina dentro un palmo e gli fa la linguaccia. Potrà anche sfotterlo, ma non ha idea di come diventi sua zia quando viene contraddetta.
Poggia i bagagli nella stanza spaziosa che è stata rinfrescata e si consola vedendo che è accanto alla sua, quella padronale. Sarà più facile sgattaiolare dentro e fuori; perché non esiste che non dorma con il suo amante dopo tutto il tempo in cui sono stati separati!
Torna al piano di sotto con passo svelto ma si ferma sulle scale quando sente di che cosa lui e sua zia stanno parlando.
<<-Ho saputo che Donald si è sposato.>>
<<-E’ così. Finalmente direi! Ancora un po’ e i ragazzi sarebbero andati al liceo!>> 
<<-Voi quando avete intenzione di farlo?>> - La risata argentina di Josè diventa tiepida.  
<<-Roquelle…stiamo bene così. Non ci serve un vincolo o un voto per stare insieme. Il matrimonio non è per noi.>> - Quelle parole innervosiscono il messicano oltre ogni misura.
Che vuol dire “il matrimonio non è per noi”?! Non sono forse abbastanza presi l’uno dall’altro da volersi impegnare per tutta la vita? Non sono pronti per restare insieme ad oltranza e non solo pochi mesi all’anno?
Panchito scende a salvare il brasiliano soltanto quando sua zia comincia a parlare di nipoti e di adozione.
A cena parla principalmente Josè.
Parla di Rio e dell’ultimo carnevale. Parla del suo club, il “Praia Nocturna”, dell’odore di zafferano nell’aria e del colore delle piume degli Ara Ara.
E’ solo a mezzanotte -ben oltre la fine della cena- e dopo aver passato almeno trenta minuti a rigirarsi nel letto, che Panchito decide di parlare di quello che ha sentito quel pomeriggio. Si alza, esce dalla sua stanza ed entra in quella di Zè.
La scena che lo accoglie scaccia ogni pensiero logico dalla sua testa: Josè è languidamente sdraiato sulle coperte, con un sigaro stretto tra i denti e nient’altro. Gli rivolge uno sguardo ammaliante.
<<-Credevo che non saresti più arrivato.>> - Tutta Toluca sa che Panchito Romero Miguel Junipero Francisco Quintero Gonzales III è una persona decisa ma paziente. Nessuno sa che basta un’occhiata di Josè Carioca per ridurlo ad un burattino ansioso solo di compiacere il suo amato.
Si spoglia senza distogliere lo sguardo dall’altro. 
<<-Sei una visione Zè…>> - Le sue parole fanno fremere il brasiliano: si tende come se avesse appena preso la scossa, come se una corrente d’aria particolarmente fredda fosse entrata dalla finestra chiusa. 
Quando Panchito si stende su di lui Josè lo attira a sé, sigillandogli le labbra con un bacio che brucia di passione.
<<-Meu amor…>>
<<-Mi corazon…>> - Nessuno parla quella notte. E se Roquelle Gonzalez sente più di quello che dovrebbe lo tiene per sé.

La mattina li accoglie come sempre: con una luce impietosa e un tiepido calore.
Anche loro la accolgono come sempre: Josè nasconde la testa sotto il cuscino, seppellendosi sotto metri di coperte, mentre Panchito spalanca la finestra e canta.
<<-Ay jalisco no te rajes!!!>> - Sorride quando gli arriva la prima cuscinata, seguita da una sequela di insulti in portoghese. Quando torna a sedersi sul letto, completamente nudo ed incurante di esserlo, guarda con amore l’arruffato fagotto di cotone che si muove come se fosse ferito.
Sono le 7.00 e per Josè qualunque ora precedente le 10.00 equivale all’alba. Tuttavia il messicano non può evitare di considerare che stavolta il suo compagno ha davvero un motivo per sentirsi dolorante.
Gli scappa uno sbuffo divertito.
E’ rilassato e felice. In pace con se stesso e con il mondo. 
Quindi non si sofferma a pensare: lo chiede, perché non può evitare di sapere.
<<-Perché non vuoi sposarmi?>> - Non deve aspettare più di una manciata di secondi per avere la sua risposta: la testa verde di Carioca emerge di scatto da sotto il cuscino. 
Panchito pensa che probabilmente l’altro impiegherà ore ad riportare la matassa che ha in testa al suo originario stato di eleganza, ma poi nota gli occhi.
Sono sgranati, scioccati ed offesi.
<<-Chi ha mai detto una cosa del genere?!>> - Panchito inarca un sopracciglio.
<<-Tu l’hai detto. A tia.>> 
<<-No che non l’ho detto!>>
<<-Hai detto che il matrimonio non è per noi!>> - Josè si alza a sedere, uno sforzo che gli vale una smorfia sofferente. Quando ricomincia a parlare è doppiamente stizzito.
<<-Che cosa avrei dovuto dirle secondo te?!>> - L’altro incrocia le braccia sul petto e risponde, sarcasticamente:
<<-Oh, non lo so, potevi provare con qualcosa come “ci sposeremo quando lo decideremo noi”!>>
<<-Non volevo darle l’impressione che fosse una cosa che prima o poi sarebbe successa!>> - Quelle parole sconvolgono il messicano e spezzano qualcosa dentro di lui: lo portano ad alzarsi dal letto e a puntare un dito contro l’altro; qualcosa dentro il suo petto cigola come un ingranaggio male oleato.
<<-Lo vedi che ho ragione io! Tu non vuoi! Non ci vuoi! Non per sempre almeno!>> - Josè stringe i denti per impedirsi di ringhiare e si alza a sua volta. Quando il lenzuolo gli scivola di dosso Panchito non può fare a meno di incantarsi a guardarlo. E’ bellissimo. E’ magnifico. E lui lo ama con tutto il cuore, quindi perché…perché?!
<<-Come osi Panchito?!>> - Oh. Ecco il primo segnale che gli fa capire che forse l’ha fatta grossa: sono anni che non si chiamano più con il nome di battesimo. 
<<-Non mi hai mai parlato di matrimonio! Non mi hai mai detto se era una cosa che volevi o se ti lasciava del tutto indifferente!>> - Pistoles cerca di interromperlo ma l’altro gli chiude la bocca con il seguito.
<<-Io non voglio che quello che abbiamo sia per sempre?! Chi è stato tra noi il primo a dichiararsi?!>> - Il messicano si morde un labbro, perché è una cosa che gli pesa da sempre: non avere avuto il coraggio di fare la prima mossa.
<<-Tu.>>
<<-Ed il primo bacio?!>>
<<-Zè…>>
<<-E la prima volta che abbiamo…>> 
<<-Eh no, lì ci sono arrivato da solo!>> - Carioca si sporge verso di lui.
<<-Era una settimana che ti lanciavo segnali inequivocabili!>>
<<-Oh…>> - Il brasiliano alza le braccia al cielo.
<<-Você é tão estúpido e arrogante! Eu não queria assumir que você me queria toda a minha vida, e agora a culpa é minha?>> - A quel punto Panchito si perde. Il portoghese dell’amante è talmente fitto e rapido che lui riesce soltanto a distinguere una frase: “non volevo dare per scontato che mi avresti voluto per tutta la vita”. A conti fatti è la frase che gli occorre.
<<-Quindi se ti chiedessi di sposarmi diresti di sì?>> - Josè ribatte gridando, come se dovesse rispondere ad un’offesa.
<<-Naturalmente sì!>> - Potrebbe finirla lì: Panchito potrebbe chiedergli scusa per averlo ferito con le sue parole, potrebbe baciarlo e sussurrargli che lo ama e poi infilarsi qualcosa addosso e scendere a preparargli la colazione. Potrebbe…ma perché dovrebbe?
<<-Mi vuoi sposare?>> - Dopotutto gli è appena stata data un’informazione vitale. Josè sembra assorbire quelle parole insieme all’aria. I suoi occhi si fanno enormi.
<<-Che cosa?>> - E’ più simile ad un sussurro che ad una domanda. Panchito allunga una mano e gli carezza una guancia.
<<-Mi vuoi sposare? Possiamo fare sei mesi qui e sei a Rio: io ho sempre bisogno di braccia in più, tu ti lamenti ogni giorno che ti manca un barmann. Giuro che te lo chiederò di nuovo con un anello, ma…mi vuoi sposare Zè?>> - Vorrebbe essere più sicuro ma non ci riesce: trema, nonostante il suo compagno gli abbia detto non più di cinque secondi prima che accetterà.
Poi Josè sorride, con quella luce che gli illumina lo sguardo e gli occhi troppo lucidi.
<<-Oh sì.>> - Si baciano come se non ci fosse un domani, nudi davanti alla finestra aperta, dopo aver litigato come pazzi. Perché loro sono fatti così: sono confusionari e caotici, eccessivamente drammatici e dolci. E troppo, troppo innamorati. 
Panchito solleva il suo compagno tra le braccia. Piccole scintille di esaltazione scoppiettano come proiettili dentro il suo cuore.
<<-Resti comunque un galletto arrogante meu amor.>> - Ridacchiano entrambi.
<<-Todo lo que quieras, mi corazon.>>
E forse è vero quello che si dice del Messico: “tierra de Dios, de inspiración y amor”.













Note dell’Autrice:
Dovrei vergognarmi? Assolutamente sì. Mi vergogno? Per niente. 
“I Tre Caballeros” è uno dei pochi lungometraggi animati della Disney che non sia tratto da una fiaba e che non abbia uno svolgimento canonico. A molti non è piaciuto ma la sottoscritta l’ha sempre apprezzato! :)
So di aver lavorato con una coppia inusuale ma personalmente li ho sempre amati moltissimo insieme: adoro Panchito e Josè in tutte le loro sfaccettature e adoro il contrasto che fanno l’uno accanto all’altro. Uno più impulsivo e rozzo, l’altro più sensuale e carismatico.
Ovviamente non avrei mai potuto pensare di appiccicarli insieme se avessi continuato ad immaginarmeli con becco e coda: la scintilla che ha scatenato la mia fantasia è arrivata da chacckco (chaico). Sono stata totalmente colpita al cuore dai suoi Caballeros in versione gijinka (che per chi non lo sapesse significa “antropomorfizzati”) e da lì a creare la fic il passo è stato breve. Per chiunque fosse interessato a vedere i personaggi come sono nella fic consiglio vivamente di fare un salto sul suo account Deviantart: http://chacckco.deviantart.com/gallery/36322137/The-Three-Caballeros 
Unica precisazione: entrambi i personaggi tendono spesso ad inserire parole in spagnolo ed in portoghese mentre parlano. Non avendo mai studiato spagnolo in vita mia mi sono dovuta affidare a Google Traduttore. 
Come sempre: se trovate errori segnalatemeli e se avete letto, apprezzato o anche no, scrivetemi due righe per dirmi cosa ne pensate! Un bacione a tutti da Sagitta90! 
  
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