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Autore: Yuki_sama    02/07/2016    6 recensioni
E il temporale fu preceduto da un lampo, quando Eva lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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In una notte di inverno, nel Maniero più famoso di Soroka, si poteva udire il tacco svelto di uno scarponcino da donna.
Eva aveva fretta, eccome se ne aveva!
Spaventata, a stento riusciva a salire le scale, sollevandosi un poco la gonna della vestaglia, per fare alla svelta.
Era sicura di aver udito un rumore molesto, provenire dai piani superiori. Sì, ci poteva giurare.
Era sempre stata una donna sveglia, con l’orecchio attento. Figuriamoci da mostro.
Anche quando si dilettava a far qualcosa che la tenesse impegnata e la distraesse da quella insoddisfacente vita da morta vivente.
Come qualsiasi donna: era in grado di fare due cose contemporaneamente.
Stava lavorando a maglia coi ferri, nelle proprie stanze.
Ormai non condivideva più lo stesso letto con suo marito Lazar.
Che delusione. Aveva proprio sposato un uomo che aveva reso la sua vita infelice. Uno schifo.
Un uomo così pigro, così disattento, così passivo, così imbranato, così fallito, così fannullone.
Dopo l’arrivo di Viktor, il morto risorto, le cose tra di loro erano ben che peggiorate.
Il figlio che portava con tanto entusiasmo e amore nel grembo non c’era più.
Il suo cuoricino non batteva più dentro di Lei. Il suo piedino non scalciava più.
Era morto. Era morto quel piccolo fagottino. E la colpa era di quel mostro di suo marito.
Non c’era Essere che odiasse di più al mondo.
L’odio ti consuma, e ti rende sposa della vendetta e della disumanità. Per quello Eva diventò una bestia.
Quella sera non aveva pregato Dio, che la salvasse dal peccato dell’odio.
Ma aveva implorato Viktor. Aveva avuto bisogno di Viktor.
Non sarebbe mai riuscita a soffocare da sola quell’incontrollabile dolore.
Quel dolore le pesava sul petto, le impediva di respirare, di vivere, di perdonare.
Prima o poi Lazar avrebbe pagato il suo assassinio. In cuor suo lo sapeva benissimo.
Non le bastava di certo avere l’occhio dell’assassino come gioiello, appeso al collo, no!
Un giorno, gli avrebbe tenuto ferma la testa.
E con tutto l’odio eterno che le alimentava le vene, avrebbe dato libertà alla sua bestialità.
Le zanne appuntite si sarebbero affossate nella sua giugulare, stringendo-stringendo sempre più forte la mandibola.
Avrebbe voluto assaporare la sua carne, il suo dolore, il suo senso di impotenza, e la sua paura di morire.
Lacerargli i legamenti, i muscoli, fino a frantumargli le ossa e spezzargli il collo.
Lontano da tutti, lontano dagli occhi dei Mickalov.
 
Era giunta alla cima della scala, e varcò qualche metro ancora.
Solo quando raggiunse quella porta, la spalancò.
« Oh, cielo… »
L’olfatto sviluppato aveva colto quell’inconfondibile odore forte che regnava spesso al Maniero.
Il sangue aveva dipinto le pareti di quella stanza. Di sangue si erano impregnate le candide lenzuola.
Una domestica era accasciata sul letto, con gli occhi rivoltati all’indietro e la bocca schiusa. Tra le vesti strappate si potevano vedere i segni della fame.
L’altra tremava e respirava rumorosamente, nascosta dietro quello che era stato uno specchio, presa dallo spavento.
La finestra era aperta.
Le tende si muovevano vive, come dei fantasmi.
E lo sguardo cremisi di Eva si posò lì, non prestando ascolto alle parole di quella poveretta, che le voleva spiegare l’accaduto.
« Ti verrò a cercare, Signora Solitudine. »
Aggiunse, prima di abbandonarsi a un sospiro, quasi rassegnata.
E il temporale fu preceduto da un lampo, quando Eva lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

   
 
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