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Autore: ellephedre    02/07/2016    7 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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per istinto e pensiero 14

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

Settembre/ottobre 1997 - Separazione e...

I primi giorni di settembre ricominciò l'università. Ami andò a ogni lezione e si buttò con voracità nella lettura dei nuovi testi d'esame. Aveva del tempo da far passare, il più fretta in possibile.

Si sentiva... leggera. Qualcosa aveva stretto in una morsa il suo petto per l'ultimo periodo della permanenza di Alexander in Giappone. Era stato l'errore fatale che lei aveva quasi commesso.

Forse lui sarebbe tornato comunque, forse sarebbe stato paziente. Magari per due mesi avrebbe solo atteso di risentirla di nuovo, ma...

Come ho potuto?

Per poco non lo aveva lasciato andare via con l'onere di dimostrarle... che cosa? Che l'amava davvero?

Evidentemente non le bastava un ragazzo che, senza alcuna incertezza, le diceva da mesi di voler passare mille anni con lei. Per la sua insicurezza lo aveva caricato della responsabilità di farle cambiare idea sulle relazioni, quando unicamente da sola poteva fare una cosa del genere, armandosi di quel pizzico di coraggio che lui si meritava.

Alexander già le mancava. Avrebbe voluto tenerlo tra le braccia e passare il tempo a farsi perdonare.

Due mesi di silenzio le servivano proprio, alla fine. Gli avrebbe dimostrato che i suoi sentimenti non sarebbero cambiati in quelle settimane. Quando si fossero risentiti, Alexander avrebbe trovato una Ami nuova, più matura, più degna.

Mancavano solo cinquantuno giorni.

«Stai contando quanto tempo manca, vero?»

«Hm?» Ami sollevò lo sguardo verso Usagi.

Lei la osservava e capiva tutto quello che provava. «Quando Mamoru è andato via, io non avevo idea di quanti giorni mi mancavano per rivederlo. Non sapevo con precisione quando sarebbe tornato. Per questo contavo i giorni in cui eravamo stati lontani, per farmi forza. Mi dicevo, 'Un giorno in meno, Usagi. Un giorno in meno di lontananza.»

Ami capì di essere stata cieca. Tre anni addietro aveva attribuito i silenzi di Usagi alla mera nostalgia. «Scusami. Quando Mamoru è andato via, sapevo che ti mancava, ma pensavo che, siccome eravate destinati a stare insieme, tu dovevi per forza essere sicura di quello che provava lui.» Invece, più l'amore era intenso, più i timori erano in agguato. Usagi era stata così forte... Mamoru non le aveva scritto una sola lettera di risposta. Senza saperne la ragione, lei aveva continuato a credere al loro amore, crollando solo dopo mesi di silenzio. Anche allora non aveva mai rinunciato a lui, pur iniziando a dubitare.

Per Usagi erano ricordi tristi, ma passati. «Se ami qualcuno, è normale avere paura. Ma tu ne hai avuta troppa, Ami-chan.»

Già. Se n'era resa conto in tempo.

«Quel ragazzo è un santo, ma non capisco: se vi siete chiariti prima della sua partenza, perché evitare di sentirvi per due mesi?»

Non avevano avuto il tempo di parlarne, ma non era stato necessario. «A questo punto sono io a dovergli dimostrare che la distanza non mi fa paura. Voglio che condivida il suo futuro con me, perciò devo dimostrarmi degna di fiducia.»

Sentì due mani sulle spalle, vicino al collo.

«Per fortuna parli così, o la dea dell'amore avrebbe dovuto punirti!»

Ami si voltò. «Minako!»

Lei esplose in un sorriso, splendida come non l'aveva mai vista. Ami non si era ancora abituata a vedere i capelli biondi di Minako tagliati appena sopra le spalle, ma il nuovo taglio la faceva sembrare più matura. Forse erano i vestiti, il modo in cui si muoveva - più lentamente, con più grazia - ma ogni volta che la rivedevano, Minako appariva un poco più diversa - più simile alla ragazza che mostrava sicura la propria immagine in televisione.

Minako portò un dito alla bocca. «Shh, o attirerai i miei fan!»

Usagi non ci cascò. «Presuntuosa, non ti riconosce nessuno!»

Minako scompose un poco l'espressione, rilasciando una smorfia comica che Ami riconobbe come quella della sua amica. Era tornata.

«Dici così, ma non sai che faticaccia ho fatto per arrivare in incognito fino a qui!» Minako levò un cappellino. Sotto aveva nascosto degli occhiali da sole, che probabilmente aveva indossato per tutto il tragitto. «La mia faccia ormai è nota in tutto il Giappone!»

«Se gridi in questo modo...» ridacchiò Usagi. Era stata superlativa nel riportare indietro la Minako del passato, in un momento.

«Rei e Makoto sono in ritardo?»

«Makoto aspetta la pausa pranzo per uscire dalla pasticceria, mentre Rei aveva un'ultima lezione stamattina.»

«Meglio così.» Ami si ritrovò fulminata da due affilati occhi azzurri. «Altrimenti eviterebbero che te le canti come meriti. Come hai potuto, Ami-chan? Usagi mi ha raccontato tutto.»

«Ho dovuto sfogarmi» spiegò Usagi, senza essere davvero pentita.

Minako levò la giacchetta leggera che aveva indossato e incrociò le braccia. «Era quello che dovevi fare tu, Ami! A cosa servono le amiche se poi ti tieni tutto dentro nel momento del bisogno?»

Ami si sentì in colpa.

«Come faccio ad andarmene da Tokyo se poi non ve la cavate senza di me?»

Le sfuggì una risatina. «Scusa. Ho imparato la lezione.» Era arrivata a tante conclusioni il giorno in cui Alexander era partito - su se stessa, sul loro rapporto e sul modo in cui si relazionava agli altri.

«Davvero hai imparato?» Minako era sospettosa. «Secondo me devi passare prima una bella prova orale!»

«Eh?»

«Un esame, no? Chi meglio di Venere per questo?»

Ami lanciò un'occhiata a Usagi, cercando di capire.

Minako si sfregò le mani. «Senti qua.» Disegnò in aria un ipotetico striscione. «Scena uno: il tuo Alexander sta studiando in biblioteca. Si avvicina a lui una ragazza in minigonna, con maglietta scollata. Lo ha puntato da lontano e si è data una passata di lucidalabbra prima di avvicinarsi. È sicura della sua strategia, nessun ragazzo l'ha mai rifiutata. Lui come si comporta?»

Ami sbatté le palpebre. Immaginò alla lontana la scena, senza dare troppo peso all'aspetto della sconosciuta. «Dipende da cosa gli chiede lei. Ma se lui è occupato a studiare...»

Minako saltò in piedi, chinandosi in avanti sul tavolo. «Lei si avvicina così, mettendo in mostra il petto seminudo. Gli domanda, 'Scusa, sai dov'è il reparto dei libri di astrofisica?'»

Ami fu interdetta. «Come fa a sapere quale argomento gli interessa?»

«È furba, ha dato un'occhiata al titolo dei volumi che lui ha sul tavolo. Rispondi alla domanda.»

Per farlo, Ami dovette raffigurarsi in testa la situazione. Minako era stata brava a dare un'identità alla ragazza, soprattutto quando aveva imitato la voce suadente che lei avrebbe adoperato. «Ehm... Alexander alzerebbe il braccio e le indicherebbe dove si trovano gli scaffali che cerca.»

Minako sollevò un sopracciglio. «Ma un'occhiata alla sua scollatura la lancerebbe, no?»

Usagi si scandalizzò. «Minako!»

Lei scrollò le spalle. «È un uomo.»

Ami era piccata. «Le direbbe comunque di andare via.»

«Facciamo che la ragazza è insistente. Si siede nella sedia vuota accanto a lui e comincia a fare la simpatica.»

Irritata, Ami strinse gli occhi. «Non c'è niente che Alexander detesti di più di una persona affettata. Le direbbe chiaro e tondo che è occupato e che non vuole essere disturbato.»

Minako ci pensò su. «Hai ragione. Hmm... Questa era una prova spicciola, solo una domanda di riscaldamento.» Aprì le mani in aria, teatralmente. «Scena due.»

«Perché la stai torturando?» intervenne Usagi.

«Perché lei ha torturato lui. E visto che si farà venire questi dubbi tra qualche tempo, quando sarà sola, preferisco sapere adesso cosa pensa. Così estirpiamo alla radice il problema.»

«Sei tu che le stai facendo venire brutti pensieri!»

Ma Ami era d'accordo. «Ci sto. Continua.» Era pronta alla sfida. Non temeva nulla.

«Perfetto.» Minako era soddisfatta. «Dicevo, scena seconda. Gruppo di studio: ci sono il tuo Alex e un paio di ragazzi e ragazze. Tutta gente preparata, intelligente. Una delle ragazze è stata appena mollata dal suo fidanzato. È triste. Non ha mire su Alexander - non ancora. Lui la tratta come tutti gli altri, ma... il tempo passa. Lei vede quanto lui è geniale, gentile quando vuole. Questi gruppi di studio si protraggono fino a tarda sera. Un paio di volte capita che Alexander la accompagni al dormitorio, loro due soli. Parlano. A lui lei ricorda te.»

Il cuore di Ami mancò un battito.

«La ragazza finisce col parlargli della sua storia d'amore finita male. Lui prova empatia, perché è fatto così. La consola a parole. Lei ormai è mezza cotta. Inizia a cercare contatti fisici casuali...»

Usagi scuoteva la testa, in pena. «Minako...»

Minako sollevò un dito: voleva terminare. «Lui non ricambia i tocchi, ma si sente in colpa. Ha iniziato a farsi delle domande, perché lei è dolce, intelligente, e lui prova... qualcosa. Ti ama ancora, eppure gli è stato possibile sentire una sorta d'interesse per un'altra persona. Forse, anche se ci credeva, è stato avventato nelle promesse che ti ha fatto. Magari al ritorno deve riflettere bene sui progetti che voi due avete in mente.»

Era uno scenario così plausibile da risultare terrificante. Ami prese un bel respiro, concentrandosi. Aveva una voglia matta di rincorrere i propri timori, crogiolandosi nella possibilità che accadessero, ma forzò un ricordo: l'ultimo abbraccio di Alexander all'aeroporto.

“You are my heart, Ami.”

Era il suo cuore, aveva detto lui, stringendola forte. E glielo dimostrava ogni volta che le parlava, che la guardava, toccandola a volte con reverenza e di recente sempre più con una passione che non riusciva a controllare.

Si immedesimò nei suoi panni, ribaltando la situazione ipotizzata da Minako. Come si sarebbe comportata con un ragazzo che le avesse ricordato lui?

Ebbe solo certezze. «Non può succedere. Alex non si farebbe queste domande. Proverebbe empatia per la situazione della ragazza, ma la tratterebbe come un'estranea, al massimo come un'amica.» Anche se persino quello era improbabile: lui tendeva a mantenere gli estranei a distanza. Non lasciava avvicinare facilmente le persone. «Non si renderebbe nemmeno conto che lei è interessata, almeno fino alla faccenda dei tocchi casuali.» Immaginando quelli e la ragazza della precedente scena, che esibiva davanti a lui il proprio fisico, vide un po' rosso. Ma era una gelosia sana. «A quel punto Alex troverebbe il modo di mettere in chiaro che non può esserci nulla tra loro. Forse non mi menzionerebbe nemmeno, perché il punto non è che è fidanzato: semplicemente, non la ricambia e gli dispiace di essere stato frainteso.»

Minako la fissava. «Però!» Scrisse velocemente su un foglio immaginario. «100 e lode, Ami-chan!» Le passò il suo premio ed Ami lo accolse con sollievo.

«Grazie.»

Usagi le squadrava. «Voi due siete masochiste.»

«Zitta» disse Minako. «Tu hai le sue stesse sicurezze su Mamoru, ma non avresti retto la prova. Sei troppo gelosa.»

«Certo! Una che si mette a far vedere la scollatura a Mamo-chan sta cercando la morte!»

Minako esplose in una risata.

Usagi continuò. «E lui avrebbe pensieri romantici su un'altra donna solo con me morta!»

«Che tragica!»

«Per dire quanto mi ama!»

Ami si stava divertendo. «Comunque ti ringrazio, Minako, hai ragione. Forse mi aiuta riflettere adesso su questi scenari.»

Minako tornò a dedicarle attenzione. «Non prendiamoci in giro, Ami. Ci rifletterai ancora, soprattutto verso la fine dei due mesi. Basta che ricordi come hai risposto ora, quando hai ancora la memoria fresca su di lui.»

«Ormai sono sicura.»

«Ti conosco abbastanza. Per te è un hobby ragionare su possibilità disastrose. Prevengo anche le tue possibili obiezioni future: abbiamo parlato di situazioni che possono coinvolgere un ragazzo qualunque, no?»

Dove voleva arrivare? «Sì.»

«Un ragazzo in una relazione normale, anche quando è innamorato, può avere momenti di cedimento. Ma questo ipotetico ragazzo comune non ti sarebbe rimasto accanto già due anni fa. Uno, perché agli uomini non piace essere mollati.»

Ami si ritrovò con un dito in faccia. Minako ne sollevò un altro. «Due, se scoprono che la loro ragazza ha poteri sovrannaturali, scappano a gambe levate. Tre, alla possibilità che lei sia incinta, la lasciano parlare con una segreteria telefonica per i successivi cento anni. E quattro... Anzi, era il punto due e ce ne sarebbe pure un quinto, ma non esiste un ragazzo che accetti un anno di astinenza senza essere irrimediabilmente e assolutamente convinto che lo sta facendo per la persona giusta. Ancora mi chiedo come abbia fatto lui.»

Usagi scrollò le spalle. «Mamo-chan almeno aspettava perché io ero piccola.»

Ami frenò a stento le risate. «Qual era il quinto punto?»

«Cinque, Ami, è che dopo tutto questo, un ragazzo comune ti avrebbe mandato al diavolo alla richiesta di provarti che il vostro amore è forte con quattro mesi di silenzio. Non avrebbe accettato manco una settimana, altro che due mesi.»

Ami sospirò, ennesimamente pentita.

Minako le strofinò forte la testa. «Per favore, applica tutta la tua considerevole intelligenza a questi fatti nelle prossime settimane, okay?» Picchiettò sulla sua nuca, per far entrare meglio il concetto. «Non immaginare il tuo ragazzo in scenari in cui altri fallirebbero, perché lui non è un ragazzo comune con riguardo a te.»

Ami annuì. Avrebbe avuto bisogno di un discorso forte come quello già settimane addietro.

«Che facce!»

Si voltarono. Al Crown era arrivata anche Rei.

«Ciao!»

«Di cosa stavate parlando?»

«Strigliavo Ami.» Minako ricambiò un suo abbraccio, sentito e caloroso.

«Come stai?» le domandò Rei.

Minako ignorò la domanda. «Perché non sei intervenuta con più forza in questa situazione? Non mi posso più fidare di nessuno!»

Il sorriso di Rei era segreto. «Non eri presente. Avendo sentito l'altra parte in causa, ho ritenuto fosse più saggio non intromettermi. E visto che parliamo di questo...»

Rei tirò fuori dalla borsa un pacchettino squadrato ben incartato, con fiocco.

Il suo regalo, pensò Ami, contenta. «Per me?»

«Sì, per il tuo compleanno. Ma non da parte mia.»

Ami notò la carta da regalo blu, il particolare del materiale con cui era stato creato il fiocco - tela bianca, forse seta. In un attimo, seppe di chi era quello stile. Incredula, si sporse a prendere il pacchetto. Ricevendolo, lo strinse al petto.

«Lui è passato da casa mia per darmelo, qualche giorno prima della sua partenza.»

Usagi era commossa. «Cosa sarà?»

«Non c'è un biglietto?» domandò Minako, occhieggiando il regalo.

Ami conosceva la risposta senza bisogno di guardare. «Ci siamo promessi silenzio.» E lei non si era aspettata nessun dono, perciò stava tremando di gioia. Quasi non le importava cosa fosse: era un modo per Alexander di comunicarle che aveva pensato a come si sarebbe sentita in quel giorno speciale, in sua assenza. Tanto bastava, era già qualcosa di prezioso. E se pensava che lui aveva comprato quel regalo quando ancora lei aveva eretto una distanza tra loro...

Sentì gli occhi umidi. Si lasciò invadere da un sorriso.

Rei era felice. «Ho voluto dartelo adesso, così potrai aprirlo a mezzanotte, prima di passare la giornata di domani a dispiacerti perché lui non è qui con te. Ma ti vedo meglio di quanto mi aspettassi.»

Be', tra quella sorpresa e la lezione di Minako, il suo umore non era mai stato tanto alto in quei giorni, da quando Alexander era partito. Lisciò la carta del pacchetto, rimirandolo.

Usagi moriva di curiosità. «Sembra un libro.»

«Se lo è, passerò la notte a leggerlo.»

«Ohh, come mi piace vederti romantica!»

Lei adorava esserlo. Perché aveva rifuggito la felicità?

Rei le sfiorò una spalla. «Dici che domani riesci lo stesso a uscire con noi la sera, per festeggiare?»

«Certo.» Loro erano le sue care amiche.

Incontrò l'occhiata benevola di Minako. Arrossì. «Cosa c'è?»

«È questa la Ami che mi piace vedere!»

 


Quella sera Ami non resistette alla curiosità: aprì il suo regalo che era ancora il 9 settembre. Risultò essere davvero un libro.

Lei non volle nemmeno leggerne l'introduzione. Si sdraiò sul letto e si immerse nel volume, capitolo dopo capitolo.

Trecentosettanta pagine dopo, la mezzanotte era passata da quindici minuti, lei aveva appena compiuto diciannove anni e aveva terminato di leggere una storia intensa, commovente.

Guerre, privazioni, un oceano di distanza e anni di lontananza - nulla aveva scalfito l'intensità del sentimento dei due protagonisti. Si erano ritrovati nonostante le avversità e avevano combattuto per tornare insieme.

Le erano rimaste impresse delle frasi.

“E quando la rivide, dieci anni sparirono in un secondo. Tornò a essere un ragazzo, col petto che batteva e le gambe che smaniavano di correre, per raggiungerla.”

“In tutto questo tempo ho creduto di averti dimenticato” aveva detto la protagonista all'uomo che aveva segnato la sua gioventù. “Ho vissuto un'intera vita senza di te, ma vivevo a metà, senza saperlo.”

Il libro non era una classica storia d'amore. Ami lo avrebbe classificato più come narrativa generale, ma lo amava per questo. Nella ricchezza della trama vi erano scampoli di sentimento strategicamente posizionati, che le avevano sempre fatto tenere a mente la sofferenza della coppia divisa dalle circostanze, dal tempo, da tutto. A volte era stata solo una malinconia senza nome, la sensazione di aver perso qualcosa di importante che non sarebbe mai più tornata.

Aveva capito cosa provavano quei due - in quei giorni più che mai.

Nel finale non era stato descritto nemmeno un abbraccio, ma lo sguardo che l'uomo e la donna si erano scambiati, pronti a muoversi l'uno verso l'altra, finalmente liberi di stare insieme, era stato sufficiente. La speranza a un passo dall'essere concretizzata era la migliore conclusione che Ami riuscisse a immaginare.

Appoggiò il libro aperto sul viso.

Quando hai avuto il tempo di trovarlo?

Accarezzò la copertina, a occhi chiusi, in testa la sensazione delle mani di Alexander. Voleva sfiorarle, toccarle, dirgli...

Quando pensava di aver trovato un limite all'amore che provava, lo sentiva crescere ancora.

 


 

Settembre diventò autunno.

Un giorno il cielo si riempì di nuvole e iniziò a piovere. Il sole non riapparve per una settimana.

Ami non si lasciò intristire dal tempo: era carica. Usciva con le ragazze, studiava, leggeva, ma alla fine le sue giornate erano più libere del solito. Non aveva più un ragazzo con cui dividere i momenti di svago.

Cosa starai facendo?

Hai conosciuto i professori che ammiravi?

Hai trovato compagni di corso interessanti?

.... Ti manco?

Pensava ad Alexander talmente tante volte al giorno che in un paio di occasioni si era ritrovata con la cornetta in mano, sul punto di chiamarlo, come se non si fossero mai scambiati una promessa diversa.

Una sera aveva persino preso il suo minicomputer e lo aveva geolocalizzato negli Stati Uniti, dove si trovava. Era stata invasa dall'idea che qualcosa potesse essere andato storto nel viaggio di lui ed era riuscita a calmarsi solo quando aveva visto che stava bene. Aveva verificato la sua temperatura corporea, il suo stato di salute generale. L'immagine del cuore di lui che batteva le aveva strappato un sospiro di sollievo, felicità mista a tristezza.

Era impazzita, o pazza.

Per non crogiolarsi in quella tortura, il giorno seguente aveva deciso di concentrarsi su un gioco che non metteva in pratica da tempo: avrebbe esaurito l'argomento di un testo d'esame in meno di sette giorni. La sfida era assimilare il contenuto del libro nella sua testa in maniera chiara e completa, in modo da rendersi capace di spiegarlo ad ipotetici altri come se le fosse toccato insegnare in maniera basilare la materia.

Iniziò una mattina, afferrando il libro scelto, sentendo l'entusiasmo che cresceva sotto pelle.

Cominciò a leggere le prime pagine a colazione, con una matita in mano per sottolineare i concetti e scrivere appunti. Mentre si vestiva per la giornata, ripeté le poche nozioni apprese.

Uscì di casa portando il libro sotto braccio, per leggerlo mentre si muoveva in metropolitana.

Niente doveva distrarla. Era una sfida di concentrazione, a molteplici livelli: a lezione doveva spostare la propria attenzione sull'argomento di cui parlava il professore, e solo poi poteva tornare al testo che voleva scandagliare fin nella più piccola nota.

La prima sera crollò a dormire come un sasso, stanca e appagata.

Il secondo giorno sentì di aver preso il ritmo giusto. Cento pagine in quarantotto ore. Si prese un'ora o due per ripassare nella testa le nozioni, esponendole a se stessa come se le stesse spiegando davanti a un pubblico. Da sempre, per lei era un esercizio per vincere la timidezza.

Cinque giorni dopo, nella sala mensa dell'università, si concesse un buon pranzo: aveva vinto la sua sfida.

«Mizuno-san!»

Una sua compagna di corso, Ritsuko Horie, l'aveva puntata. Stava lanciando un'occhiata al libro poggiato sul suo tavolo. Vedeva i segnalibri colorati che spuntavano dalle pagine.

«Non ci credo, lo hai già studiato tutto?»

Ami si strinse nelle spalle. «È un buon testo. Il professore ha fatto bene a sceglierlo.»

Incoraggiata, Horie-san si sedette accanto a lei. «Anche tu non vedi l'ora che inizi il prossimo anno? Io sono così stufa di studiare queste materie generali!»

Ami in verità si era già portata avanti da mesi con quelle.

Ad Horie brillavano gli occhi. «Poi finalmente ci faranno fare qualcosa di pratico. Ho sentito che per gli studenti migliori è previsto uno stage in un ospedale privato, come semplici osservatori, durante le vacanze. Tu ci sarai di sicuro, Mizuno-san.»

Durante le vacanze? «Nell'estate del prossimo anno?»

Horie-san annuì. «Oh, mi stanno chiamando. Ci vediamo!»

«Ciao» la salutò Ami, deconcentrata.

Prese tra le mani il libro su cui aveva studiato.

Mentre ne imparava il contenuto non aveva perso tempo a domandarsi quando avrebbe potuto applicare quei concetti. Per lei il solo apprendere era una gioia.

Ma il sogno nascosto di sempre, il motivo per cui aveva scelto di studiare medicina, stava in ciò che aveva detto Horie-san: avere un giorno l'opportunità di praticare la professione.

Nella prossima estate sarebbe stata ancora libera, a meno che...

Si guardò intorno.

Le piaceva l'università. Le piaceva frequentarla. Era l'ambiente in cui si era immaginata sin da quando era stata bambina. Era appagante stare lì, ma ricordarsi che stava studiando senza un fine... Non era la prima volta che sceglieva di non esplorare le conseguenze di una possibilità che lei stessa aveva messo in campo.

Ovviamente i fatti erano noti. Meno chiaro era come si sentisse lei a riguardo.

Era qualcosa di molto importante.

Come aveva detto ad Alexander, quello era il periodo in cui potevano ancora cambiare idea sulle loro scelte, se non erano sicuri di quello che volevano fare.

Per una volta, non si permise di mettere l'amore sopra ogni altra cosa. Lo doveva a se stessa e a lui: aveva bisogno di essere completamente sincera.

Terminò di mangiare e mise in pausa la questione. Aveva ancora una lezione da frequentare e un intero weekend per riflettere sulla faccenda.

 

Non è obbligatorio avere un bambino.

Era il nodo centrale della questione su cui doveva dibattere.

Certo, non era una costrizione diventare madre. Se avesse scelto di non esserlo, sarebbe stata libera di continuare la vita che stava conducendo ora - un'esistenza in cui si sentiva già felice e realizzata. Tuttavia...

Sdraiata sul suo letto, accarezzò la testolina di Ale-chan, che si stava strofinando contro la sua mano. Era un gattino affettuoso, che amava riposare sopra il suo petto.

«Ti voglio bene» gli disse, avvicinando il viso al suo muso.

Più pensava a cosa voleva davvero, più era semplice decifrarlo.

La prospettiva di non poter dedicare tutto il tempo che le rimaneva allo studio non era gradevole. Ma l'idea di non poter mai avere un bambino con Alexander era... devastante.

Tutta una vita senza un bambino loro?

No.

Voleva i momenti che aveva vissuto con lui l'inverno scorso. Anzi, li rivoleva, questa volta legittimamente.

Come poteva trascorrere tutta una esistenza col ragazzo che amava senza sentirlo di nuovo toccare il suo ventre con reverenza, per lo stupore di quello che avevano creato insieme? Un nuovo essere umano.

Con i tuoi occhi, forse, e la mia timidezza.

Voleva conoscere quella persona. Voleva vederla nascere, voleva crescerla. Non voleva farlo da sola.

Se tra un anno fosse diventata una madre, non ci sarebbe stato un momento in cui avrebbe desiderato tornare indietro. Perché il bambino sarà nostro e tu sarai con me. In ogni passaggio. Avrebbero scelto in due il nome - se fosse stata femmina, perché se era maschio era certa che fossero già d'accordo. Avrebbero atteso con impazienza il suo arrivo. Lo avrebbero consolato nei suoi pianti, si sarebbero riempiti dei suoi primi sorrisi.

Sarà possibile?

Forse erano solo sogni.

In un mondo crudele, lei e Alexander erano già troppo geneticamente differenti per avere la possibilità di concepire insieme. Sarebbero potuti diventare genitori anche di un figlio che non fosse biologicamente loro, in futuro, ma... Se Adam fosse esistito, sarebbe stato... Il più bel dono che la vita poteva fare a entrambi.

Ale-chan iniziò a fare le fusa contro il suo collo. Ami lo grattò sotto il mento.

«Vuoi un fratellino umano?»

Le fusa aumentarono di volume.

«Gli insegnerò a trattarti bene.»

Oh, sì. Si sentiva capace di far scoprire il mondo a un bambino pieno di curiosità ed entusiasmo, che da lei avrebbe voluto principalmente una cosa: amore.

E io ti amo ancora prima di conoscerti, sai?

Era diventata una persona... completa, unica, amata. Era una Ami Mizuno che non vedeva l'ora di espandersi, di fare.

Sorrise e passò la mano lungo tutta la schiena di Ale-chan, facendogli alzare la coda. «Nel frattempo, studierò medicina. Un giorno diventerò un grande dottore, nessun dubbio.» Sentì il petto che si distendeva, libero. «Ma non c'è fretta.»

 


 

Primo ottobre.

Erano passati trenta giorni da quando Alexander se n'era andato. Ne mancavano ancora trenta prima di risentirlo.

Il periodo di silenzio era ormai a metà del suo percorso.

Nella sua felicità per il tempo di separazione che si riduceva, Ami ogni tanto si ritrovava a guardare l'immensità del cielo.

Il loro era un mondo vasto.

Nella sua mente era vivido il ricordo di ogni respiro che aveva condiviso con Alexander, tanto quanto era grande la sua immaginazione su tutto ciò che lui stava vivendo da solo, in un altro continente. Era quasi come se fosse... un'altra vita.

Era l'esperienza che volevo che avessi.

Vivi e sogna, aveva pensato. Sogna senza limiti e costrizioni, anche senza di me.

Guardava fuori dalla finestra e vedeva così tante speranze e obiettivi, gente che passava e se ne andava.

A volte osservava con indolenza, altre volte con la sensazione di non poter fermare ciò che stava accadendo.

Il mondo avrebbe continuato a girare anche se loro due si fossero allontanati.

Si poneva domande come quelle, senza trovare risposta. Perché continuava a pensare che lui potesse dimenticarla?

Sono una debole.

Quando sentì forte il desiderio di una consolazione illogica, prese una decisione. Caricò Ale-chan nel trasportino. «Facciamo una gita.»

Appena entrò nell'appartamento di Alexander, si sentì meno sola. Lasciò libero il gattino e si guardò intorno.

Uscì a comprare qualcosa per fare colazione la mattina successiva. Servivano anche delle scatolette di cibo e una lettiera per Ale-chan.

Mentre la preparava in bagno, parlò al gatto che esplorava la stanza. «Così avrai un posto per le tue esigenze anche qui.» In fondo, sarebbe stato necessario, se quella sistemazione fosse diventata permanente per entrambi, un giorno.

... stava correndo troppo?

Detestò quel pizzico di insicurezza e la sensazione di prendere decisioni che non sarebbero state gradite.

Era stato Alexander a dirle che poteva venire a dormire in quella casa, da sola o con Ale-chan. Non gli sarebbe dispiaciuta la lettiera per il gatto.

Non gli dispiacerebbe nemmeno se stessi qui per tutto il tempo che lui non c'è.

“Ami love.”

Rivisse un ricordo. Loro due sdraiati, di notte, abbracciati.

“Non te ne andrai domattina, vero?”

“Dobbiamo studiare. Siamo stati insieme per due giorni.”

Lo aveva fatto ridere. “Non te ne andare domattina.”

La sua voce. Il tono morbido, basso.

“Hai studiato?” L'avevano preoccupata i suoi voti.

“Me lo chiedi sempre. Ma quando mai ho preso meno di 90 da quando stiamo insieme?”

L'obiezione era stata sensata. “Hai ragione.”

“Certo.”

La sua arroganza continuava a sembrarle tenera. Aveva avvolto la sua spalla col braccio. “Allora rimango.”

Lui aveva fatto silenzio.

“Non vuoi più?”

“Tu hai studiato abbastanza, vero?”

Le era uscita una risata, dal cuore. “Altrimenti non ti avrei promesso di restare.”

“Hm. Anche se mi hai messo dopo lo studio, non importa.” Le aveva dato un bacio sulla fronte. “Tu devi avere tutti i 100 che meriti.”

“Durante le vacanze vorrò solo te.”

“Ouch.”

Lei si era messa a ridere più forte. Quanta allegria e leggerezza aveva provato nello stare con lui.

“Anche adesso voglio solo te” aveva precisato. “Ma mi sento più rilassata quando non ho qualcosa da studiare.”

Lui aveva fatto scorrere un dito sulla sua nuca. “Un giorno gli esami finiranno.”

Lei si era goduta il tocco, a occhi chiusi. “Già.”

“Quel giorno non te ne andrai più domattina.”

Lei aveva percepito una domanda, incredula. “Mai” aveva detto.

Avevano aumentato la forza dell'abbraccio, di pochissimo. Erano già le loro anime a essere intrecciate.

Quella notte, anche nel presente, Ami riposò nel letto di lui.

 


 

«Ami?»

Quattro ottobre. Era seduta in un tavolino della pasticceria di Makoto, insieme alle ragazze. A una certa ora del pomeriggio c'era sempre scarsa affluenza e Makoto poteva respirare.

Ami guardò Rei. «Cosa c'è?»

«Sei strana oggi. Distratta.»

... aveva fatto un brutto sogno. «Non è niente.»

Makoto arrivò al loro tavolino con un vassoio di pasticcini. «Ecco qui le mie nuove creazioni. Provatele tutte e ditemi quali sono le migliori.»

Usagi si stava leccando le labbra. «Uno per ognuna, di ogni tipo. Ti adoro, Mako-chan!»

Rei aveva l'acquolina in bocca. «Vedo un chilo intero su quel vassoio, solo per me. Lo prenderò sui fianchi con gioia.»

Makoto selezionò un pasticcino con una rosellina sopra. «Devi cominciare da questo, Ami. Ma prima dicci perché sei in pensiero.»

Non poteva nascondere loro nulla. «Ho fatto un incubo.»

«Un sogno premonitore?» si preoccupò Rei.

Ami scosse la testa. La sola idea la faceva sudare freddo. «Era un incubo normale. Mi sono addormentata con la televisione accesa. Il suono delle voci mi ha disturbato.»

Usagi smise di dedicarsi ai dolci. «Che cosa hai sognato?»

Non ricordava come era iniziata. A un certo punto rammentava di essersi ritrovata col mini-computer di Mercurio in mano. In quell'universo onirico aveva messo in atto ciò che non si era permessa di fare nella realtà: si era messa a cercare di nuovo Alexander. Quando lo aveva localizzato, aveva scoperto che lui si trovava in una stanza, con un'altra persona - una ragazza. Lo schema di linee azzurre sullo schermo le aveva restituito l'immagine di due corpi che si avvicinavano.

Aveva assistito a un bacio. Si era svegliata di colpo.

Terminò di raccontare il suo incubo alle ragazze.

«Ma va'!» proruppe Makoto. «Una cosa del genere succederà solo quando i nemici ci batteranno!»

«Esatto» le fece eco Usagi. «Quindi mai!»

«So che è stato solo un brutto sogno...»

«Ma certo.» Rei pativa con lei. «Però quando si fanno incubi di questo tipo viene sempre voglia di verificare subito la realtà, giusto? Il problema è solo che Alexander ti manca.»

Usagi riprese a mangiare. «Fossi in te, lo chiamerei subito.»

Makoto non era d'accordo. «Ami non ha mica paura che sia vero!»

«Che c'entra? Non contano le ragioni, ha voglia di risentirlo. Quando lui ascolterà la voce di lei al telefono, scoppierà di gioia e non gliene importerà nulla del loro accordo.»

Ami si sentì immensamente bene nel sentirlo. Esatto, Alexander avrebbe reagito in quel modo.

“You are my heart, Ami.”

E lui era il suo. Lei non riusciva a pensare ad altro.

Si sentì forte. «Mancano solo ventisette giorni. Devo dimostrargli che posso essere sicura dei nostri sentimenti, anche senza rassicurazioni.»

Makoto stava rivedendo la propria posizione. «Hai già aspettato un mese, però.»

Sì, ma quello che ora le stava facendo paura era esattamente la ragione per cui aveva deciso di lasciargli del tempo per stare da solo. «Alexander sta vivendo un'esperienza fondamentale in America. Ogni giorno che si concentra solo su quella, è un giorno in più in cui acquisisce certezze su cosa lo renderà felice in futuro.».

Quella separazione stava avendo la stessa utilità per lei: più stava lontana da lui, più sapeva di essere stata una sciocca a pensare che il suo avvenire potesse non includerlo. Lui e una loro famiglia, nonché tutta una vita - mille anni interi - da passare l'uno accanto all'altra.

Finalmente era sicura. Finalmente non si sentiva più in colpa per i propri desideri.

Non era egoista, era solo... innamorata.

Rei la osservava, con uno scherno gentile in volto. «Sai, Ami, a volte mi chiedo se per te sarebbe un colpo tremendo ammettere di essere inferiore in qualcosa.»

«Eh?»

«È chiaro che questo periodo di separazione ti sta servendo per rimettere ordine nelle tue priorità. Ma sono convinta che a lui non servisse affatto. Mi sembra un tipo davvero semplice da questo punto di vista: se c'è una cosa che lo soddisfa, non la molla più. Tu invece ne fai una faccenda complicata e non riesci a concepire che per Alexander possa essere stata molto... be', lineare.»

Usagi stava facendo una smorfia. «Ami sa ammettere i propri difetti.»

«Sì, ma tra loro c'è una certa competizione sui talenti che hanno in comune - in questo caso parliamo di perspicacia, e capacità di autoanalisi. Gareggiare è una cosa che vi piace, no? Come col nuoto. Fatichi ad accettare che Alexander sia arrivato tranquillamente a una traguardo che tu hai raggiunto con grande sforzo.»

Sentendo il bisogno che aveva di replicare, Ami si zittì e rifletté sulle parole di Rei.

«È un modo di rassicurarti, sai? Tu devi immaginare che il tuo ragazzo sia lontano, ma ansioso di risentirti e rivederti. Vedrai che tra un mese farete festa.»

Usagi batté le mani. «Devi fare come faccio io quando mi manca Mamo-chan! Penso ai suoi baci, alle sue carezze...»

Makoto la osservava con un sopracciglio alzato. «Ma se non state lontani più di due giorni.»

«E mi fa bene lo stesso! Dormo come una bambina dopo essermi concessa qualche fantasia su di lui. Ah, Ami! Luna vuole sapere dov'è finito Ale-chan. Stamattina lo ha cercato a casa tua.»

«Ehm... l'ho portato nell'appartamento di Alexander con me. Ieri ho dormito lì.» Per la terza notte consecutiva.

«Ohhh!»

Il coro di sospiri la fece arrossire. «È stato lui a darmi il permesso!»

«Ma allora ti stavi già consolando!» Usagi era estatica.

Rei sollevò un dito. Aveva un'idea in mente. «Alexander ha lasciato dei vestiti, giusto?»

«Hm?»

«Prendi una sua maglietta, o qualcosa che abbia ancora il suo odore, e mettila vicino a te quando dormi. Sarà come averlo accanto.»

Era un trucco geniale, e molto intimo. Ami si sentì morire d'imbarazzo.

Il sorriso di Makoto era pronto a rincarare le dose. «Sappi che se poi ti vengono certi istinti, mentre sei sola soletta, lui in America approverà di certo. Specie se poi glielo racconti al telefono.»

Ami balzò in piedi. «Siete delle svergognate!»

Venne sommersa dalle risate.

Avvampò fino alla punta dei capelli. «Vado a casa.»

«Ma no, resta! Devi ancora mangiare i tuoi dolci!» Makoto sigillò le labbra. «Non dirò più niente, giuro.»

Ami si decise a rimanere. Per il resto dell'incontro, sentì il divertimento benevolo delle sue amiche su di sé, ma loro ebbero pietà e non tirarono più in ballo il discorso.

 


 

Sette ottobre. Nove ottobre.

I giorni non passavano mai.

Ami iniziò a trascorrere più notti nell'appartamento di Alexander.

Una sera sua madre le domandò dove andasse quando non dormiva in casa. Ami glielo confessò.

«Non ti sento parlare al telefono con lui.»

Ami scelse di spiegare. «Abbiamo deciso di non sentirci per un po'. È stata una mia idea.»

Percepì l'approvazione di sua madre, e un pizzico di incertezza.

«Lui come l'ha presa?»

«Non era molto contento all'inizio. Poi gli ho detto che secondo me avevamo bisogno di...»

«Riconsiderare il vostro legame?»

A sua madre poteva spiegarlo in quel modo. «Ho pensato che questo viaggio potesse essere un'occasione per stare per conto nostro e capire... cosa vogliamo in futuro, come coppia.»

Sua madre annuì. «Siete giovani e dovete prendere decisioni importanti sul vostro futuro in questi mesi. Lui non deve sentirsi costretto a rinunciare all'America per te. E tu non devi sentirti costretta a seguirlo.»

«Ecco...»

«Intendo dire che è importante non sentirla come una costrizione. Se dopo un periodo di lontananza sentirete ancora di voler stare insieme, potrete fare le vostre scelte con maggiore consapevolezza e maturità.»

Ami si rese conto che sua madre stava pensando a un'eventualità che lei non aveva mai preso in considerazione. «Mi lasceresti andare a studiare in America?»

«Sì, se è quello che vuoi. Non ti devi preoccupare dei costi. Se è quello il posto in cui sarai una persona felice...» La pausa seppe di commozione. «Ti appoggerò in ogni tua scelta.»

Ti appoggerò.

Ami non sapeva perché, ma aveva sempre sentito di dover fare tutto da sola. Invece aveva così tante persone accanto, che la sostenevano e la aiutavano.

«Grazie, mamma.»


 

Tredici ottobre.

Meno diciotto giorni al primo novembre.

Sarai ancora convinto di quello che mi hai promesso?

Le cose saranno ancora come prima, tra noi?

Cercava di dimenticare quelle domande.

Le cose non sarebbero state come prima, incerte. Sarebbero andate meglio. Lei avrebbe abbandonato ogni ritrosia nel ricambiare l'amore di lui. E al suo ritorno, a gennaio...

Voglio andare a vivere con te.

Era un sogno che la imbarazzava per la sua audacia, che la riempiva.

Si era permessa di andare molto oltre. Qualcosa l'aveva animata - forse follia. Un pomeriggio si era ritrovata davanti all'atelier in cui avevano trovato il vestito da sposa di Usagi. In quel posto aveva indossato un bellissimo abito ricamato di fiori, che l'aveva fatta sentire romantica, innamorata, pronta.

Per strada, davanti alla vetrina, si era sentita invadere da un brivido. Era corsa a casa e solo lì si era concessa di singhiozzare.

Ale-chan si era strofinato contro le sue gambe, cercando di consolarla.

«Scusa.» Lo aveva raccolto da terra, abbracciandolo. «Ma perché sono andata in un posto simile? Forse lui non mi vorrà più come prima.» Dopotutto lei lo aveva allontanato, ed era passato del tempo. Magari Alexander aveva scoperto di stare bene anche senza di lei. Forse...

Ma cosa stava pensando?

Lentamente, si era calmata.

Quella notte era ricorsa allo stratagemma di Rei e aveva recuperato una maglietta di lui dal guardaroba. Alexander l'aveva usata la notte prima di partire, una volta sola, per dormire, perciò non l'avevano lavata.

Sdraiata sul letto, voltata su un fianco, Ami chiuse gli occhi, ispirando il profumo dal tessuto.

A Boston stai studiando tante cose che ti piacciono.

Era bello immaginarlo appagato.

Sicuramente, pensi che io qui ormai sia tranquilla.

Infatti. Proprio perciò lei doveva stare serena, anche per lui.

La nostalgia era un sentimento che confondeva.

Prima di dormire, pensò a cose felici. Immaginò cosa gli avrebbe detto il giorno in cui lo avesse risentito, e come avrebbe reagito lui.

Andò più in là nel tempo coi sogni. Era gennaio, erano all'aeroporto. Correvano ad abbracciarsi.

Portò la maglietta al naso. Si addormentò.

La mattina seguente, Ale-chan faceva la pasta sul suo stomaco.

Lei aprì gli occhi, accaldata. Spostò delicatamente il gatto sul materasso, per fermare la stimolazione sul ventre.

Aveva confuso il massaggio dei suoi cuscinetti per delle dita. Appena prima di svegliarsi, aveva sognato che...

Strinse inconsciamente le gambe, richiamando la sensazione di piacere dall'interno del suo corpo.

Perversa, si redarguì, mettendosi a sedere. Le venne da ridere.

«Miao

«Okay, ti do da mangiare.» Il suo amico felino se lo meritava proprio.

 


 

Diciannove ottobre.

Mancavano pochi giorni al compleanno di Minako. L'organizzazione della festicciola a sorpresa che avevano in mente per lei dava ad Ami qualcosa a cui pensare.

Sulla telefonata fatidica che non vedeva l'ora di fare, aveva iniziato a farsi delle domande.

Ma con 'primo novembre', lui intendeva secondo il mio fuso orario, o il suo?

Era una differenza di ben quattordici ore - un'eternità, quando era così vicina al traguardo.

Se aspettava il fuso orario di Boston, forse Alexander avrebbe pensato che lei non aveva alcuna fretta di sentirlo. Sarebbe stato in pena per tutto il tempo, o deluso.

D'altronde, se lei lo chiamava allo scoccare della mezzanotte, ora giapponese, erano le 10 del mattino del giorno precedente in America. Forse lui avrebbe avuto lezione o sarebbe stato occupato con qualcos'altro. Magari non si aspettava di ricevere una chiamata quando il termine non era ancora passato.

Non se la prenderà per questo.

Ami riteneva di no, ma aveva paura di provare a chiamare e non sentire risposta. Avrebbe avuto la sicurezza che per Alexander qualcosa era cambiato se lui non avesse avuto la sua stessa ansia di risentirla.

Il 22 ottobre, nel pieno della sua festa di compleanno, Minako le lanciò un'occhiata e sentenziò, «Lo sapevo!»

«Eh?»

Ami si sentì prendere da parte. Minako la portò in una stanza vuota della casa di Usagi.

«Ti stai concentrando sulle tue fisime! Coraggio, mancano pochi giorni! Se non cambi faccia, sarò costretta a versarti addosso una delle mie gocce d'amore!»

«Scusa» sorrise Ami.

«Adesso andiamo là fuori. Voglio sentirti al karaoke!»

Glielo doveva. «Farò del mio meglio.»

Minako fece per tornare dalle altre, poi si fermò. «Come regalo di compleanno, tra una decina di giorni, voglio essre la prima a cui racconterai tutto. Dovrai dirmi per filo e per segno quanto sarà andata bene la vostra agognata prima telefonata.»

Osservandola, Ami ebbe una curiosità, prettamente impersonale. «Non hai mai avuto alcun dubbio su di noi, Minako?»

Cosa la rendeva tanto sicura dell'esito che avrebbe avuto una relazione sentimentale che non era la propria?

Davanti ai suoi occhi, Minako si fece saggia. «Riconosco l'amore quando lo vedo. Non è uno scherzo, Ami. Non sarei ciò che sono, se non fossi in grado di percepire la forza di un sentimento che non fa neanche respirare quando è sincero.» Le prese le mani. «Non hai bisogno che sia io a dirtelo. Credi in voi.»

Ami ricevette un bacio sulla fronte. Si commosse: il gesto era stato quasi materno.

«Coraggio, torniamo alla festa.»

 

23 ottobre.

Ami rilesse da cima a fondo il libro che aveva ricevuto in regalo per il suo compleanno.

24 ottobre.

Si ricordò di un compito che doveva consegnare il giorno seguente in classe. Completò il lavoro verso mezzanotte, soddisfatta come non era mai stata in precedenza di qualcosa che aveva lasciato da fare all'ultimo momento.

25 ottobre.

Il ruolo che lo studio avrebbe avuto nei successivi mesi della sua vita la colpì come un fulmine a ciel sereno. Se voleva avere del tempo libero da dedicare alle chiacchierate con Alexander, tanto valeva mettersi a studiare tutto il possibile mentre ancora non lo stava sentendo.

Passò le ore del 26, 27, 28 e 29 ottobre sui libri, cercando disperatamente di concentrarsi solo sulle nozioni.

Con tutto quello che stava studiando, avrebbe potuto passare una settimana intera a parlare con lui senza leggere una sola altra pagina.

Sempre che Alex avesse voluto sentirla tanto a lungo.

Il 30 ottobre Usagi le propose un party di Halloween.

«Vieni da me domani, indosseremo dei costumi! Ci saranno anche Hotaru, Michiru e Haruka!» Minako non sarebbe riuscita a venire, ma già lo sapevano.

«Devo tornare a casa prima di mezzanotte.»

«Come Cenerentola! Oh, giusto, devi sentire Alex! A mezzanotte precise?»

«Sì.» Alla fine, aveva deciso che non avrebbe potuto aspettare un minuto di più.

Usagi la salutò, dandole appuntamento per la sera successiva.

 

31 ottobre 1997.

Nel guardare la data completa, Ami si ricordò che conosceva Alexander da quasi due anni.

Lo aveva incontrato in un giorno di novembre.

Lo aveva baciato un pomeriggio di dicembre.

Lo aveva lasciato una settimana prima di Natale.

Cinque giorni dopo lo aveva pregato di perdonarla.

Il 1996 era stato il loro anno più sereno. Il 1997, quello più intenso.

Non le bastava. Lei voleva un altro anno, un altro decennio. Un altro secolo.

Inspirò, scegliendo di ascoltare, per istinto di sopravvivenza, la paura che aveva cercato di dimenticare.

Doveva prepararsi ad affrontarla.

Magari stanotte mi dirai che per te è cambiato qualcosa di importante.

Non pianse.

Alexander poteva aver deciso che una vita in America era ciò che voleva davvero.

‘Ho deciso di rimanere qui. Voglio lavorare alla Nasa. Voglio fare ricerca. Mi hanno proposto una specializzazione che non voglio rifiutare.’

... lei non gliene avebbe fatto una colpa.

‘Ci ho pensato molto, Ami.’

Lo sapeva. Ne era sicura.

I love you. Avrebbe cercato di non dirlo. Gli avrebbe detto che capiva.

Se nonostante tutto lui non avesse voluto troncare la loro relazione... Sarebbe andata a trovarlo. Avrebbe voluto rivederlo. Al resto avrebbe pensato in seguito. Il futuro non aveva importanza.

Se invece lui, dopo aver preso quella decisione, avesse anche voluto lasciarla...

È probabile. Sei sempre stato corretto.

Si appoggiò contro lo schienale della sedia, svuotata.

No, capì. Non sarebbe riuscita a non dirgli che lo amava. Ma proprio per questo gli avrebbe augurato il meglio. Una vita bella, intensa, piena.

Goodbye.

31 ottobre 1997.

Sbattè le palpebre secche, tornando a vedere il calendario.

“Ti amerò per sempre” aveva detto all'aeroporto. “Anche se non torni indietro.”

Quel giorno più che mai, era consapevole che sarebbe stato vero fino al suo ultimo respiro. Qualunque cosa fosse successa.

«Da cosa sei travestita, Ami?»

Il suo costume causava un sorriso in chiunque lo vedeva.

«Sono uno spirito.» Piegò le braccia a uncino davanti al petto, incurvando la testa per mettere in risalto i due cartoncini attaccati alla coroncina in fil di ferro che aveva fabbricato in casa. Sui cartoncini aveva disegnato delle ondine, come quelle che nei manga si usavano per rappresentare gli spiriti.

Makoto si fece una risata.

«Non ho avuto modo di andare a comprare un costume vero.» Si era distratta facendone uno in casa, con un vecchio lenzuolo e strumenti da cartoleria. Come per le feste scolastiche, quando era stata una bambina.

«Sei adorabile!»

«Grazie.»

«Devo farti una foto, così anche Alex un giorno potrà vederti!»

Ami riuscì a non formare alcuna espressione.

Makoto intuì ugualmente il suo stato d'animo. «Ragazze!»

Le raggiunsero Rei e Usagi - rispettivamente una diavolessa e una fata. Haruka, Michiru e Hotaru non erano ancora arrivate.

«Cosa?»

«Formiamo un cerchio attorno a Ami.»

Le sue amiche non chiesero nemmeno il motivo: la circondarono, le loro braccia sulle sue spalle.

«Questa notte andrà tutto bene, Ami-chan» disse Makoto.

Ami non si azzardò a parlare. Le era cresciuto un magone in gola.

Usagi strofinò la testa contro la sua tempia. «Lo risenterai e sarà... bellissimo.»

Ami chiuse gli occhi.

Rei le liberò la fronte dai capelli. «Svaniranno tutta l'incertezza e l'attesa di questi due mesi.»

Lei si riempì l'animo delle loro rassicurazioni.

Makoto non resistette più e l'abbracciò forte. «Non riesco a vederti triste! Come puoi esserlo?»

«Mi sto solo... Voglio essere preparata se lui mi dirà che...»

«Non succederà.» Usagi scuoteva la testa.

Rei incontrò i suoi occhi. La comprese meglio di tutte quando disse, «Se per qualunque motivo vorrai parlare con noi, dopo che lo avrai sentito, io starò sveglia tutta la notte ad ascoltarti.»

Ami si sporse verso di lei. Finì racchiusa tra le sue braccia, lasciandosi sostenere.

Usagi stava trattenendo le lacrime. «Perché siamo infelici prima del tempo?»

Ami sentiva la carezza della mani di Rei sulla nuca. Fu lei a dare voce ai suoi pensieri. «Perché nella realtà una persona non rinuncia a tutta la vita che conosce solo perché è innamorata. Il tempo passa, i sentimenti si affievoliscono. La lontananza separa. Le persone cambiano.»

Non lei. Quello che provava non sarebbe mai sparito.

Tornò dritta e Rei chinò la testa, per farsi guardare. «Ma io sono convinta, con tutto ciò che sono, che la tua sarà una favola, Ami. Questa storia finirà in lacrime solo perché saranno di gioia. Tu meriti tutto l'amore del mondo.»

Ami sentì una scia umida sulla guancia.

Non importava cosa meritava, contava ciò che aveva: delle amiche splendide. Erano sorelle. «Vi voglio bene.»

Le fece commuovere tutte, queste persone che amava e che non la lasciavano mai sola.

Amore.

Esisteva in molte forme. Lei voleva aprirsi ad ognuna di esse. Non voleva più fuggire, né nascondersi.

Qualunque cosa fosse successa...

Non torno indietro.

 

Undici e cinquanta, dieci minuti alla mezzanotte.

Seduta sul suo letto, Ami guardava il foglietto col numero da chiamare. Lo aveva imparato a memoria.

Era andata in bagno, aveva bevuto un bicchiere di latte per calmarsi.

Non si era mai sentita in quel modo in vita sua: man mano che si avvicinava il momento, l'ansia cresceva insieme alla sua fervida attesa. Voleva risentire la voce di Alexander. Non le importava nemmeno di cosa lui avrebbe detto, voleva solo risentirlo.

Devi essere a casa, rispondimi.

I love you.

I love you.

Voglio che andiamo a vivere insieme. Voglio avere il nostro bambino. Voglio che ci sposiamo.

Rischiava di dire tutte quelle cose nella prima frase.

Rise, l'istinto di piangere che scappava sempre più lontano.

Dentro di sé sapeva la verità.

Questo è il giorno in cui finiranno le sciocchezze per cui ti ho fatto soffrire.

Chissà come gli era andata a Boston?

Presto avrebbe saputo come si era trovato, che cosa aveva fatto.

Lo avrebbe risentito.

Sei l'altra metà di me, per questo mi sento instabile senza di te. Ma in quei due mesi, nonostante tutto, era cresciuta. Ora era la persona che poteva sostenerlo a pieno titolo, per un altruismo sincero che non derivava da timori nascosti.

Due minuti alla mezzanotte.

Rigirò il cordless tra le mani.

Il suo animo era talmente pieno che elaborò dei versi.

`E quando lo risentì, sparì l'oceano che li separava e i mesi in cui erano stati lontani. Fu come averlo accanto, e avere sulla pelle il suo respiro.`

Sorrise. Aveva ripreso la struttura della frase dal libro che lui le aveva regalato, ma erano parole vibranti che traboccavano da lei. Le avrebbe recitate al suo unico amore, senza vergognarsene.

Meno trenta secondi.

Tremando, si preparò a comporre il numero con le dita.

Allora, prefisso 001, poi 617. Guardò l'orologio, in attesa, per iniziare a premere i tasti solo quando il contatore dei secondi fosse arrivato almeno a cinquant-...

Un trillio esplose nella stanza.

Ami guardò incredula il telefono. Il suono dello squillo si stava perdendo nell'aria.

Col cuore in gola schiacciò subito il tasto di risposta, quasi sbattendo la cornetta contro l'orecchio.

«... pronto?»

«Ami.»

Le uscì un lamento. «Alex!»

Non riuscì a formare una sola altra parola: scoppiò a piangere, lacrime su lacrime a inondarle la faccia.

«Ah, love, don't cry.»

Provò a rispondergli, ma i singhiozzi glielo impedivano, per la ragione migliore che potesse esistere: felicità pura. Mai nella sua vita si era sentita così...

«Per me non è cambiato niente, Ami. Dimmi che per te è la stesso.»

«I love you!» Si costrinse a deglutire. «Sono stata una stupida! Ogni giorno ho pensato a te.»

La risposta di lui fu un sospiro. Lei provò la sua stessa pace.

Rise, ancora pianse, ma era solo per gioia. «Come stai?»

«Non sai quante cose ho da raccontarti.»

Lei si abbandonò sul cuscino. «Anche io.»

Lo sentì ridere - una cosa così bella. «Hai scoperto nuovi teletrasporti?»

No, aveva scoperto una Ami nuova - grazie a lui, per lui. «Prima voglio sentire tutto quello che ti è successo. Non facevo che immaginarlo.»

«Io non facevo che immaginarti da sola, love.»

«Non lo ero.» Non lo era mai stata, comprese. In nessun momento.

Fu come sentire l'ultimissimo tassello di sé che andava finalmente al proprio posto. «Eri con me.» Lui l'aveva pensata per tutto il tempo.

«Sì. Ma sono riuscito a studiare un po'.»

Lei sorrise e inspirò a fondo, smettendo di piangere. «Raccontami.»

Ascoltò, non seppe per quante ore. E parlò, per buona parte della notte.

Quel giorno finirono la sua attesa, i suoi incubi, le sue paure.

Quel giorno cominciò il suo nuovo mondo.

 


Settembre/ottobre 1997 - Separazione e... - FINE

 


Note: Piango di commozione per essere riuscita a raccontare questa lunga vicenda di Ami e Alexander, che finalmente ha avuto fine. Da questo momento in poi, solo leggerezza in questa raccolta! :) Nel prossimo capitolo leggerete anche di Shun e Arimi (Alexander li ha incontrati spesso). Tornerò al punto di vista di lui, dato che Ami - infine, di nuovo, clap clap, Ami-chan - ha messo da parte le sue fisime. Proprio per questo, la vedrete comportarsi anche in maniera più, ehm, disinibita.

Grazie di essere qui a leggere e se vorrete dirmi cosa ne pensate, sarò felice come Ami in questo capitolo (quasi :D).

Elle

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

   
 
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