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Autore: Mana Sputachu    03/07/2016    1 recensioni
Quella dei se e dei forse era una pila enorme, ma era più di quanto avevamo in quel momento. E in quel momento non avevamo niente se non la morte che ci stava col fiato sul collo.
[Prima classificata al contest Apocalisse: Vivere o Morire indetto da ManuFury su Efp]
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hwoarang, Jin Kazama, Lars Alexandersson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dal tramonto all’alba



È la fine del mondo e sono relativamente tranquillo.


“Vaffanculo!”

Se Hwoarang fosse stato presente avrebbe riso di quella sua caduta di stile. Invece Jin è solo nei sotterranei di quella che una volta era la Mishima Zaibatsu.

Solo e con un’orda di zombie alle costole, si corregge.

Maledice ancora una volta la sua fortuna, ma soprattutto maledice l’idea stupida di tornare indietro quando erano a tanto così dal riuscire a scappare dalla città.

Andate avanti che vi raggiungo, avevo detto. Farò presto, avevo detto.

Il suo sarcasmo mentale quasi gli costa un morso alla gamba, ma riesce velocemente a scansarsi e colpire il suo marcescente assalitore con un calcio ben assestato che gli apre la testa in due. Senza indugiare oltre corre verso il garage nella speranza di trovare qualcuna delle vecchie jeep della Tekken Force e usarla per uscire di lì. Non osa sperare che abbiano tutte il serbatoio pieno, per questo ha nel suo zaino una tanica di benzina, quanto basta per arrivare ai confini della città e, spera, ritrovare gli altri.

Gli basta un attimo per capire che qualcosa non va. Cosa, esattamente, non lo sa, ma sente quello strano formicolio alla nuca che avverte ogni volta che sta per succedere qualcosa di brutto, e in genere ci azzecca: una rapida occhiata ai parcheggi gli conferma che ci sono ancora veicoli posteggiati in garage, e questo è un bene; tuttavia sono pochi probabilmente i superstiti della Zaibatsu li hanno usati per fuggire da lì e non possono fornirgli riparo nel caso in cui…

Aaaarrrh…

...nel caso in cui ci siano zombie anche lì. E questo è decisamente un male.

Reprime a fatica l’ennesimo vaffanculo e accelera il passo, sforzandosi di capire da dove arrivino i versi distorti dall’eco. Posa istintivamente la mano sul fucile a pompa, un Remington 870 che ha trovato nell’armeria della Zaibatsu assieme a munizioni e pistole di vario genere. Non che sappia usarlo benissimo, ma averlo con sé lo rassicura. Avrebbe voluto chiedere a Hwoarang o Lars di insegnargli a sparare un po’ meglio, ma ormai è tardi per lamentarsene. E comunque Corea avrebbe preferito farsi infettare piuttosto che dirmi di sì, aggiunge, scocciato.

Finalmente vede una jeep e tira un sospiro di sollievo: aveva accarezzato l’idea di usare un furgoncino, di quelli delle squadre d’assalto della Force, ma avrebbe voluto dire cercare le chiavi e perdere altro tempo, e nel caso peggiore avrebbe dovuto rompere un vetro, sperare di farlo partire usando i fili dell’accensione e magari non crepare nel frattempo, perché i rumori avrebbero sicuramente attirato altri zombie. La jeep va benissimo, si ripete. Non è coperta ma almeno non deve rompere vetri per entrare, e soprattutto per quella ha già la chiave. Grazie, Nina.

Sente un pizzicore al braccio sinistro, che accarezza istintivamente con la mano libera. Si chiede se non avrebbe dovuto prendere qualche altro farmaco dall’infermeria o dal laboratorio di Boskonovitch, ma in fondo rimuginarci è inutile: non sono antidoti, e in ogni caso fungerebbero solo da palliativi.

I suoi pensieri vengono interrotti da un urlo agghiacciante, poi un secondo ed un terzo: in fondo al garage intravede tre figure ricoperte di sangue, una donna e due uomini.

Corridori.

Fa appena in tempo a pensarlo che li vede lanciarsi contro di lui ringhiando.

Senza pensarci Jin salta dentro la jeep, lancia lo zaino sul sedile del passeggero e imbraccia il Remington, prendendo la mira e facendo fuoco: riesce ad abbatterne due, ma quando tenta di abbattere la donna si accorge con orrore di aver finito i colpi.

Vaffanculo!


*

Fino a poche ore fa osavamo ancora sperare che saremmo riusciti ad uscirne vivi.


“Due taniche di benzina da due litri l’una, torce con batterie e cibo in scatola.”

“Ancora anguilla?”

“Scusa, Corea, la prossima volta mi assicurerò di trovare del foie gras per il tuo palato delicato.”

“Ok ok, non c’è bisogno di litigare. Abbiamo ancora scatole di fagioli e macedonia, e… altra roba che non ricordo. Almeno il cibo per ora non ci manca.”

“Meglio che tieni i fagioli lontani dal coreano, non ha bisogno di altro carburante per i suoi fuochi d’artificio notturni.”

Jin sbuffa e di nuovo si intromette tra Lars e Hwoarang prima che se le diano di santa ragione.

“Maledizione, piantatela! Non ho voglia di fare la maestra dell’asilo, non in una situazione del genere!”

I due si guardano in cagnesco un’ultima volta, poi si allontanano di qualche passo l’uno dall’altro.

“Grazie.”

Nessuno dei due si degna di rispondergli: Lars torna a smistare la roba che ha recuperato, Hwoarang si butta sul divano e si distrae smontando e rimontando una Glock trovata giorni prima nell’armeria della Zaibatsu.

Jin sospira e accantona l’idea di provare a parlare col coreano: il suo umore è pessimo da giorni, e sa di non essere in grado di tirarlo su, non in quel momento e in quelle condizioni. Probabilmente non ne sarebbe capace e basta. Decide che concentrarsi sul loro piano è la cosa migliore, così si avvicina a Lars, intento a studiare una grande mappa di Tokyo in cui hanno segnato tutti i punti focali: le mura d’emergenza che delimitano la città, aree in cui possono ancora rifornirsi e quelle da esplorare, le zone da evitare. E poi, cerchiata in rosso, una zona di Kanagawa dove Lars sapeva esserci un elicottero della G-Corp. Doveva portare in salvo i sopravvissuti dell’altra corporazione, ma qualcosa era andato storto e il velivolo era rimasto incustodito. Questa era stata l’ultima informazione che Nina aveva dato loro, insieme alle chiavi del garage, prima di uscire in ricognizione e non fare ritorno. Hwoarang aveva suggerito che probabilmente la Williams se l’era data a gambe senza di loro. Jin e Lars non se l’erano sentita di dargli torto.

“Visto qualcosa d’interessante durante la scampagnata?” chiede, con un tono allegro, nel tentativo di mitigare il nervosismo. L’altro non sembra aver colto: “Corridori. Sono molti di più dell’altra volta.”

“Ne sei sicuro?”

“Ne ho visti almeno due gruppi, molto numerosi” replica, segnando con un pennarello due cerchi vicino a Shibuya, “qui e qui. Non escludo che ce ne siano altri. Per fortuna non mi hanno visto, erano impegnati a… banchettare” deglutisce. “Chiunque fosse era già morto, non potevo fare nulla. Non urlava neanche” si giustifica, ma Jin non lo accusa di nulla. Ormai è una questione di semplice sopravvivenza: ci avevano provato a salvare più persone possibili, durante i primi giorni, ma avevano scoperto troppo presto e nel peggiore dei modi che non ci sarebbero riusciti. Non potevano sapere che c’era un infetto tra i sopravvissuti, e al loro rientro dopo una ronda quel rifugio si era trasformato in un’armata famelica a cui erano sfuggiti per un pelo.


Le buone intenzioni sono belle e nobili, ma a volte non bastano per fare di te un eroe.


“Inoltre…”

“L’hai visto ancora?”

“Sì.”

Jin digrigna i denti. Aveva sperato di non rivedere più quel tizio inquietante, il russo, non dopo che tempo addietro era riuscito a rapirlo e usare il suo alter ego come cavia da laboratorio. Anche se Devil Jin era stato il soggetto degli esperimenti, il corpo rimaneva il suo e ricordava ogni scarica elettrica, ogni ago.

Fottuto bastardo.

Per qualche strana ragione era comparso a Tokyo poco dopo lo scoppio dell’epidemia: lo aveva visto vagare per le vie deserte, eliminando infetti con fare disinteressato, e con altrettanta apatia ignorava le richieste d’aiuto che ogni tanto rompevano il silenzio di quella città morta. Alle volte si accompagnava a quell’altro tizio inquietante, quel Bryan Fury la cui fama non proprio cristallina lo precedeva ad ogni edizione del Torneo. Dello strano duo lui era quello che sparava a vista a chiunque, infetti o superstiti che fossero.

“Fai attenzione, molta più attenzione da ora in poi” lo avverte lo svedese, “non mi stupirei se il russo stesse di nuovo cercando te, e sarebbe carino riuscire ad scappare da qui tutti insieme, possibilmente vivi”. Jin annuisce, promettendo di tenere gli occhi aperti. “A proposito, come stiamo messi a benzina?”

“Con le due taniche che hai portato ne abbiamo abbastanza per oltrepassare abbondantemente le mura” replica Jin, “ma se riuscissimo a trovarne qualche altra non mi farebbe schifo.”

“Abbiamo abbastanza tempo?”

“Il lancio della testata nucleare è previsto per tre giorni da oggi. Dovremmo farcela.”

“Dobbiamo” lo corregge, passandosi una mano sul volto stanco.

“Vai a riposare qualche ora” propone Jin, “qui ci penso io. Magari più tardi vado a cercare altra benzina. Quando lui si sarà calmato” aggiunge a bassa voce, facendo un cenno con la testa verso Hwoarang. Lars non ci pensa due volte e borbotta un grazie; prima di collassare sul divano gli intima ancora di stare attento, poi sprofonda in un sonno profondo. Hwoarang, seduto per terra su un vecchio materasso, rivolge un’occhiataccia allo svedese ma ha la decenza di non muovere un dito, preferendo dedicarsi alla Glock. Tanto meglio pensa accomodandosi sull’altro materasso, non prima di aver acchiappato il suo pc portatile e un paio di umaibo* che teneva da parte nello zaino.

“Ma quanti ne hai ancora di quelli?”

Si volta verso il coreano, che lo guarda di sbieco. “Parecchi” ammette, aprendone uno “ho fatto scorta l’ultima volta che sono uscito in ricognizione. Vuoi?” chiede, e l’altro fa spallucce. Prendendolo come un sì gliene lancia uno, e intanto accende il pc.

“Se dopo decidi di uscire vengo con te” riprende Hwoarang, “che se dovessi spararti da solo su un piede il tuo zio svervegese mi romperebbe il cazzo in eterno.”

Jin fa una smorfia e acconsente, sperando che la cosa possa calmarlo.

L’umore del coreano è pessimo da giorni, da quando Steve era stato infettato.

Kill me, mate. I don’t want to be a monster” aveva pianto il pugile inglese, cosciente di essere ormai giunto al limite e che la sua sanità mentale stava per abbandonarlo.

Era stato Lars ad assumersi la responsabilità di ucciderlo, quando il ragazzo aveva cominciato a dire cose strane e ringhiare contro l’amico.

Lars aveva ucciso Steve, e questo Hwoarang non glielo aveva perdonato.

Basta.

Continuare a rimuginarci non serve a nulla a parte acuire i suoi sensi di colpa. Renditi utile e controlla se ci sono news, si impone, e si fionda sul motore di ricerca. Pensa brevemente a quanto siano stati fortunati ad avere elettricità e connessione internet ancora funzionanti: erano giunti alla conclusione che doveva esserci ancora qualche impiegato sopravvissuto barricato dentro la centrale elettrica che si impegnava a garantire luce e vie di comunicazione a quelli ancora vivi. Non sa quanto durerà ancora, ma l’importante è che possano continuare a usufruirne per altri due giorni, il tempo di finire i preparativi e scappare.

Prima che Tokyo venga rasa al suolo.

I risultati che Yahoo Japan gli offre sono sempre gli stessi: il paese è in ginocchio, la popolazione quasi del tutto annientata ad esclusione di poche zone rurali e alcune isole, mentre le grandi città sono ormai deserte, solo una manciata di sopravvissuti. Che creperanno qui dentro grazie a voi, rimugina fra sé e sé, ripensando alla geniale idea del governo di delimitare le città col più alto rischio di contagio con mura pattugliate giorno e notte, col risultato di trasformarle in tombe per chi non era riuscito a scappare in tempo. Non che fossero riuscite a completarle, in realtà: l’epidemia era sfuggita di mano quando le mura che dovevano separare Tokyo dalla prefettura di Kanagawa erano ancora incomplete, lasciando un varco che avevano deciso di sfruttare come via di fuga. Non avevano idea di cosa avrebbero trovato una volta fuori, ma rimanere lì non era più un’opzione.

Una ricerca estesa anche alle notizie estere gli conferma che la situazione nel resto dell’Asia sembra più contenuta e che l’infezione sia stata presa in tempo, abbastanza da poterne isolare i focolai e tenerli in quarantena nella speranza di capire come avviene il contagio, perché ha effetti così diversi da persona a persona e, forse (molto forse), trovare una cura.


Quella dei se e dei forse era una pila enorme, ma era più di quanto avevamo in quel momento. E in quel momento non avevamo niente se non la morte che ci stava col fiato sul collo.


Solo due settimane prima le tv di tutta la nazione avevano trasmesso speciali sulla “più aggressiva influenza degli ultimi anni” che aveva colpito metà della popolazione. “I medici dicono che non c’è da preoccuparsi, è solo influenza” ripetevano i telegiornali, almeno finché la gente non aveva cominciato a morire: adulti, anziani, bambini, l’epidemia non risparmiava nessuno.

“Forse è una forma particolarmente letale di meningite” si era vociferato, perché la sintomatologia era simile, e le ricerche per una cura si erano tutte concentrate su quel fronte.

Poi i sintomi avevano cominciato a mutare.

Chi non moriva nel giro di pochi giorni soffriva di cefalea, nausea, convulsioni e alterazioni dello stato di coscienza che si trasformavano in comportamenti al limite dell’assurdo: gente che si fermava all’improvviso e cominciava a parlare di cose senza senso, altri che camminavano all’indietro, chi rimaneva semplicemente fermo in silenzio; gli avvistamenti di gruppi interi di persone immobili a Yoyogi Park e altre grandi aree aumentavano esponenzialmente. Solo allora l’infezione evolveva ancora, spingendo alcuni degli contagiati a uccidersi nelle maniere più atroci (chi lanciandosi dal tetto di un palazzo, chi andandosi a schiantare in auto contro un albero, e così via), mentre altri… impazzivano. Perdevano il lume della ragione. diventando rabbiosi e incredibilmente violenti e con il solo scopo di attaccare chi non era infetto.

Zombie. Schifosissimi, fottutissimi zombie.

Alcuni avanzavano lenti e marcescenti, altri invece si erano rivelati capaci di correre velocissimi ed erano molto più aggressivi dei primi, confermando l’idea che il virus continuava a mutare anche dopo aver infettato il suo ospite. Jin li aveva soprannominati corridori.

Ci voleva giusto un T-Virus* a movimentarmi le giornate già così monotone.

Di cose assurde e inspiegabili, nella sua giovane vita, Jin ne ha viste e vissute più di quante voglia ammetterne. La sua stessa esistenza è qualcosa di inspiegabile, un essere umano con geni demoniaci nel suo DNA. Eppure è lì, vivo, esiste. E ora esistono anche quelle creature che fino ad allora avevano popolato quei film e videogiochi che tanto amava.

Era ancora nel suo ufficio alla Zaibatsu quando si era scatenato il panico per “la gente che mordeva altra gente”, e gli era bastata un’occhiata fuori dalla finestra per appurare che quanto stava succedendo era vero e non isteria di massa che somigliava fin troppo a Biohazard*. Aveva messo  la Tekken Force a disposizione della polizia e dei cittadini per aiutare chi ne avesse bisogno e contenere eventuali rivolte un bieco tentativo di scontare i miei peccati pensa ma dopo i primi, fallimentari tentativi di soccorso, i sopravvissuti avevano cominciato a contestare la Force, convincendosi che quella pandemia era sicuramente causa loro, che li stavano usando come cavie per testare armi batteriologiche: se ci fosse stato ancora il vecchio di merda a capo della baracca lo avrebbe pensato persino Jin, ma data la situazione era più che certo che non fosse opera loro e che Boskonovitch non gli avesse nascosto nessun tipo di ricerca. Aveva pensato invece che potesse entrarci la G-Corp, perché era il tipo di pantano in cui Kazuya avrebbe sguazzato con discreto piacere, ma non aveva avuto modo di appurarlo perché si era passati da panico collettivo ad apocalisse nel giro di una settimana; durante la seconda la popolazione di Tokyo era stata abbondantemente annientata. L’annuncio della testata nucleare lanciata sulla città era di soli tre giorni prima.

E continuare a ricordartelo non servirà a farvi scappare di qui si ripete, cercando distrazione nella casella di posta elettronica. Un messaggio gli strappa un sorriso e un sospiro di sollievo.

“A giudicare da quella faccia inebetita ne deduco che la tua scatolina cinese si sia fatta viva e sia ancora tutta intera” commenta Hwoarang, con un tono di voce più rilassato. “Che dice di bello?”

“Hong Kong è sicura” replica riassumendo il contenuto della mail, “i pochi focolai sono stati isolati e si sta già lavorando ad una possibile cura. Anche gli altri stanno bene” aggiunge, e Hwoarang annuisce con aria soddisfatta. Jin si trova d’accordo con lui. Xiao era riuscita a scappare durante i primi giorni, quando gli aeroporti non erano ancora stati chiusi, trascinandosi dietro Miharu e Julia: era in ansia per il nonno Wang, e aveva pregato Jin di andare con lei. Alla risposta negativa di lui (il momento migliore per improvvisarmi eroe dannato, decisamente) aveva piantato una scenata epocale spinta dalla preoccupazione per il ragazzo, che si era poi conclusa con la promessa di tenersi costantemente in contatto e di raggiungerla appena possibile. Da allora si erano sempre aggiornati a vicenda, e grazie alla cinesina sapeva che Lei, Paul e Marshall erano riusciti a scappare in America, mentre lo stalking della Rochefort aveva salvato il sedere di sua cugina Asuka. Adesso erano entrambe a Monaco, dove l’epidemia sembrava non essere arrivata.

Avevano deciso di raggiungere Xiao ad Hong Kong per riunirsi a lei, e magari saperne di più su quel fantomatico antivirus, per poi spostarsi in una zona più sicura.

Almeno spero.

Risponde brevemente a Xiao, chiude il laptop e si rimette in piedi, raccogliendo il suo zaino: “Avanti, muovi quelle chiappe coreane o ti mollo qui” si rivolge a Hwoarang, che si alza di scatto e raccatta armi e bagagli.

Mentre si chiude la porta alle spalle Jin si volta verso Lars, ancora addormentato, e per un istante si chiede se non sia il caso di avvisarlo e sbarrare meglio la porta.

Il coreano sembra intuire i suoi pensieri: “Sta tranquillo, l’uomo che venne dall’Ikea è al sicuro. Siamo all’ultimo piano e non hanno ancora imparato ad aprire le porte.”

“Chiamami paranoico ma questo non basta a rassicurarmi.”
“Ogni volta che sono rimasto io qui da solo a dormire non è mai successo nulla.”

“È perché non sentivano l’odore di un cervello funzionante.”

“...Kazama, vaffanculo.”


*


In meno di un’ora riescono a raccattare altra benzina, parecchi onigiri confezionati e altri tipi di cibo già pronto, e persino materiale di primo soccorso. La ricerca è stata fruttuosa e relativamente tranquilla: seguendo le indicazioni di Lars hanno evitato Shibuya e i gruppi di corridori, proseguendo invece per Shinjuku e camminando lungo la Toei Oedo Line, fermandosi ad ogni negozio che non fosse devastato; tutto il distretto sembrava deserto, ad eccezione di pochi infetti in avanzato stato di decomposizione. È mentre Hwoarang setaccia senza successo la stazione di polizia alla ricerca di munizioni che Jin ha un’epifania: “Se non ricordo male c’è un ospedale, proseguendo lungo questa strada. E poco dopo un alimentari.”

Il coreano gli si avvicina, tira fuori la mappa e gli chiede di indicare il punto in cui si trovano: “Siamo al limite di Shibuya, da lì in poi è Nakano” risponde, indicando la stazione di polizia e poi l’ospedale. L’altro mette via la mappa e annuisce: “Ok, io non capisco niente dei diecimila quartieri in cui è suddivisa Tokyo, ma visto che siamo qui direi che potremmo fare un salto al negozio di cui parli e magari prendere qualche altro cerotto sulla via del ritorno.”

Jin aggrotta le sopracciglia: “Non abbiamo idea di quale sia la situazione a Nakano. Non ci siamo mai stati, e non sappiamo-”
“Se non ci proviamo non lo sapremo! Al punto in cui siamo cos’abbiamo da perdere?”

“La vita?”

“Certo che come ammazzi tu le gioie, nessuno.”

Addentrarsi in una zona ancora inesplorata, senza la minima idea di quale fosse la situazione se ci sono superstiti, se avrebbero trovato dei corridori è una cosa che non lo convince per niente, se lo sente nelle ossa. Ma la prospettiva di trovare altre provviste e medicinali è allettante, e alla fine cede.

“Ok, una cosa veloce. Niente colpi di testa.”

Hwoarang sorride: “Parola di boyscout!”

“Tu non sei mai stato un boyscout.”


*


A posteriori mi maledico per non aver dato retta al mio istinto.


“Direi che la passeggiata è stata un buco nell’acqua.”

Se la visita al negozio di alimentari si era rivelata utile, quella all’ospedale era stata una perdita di tempo: qualcun altro aveva già provveduto a saccheggiarlo, lasciando in giro giusto qualche antidolorifico e una camera mortuaria piena di zombie (con la porta sbarrata, come unica fortuna).

Jin annuisce mentre ripone le poche cose utili trovate nello zaino (qualche medicinale, siringhe, bende) e lo rimette in spalla: “Io te l’avevo detto che non era il caso.”

Hwoarang grugnisce: “Ti odio quando dici’ te l’avevo detto’.”

“Ma te l’avevo detto.”

Continuano a battibeccare mentre si fanno largo tra i corridoi bui, una mano sulle torce e l’altra sulle armi; la discussione continua, anche se in toni abbastanza tranquilli e a Jin in fondo non dispiace: prima di quello le litigate e le risse erano la norma tra lui e Hwoarang, e ora più che mai ha bisogno di qualcosa che sappia di normalità. E suppone che per il coreano decolorato valga lo stesso.

Stanno attraversando il corridoio del primo piano per andare verso le scale quando Jin sente di nuovo quel fastidioso formicolio dietro la nuca.

“Adesso che hai?” chiede Hwoarang, ma non gli risponde subito. Si guarda attorno tendendo le orecchie, ma per un attimo sembra quietarsi: “Credevo di aver sentito qualcosa, ma forse mi sono sbagliato…”

Riprendono il cammino, ma poco dopo Jin si ferma ancora.

“Passi.”

“Sei sicuro? Magari è solo l’eco dei nostri, col silenzio che c’è qui” replica l’altro, ma si zittisce appena in tempo per sentirli anche lui.

STOMP.

Passi pesanti, non trascinati.

STOMP.

Jin si avvicina con cautela alla balaustra che si affaccia sulla hall dell’ospedale.

Merda!

Si nasconde dietro la parete trascinando Hwoarang con sé e facendogli cenno di parlare a bassa voce. Con una mano indica il piano inferiore. Il coreano soffoca un ringhio: “Cazzo…”

Sotto di loro Bryan Fury e il russo stanno perlustrando l’ambiente, precludendo loro la via di fuga.

“Che facciamo adesso?” sussurra Hwoarang. “Finché stanno lì non possiamo uscire dall’entrata principale!”

Jin non risponde ma ha gli occhi inchiodati sugli altri due, che continuano a vagare senza meta per la hall: qualcosa nel loro comportamento lo mette all’erta, così li tiene d’occhio, mentre il coreano borbotta cose sul non potersi neanche muovere da lì finché quei due non si spostano altrimenti li sentiranno. Lo zittisce con un gesto della mano e gli fa cenno di osservare Fury: “Guardalo. Noti niente di strano?”

Hwoarang fa quanto detto. Bryan Fury, al piano di sotto, all’apparenza sembra il solito stronzo che uccide per divertimento, eppure qualcosa non va: i suoi occhi si muovono nervosamente da un punto a un altro, si ferma spesso per poi fare qualche passo all’indietro, e anche se non può sentirlo bene nota le sue labbra aprirsi e chiudersi velocemente, come se stesse parlando da solo. Inoltre anche il russo sembra studiarlo da lontano: probabilmente ha il suo stesso sospetto e aspetta il momento buono per farlo fuori.

Quello sarebbe un colpo di fortuna notevole.

È infetto?” chiede Hwoarang, e Jin annuisce. “Probabile. Quello che mi chiedo è come sia riuscito a contrarre il virus” riflette, “è un maledetto cyborg!*”

“Evidentemente gli era rimasta abbastanza umanità da volerla cancellare così” replica l’altro. “E per noi ovviamente mai una gioia. Dobbiamo fare lo slalom tra due pazzi di cui uno infetto. E non possiamo né scendere le scale né tornare indietro!”

“Aspetta a parlare, credo si stiano spostando” sussurra, sporgendosi di poco oltre la balaustra. “Ok, andiamo” comunica, e torna indietro verso l’ex reparto di ortopedia da cui sono arrivati. “Ho visto una pianta dell’ospedale poco fa, vediamo dove sono le scale d’emergenza.”


In fondo non chiedevo poi molto, solo di riuscire a fuggire da lì senza che quei due squilibrati ci notassero.


“Ok, dovremmo esserci.”

Due reparti dopo trovano finalmente le scale. Jin consulta la planimetria (saggiamente staccata dal muro, per non dover andare a memoria) e indica la svolta a sinistra nel corridoio dove si trovano, una decina di metri più avanti. Apparentemente sono riusciti a seminare Fury e il russo, ma non è il caso di accertarsene.

“Dici che regge?” chiede Hwoarang, osservando il pavimento diroccato: c’è un punto in cui le travi sono evidenti e il cemento ha ceduto, formando un buco che offre una visione sul piano sottostante. Il resto è pieno di crepe e non ha un’aria altrettanto stabile. Jin si sporge leggermente oltre il buco: “Non abbiamo molta scelta, Corea. A meno che tu non voglia fare due chiacchiere con quei due.”

Hwoarang non se lo fa ripetere due volte e attraversa la zona pericolante, evitando per quanto possibile l’apertura sul pavimento. Riesce a passare oltre senza cadere di sotto. Jin rimane fermo a guardarlo per un istante, al che l‘altro allarga le braccia facendogli capire che sarebbe il caso di sbrigarsi. “Arrivo, arrivo” borbotta, e cerca di ripetere i passi del coreano: cammina raso muro lontano dal foro, cercando di ricordare tutti i punti (relativamente) sicuri.

Ma basta una disattenzione a fargli mettere il piede sinistro su una trave pericolante che si spezza e lo fa cadere di sotto.

“Kazama!”

“Porca vacca…”

Per sua fortuna atterra su una superficie stranamente soffice, e a parte qualche graffio dato dai detriti che gli sono caduti addosso non sembra essersi fatto nulla.

“Kazama?!”

“Sto bene, sto bene” replica, “tu piuttosto non urlare… non mi stupirei se avessero sentito il crollo.”

Rimettendosi in piedi ha modo di scoprire che la cosa soffice su cui è caduto era una montagna di sacchi di lenzuola da lavare. “Senti, tu scappa tramite le scale. Io vedo di uscire dall’entrata principale, non dovrei essere troppo lontano” aggiunge, e tira di nuovo fuori la mappa, sforzandosi di leggerla nonostante la poca luce. Hwoarang però non sembra essere d’accordo: “Non dire cazzate! Vado a cercare una corda o una cosa qualsiasi per tirarti su!”

“Sei gentile a preoccuparti, sul serio, ma nelle condizioni in cui è il pavimento rischi di raggiungermi da un momento all’altro” gesticola verso lo squarcio sopra di lui “se provassi a recuperarmi rischierebbe di crollare ulteriormente. E se ci facciamo male e quei due ci trovano…”

“Ok ok, ho afferrato” borbotta l’altro. Non sembra avere voglia di muoversi da lì, ma alla fine è costretto a capitolare: “Va bene, ci vediamo fuori. Ma vedi di non farti ammazzare, non voglio dover dare spiegazioni al tuo zio svervegese!”

Jin sorride e fa il saluto militare: “Agli ordini, capo.”

Lo sente borbottare un “‘fanculo” e i passi che si fanno più lontani, fino a non udirli più.

Ok, vediamo di uscire di qui.

La mappa gli rivela che si trova nella zona lavanderia: lo stesso corridoio ospita le cucine e gli spogliatoi degli infermieri, ed è connesso all’area del pronto soccorso. Da lì dovrebbe tornare alla hall e imboccare la porta d’uscita.

Sempre se quei due non sono tornati a controllare la fonte dei rumore…

Ma stare ad aspettare non è un’opzione, senza contare che da dove si trova non ha nessun’altra via di fuga, quindi si fa largo tra i detriti e si fionda in corridoio facendo attenzione.

Via libera.

Anche il pronto soccorso sembra apparentemente sgombro, e per questo decide di tirare dritto fino alla hall senza controllare tutte le stanze. L’urgenza di uscire da lì è tale da spingerlo a ignorare quel rumore sospetto alle sue spalle, convinto sia solo un ratto o una porta che cigola spinta dal vento.

Ma qui non c’è vento…

Nel giro di un secondo si ritrova due braccia attorno al collo che lo stringono con una forza inumana.

“Ma tu guarda se non è il piccolo Mishima, questo! Preda grossa, oggi!”

Merda!

Tutto ciò che riesce a dire è un “F-Fury” mezzo soffocato, mentre cerca inutilmente di liberarsi da quella morsa micidiale. L’altro non manca di notare i suoi inutili sforzi e ride sguaiato: “In carne, ossa e scheletro in adamantio!*”

“D-dimentichi infezione” replica Jin, ma con sua somma sorpresa l’altro non si altera: “Oh, mi hai rovinato la sorpresa! Peccato, mi sarebbe piaciuto lasciarti un ricordino di cui ti saresti accorto troppo tardi” stringe la presa, “a proposito, come se ne sei accorto? Non ti facevo così sveglio.”
“T-ti ho visto dalla balaustra del primo piano… tu e il russo” ammette, senza fare riferimenti a Hwoarang. Una vittima basta e avanza.

“Ma dai, dovevi essere il primo della classe a scuola!” Bryan ride ancora, e avvicina la mano libera al viso di Jin: la pelle è grigia e il sangue infetto sotto le unghie è rappreso. “Un solo graffietto e sei fottuto, Mishima Jr. Poi lascerò al russo l’onore di finirti. Non sarà contento all’idea di non poter continuare i suoi esperimenti su di te, ma ehi... frega cazzi. Io ho delle priorità” ghigna e piega le dita ad artiglio.

“Non… non contarci!”

Jin riesce fortuitamente a calciare il cyborg tra le gambe, abbastanza da fargli allentare la presa sul suo collo e liberarsi: gli afferra il braccio sinistro e un lembo del gilet, sollevandolo abbastanza da lanciarlo per terra. Cerca di scavalcarlo e imboccare la porta ma Bryan lo blocca per una gamba e lo fa cadere. Lo zaino e il fucile a pompa cadono con lui, però non fa in tempo ad afferrare l’arma perché l’altro lo volta di schiena e gli si siede a cavalcioni sul petto: “Mi spiace stronzetto, ci vuole ben altro per mettermi K.O” ringhia Bryan, gli occhi iniettati di sangue. “La regina è morta, lunga vita alla regina!”

È completamente andato! pensa mentre ascolta i deliri del cyborg: l’infezione è ormai avanzata e non manca poco prima che muti del tutto. E uno zombie con la forza di Fury…

“Lunga vita alla regina! L’impero è caduto, le porte dell’inferno si sono spalancate e Satana è pronto a calpestare questa terra insieme al suo esercito di demoni!”

Jin allunga il braccio oltre la sua testa e tasta attorno fino a trovare il fucile a pompa. Il cyborg è talmente perso nei suoi deliri che non se ne accorge neanche. Con un po’ di fortuna riesce ad afferrare la canna dell arma fino ad impugnarla come una clava, e con un movimento velocissimo la usa per colpire Bryan sulla tempia.

“Mi spiace ma non rimarrò qui ad assistere-ARGH!”

L’altro lo ha afferrato per un polso, conficcando le unghie della zona di pelle scoperta. “Dasvidania* vostra grazia” ghigna, un ultimo delirio prima che Jin lo tramortisca con il fucile. Senza pensarci afferra lo zaino e corre verso le porte, attraversa la hall e imbocca l’uscita, senza neanche preoccuparsi di controllare se Bryan o il russo lo stiano inseguendo.

Appena fuori si nasconde dietro un’ambulanza rovesciata su un fianco, giusto in tempo per sentire la porta aprirsi di nuovo: si sporge con cautela e vede il russo perlustrare il cortile, ma non trovando presenze sospette torna dentro. Pochi minuti dopo sente un urlo agghiacciante provenire dall’interno, probabilmente del cyborg. Seguono diversi colpi, cinque, sei, poi silenzio.

Il russo deve aver trovato Fury e averlo eliminato.

Jin inspira: probabilmente ha poco tempo prima che l’altro esca, dovrebbe sbrigarsi ma non riesce a schiodarsi da lì. Solleva la manica e osserva la ferita, pochi graffi ma profondi. Prude terribilmente.

Vaffanculo.

Vorrebbe lasciarsi andare al panico, i Kami sanno se ne sente il bisogno, ma non può permetterselo. Hwoarang dovrebbe essere nei paraggi, devono tornare da Lars e scappare da Tokyo prima che venga rasa al suolo.

O quantomeno aiutare loro.

A se stesso penserà poi, ora ha bisogno di rimanere concentrato. Con un delle garze trovate in ospedale benda la ferita meglio che può, la copre con la manica della maglia e decide che non è il caso di far sapere al coreano e Lars le sue condizioni.

Poi, forse.

Finalmente si rimette in piedi e corre verso il cancello più silenziosamente che può, svolta a destra e percorre la strada fino ad arrivare alla fine delle mura dell’ospedale.

Nota una familiare testa rossa all’incrocio successivo.

“Hwoarang!”

“Finalmente, ma quanto ci hai messo?” gli si avvicina l’altro. “Ho sentito degli spari, credevo ti avessero trovato…”

“No, il russo ha fatto fuori Fury. Andiamocene prima che si accorga di noi.”

Il coreano annuisce e si incammina.

Jin, dietro di lui, si gratta il braccio sinistro.


Era una verità parziale, ma al momento era il meglio che potevo offrirgli.


*


“Dobbiamo andarcene. Hanno anticipato il lancio della testata nucleare.”

Alla Zaibatsu Lars li accoglie con la peggiore delle notizie.

“A quando?”
“Domani mattina alle sei. Ho controllato prima su internet.”

“Alle sei? Fra… sei ore?!”

“Ma porca puttana!”

Hwoarang completa la frase mollando un calcio al divano già malconcio. Jin è troppo sconvolto per replicare. Oltre il danno la beffa pensa, reprimendo l’istinto di toccarsi il braccio offeso.

“Sentite, se partiamo adesso ce la possiamo fare tranquillamente”  li richiama all’ordine lo svedese. Prende la mappa e mostra loro un percorso nuovo: “Ho fatto due calcoli, per arrivare a Kanagawa ci vuole un’ora e mezza, due se proprio incontriamo qualche ostacolo. Abbiamo abbastanza tempo per arrivare lì, trovare l’elicottero e sparire prima che la città venga rasa al suolo.”

Jin e Hwoarang si scambiano un’occhiata perplessa, e quest’ultimo annuisce: “Ok. Raccogliete tutte le provviste, io corro velocemente in armeria e recupero altre munizioni. Ci vediamo in garage” comunica, e senza perdere altro tempo afferra il suo zaino ed esce di corsa dalla stanza.

“Bene, diamoci da fare.”

Jin vorrebbe dare una mano a Lars a raccattare le loro cose, ma il suo corpo ha deciso di tradirlo proprio in quel momento. Se muovo un muscolo vomito pensa, sentendo la nausea riaffiorare e non solo quella.

Sei proprio una regina del melodramma, ragazzino.

Non urla solo per non allarmare Lars.

Vedi di stare zitto pensa, rivolgendosi all’altro: la sua parte demoniaca aveva cominciato a farsi sentire poco dopo la fuga dall’ospedale, e per un attimo aveva temuto fossero le prime avvisaglie dell’infezione.

Niente bua per te, ritieniti fortunato l’aveva schernito l’altro, quel virus non può toccarti. Aveva cercato di ignorarlo il più possibile, ma la stanchezza e la debolezza fisica non erano d’aiuto.

“Jin, tutto ok? Sei pallido.”

Lars è a mezzo metro da lui, lo zaino in spalla e due sacchi pieni di rifornimenti in mano. Jin fa sì con la testa e abbozza un sorriso: “Sono solo molto stanco, la visita all’ospedale non è stata esattamente una passeggiata di salute” ride (che battuta del cazzo aggiunge mentalmente). Per non farlo insospettire oltre acchiappa il suo zaino, una tanica di benzina rimanente e il fucile a pompa, combattendo la voglia di rimettere anche il cenone del Natale di dieci anni prima.

“In quale ospedale siete stati?”chiede lo svedese mentre apre la porta e si assicura il via libera.

“Nakano.”
“Perché diamine vi siete spinti fin là?”

“Colpa mia” ammette, “eravamo nei paraggi e pensavo di trovare altri medicinali. Invece c’erano solo Fury e il russo” si lascia sfuggire.

Lars sgrana gli occhi.

“Non ci hanno visti” mente, “ma ho sentito degli spari. Credo che Fury fosse infetto.”

Lo svedese sembra indeciso tra il sospiro di sollievo e la lavata di capo epocale. Decide di optare per un democratico: “Almeno non sono più un nostro problema. Ma quando saremo lontani da qui ne riparleremo” aggiunge. Jin sorride e lo segue in corridoio.

Stai diventando bravo a mentire.

Ancora lui. Cerca di ignorarlo, ma la voce non demorde.

Prima o poi lo scopriranno, lo sai.

Non se posso evitarlo.

E cosa vuoi fare esattamente? Continuare a bendarti fino a sembrare una mummia? Credo che allora due domande te le faranno.

Vaffanculo.

Sei fin troppo acido con chi sta cercando di salvarti il culo, ragazzino.

Tu salvare il culo a me? E domani che succede, piovono rane?

“Hai tu le chiavi del garage?”

La voce di Lars lo distoglie da quel battibecco mentale.

“Come?”

“Hai tu le chiavi del garage?” ripete, e Jin annuisce: “Sì sì, le ho io” risponde, sostenendo lo sguardo indagatore del suo zio acquisito. Quest’ultimo annuisce e riprende a camminare, oltrepassando i laboratori di Boskonovitch e imboccando le scale interne, quando vede Jin di nuovo fermo.

“Si può sapere che ti prende?!”

“Devo fare una cosa prima. Tu vai avanti” replica e lancia le chiavi del garage a Lars. “Voglio controllare il laboratorio.”

“Adesso?!”

“Abbiamo ancora sei ore, no?”

“Cinque ormai. E non mi pare il caso di perdere altro tempo!”

“Ci metto pochissimo, promesso. Voglio… voglio solo vedere se c’è qualcosa che possa tornarci utile, magari qualche cosa a cui Boskonovitch stava lavorando” mente di nuovo, ben sapendo che lo scienziato si era dileguato con Alisa alla fine della prima settimana di contagio. “O anche solo qualche farmaco che non ho notato le altre volte che sono stato lì” aggiunge, e la sua bugia sembra avere effetto: il bisogno di medicinali di primo soccorso è reale. Almeno questo.

Lars cede: “Ok. Dieci minuti, non di più. Ci vediamo in garage” conclude, e si fionda giù per le scale. Jin invece entra nei laboratori di Boskonovitch, puntando dritto agli armadietti e alle provette rimaste sui tavoli.

Fammi capire, vuoi veramente perdere tempo a cercare un antidoto che non esiste?

Non lo degna di una risposta e continua a spulciare i documenti sparsi in giro e leggere le etichette di ogni fiala o bottiglietta che trova. Riesce a recuperare due kit di pronto soccorso che gli erano sfuggiti la prima volta che aveva esplorato quelle stanze.

Sei veramente una causa persa, e non mi riferisco all’infezione.

Da parte sua ancora silenzio.

Davvero, dovresti toglierti il vizio di improvvisarti martire, non ti si addice. Finisci per combinare cazzate, come ben sappiamo.

La risatina dell’altro è una delle cose che più infastidiscono Jin, ma sa benissimo di non potersi permettere una litigata con l’altro se stesso. La sua ricerca sembra giunta al termine, quando nota delle fialette in un macchinario di cui non conosce la funzione. Ad un esame più attento nota degli appunti scritti in maniera affrettata: Tentativo di antivirus. Fallito.

Jin si sente mancare la terra sotto i piedi.

Sono morto.

E smettila col melodramma! Non sei morto.

Non ancora. Ma tra un’ora potrei…

Potresti, appunto. Non è detto. Tra un’ora vedrai, sono piuttosto sicuro che dovrai ringraziarmi.

Non credo proprio.

Parlare con te è come fare conversazione con un muro di gomma. Persino il coreano mi darebbe più soddisfazione.

Con quell’ultima frase finalmente si zittisce, e Jin decide di raggiungere gli altri in garage.

Ormai non ho più niente da perdere.


*


Mai nella vita avrei pensato che il mio io demoniaco sarebbe stato la mia unica salvezza.


Troppo lento.

Sta ancora cercando di ricaricare il fucile quando il corridore salta sulla jeep e tende le mani putrescenti verso di lui.

Merda!

“Abbassati!”

Non fa in tempo ad identificare la voce: si accovaccia di scatto, appena in tempo per sentire il rimbombo di uno sparo e il corridore che crolla in avanti. Jin lo calcia via con un piede e si volta verso il fondo del garage: Lars e Hwoarang stanno correndo verso di lui, quest’ultimo con un fucile di precisione in mano.

“Tu il fucile a pompa non lo sai usare!”

Jin ride, ride di gusto: “Non ti mando a fanculo solo perché ti devo un favore.”
“Uno enorme, bello mio” ridacchia l’altro, salendo sulla jeep insieme a Lars: “Allora, trovato nulla?” chiede quest’ultimo, prendendo posto al volante. Jin scuote la testa: “Poca roba, a parte un paio di kit di pronto soccorso. Il coreano invece ha avuto fortuna, vedo.”

“Oh sì, questo gioiellino stava nascosto sotto un armadietto dell’armeria” sorride, accarezzandolo come fosse un animaletto da compagnia: “L’ho chiamato Vera.*”

Jin scuote la testa e passa le chiavi della jeppe a Lars, che mette in moto: “Allacciatevi le cinture signorine, stiamo per decollare!”

La guida di Lars non è esattamente sicura e adatta ai deboli di stomaco, e non sarebbe nemmeno un problema se la nausea di Jin non si facesse risentire.

Tranquillo ragazzino. Passerà in fretta, te l’ho detto.

“Kazama, tutto ok? Stai sudando e hai una cera orribile.”

“Sono infetto.”

Lars inchioda di colpo, poco fuori il parcheggio della Zaibatsu, e sia lui che Hwoarang gli puntano gli occhi addosso.

“Tu cosa?!”

Lui non risponde e si limita a sollevare la manica sul braccio sinistro, mostrando la fasciatura.

“Ma… ma come, quando…?”
“Aspetta, aspetta! È stato Fury in ospedale, non è vero?” strilla il coreano, e Lars urla con lui: “Fury? Avevi detto di non esserti avvicinato a lui!”
Hwoarang sta per dire qualcosa, ma Jin lo zittisce: “Non importa, ormai è fatta.”
“Che vuol dire ‘ormai è fatta’? Non eri andato nel laboratorio di Boskonovitch a-”
“A cercare medicine, sì. E un antivirus” ammette. “Boskonovitch ci aveva provato a sintetizzarlo, prima di sparire dalla circolazione. Ma a quanto pare ha fallito, ho trovato dei test che lo confermavano.”

Per qualche minuto regna il silenzio. Sulle loro spalle grava il peso di quella notizia e la consapevolezza, almeno per Jin, che la fine sta arrivando.

“E ora?”
“Ora niente. Quando è il momento mi farete fuori” risponde secco, cercando di non lasciare apparire l’ansia che lo sta divorando dall’interno. O forse è l’infezione, pensa.

“Non… non esiste, un modo deve esserci” balbetta Lars, ma Jin fa cenno di no.

Te lo ripeto per l’ultima volta: tu non morirai.

“E perché dovrei crederti?” sussurra, senza neanche accorgersi di non averlo solo pensato.

“Jin, con chi parli?” chiede Hwoarang, senza ottenere risposta.

Perché mi servi, imbecille. Mi servi vivo per muovere il tuo corpo, disgraziatamente, se crepi non me ne faccio niente.

“Come posso esserne sicuro?” prosegue, ignaro degli sguardi preoccupati degli altri due.

Perché i miei pur vasti poteri non comprendono la negromanzia, ma posso fare in modo che il virus non attacchi le tue cellule. Quindi rassicura i tuoi compagni di viaggio, non diventerai uno zombie, ma rimarrai un idiota.

“Jin…?”

“Lui… lui dice che non mi succederà niente.”

“Lui chi?” chiede Lars, ma è Hwoarang a rispondere: “Aspetta, stavi parlando con lo Stronzone con le Lucette?

Jin ride e annuisce: “Chi l’avrebbe detto che un giorno sarei stato contento della mia maledizione?”

Ovviamente adesso ridi, mentre fino a due secondi fa facevi testamento. Davvero, ringrazia il fatto che mi servi.

Dopo qualche istante di silenzio Lars azzarda una domanda: “Pensi di poterti fidare?”

“Dice che gli servo vivo” replica. “Da cadavere non potrebbe… manovrarmi, per così dire.”

“Allora possiamo fidarci” commenta Hwoarang, “è il suo tipico modo di fare. Ora, uomo che venne dall’Ikea, rimetti in moto e cortesemente vedi di non inchiodare più in quel modo.”

Lars lo guarda torvo ma fa quanto detto, borbottando un dra åt helvete* che nessuno dei due sa cosa voglia dire, ma Jin sospetta sia una qualche parolaccia svedese.

Durante il tragitto rimangono in silenzio. Di quando in quando Lars e Hwoarang lanciano un’occhiata a Jin, perché in fondo nessuno di loro si fida troppo del suo io demoniaco, ma a Jin non da fastidio. Nemmeno lui si fida. Eppure…

Eppure sono ancora io pensa, controllando la ferita: i graffi sono sempre lì, ma appunto sembrano solo graffi. Niente più ematoma e sangue rappreso. La nausea è diminuita e anche la fiacchezza. Forse lui non mentiva.

“Sai, potresti avere trovato la soluzione.”

Jin si volta verso Lars: “Soluzione?”

“Sì, insomma… se davvero il gene Devil ha represso l’infezione si potrebbe sintetizzare un antivirus dal tuo sangue, o roba simile.”
“Scherzi? Col rischio di passare il gene a milioni di persone?”

“Questo non succede solo se fai un figlio, che avrà il tuo stesso dna? O vale anche per il sangue?”
“Beh… non lo so!” ammette. “Non ho idea di come funzioni la genetica demoniaca, ma non mi sembra il caso di rischiare.”

Lars fa spallucce: “Vedremo una volta arrivati ad Hong Kong. Ho già avvisato la tua scatolina cinese” sorride, e Jin arrossisce. Non lo ammetterà mai ad alta voce, ma non vede l’ora di riabbracciarla.

“Sai che mondo di merda se il gene Devil si potesse passare tramite l’antivirus sintetizzato dal sangue di Kazama?” borbotta Hwoarang, senza rivolgersi a nessuno in particolare. “Non diventano zombie ma in compenso gli spuntano loro corna e ali, e svolazzano in giro ridendo come degli squilibrati mentali. Una meraviglia”

Se ne avesse la forza gli mollerebbe un cazzotto sul naso, ma è così stanco che lascia correre. Addirittura gli scappa una risata. “Quanto manca al lancio della testata?” chiede, e il coreano controlla l’ora: “Credo quattro ore, o poco meno”

Lars accelera: “Ora ci metteremo molto meno!” urla, e nel farlo investe un paio di infetti.

Hwoarang sghignazza: “Strike! Noi redivivi…”

“...loro redimorti”* conclude Jin. La risata del coreano gli comunica che ha apprezzato l’aver completato la citazione.

Finalmente, di fronte a loro, le mura che delimitano Tokyo da Kangawa: il varco si vede benissimo anche da lì.

“Ci siamo” sussurra Jin, con un tremolio nella voce. La paura che succeda qualcosa proprio in quel momento è alle stelle.

“Ci siamo” conferma Lars.

“E ora?”

“E ora cerchiamo l’elicottero, poi ce la diamo a gambe.”

Jin annuisce, imitato da Hwoarang.


È la fine del mondo, e io sono sopravvissuto.



*



jinzombie

Edit 17-03-2021: Sto traducendo alcune delle mie storie per AO3 e FF.net, e visto che ho deciso di accompagnare quelle versioni con una fanart, ho pensato di aggiornare e aggiungerla anche qui. :D


*Umaibo: snack salato di forma cilindrica a base di mais soffiato, confezionato singolarmente e famoso per la sua mascotte (Umaemon, ispirato a Doraemon).

*T-Virus: l’arma batteriologica causa di zombie e amenità varie in Resident Evil. Nei miei headcanon Jin è un nerd impenitente e mi piace fargli fare citazioni a tema. :D

*Biohazard: titolo originale di Resident Evil, quello usato in patria.

*“è un maledetto cyborg!”: la natura mezza umana e mezza robotica di Bryan mi ha causato qualche dubbio sul fargli contrarre il virus oppure no, e la Namco ovviamente non fornisce abbastanza informazioni su quanto di organico sia rimasto in lui… consideratela quindi una mia “licenza poetica” in cui ho deciso che Bryan aveva ancora abbastanza parti organiche che lo mettevano a rischio contagio.

*Adamantio: materiale che esiste nell’universo Marvel, una lega particolarmente forte e resistente usata per armi e parti del corpo di vari super eroi. Lo scheletro di Wolverine, ad esempio, è fatto in adamantio.

*Dasvidania: ‘Arrivederci’ in russo. Non credo che Bryan parli russo, ma in mezzo a quel nonsense ci stava.

*“L’ho chiamato Vera.”: Se avete visto Firefly coglierete sicuramente il riferimento a Jayne Cobb e la sua Vera (il suo amato fucile Callahan, che non era di precisione ma non importa XD).

*dra åt helvete: vaffanculo in svedese, almeno stando al traduttore. XD

*”Noi redivivi, loro redimorti!”: Colta citazione dal primo, glorioso Ghostbusters.



*******

Note burocratiche:

Questa oneshottona è stata scritta per il contest “Apocalisse: Vivere o Morire” indetto da ManuFury sul forum di Efp: il mio pacchetto prevedeva il fucile a pompa come arma e la sopravvivenza del mio protagonista. Ammetto che non sono del tutto sicura di aver inserito l’arma per bene nella storia, ma… insomma, non è che tutti sanno usare un fucile a pompa. E Jin di sicuro non ne è capace. XD

Mi è venuto istintivo smorzare l’angst con qualche battuta e citazione (tutte segnate) sparse qua e là: Hwoarang serio non è Hwoarang. Spero non sia troppo smorzato, ecco. XD

Una piccola parentesi dedicata agli zombie di questa storia: da amante dell’horror quale sono, ho voluto mischiare caratteristiche prese qua e là da alcuni dei miei film preferiti, e da questa unione è nato questo virus che muta casualmente, a seconda del corpo che lo ospita. I “corridori” sono ispirati agli infetti di REC (che non erano esattamente zombie…), mentre i sintomi particolari (il camminare all’indietro, dire cose strane, ecc) sono un omaggio a E venne il giorno, film di M. Night Shyamalan a mio parere troppo sottovalutato. Il titolo invece non penso abbia bisogno di presentazioni. XD

Per quanto riguarda nomi di posti e distanze, è tutto vero: mi sono armata di Google Maps e pazienza nel cercare di raccapezzarmi tra i vari quartieri di Tokyo (tra l’altro non ho idea di dove si trovi effettivamente la Zaibatsu, quindi ho fatto di testa mia). XD

Credo di aver detto tutto quello che c’era da dire, spero che questa storia vi piaccia e di non aver scritto castronerie. :°D

Un sentito grazie alla mia beta Nyappy (che mi beta sempre in condizioni surreali XD) e a Kuruccha, che me l’ha gentilmente ricontrollata un’ultima volta. <3


Alla prossima!


Mana




   
 
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