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Autore: Sandra Prensky    05/07/2016    1 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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XI.

 

As long as I am nothing

but a ghost of the civil dead,

I can do nothing.
(Jack Henry Abbott)

 

Volgograd, Russia

48°42’N 44°31’E

Thursday, 10th December 2015

2.58pm

 

-Devo ammetterlo: tra tutti i posti in cui mi sarei aspettato di trovarti, questo era l’ultimo sulla lista.

Il cuore di Natasha perse un battito. Si girò lentamente, incredula.

-James?- Mormorò, quasi come credesse di stare immaginando tutto. D’altra parte, l’ultima volta che l’aveva visto lui non aveva dato segni di ricordarsi di lei e aveva tentato di ucciderla, sotto l’effetto dell’ennesimo lavaggio del cervello.

-In carne e ossa.- Replicò lui. -E metallo.- Aggiunse, indicando il proprio braccio sinistro.

-Che ci fai qui?- Chiese la rossa, ignorando la sua battuta.

-Potrei farti la stessa domanda, ma ho la sensazione che ci troviamo qui per lo stesso motivo.

Natasha abbassò lo sguardo e si girò verso i ring. Sapeva che aveva ragione, nessuno dei due sarebbe tornato lì di propria volontà per fare una scampagnata. Sotto sotto era anche sollevata di non essere da sola.

-Credevo fossi in America. Steve ti sta cercando ovunque, lo sai.- Disse dopo un po’, tornando a concentrare la sua attenzione su di lui.

Bucky sospirò.

-Steve ha molti meno problemi senza di me. E la persona che sta cercando lui è un fantasma, il suo Bucky è morto nel 1945 cadendo da quel treno. Per quanto lui si sforzi, non c’è modo di farlo tornare indietro.

Natasha annuì. Lei stessa aveva cercato di far capire a Captain America che doveva rassegnarsi sul ritrovare il suo amico, ma era troppo testardo. Sostenne il suo sguardo per qualche secondo, fissandosi nei suoi occhi azzurri. Anche dopo tutti quegli anni, vederlo le faceva uno strano effetto. Aveva sempre esercitato un incredibile fascino su di lei, senza nemmeno sforzarsi troppo, e lei si era sempre odiata per quella debolezza. Eppure avevano condiviso troppe vicissitudini, erano rimasti l’uno al fianco dell’altra per troppo tempo e in troppe occasioni terribili per entrambi perché lei potesse mai dimenticare ciò che una volta aveva provato per lui. Benché avesse ormai voltato pagina da anni, non avrebbe mai potuto dimenticarlo e i sentimenti che aveva nutrito per lui non se ne sarebbero mai andati del tutto. Lo vide scuotere la testa, come per scacciare i pensieri riguardanti quello che una volta, una vita addietro, era stato il suo migliore amico.

-Allora, cosa stai cercando qui?- Chiese l’uomo semplicemente dopo un po’, più per distrarre se stesso che perché volesse davvero porle quella domanda. Natasha scrollò le spalle e disse semplicemente la verità.

-Non lo so nemmeno io.

Lui annuì. Non c’era mai stata la necessità di troppe parole tra loro. La raggiunse verso il centro della palestra, passandosi la mano di metallo tra i folti capelli. Si scambiarono un’occhiata e fecero un cenno d’assenso, intuendo al volo di avere lo stesso piano, semplice ma l’unico possibile visto che entrambi erano in cerca di indizi, ma non sapevano dove trovarli né cosa potessero essere.

-Prendo la sinistra.- Decise Natasha e senza aggiungere altro si diresse verso il fondo dell’ala sinistra della palestra. Le ricerche proseguirono nel più assoluto silenzio, ma la rossa non poteva fare a meno di pensare che fosse in qualche modo rassicurante sentire il rumore di Bucky che spostava oggetti negli armadi dall’altra parte della stanza. L’idea di essere sola nella Stanza Rossa non la entusiasmava particolarmente, quindi la presenza di lui, qualcuno che potesse capire cosa significasse per lei ritornare lì dopo tutti quegli anni, la faceva sentire più sicura. Certo, non che lei avesse bisogno della protezione di nessuno. Tuttavia era stata talmente sola negli ultimi mesi, si era negata in modo così irremovibile ogni contatto umano che avere al proprio fianco qualcuno, anche se per breve tempo, risultava essere una sensazione irritantemente piacevole. Passò in quel modo quasi un’ora, al termine della quale entrambi si ritrovarono a mani vuote. Non si lasciarono scoraggiare e decisero di passare ad altre stanze. Si diressero verso la mensa, dove le ragnatele erano talmente tante e fitte e i tavoli erano ricoperti da un tale strato di sporco e ruggine da far intuire la totale assenza di visite negli ultimi decenni. Tutte le stanze del pianterreno, le camere degli istruttori, erano conciate nello stesso modo. Si salvava solamente la grande sala da ballo, dove però non sembravano esserci particolari indizi utili alla causa. Tutto era come l’avevano lasciato anni prima. Natasha si ritrovò a lottare contro i ricordi delle false lezioni di danza svolte in quell’ambiente. Era difficile scinderle dai ricordi veri, quelli in cui al posto di ballare lei imparava a uccidere. Quasi vedeva ancora le macchie di sangue delle sue vittime sul marmo del pavimento. Sentì Bucky muoversi dietro di lei e trafficare con qualcosa. D’un tratto, il silenzio venne interrotto dalle note lievemente gracchianti di un lento. Natasha si girò di scatto verso dove sapeva esserci un grammofono. Il Soldato d’Inverno era lì, l’aria persa nei ricordi, la mano ancora appoggiata sull’apparecchio.

-Potrebbe esserci qualcuno qui, ci farai scoprire.- Disse lei secca, ignorando ciò che la canzone le riportava alla mente.

-Non siamo stati esattamente discreti finora, no?- Ribatté lui. Lei tacque, sapendo che aveva ragione. Le note risuonarono tristi nella stanza, rimbombando sulle pareti. Natasha faceva fatica a respirare. Avvertì una mano fredda appoggiarsi sulla propria spalla e spingerla lentamente a girarsi.

-Ti ho insegnato io a ballare questa canzone, ricordi?- Sussurrò Bucky, lontano solo pochi centimetri da lei. La ragazza annuì.

-Non credo potrei dimenticarlo. È stata una delle poche volte in cui non mi hai mandata a dormire piena di lividi.- Replicò, cauta, cercando di capire dove volesse arrivare. Lui sorrise, il sorriso triste di un uomo che non riesce a liberarsi del passato. Lentamente, avvicinò le proprie mani a Natasha, appoggiando quella vera sul suo fianco e prendendole gentilmente la mano con quella di metallo. Lei lo guardò smarrita.

-James... Non dovremmo...- Provò a opporsi lei, tentando di riportarlo alla realtà e alle ricerche.

-Questo posto è colmo di fantasmi. Credo che non ci sia niente di male a rivangare un ricordo positivo, tanto per cambiare.- Mormorò lui, accennando un sorriso. Lei si morse un labbro. Avvertiva la propria pelle andare a fuoco dove lui la teneva e si ritrovò di nuovo catapultata nel tempo a quando era ancora giovane, ma questa volta a quella lezione con lui, uno dei pochi, forse l’unico, bei ricordi che poteva dire di avere della Stanza Rossa. Lo guardò negli occhi per qualche secondo, poi, ancora titubante, appoggiò lentamente la testa al petto dell’uomo, affondando il viso nel suo collo, e iniziò ad assecondare i suoi passi. La coreografia era facile, se la ricordava ancora senza bisogno di pensarci troppo su. Avvertiva il petto del Soldato alzarsi e abbassarsi regolarmente insieme al suo. Fece scorrere il braccio libero sulla sua spalla e pensò a quanto tempo era passato dall’ultima volta che erano stati così vicini, senza provare a uccidersi. Ormai erano quasi sessant’anni. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla melodia quasi ipnotica, inebriata da essa e dall’intenso profumo di muschio e legna bruciata dell’uomo. Per la prima volta da quando aveva lasciato lo SHIELD le sembrava di respirare davvero, ironia della sorte nel luogo dove era meno probabile che ciò accadesse. Giudicando dai suoi movimenti, anche l’uomo che la stava tenendo tra le braccia sembrava essere quasi rilassato dopo molto tempo. La musica continuava, guidava i loro passi, offriva loro una scappatoia da una realtà che nessuno dei due voleva. In quel momento c’erano solo loro, due spie fuori dal tempo che ancora non avevano trovato un posto nel mondo, a offrire un sostegno l’uno all’altra. Natasha si sorprese a pensare che avrebbe voluto dilatare quel momento nel tempo, alleviare il peso che era costretta a portare sulle spalle ogni giorno, non doversi più preoccupare di sopravvivere e lottare contro il proprio passato. Sentì la musica rallentare e Bucky affondare la testa nei suoi capelli.

-Dovremmo continuare le ricerche.- Le mormorò con le labbra a un passo dal suo orecchio. Lei annuì e si separò da lui, ripiombando nella realtà. Lo osservò andare ad alzare la puntina del grammofono, facendo sì che la casa tornasse a essere silenziosa e abitata dai fantasmi. Abbassò lo sguardo, fingendo di aggiustarsi i capelli, ora quasi imbarazzata per quel momento di debolezza. Non poteva permettersi di abbassare la guardia, nemmeno con il Soldato d’Inverno. Soprattutto con lui, che aveva rappresentato una debolezza per lei nel passato e aveva appena dimostrato di rappresentarla ancora.

-Tutto a posto?- Le chiese lui, come se le avesse letto nella mente. Lei annuì.

-Meglio sbrigarci, voglio uscire di qui il più presto possibile.- Disse, ritrovando la propria compostezza. Lui aspettò che uscisse per seguirla. Decisero di passare al piano superiore.

-Sei ancora brava come mi ricordavo a ballare.- Dichiarò Bucky mentre salivano le scale. Lei trattenne a stento un sorriso.

-Nemmeno tu sei tanto male.- Ribatté lei, un ghigno stampato sulle labbra. Lui scosse la testa e si diresse verso la prima porta verso sinistra.

-Io prendo quelle a destra.- Decise la rossa. -Ti consiglio di evitare il dormitorio, è peggio della capanna di Babà-Jagà là dentro.

Presto scoprì che anche le altre stanze, un tempo usate per l’addestramento, erano ridotte in maniera molto simile. Ogni volta che apriva una porta, si liberava uno stormo di pipistrelli, o peggio ancora topi. Tutto ciò che vi era all’interno era marcito o divorato dai tarli. Finì in fretta la sua perlustrazione e raggiunse Bucky. La sensazione di oppressione esercitata dalla Stanza Rossa stava tornando e lei voleva essere fuori di lì il prima possibile. Il Soldato d’Inverno stava finendo di cercare nella stanza in fondo al corridoio, quella dove si erano incontrati per la prima volta. Lei lo osservò appoggiata allo stipite, facendo fatica a riconoscere sia la stanza sia l’uomo da quelli di sessant’anni addietro. Lo vide scuotere la testa, rassegnato, e passare al caminetto sporgente che però sembrava nascondere solo altre ragnatele. Natasha si avvicinò a lui per aiutarlo.

-Ho ancora la cicatrice sulla schiena, lo sai?- Disse la rossa con tono beffardo, indicando lo spigolo superiore del caminetto, dove una volta lui l’aveva scaraventata durante un allenamento. Lui la guardò a metà tra il divertito e l’oltraggiato e alzò la manica destra della giacca, per farle vedere una profonda cicatrice che andava dal polso al gomito, ricordo di una ferita che lei gli aveva inflitto con un pugnale che era riuscita a sottrargli in una lotta. Lei scrollò le spalle.

-Okay, siamo pari.

Appurata la totale assenza di qualsiasi cosa, si alzarono e uscirono dalla stanza. Si resero conto nello stesso momento di cosa ciò comportasse: rimaneva loro solo un piano da esaminare, il seminterrato. Nessuno dei due aveva dei bei ricordi legati a quell’ala della casa, ancora di più che al resto. Lì era dove si svolgevano tutti gli esperimenti, i lavaggi del cervello, la cerimonia di laurea. Niente di ciò che accadeva nel seminterrato poteva essere qualcosa di buono. Si scambiarono un’occhiata, come a farsi forza, e scesero. Lì sotto era buio, vista la completa mancanza di finestre. Non fidandosi del vecchio impianto elettrico, in disuso da troppo tempo per essere sicuro, tirarono entrambi fuori delle torce che avevano con sé. La scarsa illuminazione rendeva il luogo ancora più tetro. I nervi di entrambi erano talmente tesi da saltare a ogni squittio di un topo. Natasha per sicurezza tirò fuori una pistola e la tenne puntata in avanti subito sotto la torcia. Si diresse verso il fondo del corridoio, seguita a ruota dall’altro. Con un calcio spalancò la porta, che cadde sollevando una nube di polvere. Tossendo, puntò la torcia verso l’interno della stanza. Notando che era vuota, mise a posto la pistola e si fece strada fra i calcinacci. Puntò la luce verso una costruzione verticale, che troppo tardi capì essere una capsula di ibernamento. Avvertì Bucky irrigidirsi dietro di lei. Non poteva biasimarlo, d’altronde, non doveva essere piacevole venire rinchiusi lì e congelati a piacimento dei superiori della Stanza Rossa. Una volta era stata costretta ad assistere all’ibernazione del Soldato d’Inverno e il ricordo le dava i brividi ancora adesso. D’istinto cercò la mano di Bucky con il braccio che non teneva la torcia. Sapeva che niente di ciò che avrebbe detto sarebbe servito ad alleviare il suo dolore, ma voleva almeno fargli sapere tramite quel gesto che lei era lì, che non era solo. Sentì i suoi muscoli rilassarsi lievemente al contatto, ma rimasero comunque piuttosto tesi.

-Puoi aspettarmi fuori, se ti va.- Propose lei, il tono improvvisamente addolcito. C’erano certe situazioni in cui nemmeno lei riusciva a essere caustica, sapeva cosa volesse dire per lui. Vedere quella cella era un’impresa anche per lei. Lui scosse il capo, era troppo testardo per tirarsi indietro. Natasha si fece strada tra i calcinacci e arrivò fino alla capsula, il cui vetro era ormai frantumato. Pur sapendo che Bucky avrebbe disapprovato l’idea, si issò nella cella in modo da entrarvi dentro, facendo attenzione a non tagliarsi con le schegge. Lui intuì la sua idea e stava per dichiarare la sua disapprovazione quando d’un tratto un rumore sospetto proveniente dal piano di sopra risuonò nella stanza. I due si scambiarono un’occhiata.

-Vado a controllare. Tu stai ferma qui.- Ordinò lui con quel tono militaresco che non era riuscito a togliersi nemmeno dopo gli anni e i numerosi lavaggi del cervello e senza aspettare risposta uscì dalla porta e si diresse verso il pianterreno. Natasha, che non era certo una persona che seguisse gli ordini, uscì in fretta dalla capsula dove era riuscita a infilarsi e seguì silenziosa i passi del Soldato d’Inverno. Pistola in mano, si fermò alla base delle scale e lo guardò scomparire dalla sua vista, al piano di sopra. Seguirono diversi secondi di silenzio carico di tensione. Non sentendo più nessun suono, la rossa salì un paio di gradini. Non fece nemmeno in tempo ad appoggiare il piede sul terzo che sentì il suono di uno sparo echeggiare al piano superiore. James, pensò preoccupata e iniziò a correre sulle scale. Aveva percorso metà rampa quando si sentì tirare indietro e perse l’equilibrio. Per fortuna riuscì a posizionare le mani in modo da non battere con la nuca sui gradini. Si rimise in piedi all’istante, per ritrovarsi di fronte a un uomo grosso come un armadio, vestito di pelle da capo a piedi, la testa rasata e gli occhi azzurri. Aveva una pistola puntata contro di lei. Natasha cercò con lo sguardo la propria: era caduta a circa tre metri di distanza da dove si trovava. Fissò gli occhi in quelli dell’uomo e alzò lentamente le mani sopra la testa. Nel momento esatto in cui lo vide abbassare la guardia, tirò un calcio alla pistola. L’uomo premette il grilletto, ma troppo tardi: tutto ciò che il proiettile colpì fu il marmo delle scale, lasciando un solco. Nel frattempo Natasha era già arrivata alla pistola ed era riuscita a sparare alla mano con cui l’uomo teneva la sua, facendogliela cadere. Un altro colpo, verso la testa, e l’uomo si accasciò a terra con un gemito. La rossa si girò e riprese la sua corsa verso Bucky. Lo trovò alle prese con tre uomini, altri due erano già a terra. Corse verso di lui per aiutarlo, ma le si pararono davanti altri quattro armadi. Giornata da dimenticare. Uno di loro le sparò, ma lei riuscì per un pelo a evitare il proiettile. In un secondo, era già riuscita a scivolargli sotto le gambe, sorprendendolo da dietro e sparandogli. Meno uno. I rimanenti tre decisero di dividersi e coglierla su tre fronti, ma lei riuscì a salire sulle spalle di uno di essi. Mentre mirava a soffocarlo stringendo le cosce attorno al suo collo, riuscì a sparare a un altro di loro. Meno due. Finalmente l’uomo sotto di lei si accasciò. Meno tre. Poco prima che toccassero terra lei mollò la presa e si rimise in piedi grazie a una capriola, al termine della quale sparò all’ultimo uomo. Meno quattro. Anche Bucky sembrava aver sconfitto tutti i suoi opponenti e quindi lei riuscì finalmente a raggiungerlo, ansimando.

-Già stanca, Tasha?- La derise lui.

-Ti piacerebbe.

Ebbe a mala pena il tempo di finire la frase che uno sparo arrivò dal piano superiore. Avrebbe colpito in pieno la testa della ragazza se l’uomo non avesse avuto i riflessi abbastanza pronti da deviare la pallottola con il braccio di metallo. Le rivolse un ghigno.

-Me ne devi una.

Lei sbuffò, poi guardò verso l’alto e sparò a un uomo con un fucile posizionato esattamente sopra di loro, in cima a una colonna, che stava puntando verso Bucky.

-Fatto.- Disse con un sorriso soddisfatto, mentre altri due gruppi di uomini sbucavano da due lati, nel tentativo di circondarli. I due si misero schiena contro schiena, a fronteggiare entrambi i lati.

-Scommetto che ne uccido di più io.- Sentenziò Bucky, brandendo il fucile caduto all’uomo appena ucciso da Natasha.

-Continua a sognare, Barnes.- Ribatté lei.

-Chi perde paga da bere?

-Ci sto.- Accettò Natasha, fiondandosi verso i primi uomini del gruppo. Potevano essere passati anni, anni in cui era successo qualsiasi cosa, ma i due avevano una coordinazione nella lotta che pareva studiata fino all’ultimo minuto prima. Quasi come quando ballavano, conoscevano ed erano in grado di prevedere ogni mossa dell’altro. La loro era una danza mortale, il cui tempo era scandito dalla pioggia di proiettili e la musica prodotta dal gemere degli uomini che collassavano a terra. Il ritmo era veloce, erano pochi i nemici che riuscivano a stare loro dietro. Nemmeno durante la lotta avevano bisogno di parole, ma si capivano perfettamente grazie a semplici occhiate o piccoli gesti, indecifrabili per chiunque meno loro. Erano una macchina da guerra ben oliata, forse piccola, ma letale. I loro assalitori dovevano essere stati una ventina, e dopo appena dieci minuti di lotta ne erano rimasti solo cinque in piedi. Ansimanti, Bucky e Natasha ritornarono alla posizione schiena contro schiena. Gli altri spararono all’unisono e loro due si abbassarono giusto in tempo, riuscendo però a colpire con precisione le gambe di tre di loro. Questi caddero a terra, contorcendosi pere qualche secondo prima che arrivasse il colpo di grazia. I due rimanenti si divisero, mirando alla ritirata. Le due spie si diedero al loro inseguimento. Natasha fece per sparare a quello al quale stava correndo dietro, ma non aveva più proiettili. Lasciò cadere la pistola, e cercò in fretta uno dei suoi taser all’interno delle proprie tasche. L’altro si girò, senza smettere di correre, e vedendola disarmata le sparò. Lei evitò il colpo, continuando a rovistare. Un altro colpo, si gettò a sinistra per evitarlo. Andiamo, Natasha, trova quei dannati taser. Un altro colpo, un altro e un altro ancora. Finalmente le sue dita incontrarono qualcosa di solido all’interno di una tasca nascosta. Senza esitare lo tirò fuori e lo lanciò con precisione da cecchino sulla schiena dell’uomo, che venne colpito da una scarica elettrica che fece afflosciare il suo corpo. Natasha si fermò, ansimando. Avvertiva una strana sensazione all’altezza dello stomaco. Sentì Bucky dietro di lei sparare un proiettile e si girò verso di lui.

-Con questo fanno diciassette, credo proprio di averti battuto.

Ma Natasha non ascoltava. Appoggiò il palmo della mano sul punto dove avvertiva quella sensazione. Lo ritrasse, e lo vide zuppo di sangue. Il suo sangue. Alzò gli occhi verso Bucky, che capì al volo e iniziò a correre verso di lei. Sentì la testa girarle e le gambe cederle prima che il Soldato potesse arrivare a prenderla ed evitarle la caduta. Lo udiva chiamare il suo nome, la voce carica di preoccupazione. Lei avrebbe voluto rispondergli e rassicurarlo, ma lo sentiva troppo distante, irraggiungibile. Le palpebre iniziarono a diventarle pesanti. Il suo cervello registrò a mala pena l’immagine di Bucky che si affaccendava a strapparle la maglia e a tamponare sulla ferita, ma pian piano l’immagine si fece più sfocata e il peso della propria testa le divenne troppo insostenibile. Lasciò andare, appoggiando la nuca a terra e arrendendosi ai suoi occhi, bramosi di chiudersi. La voce del Soldato d’Inverno si allontanava sempre di più, era diventata un’eco che sparì tanto velocemente quanto il nero circondò Natasha e la trascinò verso l’oblio.

   
 
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