***
Arthur
parcheggia la limousine a pochi metri dai cancelli della scuola,
abbastanza
lontano da non dare nell’occhio e permettermi di scendere dal
veicolo senza
attirare attenzioni sospette.
«E’
sicura di non volere che l’accompagni fino
all’interno dell’edificio?», domanda
quindi, aprendo la portiera e porgendomi una mano per aiutarmi a uscire
dall’auto.
«Si,
sono sicura», rispondo afferrando le sue dita, fasciate da un
candido guanto.
Una
volta alla luce del sole, mi concedo qualche secondo per studiare
l’espressione
sul suo volto. I suoi limpidissimi occhi di cobalto evitano il mio
sguardo,
rimanendo posati sulla mia mano, saldamente stretta nella sua.
Percepisco la
sua esitazione nel lasciarmi andare e questo provoca in me un
sentimento di rammarico:
sono consapevole di essere io la causa della sua profonda
preoccupazione.
Come
mio autista personale, probabilmente in questo momento Arthur si sente
in
dovere di proteggermi dalla minaccia che, da diversi giorni ormai,
incombe su
di me. Ho promesso a me stessa che avrei trovato una soluzione al mio
problema
senza coinvolgere la mia famiglia. D’altro canto,
però, avevo bisogno di
confidarmi con qualcuno che potesse consigliarmi e così ho
finito con il
rivolgermi all’unica persona che sapevo avrebbe rispettato la
mia decisione di
tenere i miei fratelli e i miei genitori al di fuori di questa storia.
«Mi
dispiace averti coinvolto, Arthur», pronuncio infine
sinceramente pentita di
averlo costretto al silenzio perfino nei confronti di mia madre, per la
quale
nutre un grande rispetto e una fedele devozione.
«Non
si preoccupi. Sono solo felice che abbia deciso di confidarsi con
qualcuno,
invece di affrontare la cosa completamente da sola. Le ho promesso che
manterrò
il suo segreto, tuttavia…», le dita di Arthur si
stringono attorno alla mia
mano e i suoi occhi si sollevano per incontrare i miei, «se
dovessi rendermi
conto che la sua vita è in pericolo, informerò
immediatamente la Signora e
tutti i membri della sua famiglia».
Non
potendo oppormi alla sua condizione, ma ancor meno alla risolutezza nel
suo
sguardo, annuisco remissiva. Solo dopo aver ottenuto il mio consenso,
si
convince dunque a liberare la mia mano e a farsi da parte
affinché possa
incamminarmi verso i cancelli della scuola.
Mentre
avanzo, con passo incerto, esamino attentamente qualsiasi studente mi
si
avvicini, nella speranza di scorgere preziosi indizi che possano
rivelarmi
l’identità del misterioso persecutore che ogni
giorno lascia lettere minatorie
nel mio armadietto. Purtroppo non ho idea di chi possa essere. Inoltre
questa
persona non si è mai preoccupata di farmi conoscere il
motivo del suo astio nei
miei confronti. In ognuno dei messaggi che ho ricevuto fino a ieri, si
è
limitata ad intimidirmi preannunciando incidenti
che avrebbero attentato alla mia incolumità.
L’unica certezza di cui sono in
possesso è che si tratti di uno studente della Teikou,
tuttavia non ho informazioni
nemmeno sul suo sesso, anche se personalmente sono portata a credere
che possa
trattarsi di una ragazza, o almeno così mi dice
l’intuito.
***
Allo
scoccare della pausa pranzo mi preparo a raggiungere Satsuki in
cortile,
insieme a Mayumi, quando Midorima si presenta in classe nostra,
portandomi un
messaggio da parte di Akashi.
«Che
cosa?!», la voce di Mayumi esplode al mio fianco, emettendo
un suono talmente
acuto da provocare un breve fischio nel mio orecchio.
«E’
davvero necessario urlare in questo modo?», la interroga
Midorima, assicurandosi
di esprimere tutta la sua irritazione.
«Certo
che lo è», ribatte prontamente Mayumi, incurante
dell’implicito rimprovero.
«Hai appena detto che Akashi ha invitato Eiko a pranzare con
lui».
Il
ragazzo di fronte a noi emette un lungo sospiro, prima di procedere a
sistemarsi gli occhiali sul naso. Le sue dita sono accuratamente
fasciate e le
unghie limate con perfezione millimetrica. Una sera, al termine degli
allenamenti, osservando Midorima intento a controllare le proprie
unghie, ho
interrogato Kise: a quanto pare il motivo per cui dedica
così tanto tempo alla
cura delle sue mani è perché sostiene che la
lunghezza delle unghie influisca
sulla precisione dei suoi tiri.
«Tu
che cosa dici, Eiko?», questa volta l’attenzione di
Mayumi si sposta su di me.
«Hai davvero intenzione di andare?».
«Non
lo so. Satsuki ci sta aspettando e…».
Ammetto
di sentirmi impreparata. L’ultima cosa che mi sarei aspettata
era un invito da
parte di Akashi. È vero che ultimamente i rapporti fra di
noi sono migliorati e
non sono neanche tanto rare le occasioni in cui ho la
possibilità di conversare
piacevolmente con lui. Tuttavia ero convinta che Akashi preferisse
trascorrere
il proprio tempo in solitudine, o tutt’al più in
compagnia di Midorima, magari per
una partita di shogi. Per quanto mi sforzi di pensare, non riesco ad
immaginare
per quale motivo abbia convocato proprio me. Una parte del mio ego
vorrebbe
trovare una risposta a questa perplessità, ma
d’altro canto avevo già promesso
il mio tempo alle mie due amiche.
«Accidenti,
adesso sono troppo curiosa», Mayumi porta il pollice alle
labbra e inizia a
mordicchiare nervosamente l’unghia. Quindi, dopo aver
espirato sonoramente,
afferra le mie spalle e pronuncia solenne: «Devi andare da
lui».
«Ne
sei sicura?», le chiedo, sperando in fondo in una risposta
negativa per almeno
due motivi. Primo, non me la sento di venire meno alla parola data e di
rinunciare ad incontrare Satsuki: ho davvero bisogno della sua vivace
compagnia
per non pensare al mio pericoloso e anonimo molestatore. Secondo,
vorrei
evitare di sottopormi allo stressante interrogatorio a cui mi
costringerà
Mayumi al mio ritorno. L’unico motivo per cui sarebbe felice
di convincermi ad
accettare l’invito di Akashi è per conoscere le
intenzioni che si celano dietro
le azioni del capitano della squadra di basket.
«Hai
il mio permesso e quello di Satsuki, non preoccuparti»,
dichiara la ragazza,
sospingendomi verso Midorima prima che possa controbattere.
A
questo punto non ho altra scelta: trascorrerò la pausa
pranzo in compagnia di
Akashi.
***
Durante
il breve tragitto, la mia mente è impegnata a filtrare la
moltitudine di domande
che si accatastano rapidamente nella mia testa. Si accumulano le une
sulle
altre, come detriti sul letto di un fiume, ingarbugliando il flusso
regolare
dei miei pensieri. I miei occhi sono posati sui miei piedi e
sull’alternarsi
dei miei passi. Ho accettato di incontrare Akashi, ma forse sono stata
troppo
precipitosa. L’aura che emana da questo ragazzo è
così intesa e austera da
suscitare in me una forte suggestione e mentirei se affermassi si
sentirmi a
mio agio in sua presenza. Non è che abbia paura di lui.
Piuttosto,
l’ammirazione che nutro nei suoi confronti è
talmente radicata nel mio inconscio
da impedirmi di abbassare la guardia e rilassarmi. Quando sono con lui
avverto
la necessità di mostrare il mio lato migliore. Anche se non
l’ho mai ammesso
apertamente, desidero che Akashi abbia in ogni momento
un’opinione positiva di
me.
Infine
raggiungiamo il luogo dell’appuntamento. Con un gesto sicuro,
Midorima fa
scorrere la porta dell’aula, aprendola. Nella stanza regna un
silenzio
assoluto. Tutti gli studenti si sono allontanati approfittando della
pausa, con
l’eccezione di un solo ragazzo.
«Akashi»,
esordisce Midorima, con il tono grave della sua profonda voce,
annunciando la
nostra presenza.
Mi
sporgo leggermente oltre la sua figura per catturare la dignitosa
immagine del
giovane seduto all’altro lato della stanza. Quasi non si
fosse accorto del
nostro arrivo, Akashi rimane immobile, continuando ad offrirci le
spalle. Il
suo capo è lievemente inclinato in avanti per analizzare con
imperturbabile
concentrazione la scacchiera. La sua mano si muove quindi per
raccogliere la
pedina su cui è inciso l’ideogramma che indica il
Re e posizionarla sulla
griglia.
«Ohi,
Akashi», per la seconda volta, Midorima reclama
l’attenzione del capitano.
La
testa si solleva e la voce autoritaria del ragazzo vibra nella quiete
dell’aula.
«Midorima,
puoi andare adesso».
Il
prodigioso tiratore si accinge ad eseguire l’ordine, in
rispettoso silenzio,
senza mostrare alcun malcontento per la freddezza racchiusa nelle
parole del
giovane playmaker.
Rimasta
sola con Akashi, costui decide infine di deviare su di me la sua
concentrazione.
«Bene
arrivata, Eiko. Ti stavo aspettando», pronuncia sollevandosi
dalla sedia e ruotando
il corpo fino ad incontrare il mio sguardo.
Contraccambio
il saluto con un cenno del capo. Il suo viso sembra così
diverso da come lo
ricordavo: non riesco a scorgervi la stessa dolcezza del nostro primo
incontro.
L’espressione nei suoi occhi vermigli per un attimo genera un
sentimento di
sterilità nel mio cuore, raggelandolo.
«Ti
vedo turbata. Credevo mi avessi dato il permesso di chiamarti per
nome»,
dichiara Akashi, interpretando erroneamente il mio disagio.
«Infatti
è così», rispondo sforzandomi di
spingere la voce al di fuori della mia bocca.
«Sono solo sorpresa. Non mi aspettavo un invito».
«Spero
di non averti causato problemi con questa mia improvvisa
richiesta».
Scuoto
la testa in segno di negazione: non posso confessargli che avrei
preferito
trascorrere la pausa in compagnia di Mayumi e Satsuki.
Nell’intento
di aiutarmi a rilassarmi, Akashi mi esorta a prendere posto insieme a
lui. Lo
raggiungo dunque al banco, appena accanto alla finestra.
L’intera superficie
del tavolo è occupata da una scacchiera di pregiatissima
fattura, su cui sono
state posizionate tutte le pedine, in modo da simulare una vera partita
di
shogi.
Akashi
si accomoda di fronte a me e con un cenno della mano mi invita ad
unirmi a lui
in qualità di suo avversario. Purtroppo, con mio immenso
dispiacere e imbarazzo,
mi vedo costretta a rifiutare.
«Temo
di non avere dimestichezza con questo gioco. Conosco a malapena le
regole»,
confesso chinando il capo e mordendomi lievemente il
labbro inferiore.
Il
pensiero strategico non è mai stato un mio punto forte. Una
volta mio cugino Yoichi
mi ha sfidata amichevolmente ad una partita di scacchi.
Benché abbia appreso i
fondamentali di questo gioco quando ero bambina, la partita si
è rivelata
impari fin dalle prime battute. Fra tutti i miei cugini, Yoichi
è quello forse
meno portato per le discipline che implicano una fervida
attività mentale.
Eppure quel giorno la sconfitta si è abbattuta su di me in
modo inesorabile, dimostrando,
dopotutto, quanto impraticabile resti per me il terreno delle battaglie
strategiche.
«Sarò
più che lieto di insegnarti, se avrai piacere di
imparare».
L’offerta
di Akashi è accompagnata da un sorriso gentile, tuttavia non
avverto in esso lo
stesso calore a cui pensavo di essermi ormai abituata. Nonostante sieda
a pochi
centimetri da me, distinguo chiaramente la gelida distanza che ci
separa in
questo momento. L’atmosfera che si è creata
intorno a noi è così opprimente da
angosciarmi. D’altro canto l’intuito che lentamente
si fa strada nel mio animo
continua a sussurrami che potrei non essere io la causa di questa
insolita
freddezza.
«Akashi»,
raccogliendo dunque il mio coraggio, sposto il centro della
conversazione
sull’argomento principale, «perché hai
chiesto di vedermi?».
La
sua mano si solleva dalla scacchiera, ma non prima di aver spostato il
Cavallo
bianco in campo nemico, portando così avanti
l’offensiva. I suoi occhi,
socchiusi in un’espressione di profonda concentrazione, si
posano sul cielo
terso che si apre oltre la finestra. Il suo silenzio sollecita il
battito del
mio cuore e per un attimo dimentico di respirare. Infine la sua bocca
si
dischiude per emettere il suono più amabile e affettuoso che
abbia mai udito.
«Che
cosa ti turba, Eiko?».
La
dolcezza con la quale il mio nome abbandona le sue labbra scalfisce
l’involucro
che fino a questo momento ha avvolto la mia fragilità,
celandola e
sopprimendola. Questo sentimento è solo il frutto di un mio
desiderio
inespresso, non può corrispondere alla realtà.
Ciononostante continuo a sperare
che il ragazzo di fronte a me abbia parlato in questo modo
perché consapevole;
che i suoi compassionevoli occhi, i quali sembrano accarezzare
così teneramente
i miei, siano davvero riusciti a scorgere quella paura che ho provato a
nascondere. Possibile che se ne sia accorto?
Quasi
avesse percepito i miei pensieri, Akashi risponde alla mia silenziosa
domanda
con un cenno del capo, appena percettibile ma abbastanza inequivocabile
da
incoraggiarmi a frantumare l’involucro attorno al mio cuore
per liberarlo.
«Ho
paura. Non so cosa fare», confesso infine, portando una mano
sul petto. Le mie
dita si stringono con forza attorno al tessuto della mi divisa, mentre
cerco di
dominare il tremito nella mia voce.
«Va
tutto bene. Prova a calmarti adesso».
Guidata
dal suono quieto e posato delle sue parole, mi concentro su me stessa,
focalizzando la mia mente sull’ansia e sul turbamento che
lottano per possedere
il mio animo. La solida presenza di Akashi mi è di grande
conforto in questo
momento di debolezza. E’ come se volesse spronarmi, con la
sua sola esistenza,
a non disperare, a non rinunciare a chiedere aiuto. Forse è
ancora prematuro
per me pretendere di uscire illesa dalla mia attuale situazione,
affidandomi
unicamente alle mie forze, e Arthur, purtroppo, non può
rimanere al mio fianco
mentre sono a scuola. Penso che sarebbe più sicuro avere
qualcuno che possa
assistermi anche durante le ore scolastiche, almeno finché
non avrò scoperto
l’identità del mio persecutore. Consolati da
questi pensieri, il mio cuore si
acquieta e il mio respiro si regolarizza.
«Ti
ringrazio», la tensione nella mia mano si scioglie,
allentando la presa sui
miei vestiti.
«Quando
sono iniziate le minacce?».
Alla
domanda di Akashi, le mie palpebre si allargano. «Come fai a
sapere che…?».
«Non
è stato difficile capirlo. Ultimamente non fai che guardarti
intorno con
circospezione e sussulti appena qualcuno ti si avvicina».
La
semplice consapevolezza che lo sguardo vigile del capitano abbia
vegliato su di
me per tutto questo tempo colora le mie guance di imbarazzo. Ma
è la sua
estrema accortezza a provocare la mia gratitudine: pur avendo scoperto
il mio
segreto, ha scelto di parlarmi in privato, rispettando il mio desiderio
di
riservatezza. Riflettendoci con attenzione, neanche Midorima, la
persona più
vicina ad Akashi, sembrava essere a conoscenza della reale motivazione
che ha
indotto questo insolito incontro.
«Ho
ricevuto la prima lettera dieci giorni fa», rivelo dunque,
rispondendo alla
domanda del ragazzo seduto di fronte a me. «Il foglio non era
firmato. Tuttavia,
l’autore non ha scritto nessuna vera minaccia. Solo un
avvertimento. Un ordine,
più che altro».
«Che
cosa ti ha ordinato?»,
«Di
lasciare questa scuola».
«Hai
conservato tutte le lettere?».
Annuisco.
«Le ho nascoste in camera mia: volevo evitare che la mia
famiglia le trovasse».
«Dunque
nessun altro, a parte me, è a conoscenza della
situazione?».
Questa
volta scuoto il capo in diniego. «Ho raccontato di questa
storia ad Arthur, il
mio autista».
Akashi
si concede qualche secondo di silenzio, probabilmente per cercare di
visualizzare nella sua mente il volto di Arthur. Quindi torna a
dedicarmi le
sue attenzioni con animo sereno: è come se
l’essere venuto a conoscenza di
Arthur lo avesse in qualche modo tranquillizzato.
«Hai
qualche sospetto?».
«Nessuno
in particolare, purtroppo, ma non riesco a togliermi dalla testa
l’idea che possa
essere una ragazza».
«Ho
capito», pronuncia Akashi, spostando un’altra
pedina sulla scacchiera.
Seguendo
il movimento della sua mano, i miei occhi scivolano sulla tavola di legno. Benché
non sia un’esperta di shogi, mi
basta un’occhiata attenta per prendere atto della situazione:
il Re Nero si
trova sotto scacco, minacciato a destra dall’ombra imponente
della Torre e sul
fianco sinistro dalla punta acuminata della Lancia; l’unica
possibilità che ha
di sottrarsi momentaneamente alla cattura è battere in
ritirata retrocedendo
verso l’ultima casella, sul bordo della griglia.
Diversamente
dal Re Nero, io non conosco ancora l’identità di
chi mi sta minacciando, ma mi
sento ugualmente con le spalle al muro. Se le parole del mio
molestatore sono
vere, potrei cadere vittima di un suo agguato in qualsiasi momento.
L’ignoranza
nella quale brancolo ogni giorno sta compromettendo la mia vita
scolastica,
oltre alla mia sanità mentale. Questa volta il nemico
è reale e forse ora mi
sta osservando da un angolo ben protetto della scuola. Il pensiero di
essere
costantemente controllata mi sta lentamente portando a dubitare delle
persone
che mi sono più vicine: i miei stessi amici. Persino in
questo momento una parte
di me, quella più insicura, continua a ripetermi di
diffidare di Akashi. Fin
dal mio primo giorno qui alla Teikou ho cercato di non dare
nell’occhio, di
frequentare le lezioni con la massima discrezione possibile, ma non
appena ho
deciso di aprirmi e di coltivare nuove amicizie ho attirato su di me il
rancore
di uno sconosciuto (e mi auguro che sia soltanto uno) che ha giurato di
vendicarsi, attentando alla mia stessa vita. È assurdo. Non
ho neanche idea di
che cosa abbia fatto per meritare tanto odio. E se fosse…?
In questo caso,
però, anche Satsuki e Mayumi sarebbero in pericolo. Se per
colpa mia dovesse
succedere loro qualcosa...
Sono
ancora in tempo. Dopotutto devo solo convincere i miei genitori a
trasferirmi
in un’altra scuola prima che le cose peggiorino. Non importa
se alla fine sarò
costretta a raccontare la verità. Non posso rischiare di
coinvolgere le mie
amiche, né i ragazzi della squadra di basket. Ho sbagliato.
Parlare con Akashi
è stato un errore. Non sarei dovuta venire. A questo punto
anche lui potrebbe
già essere entrato nel mirino del nemico e se
così fosse non posso restare con
lui. Questa è la mia battaglia: se non sono abbastanza forte
per vincerla, non
mi resta che accettare le condizioni del mio ricattatore e proteggere
così
almeno i miei amici. Questa sera, appena arrivata a casa,
confesserò ogni cosa
a mia madre e la implorerò di avviare le pratiche del mio
trasferimento.
«Tu
non lascerai questa scuola».
Sicura
di non aver espresso ad alta voce i miei pensieri, sollevo il capo
cercando il
volto di Akashi. Mi rendo allora conto che per tutto il tempo i suoi
occhi sono
rimasti su di me, senza mai perdermi. Solo dopo avere ottenuto la mia
attenzione, si abbassano sulle mie mani: ancora una volta le gelide
dita si
sono richiuse intorno alla stoffa, stringendola con una forza tale da
rallentare il defluire del sangue sotto la mia pelle. Senza rendermene
conto,
ho manifestato attraverso i miei gesti il tormento del mio animo,
permettendo
involontariamente ad Akashi di apprendere i miei pensieri.
«Non
ho altra scelta», ribatto con un impeto assolutamente
anomalo. «Se non mi
trasferisco, chiunque abbia scritto quelle lettere potrebbe decidere di
prendersela non solo con me. Non voglio coinvolgere Mayumi o Satsuki e,
a
pensarci meglio, non voglio coinvolgere neanche te, Akashi».
«E’
un po’ tardi, Eiko. Se davvero fossi stata disposta fin
dall’inizio ad
accettare la condizione che ti è stata imposta, non saresti
venuta da me».
«Che
cosa vuoi dire?».
«Che
non hai motivo di lasciare questa scuola. Tutto quello di cui hai
bisogno è fidarti
di me».
Uno
schiocco proveniente dalla scacchiera attira la mia attenzione: il Re
Nero è
circondato.
«Scacco
matto», dichiara Akashi, con imperturbabile calma.
Nel
suo sguardo fermo è impressa l’irremovibile
sicurezza di colui che ha accettato
la sfida pregustando una vittoria assoluta. Se ha davvero deciso di
lasciarsi
coinvolgere nel mio problema, non sarò in grado di fargli
cambiare idea in
alcun modo. Quando si è abituati al successo, è
facile abituarsi anche all’idea
di avere sempre ragione e questa consapevolezza non fa che accrescere
l’autostima e la presunzione nell’essere umano.
Benché tenti forse di
mascherarlo dietro i modi affabili, è piuttosto evidente ai
miei occhi quanto
arrogante sia la natura di Akashi, ma allo stesso tempo non posso
biasimarlo.
Quest’aura confidente che circonda la sua persona in
realtà mi tranquillizza,
trasmettendomi un sentimento di quieta pace. Per questa semplice
ragione, non
potrei infuriarmi con lui neanche se mi stesse usando solo per
combattere la
noia. Ma se anche fosse così, accetterei di assecondarlo nei
suoi capricci,
sicura di ricevere in cambio l’aiuto che nessun altro
potrebbe offrirmi. In
ogni caso, Akashi mi ha esplicitamente proibito di lasciare questa
scuola: gli
ordini del capitano non si discutono e chiunque proverà a
costringermi ad
infrangere questo divieto dovrà risponderne direttamente a
lui.
«Avrei
una richiesta», pronuncio dunque, accogliendo infine di buon
grado la proposta
di alleanza .
«Ti
ascolto».
«Vorrei
evitare di coinvolgere gli altri, soprattutto Mayumi e Satsuki. Se
venissero a
sapere delle lettere, sono sicura che si preoccuperebbero e finirebbero
con
l’attirare l’attenzione del molestatore. Meno
sapranno, meno pericoli
correranno».
«Hai
la mia parola», mi assicura Akashi, dischiudendo le labbra in
un sorriso
indulgente. I suoi occhi rubini, socchiusi in una tenera espressione
compassionevole, dissipano le ultime nubi di incertezza nel mio cuore,
colmandolo di una serena fiducia.
***
Per
fortuna anche questa giornata si è conclusa senza incidenti.
Dopo avere
incontrato Akashi, mi sono riunita alle mie amiche, come promesso, e ho
trascorso con loro il resto della pausa pranzo. In qualche modo sono
riuscita
ad eludere le assillanti domande di Mayumi, evitando di rivelarle il
vero
motivo del mio incontro con il giovane capitano. Nel pomeriggio mi sono
concentrata sulle lezioni, sforzandomi di assumere un atteggiamento
quanto più
naturale possibile, per non insospettire i miei due compagni di classe.
Al
trillo della campanella mi sono quindi involata nei corridoi, senza
attendere
Mayumi e Kise. Per non allarmarli, ho detto loro di dover tornare a
casa per
studiare con il mio tutore privato. Non ho mentito, sebbene non abbia
raccontato tutta la verità. Volevo infatti raggiungere il
mio armadietto,
all’ingresso dell’edificio scolastico, senza che mi
seguissero.
Anche
oggi, nascosta sotto la suola delle mie scarpe, ho trovato una nuova
lettera e,
come sempre, non era firmata. Combattendo la tentazione di aprirla,
l’ho
infilata nella mia cartella, senza farmi vedere da nessuno, e mi sono
incamminata verso i cancelli. Prima di rendermene conto, Akashi era al
mio
fianco.
«Un
altro messaggio?»
Annuisco.
«Anche questa volta manca il nome del mittente».
Continuiamo
a camminare, percorrendo tutto il cortile, finché la figura
di Arthur si
materializza davanti a noi. I suoi occhi si assottigliano pieni di
diffidenza,
mentre analizzano rapidamente lo sconosciuto che mi accompagna.
«Va
tutto bene, Arthur», lo rassicuro una volta lontana dagli
sguardi indiscreti
degli studenti che si affrettano a lasciare la scuola.
«Akashi è un mio amico e
si è offerto di aiutarmi».
«Akashi?»,
ripete Arthur, rilassando l’espressione sul suo volto.
«Il giovane rampollo della
famiglia Akashi?».
«Sono
lieto di fare la tua conoscenza, Arthur. Ho sentito parlare molto bene
di te»,
esordisce il giovane capitano, offrendo la mano al ragazzo in divisa
per il
saluto occidentale.
Le
pupille di Arthur si spostano quindi su di me, in attesa di un mio
comando e,
solo dopo aver ricevuto il mio consenso, il suo busto si piega
rispettosamente
in avanti per il reverenziale
saluto
orientale.
«L’onore
è solo mio, signorino Akashi».
«Vedo
che sei bene istruito sui costumi giapponesi», commenta il
ragazzo al mio
fianco, ritraendo la mano e ricambiando la formalità con un
gesto appena
accennato del capo.
«Arthur
ha familiarità sia con la cultura britannica che con quella
nipponica»,
aggiungo con una punta di fierezza, mantenendo lo sguardo
sull’immagine
ossequiosa del giovane londinese.
Ricordo
con quanta devozione e con quanto sacrificio si sia sottoposto al
periodo di
formazione, appena arrivato qui a Tokyo. Essendo nato e cresciuto in
Inghilterra,
non aveva dimestichezza con le usanze giapponesi, diversamente da me,
che sono
stata allevata in un ambiente multiculturale fin dalla mia nascita.
Tuttavia si
è fin da subito mostrato disposto ad imparare per essere
ritenuto degno di
servire la famiglia Wadsworth e ripagare così il debito
lasciato da sua madre.
Arthur è un ragazzo che impara molto in fretta e in breve
tempo è riuscito ad
apprendere i fondamenti della cultura giapponese, dimostrando di
padroneggiarla, in alcuni aspetti, meglio di me. Per questo ero sicura
che
avrebbe fatto un’ottima impressione ad Akashi.
«Non
è sicuro parlare qui», osserva il ragazzo al mio
fianco, invitandomi a salire
in auto.
«Ho
raccontato ad Akashi delle lettere», mi accingo a spiegare,
portando le mie
attenzioni su Arthur, nuovamente sospettoso, mentre mi accomodo sul
sedile
posteriore della limousine. «Ho pensato che sarebbe stato
meno rischioso avere
un alleato anche all’interno della scuola. In fondo
è stato abbastanza
perspicace da accorgersi da solo della mia situazione».
«In
questo caso, le sono profondamente grato per essersi offerto di
proteggere la
signorina Eiko».
«Eiko
è una preziosa amica», dichiara Akashi,
indirizzandomi uno sguardo colmo di premura
attraverso il finestrino dell’auto, «non potevo
abbandonarla in un momento
tanto pericoloso».
Sentirlo
pronunciare queste parole mi è di grande conforto in questo
momento. Mi ha
chiesto di fidarmi di lui e ora so di non avere accettato solo
perché si
trattava di un ordine del capitano: fin dal giorno del nostro primo
incontro,
ho capito che Akashi è quel tipo di persona che mantiene
sempre la parola data.
Dal momento che ha promesso di proteggermi e di impegnarsi a catturare
il mio
persecutore, sono sicura che non si arrenderà
finché non avrà raggiunto
l’obiettivo. E, tenendo conto della sua straordinaria
intelligenza, non dovrò
attendere molto prima di scoprire chi si cela dietro le lettere
minatorie.
«Per
oggi torna a casa e cerca di riposare.», conclude Akashi,
congedandosi da me e da
Arthur. Lo seguo con lo sguardo mentre raggiunge la limousine nera, in
attesa
di fronte ai cancelli della scuola. Solo dopo averlo visto entrare
nell’abitacolo ed essermi assicurata che l’auto si
sia allontanata abbastanza
dall’edificio, concedo ad Arthur il permesso di accendere il
motore e
incamminarsi verso casa.