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Autore: scrittrice in canna    05/07/2016    1 recensioni
[Si può leggere la storia anche senza aver visto Sense8]
Otto ragazzi da tutto il mondo, con storie diverse ma complementari, si aiuteranno a vicenda in un viaggio alla scoperta di loro stessi quando si troveranno legati in maniera inesorabile da qualcosa che va oltre il DNA e il fato: l'empatia.
La loro vita verrà messa in pericolo da un nemico comune e solo lavorando insieme potranno avere una possibilità di sconfiggerlo, senza però dimenticare i problemi di tutti i giorni e i demoni che si portano dentro.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Finn/Rachel
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7.

Erano passate ben due ore da quando Jessie si era seduto alla sua scrivania e non aveva fatto altro che guardare e riguardare i provini di quella mattina scartando ogni singola persona più e più volte.
Si sentiva uno schifo da tutto il giorno, come se fosse passato sotto una mietitrebbia mentre andava a lavoro.
Chiuse arrabbiato il video del provino che stava girando sullo schermo a ripetizione da minuti interi come se esigesse l’attenzione di un pubblico inesistente, dopodiché si dedicò intensamente al suo mal di stomaco. Eppure in quei giorni non aveva mangiato granché di speciale o di poco salutare, era sempre in dieta ferrea e non sentiva nemmeno l’odore di frittura da prima di entrare nel coro della scuola in seconda superiore, ricordava benissimo il suo primo assolo e- fantastico, si stava mettendo a piangere. Era sempre stato leggermente drammatico (ok, forse a volte era molto drammatico. Come biasimarlo? Aveva avuto un’istruzione destinata ai palchi di Broadway, per diamine!) ma non si sarebbe mai commosso fino a quel punto per una motivazione tanto stupida come le rimembranze del liceo, insomma, odiava la maggior parte dei ragazzi del suo gruppo e di sicuro non gli mancavano, quindi perché si sentiva improvvisamente triste?

Mercedes corrugò la fronte e gli appoggiò una mano sulle spalle per consolarlo, ottenne scarsi risultati perché Jessie continuava a singhiozzare.  
“È successo qualcosa che non so?” gli chiese passandogli la bottiglietta d’acqua lì vicino.
Lui scosse la testa e prese un sorso cercando di calmarsi.
“No, solo… mi sento così stanco! E- le mie occhiaie sono più visibili del solito e solo gonfio e-”
All’improvviso Mercedes si poggiò una mano sul ventre, piegandosi leggermente in avanti e stringendo i denti, il che riportò Jessie alla realtà, si assicurò che le fosse passato e  chiese: “Cos’è stato?”
Mercedes gli sorrise, rassicurante e leggermente in imbarazzo: “Oh, non ti preoccupare.” Prese un respiro profondo: “Sono, sai…”
Jessie allargò gli occhi in maniera comica aspettando che lei completasse la frase. A volte la gente non capiva se era stupido o ne faceva solo la parte.
“Nel mio periodo del mese, ecco” gli spiegò con tutta la gentilezza possibile.
“Oh!” esclamò l’altro scattando dritto, stranamente a disagio con se stesso.
Fece passare lo sguardo su tutta la stanza, non sapeva cosa fare o come comportarsi, tutti gli dicevano che era la persona più inopportuna del pianeta quindi si limitò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
Forse sapeva cosa gli stava succedendo. Ebbero la conferma inconfutabile quando una fitta poco sotto lo stomaco li colpì in contemporanea qualche secondo dopo.
“Se era questo che intendeva Brittany quando parlava di condividere delle esperienze, non credo di voler abbracciare totalmente la mia cerchia” si lamentò Jessie mentre si poggiava una borsa d’acqua calda addosso.
Mercedes rise sotto i baffi leggermente, poi notò lo schermo del computer acceso e puntò il dito verso un video che le sembrava particolarmente interessante, almeno dall’anteprima.
“Chi è quella?”
Jessie prese in mano il mouse e aprì il video, lo guardò con occhi diversi, come se fosse la prima volta, e si rese conto che quella tizia era davvero brava.
“Signorina Jones, lei è un genio!”

 

Damian era, agli occhi di tutti, un bravo ragazzo. Non aveva mai fatto niente di male nemmeno ad una mosca, si era appena laureato all’Accademia di Belle Arti della sua città e aveva cominciato uno stage nello studio di danza dove lavorava Santana. Era lì ormai da due mesi..
Era arrivato portandosi dietro sorrisi cordiali e “buongiorno, signorina Lopez” ogni mattina. C’era solo un piccolo, ma insormontabile problema: aveva una cotta imbarazzante per Santana che lo aveva portato a rendersi ridicolo in più di un’occasione durante le quali la ragazza aveva provato a spiegargli - nel suo greco tendente allo spagnolo - che non giocava nella sua squadra, era dell’altra sponde, insomma non le piacevano gli uomini e anche se fosse stato il caso, lui era cinque anni più piccolo di lei e per niente attraente.
In altre circostanze non si sarebbe fatta problemi a dirgli in faccia tutto quello che stava pensando, ma quel giorno la personalità calma e composta di Mercedes la stava trattenendo dal fare una cosa così avventata. Si diresse verso il novellino che stava prendendo un caffè nella zona relax e lo riprese: “Damian, posso parlarti un secondo?”
Il ragazzo posò rapidamente la sua attenzione su di lei, un sorriso speranzoso dipinto in volto.
Usò la mano libera dalla tazza di ceramica per sistemarsi il ciuffo di capelli biondi e a Santana fece pena per esattamente cinque secondi.
“Sei stato tu a chiamare il dottor Metzger?”
Lui sembrò preso alla sprovvista, aprì la bocca senza dire niente di concreto, cercava una spiegazione logica a quello che stava succedendo, probabilmente si sarebbe aspettato di essere considerato il paladino della situazione in modo che Santana cadesse tra le sue braccia. Evidentemente il tono nervoso e a malapena contenuto della ragazza gli aveva fatto capire di aver fatto un bel casino.
“Io- ehm- sì.”
“E cosa ti ha fatto credere che fare una cosa del genere senza, non so…” fece finta di pensare a cosa voleva dire dopo: “Chiedermelo?! Fosse una buona idea?” concluse con una punta di acidità. Ok, magari la sua rabbia stava prendendo il sopravvento. Chi diceva che fosse una cosa negativa? Il tipo non aveva idea del danno che aveva causato.
“Pensavo solo che- sa, sarebbe stato d’aiuto dopo quello che è successo allo spettacolo.” Santana sgranò gli occhi e strinse i pugni: “Come fai a saperlo?”
“Tutti ne parlano, signorina Lopez.” Stava continuando a blaterare su come Metzger fosse il suo medico di fiducia da sempre e sì, veniva dall’America ma aveva aperto dei piccoli studi un po’ ovunque e…
“No, no. Sta’ zitto” gli impose con un gesto della mano, chiudendo gli occhi per isolare completamente la sua figura. Lei e la sua cerchia erano a un passo dall’essere scoperti e lui pensava a rimorchiare.
Avrebbe voluto dargli un pugno in pieno faccia, invece si limitò a portare gli occhi verso il cielo e dirigersi alla sala dove stava portando per raccogliere le sue cose e trovare un posto tranquillo dove poter contattare Brittany.

 

Rachel si guardò allo specchio per l’ennesima volta, controllando che tutto fosse assolutamente perfetto. Le piccole luci che contornavano il vetro le illuminavano il viso come una sua piccola versione personale dei riflettori che da un momento all’altro avrebbero rischiarito la scena dall’altra parte del muro.
“Sei una star, Rachel” si ripeté come faceva ogni volta che doveva esibirsi.
“Vorrei darti un regalo, ma non credo sia possibile” le disse Finn tenendole dolcemente le spalle. Era in piedi dietro di lei e sosteneva il suo sguardo attraverso lo specchio.
“Potrai darmelo quando ci vedremo davvero” ribadì dolcemente.
Finn sorrise tristemente e le accarezzò leggermente il collo con la scusa di toglierle una ciocca di capelli dalla faccia. Decisero entrambi di ignorare il brivido che la pervase al contatto. Era normale provare delle emozioni così soffocanti per qualcuno che non aveva mai veramente visto di persona? Forse la loro situazione era leggermente più particolare.
“Brillerai più di tutte le stelle stanotte” le assicurò.
Rachel si girò sulla sedia e alzò la testa per guardarlo negli occhi, non era facile era notevolmente più alto di lei ma ne valeva la pena perché aveva la fiducia nel suo successo stampata sul viso, tra le pieghe di una risata. Era così facile leggere le sue emozioni, onesto e trasparente com’era.
Si baciarono, in maniera normale, come se avessero passato la vita insieme e quello fosse soltanto un altro gesto quotidiano. Faceva male pensare di esseri abituati così tanto l’uno all’altra in così poco tempo.
All’improvviso una mano bussò contro il legno della porta e Finn sparì, lasciando soltanto un ragazzo sui vent’anni con un microfono all’orecchio che aveva cinque dita alzate: “Cinque minuti, signorina Berry.”

Rachel annuì e si sistemò il costume di scena un’ultima volta, uscì dal camerino e si chiuse la porta alle spalle; respirò una, due, tre volte fino a sentire l’aria arrivarle dritto al cervello, dopodiché partì in autopilota e Fanny Bride si posizionò dietro il sipario, in attesa.

 

Avanti, indietro, inspira, espira, gorgheggio a bassa voce; ripeti.
Kurt era più che nervoso, era sull’orlo di una crisi isterica. Al diavolo Rachel Berry, aveva ancora tre minuti per scappare il più velocemente possibile da quel teatro. Che ci faceva ancora lì, in ogni caso?
Era facile per la ragazza invogliarlo a buttarsi nella tana del lupo (Ah! Il sarcasmo gli veniva naturale sotto stress), lei stava affrontando la sua prima serata a Broadway, cos’era una piccola parte in un musical di città in confronto?
“Ti sento pensare da qui” lo informò Blaine, e se era vero i suoi pensieri dovevano essere dannatamente rumorosi in quel momento.
Kurt si fermò, lo guardò leggermente interdetto e cercò di non farsi notare dalle altre tre o quattro persone che aspettavano il loro turno per provare.
“Non canto da anni davanti a qualcun altro” bisbigliò.
“Hai cantato con me” constatò l’altro divertito.
Kurt lo ammonì con un’occhiataccia: “Non- non è la stessa cosa.”
“Allora facciamo così” cominciò Blaine stringendogli le braccia per farlo smettere di saltellare su e giù sul posto: “immagina che ci sia io davanti a te.”
Avrebbe voluto rispondere che la cosa non avrebbe aiutato, no, neanche un po’, però in fondo sapeva che sarebbe stata una bugia bella e buona, quindi annuì lentamente e si morse il labbro per non ridere. Ci volle un po’ prima che notassero il contatto eccessivamente ravvicinato e arrossirono entrambi quando Blaine fece cadere le mani lungo i fianchi e poi dietro la schiena, facendo un passo indietro.
“Andrai benissimo” gli assicurò e fece l’occhiolino.
“Non sai neanche cosa canterò.” Si beò dell’indifferenza degli altri, immersi nelle loro prove e si concesse di essere leggermente più spavaldo.
“Qualsiasi cosa sia, sarà bellissima.” Era in quei momenti che si chiedeva perché il destino ce l’avesse così tanto con lui da lasciare che incontrasse il ragazzo perfetto solo dopo che lui si era stanziato a un oceano e un’isola di distanza. Insomma, aveva passato tutta la sua vita a viaggiare, cosa gli costava un altro piccolo viaggio a Dublino?
“Kurt E. Hummel” lo chiamarono e lui scattò verso il palco.
Blaine gli mostrò due pollici all’insù e una risata a trentaquattro denti per incoraggiarlo.

 

Si sentiva messa apposto, il pezzo di un puzzle che s’incastrava con gli altri e magicamente tutta l’immagine aveva un senso nuovo.
Il calore dei fari le scaldava il viso, lo scrosciare di applausi le riempiva le orecchie. Quando cominciò ad intonare “I’m The Greatest Star” si rese conto che, per una volta nella sua vita, tutto era proprio come doveva essere: stava facendo quello che amava più di tutto, Finn era seduto sulle scale a guardarla con gli occhi illuminati di felicità. Non importava che tra qualche giorno sarebbe partito per il fronte, non in quel momento.
E mentre Fanny implorava per non essere licenziata, Rachel si godeva il suo lavoro.

 

Le prime note di “Being Alive” partirono dal piccolo stereo che Kurt aveva portato.
All’inizio si sentiva insicuro, incerto, dopo poco decise di seguire il consiglio di Blaine e chiuse gli occhi, si concentrò solo su quello che stava facendo. Soltanto lui e Blaine in quell’immensa stanza col piano, lui alla tastiera era lì che lo guardava cantare, orgoglioso. Tutto venne più facile. Finì la canzone senza problemi tranne una lacrima traditrice che gli rigava il viso: quelle parole gli facevano sempre pensare a sua madre anche se si era ripromesso più volte di non farlo più, di dimenticarla.
I responsabili del casting batterono le mani all’unisono e lo ringraziarono ampiamente per la sua brillante performance. Parole loro, non sue.

 

Brittany non sapeva come venire a capo di quella situazione, era troppo difficile per lei. Se non avesse trovato la soluzione il prima possibile, però, sarebbe solo peggiorato tutto.
Elizabeth le aveva detto di stare attenta a Finn: “Tienilo d’occhio, e salva gli altri.” Non sapeva davvero cosa fare, lui era un marine addestrato che da lì a poco sarebbe partito per la guerra, cosa avrebbe mai potuto fare una ragazzina come lei?
Continuava a fissare lo schermo del computer davanti a lei come se le avesse recato una grossa offesa, la sua presentazione era ridotta a un foglio bianco. Al suo capo non sarebbe piaciuto di sicuro, continuava a dire che lei era la punta di diamante dell’azienda.
Quel giorno l’ufficio era anche particolarmente rumoroso, il che non aiutava per niente la sua concentrazione. Alzò lo sguardo sulla folla, la gente che andava e veniva più indaffarata che mai con la grande conferenza alle porte, tutte quelle persone stavano con lei per sei ore al giorno, cinque giorni su sette, le conosceva bene, sapeva chi era sposato, chi divorziato, se avevano figli, i loro impegni per i prossimi giorni perché: “Ehi, Britt! Ti va di venire al cinema con noi sabato?” (rigorosamente seguito dalla sua risposta standard: “Vorrei, ma devo finire questo fascicolo.”) quindi perché si trovava a sospettare di ognuno di loro come se fossero estranei? Perché aveva l’acuta sensazione che tra quelli che non erano mai stati più di semplici colleghi di lavoro si nascondesse Whisper, il carnefice personale della sua cerchia?
Scosse la testa, si disse che era solo paranoia, non poteva essere un altro motivo, vero? Non aveva trovato nulla su di lui, era come se fosse un fantasma, il che la stava portando ad assumere comportamenti inusuali. Sì, doveva essere per quello. Si auto-convinse di non avere nulla di cui preoccuparsi e tornò a lavoro: la presentazione.
“Ad oggi si contano centoventi mila sedi della nostra-” S’interruppe a metà frase. Lampo di genio.
“Britt, grazie al cielo! Devo dirti una cosa” si affrettò a spiegare Santana, aveva gli occhi lucidi e l’aria preoccupata. Male.


“Io stavo cercando di venire da te!” esclamò Brittany, poi prese qualche secondo per guardarsi intorno: “Aspetta, siamo nel bagno dello studio di danza?”
Santana mosse la mano come per mettere il dettaglio in secondo piano.
“Conosco il nome del canarino che ha cantato nell’orecchio del dottor Metzger.”
Brittany sbatté le ciglia confusa, non era esattamente quello che le interessava sapere.
“Dobbiamo scoprire se è affiliato a Whisper. Tutti sono sospettati, persino il tuo pediatra.”
Santana aveva la faccia di chi aveva capito qualcosa d’importante. Si portò la mano alla tempia e borbottò: “Stupida, stupida, stupida!” Girando avanti e indietro nello spazio vuoto.
“Cosa?”
“Metzger ha aperto dei piccoli studi un po’ ovunque. A me sembra sospetto. Scommetto che ce n’è uno - convenientemente - anche a Sydney.”
La bionda cominciò a mangiucchiarsi le unghie per la concentrazione, arrivò ad un’unica conclusione e non le piaceva neanche un po’: “Devi andare da lui.”






 
Scrittrice in canna's corner
Ok, anche questa è fatta :')
Avevo detto che non avrei più postato capitoli lunghissimi eppure eccomi qui! Ceedo che possa compensare per il ritardo che ci sarà la settimana prossima, almeno lo spero. (Lo so, ho lasciato la storia con un cliffhanger ma io sono fatta così.)
Tributo al magniifo Miguel Angel aka Lito e la sua scena in macchina, sapete quale.
Copiare questo capitolo è stato più difficile di un parto naturale, ci sono stata due giorni! 
Avrei aggiornato ieri sera ma mentre stavo per finire di copiare, mia zia e io abbiamo cominciato a vedere i nostri due episodi di Orphan Black... che poi sono diventati tre. Sorry, guys.
Per tutti i conoscitori di Sense8 che molto probabilmente stanno storcendo il naso a determinate cose: mi sono presa un po' di liberà creativa sul come funzioni la connessione tra i ragazzi, quindi le incoerenze con la serie non solo perché io non so le cose, ma sono tutte intenzionali. Ho un piano, fidatevi di me. 
Vostra,
Scrittrice in Canna.
 
   
 
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