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Autore: Birra fredda    07/07/2016    2 recensioni
Nathan era rincasato anche quella notte all’alba. Matt lo aveva sentito chiaramente rientrare e lo aveva sentito inciampare in successione nei primi due gradini che portavano al primo piano della casa. Così era andato ad aiutarlo.
Lo aveva trovato in preda al panico seduto in fondo alla scalinata, con addosso una puzza di marijuana non indifferente e l’alito di chi ha bevuto decisamente troppo.
“Papà sto bene, torna a dormire” gli aveva detto suo figlio, con la voce strascicata, guardandolo con degli occhi rossi e gonfi da far impressione.
Adesso lo osservava dormire.
Lo aveva preso tra le braccia come faceva con sua moglie e sua figlia quando voleva dimostrare loro ch’era forte come a trent’anni, lo aveva portato in camera sua, spogliato di scarpe e jeans per farlo stare più comodo, e lo aveva messo a letto.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'You will always be my heart.'
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Quando Nathan scese per pranzo (non si era svegliato abbastanza presto per la colazione) trovò solo suo padre seduto sul divano a giocare a call of duty.
“Partitella?” propose allegro, strofinandosi un occhio per cacciare via il sonno.
Matt si girò a guardarlo.
Era sceso così come lo aveva messo a letto: in boxer, calzini e maglietta nera. Non si era neanche lavato la faccia e i denti.
“Magari più tardi” rispose l’uomo.
Nathan si strinse appena nelle spalle e pensò che aveva una fame assurda e, se non avrebbero giocato, almeno avrebbero potuto mangiare.
“Dov’è mamma?” chiese, al posto di esprimere i suoi reali pensieri.
“È uscita con zia Mich, sarebbero andate dalla parrucchiera e poi a fare shopping. Probabilmente non tornerà neanche per cena.”
Nathan capì che c’era qualcosa che non andava, a quel punto.
Sua madre era uscita con la sorella e sarebbe stata fuori tutto il giorno, nessuno aveva pensato di cucinare qualcosa e suo padre era così dannatamente strano e aveva rifiutato una partita al suo videogioco preferito.
Qualcosa non tornava.
“È successo qualcosa?”
“A che ora sei tornato questa notte?”
Il ragazzo cominciò a capire. Non se lo ricordava, non ricordava come fosse tornato a casa, come fosse rientrato o come fosse arrivato fino alla sua stanza. Figuriamoci ricordarsi l’orario.
“Non lo so...”
Matt sospirò.
“Non so neanche più come punirti” disse stancamente. “E sono stufo di incazzarmi e urlare.”
Nathan mosse un paio di passi in avanti. Avrebbe voluto scusarsi, sedersi al fianco di suo padre e lasciarsi andare a una marea di parole. Avrebbe tanto voluto che suo padre non avesse più in viso quell’espressione delusa, frustrata, spossata, ferita.
Lui e sua madre cercavano in ogni modo di indirizzarlo verso strade più propizie, rispetto a quelle che stava intraprendendo di sua spontanea volontà, ma lui ogni volta li deludeva, sbagliava, tornava indietro al pub, ignorava le loro regole e le loro imposizioni e le loro punizioni. Ogni volta si impegnava nel non essere un buon figlio che rispetta i suoi genitori. Ogni volta li feriva.
Sarebbe voluto essere in grado non farlo.
“Che devo dirti, Nate?” continuò suo padre, sospirando. “Ormai credo che tu possa sgridarti da solo. Devo toglierti di nuovo il cellulare? La moto? Devo perquisire la tua stanza?” disse ancora, spostandosi verso il bordo del divano. “Non lo so. Ho provato di tutto, non ho più idee se non quella di stenderti sulle mie ginocchia e sculacciarti come un bambino, dato che ti comporti come tale.”
Il ragazzo fece un passo indietro, pensando che suo padre a quel punto potesse davvero afferrarlo per un braccio, tirarselo addosso e suonargliele fino a che il suo sedere non fosse diventato viola.
Però Matt non diceva troppo sul serio, e si lasciò andare all’indietro, con schiena e testa contro lo schienale del divano, chiuse per un momento gli occhi e poi si alzò di scatto.
Nathan trasalì e si fece da parte, temendo una reazione avventata dell’uomo, che però gli passò accanto e tirò dritto fino alla cucina.
“Papà?”
“Cosa?”
“Tutto qui?”
Matt si affacciò con una padella in mano. Lo guardò a lungo, percorrendo con lo sguardo quel corpo minuto. Avrebbe davvero voluto picchiarlo a suon di sculacciate a mano aperta, per sfogarsi e per fargli capire la gravità di ciò che faceva. Ma non era più un bambino, era ormai un ragazzo che fin troppo presto sarebbe diventato un adulto, sebbene non si comportasse come tale. Avrebbe voluto lasciarlo dolorante, col culo in fiamme, steso sul divano per riflettere sulle sue azioni.
Ma non poteva e non doveva farlo.
“Dammi qualche idea per punirti, Nate, perché io ne sono rimasto a corto” disse l’uomo, senza smettere di guardarlo.
Il ragazzo andò verso di lui, mentre Matt si dirigeva verso i fornelli. Non capiva se era ironico e serio, ma provò comunque ad abbozzare qualcosa:
“Penso che dovresti vietarmi di uscire per un po’ e...”
Uno schiaffo lo raggiunse all’improvviso, cogliendolo di sorpresa. Non lo aveva preso in piena faccia, ma tra la guancia e l’orecchio.
Suo padre non l’aveva mai picchiato.
Okay, l’aveva picchiato solo una volta, quando aveva circa otto o nove anni. Stava per attraversare la strada per rincorrere il pallone che gli era sfuggito, senza guardare le auto, e se lo avesse fatto sarebbe sicuramente morto o rimasto ferito gravemente. Matt si era spaventato al punto tale che lo aveva afferrato con forza per un braccio, lo aveva scosso con violenza e poi gli aveva dato un ceffone così forte che gli era rimasto il livido per quasi una settimana.
Il ragazzo portò istintivamente le mani al viso, riparandolo. Non era stata una sberla forte, ma era stata sicuramente inaspettata e Nathan guardò suo padre come se fosse impazzito.
“Sono stanco di avere a che fare con te!” gridò l’uomo a pieni polmoni, alzando le braccia al cielo e facendo indietreggiare il figlio, il quale temeva potesse picchiarlo di nuovo. “Sono stanco di doverti venire a recuperare sul portico o sulle scale perché non riesci ad arrivare da solo in camera tua, di doverti spogliare e mettere a letto e poi mettere a fare la lavatrice per non far sentire a tua madre la puzza di marijuana.”
Ah, cazzo, quindi si sentiva?
“Sono stanco di punirti e di darti sempre nuovi limiti che tanto non rispetti, di scusarmi con la preside almeno una volta a settimana per i tuoi atti di vandalismo, i tuoi voti vergognosi, le tue risse e le tue assenza” continuò Matt, alzando ulteriormente il tono di voce. “Fai come cazzo credi, cavatela da solo, dato che ti credi tanto superiore a me e a Val da ignorarci completamente!”
Si guardarono negli occhi identici per qualche secondo, occhi di rabbia in occhi di timore.
Poi il padre si girò di scatto e andò al frigo per prendere due hamburger.
Nathan si appoggiò al muro e cercò di non cominciare a frignare. Doveva essere forte, non mostrarsi debole per l’ennesima volta. Doveva essere forte.
Non poteva dire sul serio.
Suo padre non poteva pensare davvero che se la sarebbe cavata da solo. Sapeva benissimo che non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe andato tutto ancora peggio, che si sarebbe lasciato andare ancora di più e che, senza il suo aiuto e le sue dritte, non sarebbe mai riuscito a risollevarsi. Doveva aver parlato solo in preda al nervosismo, non pensando realmente neanche una delle parole che aveva pronunciato. Doveva essere così.
Lo osservò mentre cucinava.
Tutte le volte in cui suo padre l’aveva punito, gli aveva sbraitato contro, lo aveva afferrato per un braccio e strattonato, tutte le volte in cui era piombato nella sua camera e l’aveva rivoltata come un calzino alla ricerca di qualcosa che non ci sarebbe dovuto essere, tutte le volte che lo aveva immobilizzato e gli aveva preso il cellulare o le chiavi del motorino dalle tasche, in tutte queste occasioni Nathan si era incazzato con lui. Si era sentito impotente e trattato da ragazzino, non da adolescente. Si era sentito poco rispettato per la persona che era.
Eppure, in qualche modo, nel profondo, non l’avrebbe mai e poi mai ammesso a voce alta, si era sempre sentito anche grato nei confronti dei suoi genitori.
Perché non mollavano, con lui.
Se si incazzavano fino a tal punto, era perché ci tenevano a lui e non volevano che andasse troppo oltre. Se lo punivano e gli proibivano di uscire e gli urlavano contro, era perché gli volevano bene e il suo comportamento li faceva stare male e li faceva preoccupare.
Questa volta suo padre aveva perso la pazienza, aveva urlato ma non per dirgli le solite cose. Non per dirgli che si stava rovinando, che continuando così sarebbe stato sempre peggio, non per dirgli che doveva riprendere in mano la sua vita o per comunicargli qualche divieto.
No. Aveva gridato che era stanco di lui e non aveva più intenzione di incazzarsi e di sforzarsi di rimetterlo in riga.
Forse non gli voleva più il bene che gli voleva prima, forse ci teneva di meno a lui. Era diventato un essere così insulso che i suoi genitori non si curavano più neanche di infuriarsi per le sue azioni.
Suo padre gli aveva dato quello schiaffo in uno scatto d’ira. Non uno schiaffo pensato, ragionato, dato con criterio. Solo di rabbia, di profonda frustrazione.
Adesso doveva cavarsela da solo, a quanto pareva. E sapeva già che avrebbe fallito.
Falliva sempre. Non poteva farne a meno. Anche quando non voleva, anche quando voleva rispettare le regole date dai suoi genitori, alla fine faceva qualcosa di sbagliato e falliva.
Avrebbe tanto voluto che suo padre si girasse a guardarlo e gli ordinasse di consegnarli le chiavi del motorino, di andare in camera sua senza pranzo e di mettersi a studiare, di scordarsi di mettere piede fuori casa per l’intero mese dopo essere rincasato da scuola. Invece suo padre si girò e gli disse che il pranzo era pronto.






















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Ecco a voi il primo capitolo!
Non ce lo vedete anche voi quell'armadio di Matt in crisi nera con un figlio adolescente? Io troppo!
Nei prossimi capitoli vi giuro che cominceranno a comparire anche gli altri e soprattutto vorrei inserire a pieno titolo lo zio Brian (che oggi fa anche il compleanno, TANTI AUGURI SYN).

Okay, spero vi piaccia il capitolo e spero che continuerete a seguire la storia. Mi farebbe molto piacere ricevere consigli, critiche e idee.
Birra Fredda.
 
  
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