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Autore: Vavi_14    08/07/2016    7 recensioni
[...]Non ricordi, esattamente, quando l’interesse per le sedute di studio incominciò lentamente a scemare e quando la sua voce e la sua bocca cessarono di essere solo un’incredibile fonte di sapere, per divenire labbra candide e carnose sulle quali posare soffici baci. Però ricordi l’incredibile senso di pienezza che la sua presenza riusciva a donarti, la redenzione nella quale quegli occhi candidi sembravano avvolgere il tuo animo, cancellando in un attimo tutti i peccati e le sofferenze di un passato ormai lontano. E ricordi l’incredulità dinanzi alla protezione e alla beatitudine che due braccia esili attorno al corpo riuscivano a trasmetterti. Quasi faceva male, dopo così tanti anni passati a cercare te stesso, sapere di averlo trovato in una creatura apparentemente fragile e pura come Hinata. Non riuscisti ad accettarlo subito, fu come una lotta interiore nella quale annullasti una parte di te, per poi farla rinascere sotto nuove spoglie. [...]
***
SasuHina principalmente, con lievi accenni NaruHina.
NaruSasu friendship.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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«Stasera usciamo eh, Teme».
Sei sicuro che il verso della canzone che stai ascoltando non comprenda quelle tre fastidiosissime parole. Naruto ti ha sfilato una cuffietta  e si è gettato letteralmente sul divano accanto a te, circondandoti il collo con un braccio. Ti volti lentamente, incontrando il suo naso a distanza pericolosamente ravvicinata; gli spiaccichi una mano sulla faccia, allontanandolo rassegnato.
«Non mi v-»
«E non ti azzardare a dire che non ti va!» replica lui, riuscendo ad articolare le parole anche col tuo palmo a coprirgli la bocca.
Ti riappropri della cuffietta, spostandoti di poco per scansarti dalla sua irritante presenza: è questione di secondi e ha già recuperato quei centimetri che vi dividono.
«Sakura ha detto che non avrebbe accettato risposte negative» butta lì con un sorrisetto da ebete stampato in faccia, convintissimo che l’aver specificato il colpevole di quell’iniziativa basti per convincerti ad andare.
Lo guardi di sottecchi, è un po’ che Sakura non si fa viva, ora che ci pensi. In verità è molto probabile che sia rimasta in contatto solo con Naruto, anche se lui non ti ha mai detto niente in proposito. Ricordi ancora quando vi trasferiste in quell’appartamento, ad inizio anno accademico: per poco non arrivò a pregarvi di ospitare anche lei. Diceva che almeno sareste stati tutti insieme come ai tempi del liceo e che anche se fosse stata costretta a prendere due autobus tutte le mattine per raggiungere la sua Facoltà, avrebbe fatto volentieri quel sacrificio pur di rimanere con i suoi vecchi migliori amici.

Già, poi era arrivata Lei e di Sakura non vedesti più neanche l’ombra.

«Non mi interessa» è la tua risposta definitiva, che sancisce l’addio dal mondo reale.
Ancora una volta, l’affascinante quanto fastidiosa creatura di nome Naruto non demorde, ma stavolta cambia tattica: ti sfila entrambe le cuffiette e se le porta alle orecchie, ignorando il tuo sguardo omicida.
«Si può sapere cosa ascolti di tanto interessante da preferirlo ad un uscita con i tuoi amici?» urla cercando di sovrastare il volume della musica. «Santi Kami ma sei sordo!»urla ancora, comunicando la notizia anche ai coinquilini del settimo piano. Si sfila velocemente le cuffie strofinando un dito nell’orecchio e scuotendo la testa, come tormentato da un invisibile moschino.
« Guarda che non scherzo, se continui a tenere il volume così alto diventerai sordo».
«Forse non ho voglia di sentirti» butti lì, ignorando la sua espressione preoccupata.
Naruto ti guarda, è serio questa volta. Sai benissimo che è in apprensione per te.
«Forse non hai voglia di sentire e basta» replica, sospirando lievemente e tornando seduto composto a fissare lo schermo nero della TV davanti a voi.
Seguono alcuni minuti di silenzio tombale, dopodiché Naruto sospira di nuovo e si volta a guardarti. «D’accordo, dirò a Sakura che non stai molto bene. Stasera ci guardiamo un film». Si alza piegandosi prima sulla schiena per darsi lo slancio. Non hai neanche il tempo di replicare che è già volato verso il mobile dove tenete i DVD scaricati.
Sbuffi in silenzio, mettendo via l’ipod. Dargli un ulteriore delusione non ti va, dopotutto l’ultima cosa che desideri è vederlo farsi carico del tuo dolore.
«Basta che non sia Captain America» replichi allora, troppo sicuro di quale film sceglierà il tuo migliore amico.
«Perché?!» sbotta infatti dalla stanza accanto e lo senti fare qualche passo indietro, probabilmente per rimettere a posto quel film che voleva propinarti per la ventesima volta nell’arco di un mese.
«Perché Steve Rogers è un coglione». In fondo qualche minuto per infastidirlo puoi pure concedertelo.
Lo vedi apparire come un fulmine sulla porta del salotto, con il cellulare a ‘mo di pistola puntata contro di te e carica a sparare.
«Dimentico sempre che tu stai con gli Stark, dannato traditore».
«Io non sto con nessuno. Muoviti oppure me ne vado in camera».
«Va bene, va bene!» accorda tornando di là e comparendo nuovamente con un altro DVD per le mani. Cerchi di leggere cosa c’è scritto ma Naruto è più veloce e lo infila nella Play, agguantando il telecomando per accendere.
«Senti ma in che razza di lingua era quella roba che ascoltavi?» chiede poi, mentre la scritta “The Avengers” compare a caratteri cubitali dinanzi ai vostri occhi.
Fai un lungo sospiro liberatorio, prima di rispondergli.
«Inglese, Naruto. Inglese».


*



Quella mattinata di inizio Autunno, tra le tante sedie libere presenti in aula, Lei scelse proprio quella dinanzi alla tua, giusto una fila più avanti. Portava a tracolla un borsone che sembrava pesare dieci chili, dal quale tirò fuori un astuccio tubolare, un quaderno ad anelli ed una bottiglietta d’acqua.
Rispetto al tuo misero block notes sembrava decisamente più organizzata.
Due occhiali neri dalla montatura allungata agli angoli le ricadevano sul naso piccolo e arrossato dai primi freddi. La frangia, spettinata sulla fronte e lunga sino alle sopracciglia, faceva da cornice ad una folta chioma nera e liscia, le cui ciocche ricadevano spesso tra le dita affusolate, ostacolandole i movimenti nel prendere appunti. Allora agguantava una matita e svelta se la rigirava tra i capelli, dando vita ad una crocchia tanto disordinata quanto attraente. A pensarci bene, forse erano più le volte che ti soffermavi a guardare quel nido di intrecci color ebano, piuttosto che gli scarabocchi del professore di Economia.


*


Leggi e rileggi quel maledetto paragrafo di pagina dieci, indugiando troppo sull’inchiostro dei vocaboli, senza riuscire ad afferrarne il contenuto. L’esame è tra una settimana e sei decisamente indietro sulla tabella di marcia; osservi la piccola griglia con i giorni che avevi creato appositamente per organizzare lo studio e, stando ai tuoi scrupolosi programmi, avresti già dovuto terminare di riassumere il contenuto del libro per passare alla rilettura finale. Posi la penna e ti massaggi le tempie. Ancora una volta sopraggiunge quella sensazione di terribile apatia e assieme ad essa il solito groppo che ostruisce la gola, togliendoti il respiro. Qualche tempo prima avresti rimandato un’uscita, rinunciato al pranzo o alla cena pur di rispettare i tuoi scrupolosi piani di studio; ora ti sembra stupido, quei giorni e quelle pagine associate ti sembrano stupidi, tutto quel darsi da fare per un esame diviene all’improvviso incomprensibile.

«Ehm… Sasuke?»

Naruto fa il suo ingresso in camera tua, bussando piano sulla porta solo dopo averla spalancata. Il suo tono di voce è quasi un sussurro e mentre si prepara a parlare di nuovo massaggia nervosamente la nuca, segno che sta per avanzare qualche richiesta non gradita.
«Hai… hai presente quell’esame di Chimica che devo dare dopodomani? Ecco, sono nella merda. Non capisco niente di quelle maledette formule e so che non dovrei chiedertelo perché stai studiando anche tu e non dovrei interrompere il tuo scrupolosissimo programma della settimana, però… ».
Parla come una macchinetta scordandosi di respirare e si zittisce solo quando ti vede voltare il capo verso di lui. Ti guarda immobile, in attesa di ricevere un rifiuto o una parolaccia, come spesso avviene quando chiede il tuo aiuto all’ultimo momento, invece è tutt’altro quello che proferisci.
«Hai mezz’ora per capire la spiegazione e ripetermela ad alta voce» concedi, sapendo che con Naruto è sempre meglio non sbilanciarsi troppo. Per tutta risposta il tuo amico biondo annuisce giulivo e si fionda a prendere il materiale necessario raggiungendo la sua stanza con un balzo, neanche gli fossero stati promessi dieci chili di ramen tutti insieme.

In un primo momento ti sembra semplicemente di aver fatto una scelta senza senso, quasi di aver agito senza pensare; poi però, non appena la matita tocca il foglio bianco ed inizia a dispiegare reazioni e formule chimiche sotto gli occhi confusi quanto ammirati di Naruto, quando la mezz’ora si tramuta in ora e quando le ore immersi nei libri vi fanno dimenticare la cena, allora tutto sembra un po’ più chiaro. La mente è concentrata, il cuore respira.

Eppure anche questa sensazione è svelta ad affievolirsi: basta tornare al mondo reale, guardare l’orologio è scoprire che è tardi, che bisogna andare a dormire perché l’indomani la sveglia suonerà alla sette di mattina e che quel fottutissimo programma tornerà a tormentarti fino a quando non lo porterai a termine .
Pensare torna a far male, i ricordi bussano con insistenza come se pretendessero di rientrare nella loro dimora.
Tenere la testa fra i palmi non basta a contenere l’afflusso di sangue che ti fa pulsare le tempie; sai che dovresti tenerla occupata, da tempo hai imparato a convivere con questo disagio.
Ti alzi dal letto e getti un’occhiata al display del cellulare: è l’una e mezza. Accendi la luce della scrivania e riapri il libro nel punto in cui l’avevi lasciato.

La settimana successiva dai l’esame. Trenta e lode. Un punto di svolta, lo definirebbe Naruto. Per te, invece, è un punto di non ritorno.



*



«Secondo me ti si è rotto qualche ingranaggio in quel cervello complicato che ti ritrovi».
La sentenza di Naruto è proferita dinanzi allo schermo del suo portatile, inondato di grasso e sale dei popcorn che sta sgranocchiando, mentre guarda una puntata arretrata di chissà quale ridicolo telefilm.
Pur nella sua beata ignoranza, non ha poi tutti i torti. Una rottura c’è stata, di questo ne sei certo. Ciò che ti tormenta è, però, quale sia l’effettiva probabilità di sopravvivenza a quell’orribile squarcio che si è creato; non è nei neuroni del cervello e nemmeno nello stomaco o nel cuore: è ovunque.
«Prendiamoci un anno sabbatico dall’Università e facciamoci un viaggio da qualche par- ma porca di quella…» ha appena lasciato cadere la ciotola in plastica sul pavimento, rivestendo il tappeto di graziosi chicchi di mais non ancora scoppiati.
Hai un’irrefrenabile voglia di mettergli le mani al collo e soffocarlo, proprio come è appena successo a quel personaggio della serie che gli piaceva tanto. Non ti sei fatto sfuggire, però, il pensiero che era sul punto di esprimere: una pausa di riflessione, lontano da tutto e da tutti. Ci hai pensato tante di quelle volte che ancora non ti spieghi cosa ti abbia trattenuto dal fare le valigie e partire. Da solo, ovviamente.
Forse è perché sembra tutto troppo difficile; restare è faticoso, partire, ricominciare, lo è ancora di più. In bilico tra due decisioni che sembrano una più sbagliata dell’altra.
«Giuro che se nella prossima stagione non trovano un modo per farlo resuscitare scrivo una lettera alla produzione!».
Forse è un bene che lui non lo capisca. O perlomeno, che non capisca fino in fondo.



*


La vostra prima vera interazione avvenne in modo del tutto inaspettato. Ricordi che vi fermaste a parlare, terminato il soliloquio del professore, riguardo una nozione particolarmente complessa di economia aziendale che nessuno, in aula, sembrava aver afferrato. Trattandosi di uno dei principali argomenti d’esame, eri rimasto qualche minuto in più ad ascoltare le argomentazioni di quella ragazza seduta di fronte a te, mentre tentava di spiegarlo, con parole sue, ad un brutto ceffo che la settimana precedente le aveva chiesto degli appunti.
Osservando la faccia da ebete con la quale quel tipo la fissava, pensasti che non ci fosse modo più squallido per cercare di rimorchiare una persona e ti domandasti se nello sguardo di lei ci fosse davvero quell’innocenza che sembrava trasparire dall’espressione serena e concentrata con la quale esponeva i concetti.
«È una spiegazione accurata, ma discutibile».
Intervenisti nella conversazione senza troppi preamboli, guadagnandoti un’occhiata stralunata dal tipaccio provolone e da qualche amico al suo seguito. Probabilmente non si erano neanche accorti di te.
Lei inarcò un poco le sopracciglia, dapprima sorpresa, per poi chiudersi timidamente nella spalle. «È solo quello che ho capito».
«Non è corretto interrompere qualcuno mentre sta-».
«Credo che il Professore abbia sbagliato il metodo d’approccio al problema. Meri esercizi senza una base teorica non sono altro che pure convenzioni».
Ignorasti completamente il commento infastidito del ragazzo, puntando le iridi scure direttamente in quelle chiare di lei.
«Su questo sono d’accordo» replicò annuendo, gettando un’occhiata nervosa al tipo che un secondo prima pendeva dalle sue labbra e un attimo dopo sembrava volerti incenerire seduto stante. Dopotutto avevi appena mandato in frantumi il suo misero tentativo di conquista.
«Il libro comunque è abbastanza esplicativo» continuasti, indicando il manuale di riferimento.
Lei lo osservò interessata. «Non l’ho ancora acquistato, ma viste le spiegazioni poco chiare del professore penso che a questo punto sia necessario» rifletté portandosi una ciocca dietro l’orecchio, per poi voltarsi di scatto verso gli altri tre ragazzi seduti nelle file davanti.
«Scusatemi, io… ehm, penso di aver detto tutto» balbettò un poco in difficoltà. «Però quella del manuale è una buona notizia, credo sia conveniente per tutti provare a capire partendo da lì, se è realmente valido come ha detto… ehm». Si fermò di nuovo, guardandoti imbarazzata.
«Sasuke» suggeristi, dopo un attimo di esitazione. La vedesti ricambiare quel contatto oculare per qualche secondo di troppo, accennando un lieve sorriso.
Poco dopo si congedò dal gruppetto di stalker, guardando furtivamente l’orologio e recuperando in un lampo le sue cose. Prima che potesti varcare la soglia dell’aula, però, sentisti una voce dietro di te farsi sempre più vicina.
«Io sono Hinata» pronunciò la ragazza con voce flebile, facendo un lieve cenno con il capo. Ti parve di scorgere le sue guance imporporarsi, ma prima di vederla fuggire via fosti tu a bloccarla sul posto.
«Ti andrebbe di continuare il discorso di prima davanti ad un caffè, Hinata?».
Lei rimase di spalle per qualche secondo.
«Ecco…» iniziò, voltandosi. Aveva la testa bassa e subito pensasti di aver usato un approccio sbagliato. Ma poi scorgesti i suoi occhi a mandorla curvarsi verso l’alto e le sue ciglia sollevarsi delicatamente, rivelando un infinito perlaceo che illuminava meravigliosamente quel viso pallido. «Perché no».



*



Mentre osservi distrattamente il cucchiaino girare nella tazzina detesti te stesso e gli stupidi scherzi della memoria, che ancora si chiede perché, su quella sedia dinanzi alla tua, non ci sia più Lei a condividere il caffè del pomeriggio.
Vedi due dita affusolate avvolgere delicatamente il manico della tazzina per poi portarla alla bocca; inevitabilmente ripensi a come Lei la afferrava per il bordo con entrambe le mani, quasi goffamente, e un secondo dopo la riposava sul tavolo per il troppo calore e si decideva a bere il suo caffè come tutte le persone normali. L’avevi sempre trovata un po’ buffa nella sua timidezza, eppure riusciva in ogni situazione a mantenere un’aura elegante e quasi intangibile.
«Sasuke».
Il tono fermo e severo che ha pronunciato il tuo nome è talmente diverso dal suo che sei costretto a sollevare le palpebre.
«Sono molto preoccupata per te».
Abbassi nuovamente lo sguardo, fissando le mani che tieni in grembo. È una frase che hai sentito tante, troppe volte ultimamente, e che ormai ti passa attraverso le membra come fosse un gelido fantasma. Dà fastidio, ma non scalfisce.
«Ieri ho parlato con tuo padre». Continua nel suo monologo, decisa ad arrivare al punto. Sei molto infastidito del fatto che abbia preso iniziative nei confronti della tua famiglia, ma non hai voglia di discutere neanche di questo.
«Che gli hai detto?» domandi, anche se non c’è troppa voglia di saperlo, in fondo.
Lei si avvicina col busto al tavolo e solleva gli occhiali da sole sul capo, rivelando due luminosi occhi verdi sgombri da ogni traccia di trucco.
«Che hai bisogno d’aiuto, Sasuke».
Vedi chiaramente le sue pupille riempirsi di lacrime e fai tremendamente fatica ad importi di non  fuggire via seduto stante. Non dubiti dei suoi reali sentimenti, dopotutto avete condiviso molte cose assieme, ma non hai mai scordato l’aria distaccata con la quale aveva iniziato a trattarti durante i due anni trascorsi assieme a Lei. Probabilmente lo fece per preservare se stessa, per difendersi, eppure ora sei tu quello senza armi né scudi, e l’ultima cosa che desideri è essere aiutato o compatito da Sakura.
«Io non ho bisogno del tuo aiuto, né di quello di nessun altro. E non contattare mai più mio padre o la mia famiglia».
Sei categorico nella tua risposta e la durezza del tuo sguardo la colpisce in pieno. Non trattiene più i singhiozzi ma piange in modo silenzioso, lasciando che le lacrime le scendano sul volto e ricadano sulla gonna nera che indossa.
«Sasuke, io… » ha la voce rotta, non sa più che fare.
Tu sospiri, ti alzi e stai per andartene, ma lei ti raggiunge in un lampo dall’altra parte del tavolo e, inaspettatamente, ti rifila un sonoro schiaffo sulla guancia, facendo voltare metà dei clienti del Bar.
Non sai se è più l’odio per ciò che ha fatto a scaldarti il petto, oppure l’improvvisa e strana beatitudine che ti ha avvolto nel sentire quel dolore. In un certo senso, sembra quasi che il tuo corpo lo abbia apprezzato.
«Devi reagire, Sasuke!»
È stanca, arrabbiata e forse un po’ pentita. Tu, dal canto tuo, ti massaggi la guancia, le lanci un’ultima occhiata indifferente e poi te ne vai.



*



Non ricordi, esattamente, quando l’interesse per le sedute di studio incominciò lentamente a scemare e quando la sua voce e la sua bocca cessarono di essere solo un’incredibile fonte di sapere, per divenire labbra candide e carnose sulle quali posare soffici baci. Però ricordi l’incredibile senso di pienezza che la sua presenza riusciva a donarti, la redenzione nella quale quegli occhi candidi sembravano avvolgere il tuo animo, cancellando in un attimo tutti i peccati e le sofferenze di un passato ormai lontano. E ricordi l’incredulità dinanzi alla protezione e alla beatitudine che due braccia esili attorno al corpo riuscivano a trasmetterti. Quasi faceva male, dopo così tanti anni passati a cercare te stesso, sapere di averlo trovato in una creatura apparentemente fragile e pura come Hinata. Non riuscisti ad accettarlo subito, fu come una lotta interiore nella quale annullasti una parte di te, per poi farla rinascere sotto nuove spoglie.

«Cos’è che ti spaventa, Sasuke?»

Te lo domandò una sera d’inverno, mentre entrambi eravate intenti ad ammirare i fiocchi di neve nella loro caduta silenziosa. Sentisti il corpo di lei avvicinarsi e il suo calore fluire nelle tue membra, sciogliendo un poco quei dubbi che ti assillavano.
Non rispondesti subito; le accarezzasti lentamente una spalla nuda, scostandole i lunghi capelli corvini, per poi tornare a fissare lo sguardo fuori dalla finestra.

«Tutto».

Non fu poi così difficile ammetterlo apertamente, forse perché Hinata aveva ormai imparato a conoscere e a ad interpretare le tue paure meglio di chiunque altro.
Sentisti le sue dita sotto il mento accompagnare il tuo volto verso il suo. Sollevò il capo che teneva poggiato sulla tua spalla e non smise di avvolgerti parte del viso con il palmo.

«Ciò che temi, lo affronteremo insieme» sussurrò alzando lo sguardo, per poi premere delicatamente le labbra sulla tua fronte.



*



Guardi lo schermo del cellulare. Sette chiamate perse. Itachi nii-san.
Storci il naso: quella denominazione affettuosa non ti è mai sembrata così fuori luogo come adesso. Non hai voglia di sentire le sue prediche, né la sua voce, così lontana dal posto in cui sei ora. Di tuo padre, invece, neanche l’ombra; le raccomandazioni di Sakura non devono averlo scalfito in alcun modo, ma non c’è niente di cui meravigliarsi.
Fugaku ha sempre pensato che tu ed Itachi foste soltanto un peso per la famiglia. O meglio, tu lo sei sempre stato, quasi fin dalla nascita: un inutile fratello minore che viveva all’ombra del maggiore. Itachi invece, lo studente modello, ha sempre ricevuto sua massima stima e rispetto, almeno fino a quando vostra madre non è venuta prematuramente a mancare e la vita di Itachi fuori del Giappone è divenuta all’improvviso un “disonore per la famiglia”. D’altronde non lo biasimi, nel posto in cui vive ora ha una compagna e un lavoro che non può lasciare e, a parte te, non avrebbe più nessun motivo per tornare. Tu, dal canto tuo, non vedi perché dovresti assistere un padre che ti ha sempre disprezzato e che, per quasi vent’anni della tua vita, non ha fatto altro che rimproverarti per tutto ciò che avresti dovuto fare e non hai fatto, tutto ciò che avresti dovuto essere e non sei stato.
Hai sopportato per molto tempo, fino a rendere quelle parole rivestite di spine un muto soffio di vento; lo hai fatto per l’anima di tua madre, per tuo fratello, per te stesso, perché fino all’ultimo hai visto uno spiraglio di luce seguirti nel tuo cammino e divenire raggio, poi sole e calore, tanto intenso da colmare il petto sino a scoppiare.
Ma ora che anche Lei se n’è andata, di voi non rimane che un’esistenza vuota e una famiglia ridotta in briciole.

«Ehi Teme».

Porti a termine anche il centesimo piegamento sui bicipiti, respirando a fondo l’aria fresca del Garage, quando un peso non indifferente ti piomba sulla schiena, facendoti battere violentemente il petto sul pavimento.

«Dobe, che cazzo stai fa-»
«Vediamo se riesci a fare le flessioni con sessantacinque chilogrammi extra!» trilla giulivo, mentre cerchi di sollevare almeno il mento da terra.
«Togliti immediatamente».
«Solo se ti solleverai con le braccia, Teme».
«’fanculo».
Raccogli le ultime forze che ti rimangono e, mentre le vene pulsano vistosamente sui bicipiti, le braccia fanno pressione verso l’alto e per un attimo sollevano, assieme al resto del corpo, quella fastidiosa seccatura di nome Naruto.
Lui mantiene la parole e in un battibaleno si alza. «Sei tutto appiccicoso, che schifo» ha pure da lamentarsi, scuotendo le braccia come fosse stato attaccato da uno sciame di api.
Agguanti la bottiglietta d’acqua che tenevi a portata di mano, ne bevi un goccio e poi ti strofini i capelli sudati con un asciugamano di cotone.
«Comunque, è passata Karin prima…». La butta lì con nonchalance, «Le ho detto che non eri in casa e che l’avresti richiamata».
Già, un’altra decisione presa senza pensare, quella di uscire con la cugina di Naruto. Cugina di quarto grado in realtà, i due erano quasi sconosciuti. Comunque si è rivelata l’ennesima mossa sbagliata: una sola notte passata insieme è stata in grado di farti provare disgusto per un corpo che non fosse il suo e il senso di repulsione è stato talmente forte che appena tornato a casa hai dovuto rimettere due volte. A dire la verità, non ti eri mai accorto di quanto il tuo fisico si stesse lentamente sgretolando prima di quel momento.
«Blaterava qualcosa sul fatto che fossi sparito e che le avessi dato un numero di cellulare che non era il tuo… – si affretta a mettere le mani avanti, appena si accorge dell’occhiata che gli lanci – tranquillo, gliel’ho ridato sbagliato».
Sospiri, per un attimo ti verrebbe da sorridere.
«Ma prima o poi dovrai affrontarla, se non intendi avere nulla a che fare con lei».
Avresti preferito non doverlo sentire, specialmente da uno come Naruto, eppure sai che ha ragione, lasciare le cose a metà non migliorerà la situazione.



*



È difficile spiegare razionalmente la cecità che ti ha impedito di fare luce su ciò che stava accadendo. Furono mesi, anni, eppure sembrò succedere tutto così in fretta. Quando iniziasti a renderti conto del danno, ormai il peggio era stato fatto, e fu del tutto inutile cercare di convincersi che, in qualche modo, sarebbe successo lo stesso: no, era solo colpa tua, avresti dovuto cogliere il primo segnale ed estinguerlo.

«Siamo stati compagni alle elementari».

Una semplice, insignificante affermazione, che per te non aveva mai significato nulla, mentre per lei, per lei era tutto.
Quando la presentasti a Naruto per la prima volta, dopo ormai diversi mesi trascorsi a frequentarvi, scorgesti sul viso di Hinata un’espressione enigmatica, quasi tesa. Lui non parve in alcun modo ricordarsi della sua giovane compagna di classe, ma la accolse in ogni caso con quel sorriso disarmante che donava gioia  solo a guardarlo.

Dopo quella volta, in realtà, le cose non sembrarono cambiare molto; ci fu qualche uscita in più assieme a Naruto e Hinata venne spesso a casa vostra per studiare o a prendere un tè. Capitò anche una cena tutti assieme, ma date le dubbie abilità culinarie di entrambi, le volte successive preferisti evitare e portarla a mangiare fuori.
Lei sembrava comportarsi normalmente, almeno agli inizi, ma poi cominciò a diventare nervosa, insicura, ti parve addirittura di scorgere un lieve balbettio nella sua parlata e glielo facesti notare, ottenendo come risposta una timida alzata di spalle: «A volte mi succede, quando sono stressata».
Avresti potuto chiederle il motivo di quello stress, ma non lo facesti: preferisti restare a guardare, sperando fino all’ultimo di esserti sbagliato, perché una ridicola cotta infantile non avrebbe mai potuto scalfire un sentimento così solido – o almeno lo credevi – come il vostro.

Ma Hinata non aveva mai pensato a Naruto come una “cotta”. Lui, inconsapevolmente, l’aveva aiutata a cambiare; in un età difficile in cui tutto le sembrava troppo grande per lei, Hinata aveva imparato a stringere i denti osservando quel bambino biondo così grintoso e apparentemente pieno di sé, che piangeva di nascosto quando nessuno poteva vederlo, ma lottava come una tigre dinanzi alle difficoltà. E lei, la primogenita della famiglia Hyuuga, troppo insicura e ingenua per poter essere considerata degna di attenzioni da suo padre, aveva finalmente trovato un motivo per dimostrare a tutti che poteva farcela, che un giorno sarebbe cresciuta, divenendo una donna matura e, perché no, avrebbe sposato l’uomo che l’aveva resa tale: Naruto Uzumaki.
Alle medie frequentarono scuole diverse, ma Hinata continuò ad incontrare Naruto nel quartiere, mantenendo però le debite distanze. Non l’avrebbe mai dimenticato, né il suo modo di fare né il suo bellissimo viso abbronzato e sorridente.
Così ora, a distanza di anni, quegli occhi luminosi tornavano a tormentarla come mai avrebbe pensato potesse accadere. Naruto non era mai stato una cotta per lei. Naruto era sempre stato l’unico uomo che avrebbe voluto avere al suo fianco per il resto della vita.

Arrivasti a comprenderlo lentamente e fu una certezza che si insinuò in te come una lama che penetrava poco a poco nel petto, squarciando gli organi interni nella peggior sofferenza possibile.
Lei sempre più lontana, cupa, triste, tu sempre più confuso, disorientato, sul punto di impazzire.

«Io penso di amarlo ancora, Sasuke. So che sembra stupido ma, credimi, lui-».

Non rispondevi, avevi perso ogni voglia di combattere, di ragionare a mente lucida.

«Non ha alcun senso». Replicasti un giorno, l’ultimo che trascorreste insieme.
«Forse no, Sasuke, ma non posso continuare a prendere in giro me stessa… e te. Non posso vivere con lui vicino, non posso».

Forse, in quel momento, la cosa migliore da fare sarebbe stata proporre di partire insieme, trasferirvi in un luogo lontano e cominciare una nuova vita, partire da zero. Eppure, anche quell’ipotesi sembrava solo un misero cerotto appiccicato malamente su una ferita troppo grande e sanguinante per essere curata. Sarebbe stato come chiudere gli occhi, vivere nell’ignoranza, fingere di non vedere l’evidenza.

Così tutto cominciò a divenire chiaro.

Mentre per te, Hinata, era troppo, tu, per lei, non saresti mai stato abbastanza.




*




Ormai sono quasi tre mesi che Hinata è partita: ha raggiunto suo fratello Neji in Europa, sperando di trovare un posto nell’azienda di famiglia, il più lontano possibile dal Giappone.
Il motore che ancora ti tiene in piedi minaccia di rimanere a corto di benzina da un momento all’altro; l’altalenarsi di periodi sufficientemente vivibili ed altri insopportabili non sembra proprio il modo giusto per andare avanti. A volte azzarderesti quasi nel dire che hai raggiunto una sorta di equilibrio, qualcosa di almeno sopportabile. Hai pensato di prendere un appartamento da solo ma, nonostante tutto, sai bene che non ce la faresti mai a gestire un peso di tale calibro; Naruto è l’unico in grado di alleviarlo e peggiorarlo allo stesso tempo.  Sembra quasi una situazione senza uscita, ma in fondo è passato poco tempo e tra l’Università e un amico scemo a cui pensare, forse rimane ancora una piccola via di fuga.
Per il momento, ciò che fai è stare a guardare, come se la vita che stai vivendo fosse quella di un altro: non è facile giudicare dall’esterno, però è un buon modo per iniziare.

Almeno finché, a un certo punto, qualcuno decide di tirarti dentro di nuovo.

«Le ho detto che non c’eri, ho provato a fermarla, ma lei-»
Naruto è sulla soglia della tua camera, bianco come un cadavere e con i palmi rivolti verso l’aria. Ha il fiato corto, come se avesse appena fatto una maratona. Dietro di lui, subito dopo, scorgi una sagoma avvicinarsi e nel momento in cui una chioma scura e liscia ondula dolcemente su due spalle magre, comprendi il motivo di tanta agitazione.
Sul momento non riesci ad alzarti dal letto. I neuroni delle gambe sembrano sopiti, addormentati… morti. Non c’è più segnale di vita nel tuo corpo da fantoccio, se non un unico muscolo che pulsa e batte all’impazzata. La stanza prende a girare vorticosamente, lo stomaco si risveglia facendoti salire la nausea e sei costretto a tenere la testa con i palmi per accertarti di essere ancora presente a te stesso.
«Sasuke…» inizia lei.
«Lasciaci soli, Naruto».
Quasi le parli sopra, sentir di nuovo pronunciare il tuo nome a quel modo fa dannatamente male.
Il tuo amico guarda prima te e poi Hinata in modo nervoso, non ha nessuna voglia di lasciarti solo, ma non vede alternative. Esce dalla stanza tenendo la porta socchiusa.

«Che cosa vuoi?»
Non c’è rabbia nella tua voce, solo voglia che tutto finisca alla svelta, che lei se ne vada. Tieni lo sguardo basso, sulle sue ballerine, non avrebbe senso torturarsi oltre.
«Ecco… mio padre sta morendo».
Hai un lieve sussulto, ma non cambi espressione, né alzi le iridi per darle conforto. Semplicemente, rimani in silenzio e attendi che prosegua.
«Io e mio cugino siamo arrivati ieri, ma non resteremo molto. L’azienda ha bisogno di noi, tra qualche giorno ripartiremo».
«Ti ho chiesto che cosa vuoi».
Stavolta la tua voce si fa leggermente più austera. Nulla di tutto quello che ha detto ha a che fare con voi; di nuovo il suo modo di agire ti rimane oscuro.
La senti sospirare, sembra quasi un singhiozzo.
«Venire qui non è stato facile neanche per me, Sasuke. Credimi, è peggio di qualsiasi altra cosa».
«Allora perché resti, dannazione!».
Ogni tentativo di mantenere la calma si fa più flebile all’udire la sua voce.
«Ho parlato con Sakura».
Di nuovo lei, non è possibile. Il Fato deve avertela mandata per punirti, non c’è altra spiegazione. Anche se vivete in una piccola cittadina, quante potevano essere le possibilità che si incontrassero in un lasso di tempo così breve? Una su mille?
«Mi ha detto che stai buttando via la tua vita».
«Sakura non sa niente di me».
«Sakura ti vuole bene e se è arrivata a dirlo a me, sono sicura che-».
«In ogni caso non è affar tuo sapere come sto e come conduco la mia vita. Non più».
«Sasuke, ti prego».
Si avvicina troppo e tu d’istinto ti alzi, raggiungendo un altro angolo della stanza. Ancora non sei riuscito a guardarla negli occhi, è tutto così assurdo e irreale perché tu possa accettarlo.
«Non voglio che tu faccia stupidaggini… promettimelo!» sussurra con le labbra tremanti, sono poche le volte in cui l’hai vista piangere; segui a ritroso la scia che ha lasciato una lacrima solitaria e inevitabilmente finisci per immergerti in quell’azzurro perlaceo da togliere il fiato. Permani qualche secondo nel Paradiso che ti ha condannato, per poi dargli l’addio definitivo, per l’ultima volta.
«Hinata, ti prego. Vattene». Se quello che abbiamo vissuto ha significato qualcosa per te, allora vattene. È la cosa più giusta che potresti fare in questo momento.
Non hai niente da dirle, nulla di cui giustificarti. Vuoi soltanto che sparisca, esattamente come ha fatto mesi prima, cancellando per sempre la tua presenza dal suo cuore. Perché, ti disse, non si possono amare due persone e, se non puoi scegliere, allora devi rinunciare ad entrambe.

Vedi che sussurra qualcosa a Naruto prima di uscire, dopodiché lui le richiude la porta alle spalle ed esita un attimo prima di volgere il capo a guardarti. Teme di trovarti di nuovo a pezzi, che quei mesi trascorsi a dare tutto se stesso per tirarti su di morale non siano serviti a nulla. Il suo volto, a vederlo, sembrerebbe quasi più bianco del tuo.

«Vado a farmi un bagno caldo» dici soltanto, ma sembra che le parole escano dalla bocca di qualcun altro.

«Non vuoi… parlare?» Naruto non è mai stato tanto bravo ad esprimere i suoi sentimenti, ma è chiaro che percepisce il tuo stato d’animo attuale meglio di chiunque altro, se non fosse per il fatto che la sua presenza, purtroppo, fa ancora parte di quel dolore che stai provando.

Neghi col capo e ti allontani, per poi raggiungere la vasca ed aprire lentamente il getto dell’acqua; al tatto è gelata, ma ci vuole sempre un po’ prima che si riscaldi. Nel frattempo chiudi la porta a chiave e ti lasci cadere seduto, poggiando la schiena al bordo della vasca. Pieghi le ginocchia e sorreggi la testa, ormai sul punto di scoppiare.
Solo ora ti rendi conto che negli ultimi tempi una parte di te stava davvero cercando di dimenticarla; una parte di te aveva visto la luce in fondo al baratro e, a passi incerti, si stava dando da fare per raggiungerla. Ma la strada era troppo impervia e ben presto aveva deciso di gettare la spugna, facendoti inciampare per buona parte del percorso. Poi, ecco che una mano grande e forte giungeva dall’alto a sorreggerti: faceva male stringerla, sembrava come giocare col fuoco, eppure un secondo dopo eri di nuovo in piedi.
Forse più debole di prima, ma pronto a ricominciare.
Adesso però, vedi finalmente le cose come stanno: quella strada non avrebbe mai portato da nessuna parte. O meglio, il punto d’arrivo sarebbe stato sempre troppo lontano per te, in un luogo non raggiungibile nella dimensione terrena.
Tutto, sembrava convergere verso la stessa, unica, decisione.

Continuare a camminare senza andare da nessuna parte, a tastoni, oppure fermarsi?

Una risposta che conosci da tempo diviene improvvisa consapevolezza. Quel poco che c’è inizia a crollare e l’aria diventa fredda: hai il corpo scosso da violenti brividi e non sai se ciò che stai provando è realtà o pura immaginazione. Il gelo invade ogni cellula del corpo e prima che tu possa chiudere gli occhi per abbandonarti del tutto, una voce ovattata ti giunge alle orecchie, una voce profonda che sembra urlare il tuo nome.
Senti dei colpi, sempre più forti, fino a quando un tonfo assordante ti riporta alla realtà: Naruto è sulla soglia della porta, sconvolto, il bagno completamente allagato, mentre l’acqua ghiacciata continua a fuoriuscire dalla vasca, bagnandoti il corpo e allargandosi sul pavimento. Sbatti le palpebre, ti sembra di non distinguere bene i contorni; anche la voce di Naruto continua a sembrare lontana, nonostante i movimenti labiali suggeriscano degli urli.
Si fionda verso di te, chiude immediatamente l’acqua, ti solleva con forza prendendoti dalle braccia e ti scuote più volte avanti e indietro. Tutto quello che riesci a fare è guardarlo negli occhi e continuare a tremare. Il freddo ti è entrato nelle viscere e sei zuppo sino alle punte dei capelli. Lui non demorde, afferra un asciugamano e te la mette sulle spalle, poi ti dà una pacca forte sulla guancia, sperando che serva per risvegliarti da quello stato di trance in cui sei caduto. Senti qualcosa sfiorarti, ma non basta, allora Naruto ti afferra per i capelli, continua a chiamarti, poggia la sua fronte alla tua per poi allontanarsi e circondarti la schiena con le braccia. Cominci a sentire, finalmente, ciò che sta dicendo.

«Teme, per favore, dì qualcosa». Non scioglie quella specie di abbraccio perché ha paura tu possa crollare a terra.
«Ho freddo».
«Sei zuppo, ma che cazzo ti è saltato in mente». Parla con voce rotta e il suo petto si muove in modo irregolare.
«Dovremmo… andare a prendere uno straccio». Ancora ti sembrano parole che non sei tu a pronunciare, ma almeno sei riuscito ad aprire bocca.
Naruto prende le distanze, ma continua a sorreggerti. «Sasuke, non sei solo. Non puoi sopportare tutto questo senza parlare con nessuno. Io sono qui».
Se ne frega dello straccio, del pavimento rovinato, dei litri di acqua che dovrete asciugare durante la notte, l’unica cosa che gli interessa sei tu.
È possibile sentirsi peggio di così?


«Vuoi qualcosa di caldo?»
Sono le tre di notte, la casa è ancora un disastro, ma il più è stato sistemato. Naruto ha insistito affinché tu riposassi, ma non ne hai voluto sapere.
Da come ti guarda, sembra che voglia riempirti di botte, per questo non ti stupisci quando senti arrivare un destro dritto in faccia. Se non altro ora la guancia sta andando a fuoco.
«Sei un cretino». «Un deficiente».
Di solito è così che vi salutate, per cui non fa molta differenza sentirlo mentre ti insulta. Se non fosse che evita di guardarti per nascondere gli occhi lucidi e ora non urla più, perché sa che la sua voce vacillerebbe.
«Non è così che si affrontano le cose».
«Sistemerò tutto».
«No, tu non sai quello che fai, Sasuke. Hai bisogno di- ».
«Di tempo. Ho solo bisogno di tempo».
«Le cazzate valle a raccontare a qualcun altro!» Cammina avanti e indietro per la stanza, non ricordi di averlo mai visto così teso da quando vi conoscete. Sbuffa, si tocca i capelli, sbatte i pugni sul muro facendo rimbombare la stanza.
«Ho sonno» dici allora, ed è vero, perché senti di non riuscire a tenere più gli occhi aperti.
«Perfetto, dormiremo in salone stasera».
«Dormiremo?» Ti prende in contropiede, anche se un po’ te l’aspettavi.
«Io prendo il sacco a pelo, tu resta pure sul divano. Non ti lascerò da solo».
«Non ho bisogno della balia».
«Hai bisogno di un amico».
Fugge in camera a prendere il necessario, dopodiché si accomoda su una poltrona accanto a te ed accende la tv.
«Domani ne parleremo meglio».
Ha gli occhi fissi sullo schermo lampeggiante, ma nel giro di venti minuti crolla sullo schienale, con la bocca aperta e la testa penzoloni, emettendo i soliti grugniti.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, gli angoli della tua bocca si curvano a formare un sorriso. Schiocchi le labbra per assorbire il sangue fuoriuscito dalle screpolature e poi, lentamente, tiri fuori un barattolo trasparente, recuperato poco prima nel cassetto di camera tua.
Le rubasti l’ultima volta a casa dei tuoi, recuperandole dalla vecchia dispensa di tua madre: era un momento particolarmente buio e lo facesti in automatico, pensando che prima o poi ti sarebbero certamente servite.
Ebbene, a quanto pare non sbagliavi.
Che si tratti di un cocktail letale ne sei certo, ti sei informato il necessario. Tutto sta nel portarne alla bocca una decina e chiudere gli occhi.

Ti volti nuovamente a guardare Naruto. «Grazie» sussurri tra i denti, perché lui ha fatto il possibile e speri con tutto te stesso che non se ne prenda la responsabilità.







Ti ho odiato come solo il peggior nemico potrebbe fare.
Ti ho amato, come solo un fratello saprebbe amare.

Ti ho odiata, perché mi hai tolto la vita.
Ti ho amata, perché mi hai insegnato cosa vuol dire viverla.


Grazie.


















Voglio solo dire poche cose, promesso.
Questa è l’idea originale alla base di “I need U”. C’è tanto dietro, anche se credo ancora di non aver fatto abbastanza. Ho inserito i dettagli essenziali per delineare il background, chiaramente, però, non mi è stato possibile approfondire tutto.
Ho voluto farvi vivere questa storia non nel momento in cui è nata, ma nel momento in cui è finita, attraverso gli occhi di Sasuke e, indirettamente, quelli di Naruto. Ho cercato di trasmettervi sensazioni forti, precise: non è qualcosa di semplice da digerire. Io spero tanto di non aver deluso chi ha letto la precedente flash e chi si è avventurato nella storia “ex novo”.
Ringrazio di cuore tutti coloro che sono passati e sono giunti fino a qui. Se avrete piacere a lasciarmi un commento, sarò felicissima di poter riflettere assieme a voi e chiarire eventuali dubbi.

Ps. Il titolo significa, letteralmente “Addio, a te”. Hitori in giapponese indica generalmente una “persona altra” rispetto a chi parla. Anche questa frase è stata tratta da una canzone.
Pps. Chiedo anticipatamente scusa per eventuali errori: sto pubblicando ad un'ora immonda. Se ci fossero, non esitate a segnalarmeli! ;)


 

Un bacio,

 

Vavi

 

  
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