Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: I_am_the_darkness    08/07/2016    2 recensioni
"Migliaia di schegge di vetro attorno ai miei piedi.
Delle urla mi arrivano alle orecchie. Di paura? Forse di dolore.
Mi guardo attorno. Sono stata io a fare questo? Osservo i muri sporchi di sangue e le finestre senza vetri, questi ultimi sparsi a terra, come se un'esplosione fosse avvenuta nell'aula, e mi rendo conto che, senza neanche accorgermene, avevo perso il controllo. Di nuovo."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Naruto prima serie, Naruto Shippuuden
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAP 3
Arrivammo alla meta designata quattro giorni dopo un lungo, silenzioso ed estenuante viaggio, con due jonin del Villaggio della Sabbia a farci da scorta che non erano di certo loquaci. Per tutto il viaggio avevo sentito sulla mia pelle il loro disagio, il loro astio, verso di me. Un astio che forse nascondeva solo timore, una paura recondita in loro che magari non si accorgevano neanche di avere. Non potevo di certo dargli torto visti i recenti avvenimenti, l’unica cosa che potevo fare era sopportare. Questi loro sentimenti nei miei confronti avevano portato in mezzo al gruppo, oltre che un alone di disagio generale, un silenzio che potevi respirare, ti entrava nelle ossa, minacciava di soffocarti, ed era impossibile per me e mio padre romperlo, se non per qualche sporadica ed essenziale domanda seguita da una loro breve risposta: “si”, “no”, “manca poco ad arrivare”. 
Non era difficile capire perché mi avevano spedito al Villaggio della sabbia, luogo dove risiedeva il Kazekage e la sua famiglia, di certo non avevano scelto a caso quella destinazione, l’avevano scelta probabilmente per richiesta dello stesso Kazekage. Per osservarmi, studiarmi, capire se ero troppo pericolosa per lasciarmi in vita, per capire fino a dove arrivavano le mie capacità e allenarmi per farmi diventare più forte e per insegnarmi a controllare i miei istinti. Come si poteva tenere a bada un istinto? Soprattutto uno così forte come la rabbia, il fattore principale che mi faceva perdere del tutto il controllo e la lucidità. Non era possibile. Tuttavia dovevo riuscirci, dovevo imparare, non solo per il mio bene, ma anche per quello di mio padre.
Eravamo arrivati al villaggio da un paio di giorni, sufficienti per capire come andavano le cose all’interno di esso e per farmi desiderare di non incontrare più nessuno. Le notizie giravano velocemente e da bocca a bocca la notizia del mio arrivo era arrivata a tutti e insieme ad essa anche la notizia dell’incidente avvenuto nel mio villaggio natale, il Villaggio d’Inverno. Il nome era dovuto al costante freddo che portava con sé neve, vento e pioggia. Solo un mese su dodici si poteva dire di essere in estate e anche in quel breve periodo, un vento freddo ti sferzava la pelle costringendoti a mettere vestiti pesanti. Comunque adesso si poteva anche dire che la gente aveva paura di me. La maggior parte delle persone quando passavo aprivano un varco, lasciandomi così passare, e mi fissavano con diffidenza, stringendo a sé i propri figli, come se fossero pietre di inestimabile valore ed io il ladro che poteva portarglieli via in un loro momento di distrazione. Cercavo di non badarci più di tanto, ma quella situazione stava divenendo fastidiosa, mi veniva quasi voglia di urlare in mezzo alla strada: “guardate che non ho la lebbra e non sono pericolosa!”. Tuttavia mi rendevo conto che farlo non avrebbe portato a nulla se non a spaventare e intimidire le persone attorno a me, rendendo la mia fama ancor peggiore. Quindi restavo buona e sopportavo in silenzio, nonostante dentro me avessi voglia di urlare.
-Shika, hey?- la voce squillante e fastidiosa di Nensi, l’unica persona in tutta l’accademia che mi aveva rivolto la parola, e che avrei preferito non lo avesse mai fatto, mi arrivò alle orecchie facendomi sussultare sul posto. -Terra chiama Shika?! Sai dovresti ascoltare quando la gente ti parla, è maleducazione non farlo!- continuò con tono cantilenante. Mi guardai intorno accorgendomi che tutti i miei compagni se n’erano andati.
La guardai infastidita e sospirai esasperata. Fin dal primo giorno era venuta da me con al suo seguito altre due ragazzine, di cui non mi ero premurata neanche di ricordare i nomi, per farmi “capire come funzionavano le cose là dentro”. Non c’è neanche bisogno di dire che quasi le risi in faccia quel giorno, e quel mio gesto, secondo lei, e di conseguenza anche per le sue “amiche”, significava guerra aperta. 
-Cosa c’è adesso Nensi? Conoscendoti sei venuta qua per distruggere la mia tranquillità.- le chiesi cercando di rimanere calma. Avevo promesso al maestro Baki, un uomo dall’espressione dura e severa che non lasciava trapelare nulla, che avrei cercato di controllarmi. Più che a lui l’avevo promesso a me stessa a dir la verità. Baki si occupava dei miei allenamenti per ordine del Kazekage, e non erano rare le volte in cui, secondo me, avrebbe desiderato poter rifiutare quell’ordine. C’ero anch’io il giorno in cui il kage gli aveva dato quell’ordine. Io e mio padre. Ci aveva convocati entrambi il terzo giorno del nostro arrivo, con nostra sorpresa, per conoscere me… 

Flashback  
Il Kazekage, metà volto coperto da un velo nero e gli occhi di chi sapeva di aver trovato un tesoro antico e prezioso, iniziò a parlare eccitato con voce profonda:
-Sono lieto che abbiate accettato di trasferirvi al Villaggio della Sabbia.- in realtà non avevamo avuto scelta, e lui lo sapeva benissimo. Tenni questo pensiero per me per non risultare sgarbata. -Spero che vi troviate a vostro agio nella vostra nuova abitazione.- nessuno disse nulla e lui continuò spostando la sua attenzione su di me -E questa deve essere la piccola Shika! Quando sono venuto a sapere delle tue capacità ho subito desiderato di poterti conoscere e adesso eccoti qua…- lo guardai nei suoi occhi scuri e profondi, che mi risucchiavano in vortice nero e senza via d’uscita. Mi sentii a disagio a guardarlo. Distolsi lo sguardo. 
-Vorremmo sapere perché ci ha convocati signor Kazekage se non le dispiace…- disse mio padre con quanta più educazione possibile, sapendo bene quanto me nonostante tutto il motivo di quel colloquio. 
-Oh, giusto. Beh vedi vi ho convocati per tastare e comprendere le capacità di tua figlia. Da quanto sono riuscito a capire la bambina non utilizza nessun tipo di chakra, sembra quasi avere dei poteri… soprannaturali.- ridacchiò in un modo che mi fece rabbrividire. A dir la verità neanche io sapevo da dove provenivano i miei poteri, da quanto riuscivo a ricordare li avevo sempre avuti. Mio padre mi raccontava che da piccola riuscivo a spostare gli oggetti che guardavo senza toccarli, che avevo rotto un paio di finestre quando mi arrabbiavo, sempre senza toccare nulla, e che avevo da sempre avuto una forte empatia nei confronti delle persone. Un’empatia che provavo tuttora e che talvolta mi faceva stare male.
-Beh… non sono niente di particolare, ne sono sicuro. Probabilmente altri nel nostro mondo avranno le sue stesse capacità…- rispose mio padre poco convinto cercando di sminuire i miei “poteri” per proteggermi.
-Eppure non mi è giunta voce alcuna di soggetti in grado di utilizzare il suo potere e anche se ci fossero devono essere molto rari. Comunque, vorrei poter vedere fino a dove, e da dove, arrivano le sue capacità con i miei stessi occhi. Forse potresti superare in abilità persino Gaara, sperando tu possa acquisire più autocontrollo col tempo.- disse spostando la sua attenzione su di me. A quel nome sussultai e lo guardai negli occhi, parlando per la prima volta da quando ero lì.
-Gaara?- 
-Sì, mio figlio. Voi vi siete già incontrati tempo fa se non sbaglio, giusto? Ricordo che gli donasti un orsacchiotto di peluche. Fino a due anni fa se lo portava sempre dietro quasi fosse un tesoro di inestimabile valore.- disse lui con finta indifferenza abbandonandosi per un attimo ai ricordi del passato. L’immagine di un bambino, dai corti e rossi capelli sbarazzini, che sorrideva felice mi saltò alla mente di prepotenza. Ricacciai indietro l’immagine e i ricordi per mantenere un contegno di fronte al Kazekage. Non mi ero mai scordata di Gaara e ricordo che soffrii molto quando dovetti tornare al mio villaggio d’origine.
-E, se posso permettermi, come sta adesso Gaara?- chiesi titubante. Avrei voluto vedere come era cambiato in quegli anni, adesso che mi sarei stabilita al Villaggio della Sabbia avremmo avuto più tempo per parlare e stare insieme. Ero felice di conoscere qualcuno in quel posto “nuovo” per me.
-Beh, se ne sta sempre da solo, è diventato più freddo e solitario…- non mi sembrava molto interessato a suo figlio -Ma non parliamo di lui, parliamo di te invece.- riprese con più entusiasmo -I tuoi allenamenti saranno seguiti da Baki.- indicò con un gesto della mano l’uomo che non aveva proferito parola per tutto il tempo ed era rimasto a fissare il Kazekage con sguardo assente. Aveva i lineamenti duri di chi aveva addosso anni di esperienza e sofferenza, metà volto era coperto da una tendina, probabilmente per coprire una cicatrice o la perdita dell’occhio destro in battaglia e dal suo sguardo non trapelava alcuna emozione. Baki mi guardò con sguardo severo ed io mi limitai a fargli un cenno di saluto con la testa guardandolo. Il Kazekage ricominciò a parlare, a chiedere cosa riuscivo a fare, ma io a quel punto non lo ascoltavo già più, avevo solo una cosa in testa: Gaara. Volevo rivederlo, parlargli, chiedergli come se l’era passata in quegli anni da solo. 
Io e mio padre eravamo giunti al Villaggio della Sabbia quattro anni prima per comprare delle medicine a mia madre, malata di cancro al cervello. Il medico non aveva le medicine necessarie e non poteva allontanarsi dal villaggio, in quanto i pazienti che aveva non poteva abbandonarli e mio padre, non accettando il fatto di vedere sua moglie star più male del solito, era partito assieme a me alla volta del Villaggio della Sabbia. Saremmo dovuti rimanere là una settimana. Sette giorni lontani da casa, da mia madre, dalla familiarità di quel bosco che aveva ascoltato i miei pianti, le mie risate e le mie nenie.
Facendomi un giro per il villaggio, notai un bambino con profonde occhiaie e capelli rossi seduto su un’altalena in compagnia della sua solitudine, che fissava il vuoto con sguardo assente e triste. Quel giorno mi avvicinai a quel bambino e, con un sorriso sul mio volto e uno sguardo di sorpresa e scetticismo sul suo, conobbi Sabaku no Gaara. Da quel giorno ci incontrammo sempre in quel luogo, un luogo di ritrovo che avevamo scelto silenziosamente, senza dirci nulla, consapevoli inconsciamente che ci saremmo rincontrati sempre in quel parco. 
Con me avevo sempre l’orsacchiotto che mia madre mi aveva regalato prima di venir colpita dal cancro, ci tenevo molto, erano racchiusi in quel peluche tutti i sentimenti che mia madre provava per me, portava addosso il suo profumo di pesca, ed era morbido quanto i suoi capelli biondo platino. L’ultimo giorno del mio soggiorno al villaggio, decisi comunque di lasciarlo a Gaara, un oggetto che avremmo sempre riconosciuto come nostro, e che avrebbe racchiuso il sentimento della nostra amicizia. Un oggetto che non era un semplice oggetto, bensì un’urna contenente tutte le sensazioni, emozioni, parole, segreti, sogni e tanto altro. Un oggetto intriso di cose eteree, che sapevano di eternità. 

Quel giorno lo lasciai, facendo la promessa silenziosa che sarei tornata un giorno. E adesso eccomi qua. Non avevo ancora nemmeno intravisto l’ombra di Gaara, mi chiesi quante volte fosse tornato in quel parco, per rivivere i bei momenti passati insieme. Dovevo farci un salto quello stesso giorno.
Nensi fece una risata che non avrebbe potuto essere più falsa, riportandomi bruscamente alla realtà. 
-Non dovresti fare la spiritosa in questo modo.- disse tentando di intimidirmi. Mi chiesi se avesse un cervello sotto quei capelli castani liscissimi, arrivando alla conclusione che non l’aveva.
-Dico solo quello che penso, non è fare la spiritosa. Comunque non hai risposto alla mia domanda.- le risposi perfettamente calma.
-Oh già. Volevo solo dirti che oggi dovrai pulire tu l’aula, io ho delle cose molto importanti da fare e non posso di certo stare qui!- ogni giorno facevamo a turno per pulire la classe, oggi era il turno di Nensi e se pensava che avrebbe saltato il suo turno si sbagliava di grosso, soprattutto se voleva far fare tutto a me.
-E cosa avresti di così importante da fare? Truccarti, smaltarti le unghie? O infastidire qualche ragazza che non si sottomette a te tanto facilmente?- lei sbuffò infastidita per questa mia risposta. 
-Quello che faccio non ti interessa, quello che devi sapere è che devi pulire l’aula tu oggi.- disse guardandomi con sfida e presunzione. Avevo perso anche troppo tempo con lei. Le sorrisi alzandomi. Presi la mia roba e con nonchalance la superai non aggiungendo altro e, uscendo dalla classe, sentii dirmi con voce che voleva essere minacciosa e velenosa un “te ne pentirai”. Già tremo di paura, pensai sarcastica.
***
Come da piani, raggiunsi il parco dove tempo avevo giocato, parlato, assieme a Gaara. Mi guardai intorno, era tutto come quattro anni prima, nulla era cambiato. La sola differenza era quello che provavo a stare in quel posto. Sentivo che tutto era cosparso da un alone di malinconia, di una felicità effimera passata troppo presto. I ricordi erano rimasti in quel parco, quasi potevo sentire le risate, che rendevano quel parco spoglio e arido un po’ più allegro. Tutto era arido, neanche un filo d’erba spuntava dalle crepe del terreno, e il silenzio veniva rotto solo dal cigolare delle altalene, mosse da degli sporadici soffi di vento caldo. Ricordai che era proprio su quelle altalene che Gaara mi parlò del motivo della sua  solitudine e del suo dolore…

-La gente mi evita e ha paura di me per quello che mi porto dentro, persino mio padre e i miei fratelli hanno paura di me… solo mio zio Yashamaru si prende cura di me e mi dona affetto e consigli, ma mi rendo conto che il suo affetto non compete con l’odio che mi riservano gli abitanti di questo villaggio. Il dolore nel mio petto non smette mai di farsi sentire.- mi disse mentre fissava con insistenza a terra, timoroso di incrociare il mio sguardo e di scoprire che non lo comprendevo.
-Ti capisco più di quanto tu creda. La nostra situazione è molto simile, anche io vengo sempre evitata e maltrattata nel mio villaggio. Tuttavia penso che il dolore che proviamo ci rende più forti, anche se vorremmo non provarlo mai. Secondo me bisogna far di questo dolore la nostra più grande forza, per andare avanti e non perdere la speranza, per scoprire che qualcuno ci comprende e rimarrà al nostro fianco nonostante tutto. Può essere difficile smettere di crederci, ma se perdi la speranza e ti chiudi in te stesso, non potrai scoprire il buono che c’è in certe persone.- lo guardai con un sorriso -Non credi Gaara?-
E lui finalmente mi guardò. Una scintilla si accese nei suoi occhi acquosi marchiati dalle occhiaie, e mi sorrise felice. Risi e alzandomi gli tesi la mano.
-Andiamo Gaara!-

Sorrisi a quel ricordo. Io e Gaara comprendevamo l’uno il dolore dell’altro, da questo era scaturita la nostra amicizia. Condividevamo il fatto di stare male, ci capivamo e ci ascoltavamo, questo ci univa e ci avrebbe uniti anche in futuro. Io alle parole che avevo detto a Gaara ci credevo e ci credo ancora, non ero riuscita a trovare nessuno fino a quel momento, a parte lui, che mi capisse, ma dovevo continuare a provare. Forse qualcuno c’era, anche in quel villaggio, che mi sarebbe rimasto vicino. Dovevo solo trovarlo.
Mi sedetti su una di quelle altalene, mentre il sole cominciava a calare dietro le case, andando a violentare altre notti. Rimasi a guardare assorta il tramonto, pensando che non bisognava andare molto lontano per godersi uno spettacolo mozzafiato. Pensavo a tutte quelle persone che non avevano neanche il tempo di rimanere a goderselo e  a quelle che non riuscivano ad emozionarsi dinanzi a uno spettacolo simile, provavo tristezza e pietà per loro.
Sentii dei passi dirigersi verso di me. Per un momento pensai, sperai, fosse Gaara, ma voltandomi riuscii a vedere solo del fumo, il che voleva dire che qualcuno vedendomi aveva utilizzato una tecnica per andarsene velocemente. Mi chiesi chi fosse e perché avrebbe dovuto andarsene vedendomi.
Il sole era calato portando con sé la notte, la luna, le stelle e un vento fresco che si poteva sentire solo di notte. Ma quel freddo che sentivo dentro a cosa era dovuto? Scossi la testa cercando di distrarmi e tornai a casa.

Nota dell’autrice
Ehilà! Finalmente si è scoperto il nome della giovane protagonista. Non credo che ci siano molte fan fiction dove per svelare un nome occorrono tre capitoli, forse solo la mia TuT
Il nome “Shika” sarebbero due parole giapponesi unite: “shi” che è “morte” e “aka” che è “rosso”. In pratica il nome della protagonista sarebbe “morte rossa”. Il nome dovuto ai suoi occhi rossi, che, secondo la gente del Villaggio d’Inverno, avrebbero portato solo morte e distruzione. 
Beh, alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, mi fa sempre piacere leggere le vostre recensioni e i vostri consigli! ^^
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: I_am_the_darkness