Just a chance
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Prologo
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- Eh? -
- Mi sembri giovane per fare questo tipo di lavoro. O in generale per lavorare -
Vide il ragazzino corrugare con scetticismo la fronte, inclinando il capo di lato; una smorfia disinteressata dipinta in volto.
- La casa appartiene ai miei, ma loro sono in vacanza e quindi... -
- Capisco -
Vi fu un breve attimo di silenzio.
- Non hai risposto -
- Ho quasi vent'anni -
- Chiaro -
Il ragazzino scrollò allora le spalle, serrando le labbra.
- Quindi... buona permanenza - i suoi occhi turchesi si sgranarono più del dovuto, le labbra si stesero in un sorriso tirato - Nel caso avesse bisogno di qualcosa... -
- Ti farò sapere e comunque non penso di aver bisogno di qualcosa - notò la smorfia del biondo indurirsi ed incrinarsi in un lieve broncio, ma egli annuì meccanicamente. Il giovane dei capelli chiari si mosse verso la porta dell'appartamento con passo lento e titubante, quasi intimorito dalla figura del corvino che l'osservava incessantemente.
- Allora... arrivederci - e lo mormorò così rapidamente che Sas'ke non riuscì nemmeno a vederlo attraversare la soglia e chiudere repentinamente la porta. Rimase qualche secondo al centro del piccolo salotto, ancora leggermente attonito.
Era cresciuto con la convinzione che giudicare qualcuno al primo incontro fosse sbagliato, un'azione meschina - più che altro perché era consapevole di non rientrare nei canoni di normalità -, ma che quel ragazzino poco prima uscito fosse particolare era innegabile. O almeno credeva, nella sua famiglia nessuno era considerato "normale". Suo padre era terribilmente scorbutico - considerato uno stronzo dai più -, suo fratello era... non sapeva se definirlo mentalmente instabile o solamente strano. Stava di fatto che, comunque, ogni singola ragazza cascava ai suoi piedi. Forse l'unica che si salvava era la sua adorata madre Mikoto, ma nemmeno lei era poi tanto normale - diamine, quanto odiava quella parola. In uno dei tanti quartieri trasandati di Tokyo ormai "famiglia Uchiha" era sinonimo di "ah, sì, quei tipi totalmente matti". E pensare che prima era una delle famiglie più "conosciute", quelle ben volute. Poi era venuto fuori che il direttore del dipartimento di polizia - nonché il suo amato papà - sfruttava i suoi colleghi, e, ovviamente, fu uno scandalo.
E da lì tutto in discesa; se prima erano "Non trovi che la famiglia Uchiha sia davvero adorabile? Sono così tanto gentili!", ora erano diventati "gli sfruttatori e approfittatori di quel quartiere, evitali".
Quindi no, non sapeva dire con certezza se quel Naruto - o come aveva detto di chiamarsi - fosse normale. Magari lo era, forse un po' troppo impacciato, ma accettabile per la società.
Ma di certo un biondino da strapazzo era l'ultimo dei suoi problemi, in quel momento.
***
"Che.
Figura. Di. Merda."
Si poggiò di peso alla parete bianca del corridoio e
portò una mano a ravvivare
la chioma chiara. Con l'altra afferrò il cellulare dalla
tasca dei pantaloni,
notando poi un messaggio di sua madre. Storse le labbra in una smorfia,
indeciso se rispondere o meno, ma poco dopo digitò qualche
carattere sul
telefono - per evitare future risse con la sua cara
Kushina.
da
Mamma <3 :
Ehi,
Naru, come va? :)
L'ospite
è arrivato?
Baci,
volpotto nostro <3
a
Mamma <3; Pa' :
Bene.
Sì, è arrivato.
Non
chiamatemi stasera.
Esco
con i miei amici.
E
magari fosse stato vero. Il diciannovenne Naruto Uzumaki non a caso era
conosciuto in tutta la scuola per la sua asocialità.
Io non sono asociale, sono gli altri che parlano troppo, così
si
giustificava sempre ai professori - perché quei vecchi non
si facevano i fatti
loro? -, ai compagni di classe - delle vere e proprie oche, sia maschi
che
femmine -, ai propri genitori. Questi ultimi ci cascavano ogni singola
volta.
Non che fossero idioti - va bene, forse sua madre non era proprio
l'intelligenza fatta a persona -, ma credevano ancora alla balla che
lui fosse
amichevole e socievole. Era così da bambino; era impossibile
non essere
contagiati dalla sua vitalità. Poi era arrivata
l'adolescenza e fu tutto in
discesa, ma loro non si era accorti di niente, troppo stressati dal
lavoro -
suo padre Minato era un farmacista. Uno di quelli che vende preservat- anticoncezionali,
Naruto, si chiamano anticoncezionali.
E purtroppo i suoi professori sapevano di
quell'attività. Lo sapevano
tutti. Ed
era terribilmente imbarazzante usare la scusa del "no, vede,
è che mio padre era disoccupato e non c'era nient'altro da
fare; sta già
provvedendo a cercare un altro lavoro" ed invece non era
affatto vero.
Suo padre non parlava mai della sua infanzia, ma - almeno a quanto
diceva sua
madre Kushina - era nato da una relazione extraconiugale, e non
era ben voluto. Quindi ecco che a tredici anni cominciò a
sognare di produrre determinate
cose. Diceva che era per una buona causa -
così non solo si preverranno
le malattie, ma anche la nascita di bambini non voluti;
perché, sai, ci rimani
un po' di merda quando scopri che tuo padre s'era scordato il
preservativo.
Il biondo lasciò che un sospiro si levasse dalle
sue labbra; spostò gli
occhi cerulei sulla porta che poco prima aveva chiuso e la
scrutò per diversi
secondi.
"Forse avrei dovuto insistere a dargli qualche informazione", poi si
rimise in posizione perfettamente eretta e raggiunse a grandi falcate
le scale.
Grazie ai Kami l'appartamento era al secondo piano, quindi non avrebbe
faticato
troppo - essendo lui uno scansafatiche di prima categoria.
Quando fu di fronte al portone, lo spalancò e lo
superò senza troppe cerimonie.
Bene, ancora qualche chilometro e sarebbe arrivato a casa.
Come a Kushina fosse venuto in mente di gestire una casa vacanza era un
mistero. C'era questo appartamento vuoto, Naruto nemmeno sapeva come
diamine
facessero a possederlo - perché vivere in una casa
affittata se abbiamo una
casa di proprietà?
Stava di fatto che un giorno, quando la fulva si era
svegliata -
naturalmente - con la luna storta, aveva esclamato Ho un'idea
fantastica!
Potremmo far affittare la casa, quella vecchia e brutta in periferia,
così,
caro, non dovrai più vendere preservativi! - nah,
nemmeno lei era tanto
favorevole a questa storia.
Poi era nato l'interrogativo del Appunto, una casa
vecchia e brutta in
periferia: chi l'affitterò mai?, eppure le cose si
erano risolte.
Ma i suoi genitori sapevano essere davvero sadici, infatti avevano
deciso di
partire. Andare in Europa. Senza di lui.
E ovviamente chi si sarebbe dovuto occupare di quella dannatissima
casa? Lui!
Ed era talmente imbranato che sarebbe riuscito a metterla a soqquadro
ancor
prima che l'ospite arrivasse. Non sapeva come aveva fatto a non
spaccare
qualcosa, ma tutto bene quel che finisce bene.
Si sarebbe solo dovuto accollare per... quanto? Tre mesi -
perché i suoi
sarebbero stati cinque mesi fuori per oscuri motivi - un tipo di cui
sapeva
solo il nome. E non gli sembrava molto raccomandabile. Sul sito - di
cui
nemmeno ricordava l'indirizzo web - dove quel "ragazzo" - non sapeva
quanti anni potesse avere - aveva prenotato la casa, non vi era nemmeno
una sua
foto. E dal modo in cui aveva scritto, paragonabile ad un settantenne
in
carrozzina con cinque lauree, Naruto si aspettava realmente un vecchio,
quindi non poteva dire di
non essere rimasto stupito notando la giovinezza di quel Sas'ke. O
forse era
davvero vecchio e teneva bene gli anni.
E chissà, magari non avrebbe avuto davvero bisogno di nulla,
magari l'avrebbe
lasciato in pace, a godersi il periodo estivo, poltrendo di fronte ai
talent
show in tv e mangiando ramen pronto. In effetti non era un gran bel
programma per le
tanto sperate vacanze, ma di certo non era colpa sua se di fare un
viaggio da
solo non aveva voglia. A limite sarebbe potuto andare dai suoi cugini,
Nagato e
Karin, ma aveva recentemente scoperto che il primo era depresso,
nonché emo, e,
per quanto gli volesse bene, non voleva avere tanto a che fare con lui.
L'altra
era semplicemente una racchia, quindi era fuori discussione. Poi non vi
era
quasi nessun'altro: i suoi nonni erano morti quando era piccolo, non
aveva zii,
zero fratelli o sorelle, nessun amico... in realtà qualcuno
c'era, sì, quel
Konohamaru - che nome!
Era il nipote del figlio di quel vecchio amico del padre di suo padre,
o almeno credeva.
Ogni volta che glielo ripetevano si perdeva sempre qualcosa. Ma
comunque era
troppo giovane, aveva a malapena quindici anni. O forse sedici. Non gli
importava, era troppo piccolo per lui. Senza contare il fatto che si
poteva
considerare un vero e proprio stalker: c'era stato un periodo - prima
che
Naruto finisse la scuola - in cui andavano nello stesso istituto, e casualmente
quel moccioso compariva da ogni dove. Svoltava un angolo, andava in
mensa o in
bagno, stava sulle scale, girava per i corridoi ed eccolo lì.
Una volta, mentre prendeva il treno per Sapporo - perché la
ferrovia di
Hakodate di giorno prevedeva solo quella meta ed era bella come
città, quindi
aveva deciso di "buttarci un occhio" - era riuscito ad incontrare
quel ragazzino anche lì. E se l'era dovuto sorbire per tutta
la durata del
viaggio.
Con una voglia equivalente a quella di una scimmia in letargo, fece
scattare la
serratura dell'appartamento e, dopo aver chiuso la porta, si
gettò senza troppi
complimenti sul divano di pelle nera. Affondò il viso nel
cuscino bianco sporco
e respirò per alcuni minuti pesantemente, avvertendo tutta
la stanchezza
espandersi nel corpo. Ormai i muscoli si erano quasi intorpiditi, non
riusciva
a muovere di un millimetro un arto. E le palpebre divennero pesanti,
lottavano
per non chiudersi, mentre le iridi lucide erano perse in un punto
indefinito
della stanza. Era quasi del tutto vuota: c'era solo quel divano, un
tavolo con
una sedia - perché le altre due, nei mesi d'attesa, erano
finite in cantina -,
e una minuscola televisione inutilizzata dai più.
Sotto essa vi era l'immancabile play-station, ma ormai non la sfiorava
da
quando aveva tredici anni e per questo sua madre si lamentava - "ma
hai la
minima idea di quanto tuo padre abbia speso per comprartela?",
diceva
sempre, ma lui rispondeva "No, mamma, non lo so e non
m'importa".
Sonnecchiò per diversi attimi, lasciandosi
prendere dalla permanente
pigrizia che lo assillava. Ma un pensiero gli oltrepassò la
mente e fu come una
secchiata d'acqua gelida.
"Uchiha", pensò, arricciando il naso, "io
lo conosco,
quel cognome... o no?", premette la schiena contro il divano,
voltandosi pancia all'aria.
Si grattò la nuca e poco dopo, dietro essa,
incrociò entrambe la braccia,
"ah, sì... l'ex di papà non
era un'Uchiha? A quanto pare hanno
un orribile caratteraccio nel DNA. Meglio che eviti quel tipo".
Dopo aver formulato tali pensieri, fu questione di minuti e si
addormentò placidamente; spossato com'era, si
svegliò circa due ore e mezza dopo. Le occhiaia che
contornavano gli occhi
cerulei c'erano ancora; sbadigliò elegantemente,
stiracchiandosi poco
dopo.
In quel momento udì lo squillo del suo cellulare.
Spostò lo sguardo su esso,
abbandonato sul divano. Immediatamente storse le labbra in una smorfia,
già
sentiva odore di tempesta.
Lo afferrò malamente e, senza curarsi di leggere il numero,
premette il tasto
verde. Lo incastrò tra la spalla e l'orecchio, udendo poi la
squillante voce di
sua madre, in procinto di trapanargli i timpani.
- Cos'è che non capite di "non chiamatemi"? - fece,
assonnato,
senza nemmeno dar tempo a Kushina di aggiungere altro al "ciao,
tesoro" pronunciato poco prima - Stavo dormendo, lo sai? -
- Allora non devi veramente uscire - replicò sua
madre dall'altro
capo del telefono, ingenuamente. Naruto fu quasi tentato di attaccare,
ma poi
rispose a bassa voce: - Nah, l'appuntamento è
saltato... - si
'giustificò'.
- Capito... e l'ospite? -
- Che dovrei dirti? Già mi sta antipatico - non
provò nemmeno a
trattenere un verso di stizza - sembra uno con la puzza sotto il naso -
- Appunto: sembra. Chi te lo assicura? -
Il biondo scacciò via uno sbuffo, accavallando le gambe.
- Ascolta me,
ma', quel tipo non mi piace affatto - continuò, strizzando
gli occhi - non s'è nemmeno degnato di dirmi il motivo per
cui è qui. Sarebbe
stato, non so... carino? Magari gentile, sì, a dirmelo -
- Quanto sei scemo? -
Calò per diversi attimi un pesante silenzio, interrotto dai
lievi ringhi di Naruto.
- Ciao, vah. Salutami papà - chiuse la telefonata
senza far dir nient'altro alla madre e poggiò il
cellulare sull’addome, arricciando le labbra in una smorfia.
- Quanto sei
scemo? - ripeté ironicamente, imitando la voce
della madre.
Poco dopo si alzò, andando a cucinare del ramen pronto
– per cambiare,
perché lui era un tipo da cambiamenti.
***
- Uzumaki
Naruto? -
- Sì, sono io... -
- Sono Uchiha Sas'ke -
- Felice lei -
.:Angolo
mio:.
erm...
sì. Questa cosa mi è venuta in mente tanto tempo
fa, pensando cose a caso. Beh, i miei gestiscono case vacanze e spesso
io mi ritrovo a dover rispondere alle richieste, andare a pulire,
guardare le recensioni e cose varie... quindi la situazione in cui ho
infilato Naruto è più o meno la mia,
già - quella cosa dei preservativi l'ha tirata fuori una mia
amica, io non c'entro niente. Quindi... niente... è una
cazzata assurda ed è una sorta di fic-sfogo-nonsense
(perché scrivere cose nonsense fa migliorare l'umore).
Comunque il prologo è molto schifoso e corto, lo so :3 e
l'ultima parte sarebbe un "estratto" del secondo capitolo,
perché non avevo finito questo e mi ero messa a
scribacchiare l'altro (?). E non ho nulla da dire... grazie a chi
è arrivato qui, perché vuol dire che non
s'è rovinato gli occhi - forse.
Quindi... nada.
Alla prossima :3
- Naru