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Autore: s_smile    08/07/2016    3 recensioni
Dopo "l'incidente" che ha cambiato la vita di molte persone, John Watson, un uomo distrutto dal dolore, riflette. Per la prima volta si trova a dover investigare da solo, e lo farà in un contesto a lui sconosciuto: la propria anima.
(Post Reichembach Falls)
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’uomo con la stampella.








 
  • Perché è qui, John?​

Se l’era chiesto talmente tante volte che quelle parole non avevano neppure più senso. Perché mai, dopo quasi un anno e mezzo, era tornato in terapia? Non leggeva i giornali, quella donna? Non sapeva cosa fosse successo? Certo che sapeva. Tutti sapevano.

Eppure lo disse comunque, non tanto alla terapista, quanto più a se stesso.
 
  • Il mio migliore amico, Sherlock Holmes, è morto.

Ed eccolo di nuovo: il corpo dell’uomo più brillante che avesse mai conosciuto precipitava, sotto i suoi stessi occhi, dal tetto dell’ospedale. Nell'esatto momento in cui la testa del suo amico toccò bruscamente il suolo, John si svegliò. Strabuzzò gli occhi nell’oscurità e si sollevò, tossendo ed imprecando, dallo scomodo letto della sua sudicia camera d’albergo.

Come da rituale, si trascinò in bagno e si sciacquò il viso con l’acqua gelida, tentando di placare il tremore alla mano sinistra. Era tornato, quel piccolo bastardo psicosomatico. Era stato il forte shock, aveva sostenuto la sua terapista, ma John cominciava a dubitare delle capacitá di quella donna.
Spalancò la finestra e le luci e il puzzo di Chinatown soffocarono la stanza angusta. Aveva tentato di fuggire dopo l’incidente, avrebbe voluto mettere miglia e miglia tra lui e la vita che aveva condiviso con Sherlock, ma l’unico posto in cui le sue gambe tremolanti e il suo portafoglio semivuoto lo avevano condotto era stato in quell’antro di spettri nel centro di Soho.

Nonostante il tanfo delle cucine del ristorante sottostante gli pungesse le narici, si affacciò sulla strada, osservando la città immersa nel sonno. Erano circa le quattro del mattino, e John Watson, affacciato ad una finestra che dava su un vicolo, realizzava quanto odiasse profondamente la propria vita. Non solo per quello che era capitato a Sherlock: l’”incidente”, come lui lo definiva, poiché si rifiutava di utilizzare la parola "suicidio." Nella sua mente, Sherlock era troppo intelligente per arrivare ad una soluzione così drastica. Dannazione, Sherlock era dannatamente intelligente! Non l’avrebbe mai fatto.

Ma non era soltanto per lui. Lui era solo la degna conclusione della vita che John si era meritato, e solo ripensare a tutto ciò che aveva dovuto passare – genitori anaffettivi, una sorella alcolizzata, una guerra, mutilazioni, cadaveri, sofferenze, morte – per poi finire solo come un cane, gli provocava una furia cieca.

“Ero solo come un cane, e ti devo moltissimo.” Aveva pronunciato queste esatte parole sulla tomba del suo migliore amico, senza rendersi conto di star definendo anche il proprio futuro, non solo il passato.

Nonostante il tanfo, John espirò una profonda boccata d’aria e si allontanò dalla finestra per tornare a stendersi. Era di nuovo solo. Il fatto di non riuscire più ad entrare in casa propria dopo la morte di Sherlock era stato solo l’inizio: avrebbe dovuto chiamare la signora Hudson, andarla a trovare, talmente tante volte che aveva perso il conto ed ora, a distanza di mesi, non avrebbe saputo nemmeno più cosa dirle. E così era tutto il resto: la vita che aveva costruito insieme a Sherlock, le persone che aveva conosciuto non avevano più la minima importanza ora che lui non c’era più, e così l’aveva lasciate andare.

Si sentiva un intruso nei suoi stessi panni, fuori luogo ovunque senza di lui, e in quel momento si chiedeva una sola cosa: “Da adesso la mia vita sarà questa?”

“Questa” cosa? Vivere da clandestino in un albergo fatiscente, rifuggire ogni contatto umano e calarsi in uno stato di perpetua apatia? Avrebbe voluto. Avrebbe desiderato ardentemente reprimere ogni emozione ed essere in grado di ricominciare da zero, come aveva fatto già molte volte, ma, semplicemente, questa era diversa.

Erano passati mesi da quando Sherlock Holmes, il famoso detective, l’essere umano migliore che avesse conosciuto, si era sfracellato sull’asfalto, eppure la rabbia, la tristezza erano sempre lì, intense come quando quella scena si era manifestata di fronte ai suoi occhi, brucianti come fuoco. Sentiva che questa volta non sarebbe riuscito ad andare avanti, nonostante fosse un soldato e un medico, nonostante avesse visto e provato la sofferenza in tante occasioni, e si chiedeva perché.

Perché Sherlock Holmes? Respirò di nuovo a pieni polmoni l’aria satura di umidità e chiuse gli occhi. La sua mente era un labirinto, un groviglio che John Watson non sapeva sciogliere e gli sfuggì il pensiero che lui conosceva chi avrebbe trovata banale la risoluzione di un enigma di quel genere.

 
  • Le cose che non è riuscito a dire, ma che avrebbe voluto dire, le dica adesso.
  • Mi dispiace, non posso.
Allora, seduto sulla poltrona di uno psicanalista, aveva avuto un nebuloso sentore di ciò che avrebbe voluto dire a Sherlock, ma non ne era rimasto null’altro che un’amara sensazione. Tentò di esprimerla, in quel momento, sdraiato ad occhi chiusi su quelle sudicie coperte, ma non ne scaturiva nulla.

Riprovò, visualizzando il volto dell’amico, col risultato di vederlo coperto di sangue e con lo sguardo vitreo. In preda alla frustrazione, si girò di scatto su un fianco e rotolò verso l’altro capo del letto. Sapeva di essere ormai diventato un uomo patetico, ma si impose di non rassegnarsi all’evidenza finché non ne avesse capito il motivo.

Provò un’ultima volta, segretamente pervaso dalla paura che l’apatia tanto agognata lo avesse sorpreso disarmato proprio nel momento del bisogno. Sospirò, chiuse nuovamente gli occhi e tentò di controllare la propria mente.

Dapprima, eliminò qualsiasi traccia dello scenario dell’incidente, cestinò i lamenti straziati della signora Hudson al funerale e gli sguardi dei presenti che non avrebbe saputo se catalogare come addolorati o compiaciuti. Poi tornò indietro, visse nuovamente eventi che conosceva fin nei dettagli, provò le stesse emozioni di un tempo con uguale intensità e per la prima volta non si limitò ad osservare e prendere appunti. Fu lui ad indagare.

Indagò a fondo, accuratamente, sondando ogni aspetto di se stesso senza più alcuna paura di trovarvi qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì. Era umano lui, John, dopotutto, e come tutti gli esseri umani nascondeva in se stesso molti aspetti oscuri, ma in quel momento aveva solo bisogno di sapere. E pian piano la soluzione venne alla luce.

Sherlock Holmes era stato l’uomo che lo aveva risollevato dopo l’ennesima caduta, colui che l’aveva preso sotto la sua ala ed introdotto in un mondo che John non conosceva, ma che sembrava fatto apposta per lui, per entrambi. In quei pochi anni che avevano trascorso assieme John si era sentito così a suo agio come non aveva mai fatto, lui e Sherlock avevano condiviso così tante esperienze e si erano conosciuti così bene, nonostante il suo amico fosse un uomo particolare.

John Watson era stato a casa. E adesso quella casa era crollata e la sua unica famiglia aveva impattato pesantemente contro un marciapiede d’asfalto ed era sepolta sotto metri di terra in un cupo cimitero.

Fu tra quelle lenzuola macchiate, con gli occhi chiusi ed un leggero olezzo di fritto nelle narici, che John lo rivelò a se stesso: Sherlock Holmes era tutto per lui. E nonostante fosse stato solo per così tanto tempo, ora sapeva che non vi sarebbe più riuscito. Aveva conosciuto la soddisfazione con Sherlock, la quotidianità e, sì, persino forse la felicità, e non era assolutamente pronto a rinunciarvi quando accadde quel che accadde, ed ancora ora non era capace di rassegnarsi.

Quel maledetto Sherlock Holmes lo aveva amato, John lo sapeva. Sherlock lo aveva amato in una maniera che travalicava i normali confini dell’amicizia e del rapporto fraterno e forse John lo aveva sempre saputo, evitando di ammetterlo apertamente a se stesso per paura di quello che sarebbe potuto accadere. Nel profondo del suo animo aveva sempre temuto di poter perdere quello che lui e Sherlock avevano, per questo aveva taciuto, nonostante fosse ovvio non solo a lui.

La mente gli regalò una carrellata di flash della signora Hudson che li definiva una coppia, delle sue svariate fidanzate tutte scavallate da ciò che Sherlock chiedeva continuamente, di Lestrade, Mycroft, persino Molly Hooper. Tutti avevano capito, tutti sapevano, ma John aveva sempre cercato di evitare il confronto, e poiché Sherlock non avrebbe mai affrontato un discorso simile, si era sentito sicuro.

Un sorriso sghembo gli animò involontariamente il volto barbuto. Ora non era più così sicuro…

Dal fondo della sua mente sgusciò fuori una domanda indiscreta che John non ebbe più paura di reprimere, ora che non aveva più nulla da perdere. Aveva già perso tutto, per cui soffermarsi a chiedere se anche lui amava Sherlock Holmes sarebbe stato inutile, eppure lasciò che la domanda echeggiasse nella stanza buia. Ma non seppe rispondere.

Probabilmente aveva ricacciato indietro questo pensiero talmente tante volte che anche la risposta si era persa sul fondo della sua anima.

Amare un uomo? Amare Sherlock Holmes? Non aveva più nessuna importanza. Sherlock era morto, il suo appartamento vuoto e la sua vita era andata in mille pezzi ancora una volta. Gli restavano solo un blog ormai fallito e gli innumerevoli ricordi delle loro avventure, e fu proprio da questi che John si lasciò cullare per ritrovare il sonno perduto, sperando di risvegliarsi solo quando il sole fosse stato già alto e, magari, trovare Sherlock Holmes intento a leggere il giornale, appollaiato sulla poltrona di fianco al letto.





Angolo autrice:

Bonsoir gentaglia! 
Come potete vedere, sono nuova nel fandom come scrittrice, ma questa serie è una delle poche gioie della mia vita e i Johnlock sono dei bambini repressi che hanno paura dei propri sentimenti, per cui meritano di essere shippati. Questa particolare fan fiction è abbastanza cupa e magari non c'è quello slash palese che tutte sognate, ma secondo me la morte di Sherock ha avuto un impatto davvero devastante sul povero John e la faccenda meritava di essere approfondita. 
Spero abbiate apprezzato il tentativo. Lasciatemi due parole di recensione e avrò un'altra piccola gioia.

Adieu,
S. 
 
   
 
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