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Autore: Sandra Prensky    08/07/2016    1 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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XII.

 

Wake me up inside

Wake me up inside

Call my name and save me

from the dark

Bid my blood to run

Before I come undone

Save me from the nothing

I’ve become.

(Evanescence – Bring me to life)

 

Russia, 1955

 

Faceva freddo e Natalia tremava. Non riusciva a capire come il Soldato d’Inverno, davanti a lei, potesse essere così tranquillo e disinvolto indossando solo l’uniforme base della Stanza. Era la sua prima missione, la prima volta che usciva dal complesso della Stanza Rossa dal 1934, eppure non era troppo agitata. Non con tutti gli allenamenti. Non con il Soldato d’Inverno al suo fianco. Era una strana sensazione, ma si sentiva al sicuro quando era con lui, si sentiva meno sola. Non avevano mai parlato molto, i loro allenamenti non lo richiedevano quasi mai e nessuno dei due era tipo da futili chiacchiere. La loro missione quel giorno era facile, era solo per verificare che Natalia fosse pronta e obbedisse agli ordini. Tutto ciò che dovevano fare era eliminare un soggetto che fonti attendibili avevano affermato dovesse passare proprio per il punto della città dove loro si erano nascosti. Natalia non aveva avuto idea di dove si trovasse la Stanza Rossa fino a quel momento, vedere il cartello con scritto “Stalingrado” le diede le vertigini. Poteva parere stupido, ma sapere dove avesse passato gli ultimi anni era in qualche modo confortante, provava in qualche modo la sua esistenza. Vide il Soldato d’Inverno accucciarsi dietro a un angolo e lo seguì. Non c’era nessuno in giro.

-Siamo in anticipo.-Dichiarò lui, la voce meno rigida del solito, più tranquilla. Essere fuori dalla Stanza, anche se per poche ore e anche se erano di sicuro tenuti sotto controllo doveva far bene anche a lui. Lei annuì. Rimasero fermi e in silenzio per qualche istante, ad assaporare quella mezza libertà che era stata loro concessa. Lui era già andato in missione, qualche volta, ma sempre vicino e con una schiera di uomini. Inoltre Natalia aveva visto i medici lavorare su di lui in una stanza nel seminterrato prima di ogni missione. Era impressionante: lui era legato a una sedia, uno strano casco in testa. Lo sentiva urlare, anche se aveva la bocca forzatamente chiusa. Vederlo così le dava i brividi. Non capiva perché, aveva già visto diversi uomini e ragazzine essere torturati in quelle stanze, eppure non aveva mai sentito il bisogno di correre a salvarli, liberarli da quella agonia. Con il Soldato d’Inverno era diverso. Avvertiva il petto bruciarle ogni volta che udiva i gemiti di dolore dell’altro. Non aveva mai capito cosa gli facessero là sotto, ma sapeva riconoscere quando era stato sottoposto a quella pratica. Il suo modo di combattere cambiava lievemente nei combattimenti: i colpi più dolorosi e forti li sferrava solamente quando era uscito da poco dalla stanza. In quei momenti aveva gli occhi più scuri del solito, freddi e impassibili. Quando era passato del tempo invece, gli allenamenti erano lievemente meno duri. Non tanto, ma abbastanza perché Natalia riuscisse ad avere la meglio ogni tanto. Più di una volta lei però si era ritrovata a perdere apposta: aveva notato che se lei vinceva troppe volte di fila Madame B si accorgeva dei colpi meno letali del Soldato e comunicava ai medici che era il momento di riportarlo a quello che lei chiamava “riavvio del sistema”. Natalia preferiva andare a dormire con qualche livido in più che sapere che lui era da qualche parte legato a una sedia a urlare. Non sapeva se lui se ne fosse accorto, ma non le importava. Non lo faceva di certo per ricevere un grazie, e di sicuro non migliorava la situazione. Riusciva solo a fare in modo che ci fosse una pausa più duratura tra una tortura e l’altra, faceva in modo che la sua perenne agonia fosse meno dolorosa. D’un tratto l’immagine di lui legato e sofferente tornò a occuparle la mente e il silenzio lì intorno divenne insostenibile. Si girò verso di lui e lo osservò per qualche istante. Aveva lo sguardo assente e le guance arrossate dal freddo. I suoi lunghi capelli ondeggiavano spinti dalla brezza di quella giornata. Esitò per qualche istante, poi si decise a parlare, per rompere quella quiete che non portava niente se non pensieri che avrebbe preferito evitare.

-Come sei arrivato alla Stanza Rossa?- Chiese sottovoce, senza inutili preamboli. Non sapeva quanto fosse una buona idea, loro due non avrebbero dovuto parlare molto, d’altronde lei era solo la sua allieva, non poteva permettersi di fare conversazione. Lui si rabbuiò e lei pensò che non le avrebbe mai risposto. Invece scrollò la testa e disse semplicemente:

-Non lo so. Non me lo ricordo.- Natalia sapeva che non era una bugia, sapeva cosa fossero in grado di fare i medici. Anche se i suoi ricordi erano stati alterati e non rammentava ancora di essere stata sottoposta anche lei a tali esperimenti, sapeva che erano capaci di modificare la memoria. Almeno era sollevata che lui le avesse parlato, dimostrava che non era del tutto inappropriato. O almeno che non dava troppo peso al fatto che lo fosse. In tutta risposta annuì.

-Non ricordo nemmeno il mio vero nome.- Aggiunse lui, dal nulla. Nella testa di Natalia si accese una lampadina.

-Per quello forse posso aiutare.- Mormorò. Rovistò in una tasca della propria uniforme, sotto lo sguardo interrogativo dell’uomo.

-Eccola.- Sussurrò tra sé con un sorriso dipinto in faccia. La sagoma sottile di una catenina sbucò dalla sua tasca. Era una medaglietta da soldato, di quelle che si usavano in guerra. Natalia gliela tese con mano tremante.

-Credo appartenga a te. Era nel tuo fascicolo.

Lui la prese, titubante, e lesse l’iscrizione. Recitava, in inglese, “James Buchanan ‘Bucky’ Barnes, 107°, sergente”. Se la rigirò un attimo tra le mani, incredulo. Pareva averla ricordata.

-Come hai fatto a prenderla?- Chiese con voce rauca, senza staccare gli occhi dalla medaglietta come se nel caso avesse distolto lo sguardo quella sarebbe scomparsa. Lei scrollò le spalle.

-È caduta a un medico mentre metteva a posto il fascicolo.- Rispose Natalia, ma era una bugia. L’aveva rubata di proposito. Un giorno, nella speranza di scoprire di più sul conto dell’uomo, era entrata nell’archivio dove erano tenuti tutti i fascicoli, una stanza piccola con tutte le pareti coperte da degli alti armadi di vernice verde, pieni di cassetti chiusi a chiave contenenti le cartelle con i dati di tutti. Con un’espressione preoccupata aveva informato l’addetto alla guardia che aveva visto qualcuno intrufolarsi nella sua camera da letto e lui se l’era bevuta senza nemmeno pensarci un attimo. Il bello dell’essere allieve era che la maggior parte di coloro che lavoravano lì non avevano idea di cosa venisse loro insegnato oltre al combattimento, quindi anche le più anziane erano reputate inoffensive come le nuove reclute. Oksana aveva sfruttato quel vantaggio per anni e ora stava imparando anche Natalia. Appena la guardia era uscita, sbraitando, lei si era guardata intorno per verificare che nessuno la vedesse aveva manomesso le serrature dei cassetti e si era messa a cercare il fascicolo del Soldato d’Inverno. Fortunatamente l’aveva trovato abbastanza in fretta e aveva scoperto con suo estremo disappunto che era una cartella piuttosto magra: era riempita soprattutto di formule e di resoconti di esperimenti che lei non capiva. Allegata vi era anche una foto di un uomo piuttosto giovane, con i capelli tagliati corti, l’uniforme dell’esercito americano e gli occhi chiari. Le ci vollero diversi secondi per riconoscere il Soldato d’Inverno in quel ragazzo dall’aria composta e quasi innocente. Così è americano, aveva pensato tra sé. Strano, non ha accento. Stava per rimettere a posto il fascicolo quanto un oggetto era caduto, producendo un rumore metallico. Natalia aveva ritirato la cartella e si era chinata, trovando quella medaglietta. Aveva sorriso, contenta di aver scoperto almeno il suo nome. L’aveva fatta scivolare in una tasca dei suoi pantaloni. In quel momento la guardia era tornata.

-Non ho visto proprio nessuno. Che ci fai accucciata lì a terra, ragazzina? Stai forse tramando qualcosa?- Aveva chiesto, sospettoso.

-Niente, signore. Mi dispiace, avrei proprio giurato di aver visto qualcuno entrare nella sua stanza. Chiedo scusa.- Aveva risposto Natalia, nella sua migliore interpretazione da ragazza modello. Si era alzata ed era uscita senza aggiungere parola.

Il Soldato d’Inverno staccò finalmente gli occhi dall’oggetto, per fissarli in quelli di Natalia.

-Grazie- Disse, pieno di gratitudine. Natalia avvertì qualcosa nel suo petto sciogliersi, ma decise di ignorarlo. -Bucky.- Mormorò l’altro tra sé con voce appena udibile, come per testare il suono del proprio nome.

-James è meglio.- Si azzardò a dire lei e con sua grande sorpresa lo vide annuire.

-Hai ragione. Vada per James.- Indossò la catenina, facendo ben attenzione a coprire ogni parte di essa con l’uniforme. Sapeva perfettamente che se gliel’avessero trovata addosso sarebbe stato nei guai. Sistemata per bene, alzò lo sguardo su uno degli orologi di un negozio a poca distanza.

-È quasi ora.- Comunicò, la voce tornata al solito tono. Si mise in posizione, facendo segno a Natasha di passare davanti a lui. Le consegnò il fucile che avrebbe dovuto usare. Pesava, ma non di più di quelli che avevano usato nell’allenamento. La ragazza prese un sospiro, come lui le aveva insegnato, e aveva alzato l’arma, pronta a cogliere qualsiasi traccia del proprio target. Finalmente vide qualcosa muoversi in lontananza. Posizionò il mirino davanti all’occhio destro e il dito sul grilletto. Stava per sparare, quando notò altre figure accompagnare l’obiettivo. Abbassò l’arma e si girò.

-James, potrebbe esserci un problema.- Gli riferì. Era strano usare il suo vero nome. Era tenuta a chiamarlo “signore” ed era ciò che aveva sempre fatto, ma le era venuto naturale. Lui non sembrò nemmeno farci caso. Lo sentì inveire sottovoce, guardando la scena. Si girò e prese la sua radio.

-Soldato d’Inverno alla base. L’obiettivo non è solo. Ordini?- Dovette ripetere il messaggio tre volte prima che una voce gracchiante si levasse dalla radio.

-Procedere con l’eliminazione. Nessun testimone.

-Sissignore.

-Passo e chiudo.

James abbassò la radio e guardò Natalia.

-Spara.

-Se sparo a uno, gli altri vedranno da che direzione è arrivato il proiettile e verranno qui. Sono in dieci e noi siamo due.- Replicò lei, incredula. Forse prima non era entusiasta all’idea di dover uccidere uno sconosciuto, ma almeno non era una missione suicida. Lui diede un’occhiata nervosa alla strada.

-Stanno per uscire dal nostro campo visivo. Dovremo improvvisare.- Disse e iniziò ad arrampicarsi sulla grondaia della casa di fianco, in modo da raggiungere un punto elevato per poterli prendere di sorpresa appena sarebbero arrivati. Natalia rimase a guardarlo spiazzata per qualche secondo, poi decise di seguire gli ordini. Se avesse disubbidito non sarebbe finita bene per lei. Afferrò il fucile e si nascose nuovamente in un punto in cui aveva una visuale libera. Di colpo, tutto sparì. C’erano solo lei con il fucile e il suo target. Non aveva mai sparato a una persona vera, tanto meno da quella distanza. Inspirò, piano, e il dito strinse la sua presa sul grilletto a tempo con il suo respiro. Avvertì il contraccolpo risuonarle in petto, il silenziatore impedire il frastuono dello sparo, vide la pallottola sfrecciare davanti a lei. Quelli, purtroppo, la videro arrivare abbastanza in fretta da permettere che uno di loro si gettasse davanti al target e morisse al posto suo. Natalia lo osservò contorcersi e poi afflosciarsi. Imprecò e gettò il fucile di lato, nascondendolo alla vista. Sentì lo sguardo interrogativo di James addosso e alzò gli occhi per ricambiarlo.

-Cosa diavolo stai facendo?

-Sto improvvisando.- Sibilò lei, sciogliendosi i capelli e scompigliandoseli. Sentiva già i passi veloci del gruppo avvicinarsi a quel lato. Si morse il labbro fino a farlo sanguinare e fare in modo che gli occhi le lacrimassero e si gettò a terra, fingendo di tremare. Appena gli uomini arrivarono, lei si alzò, simulando dei singhiozzi e tremando se possibile ancora più violentemente.

-Grazie a Dio! Dovete aiutarmi, stavo passando di qui quando un uomo con un fucile mi è arrivato addosso e mi ha scaraventata a terra!- Disse, nella voce più spaventata e piagnucolante. Si parò davanti a uno degli uomini, in modo da fermare tutto il gruppo. Stava solo aspettando che tutti fossero uniti esattamente dove li voleva lei. Lanciò uno sguardo a James, che capì le sue intenzioni al volo.

-Signorina, se potesse dirci dove è andato...- Provò a chiedere uno di loro, chiaramente spazientito. Lei tirò su col naso, e alzò una mano tremante, indicando un vicolo alla sua destra.

-Molto bene.- L’uomo fece per incamminarsi, ma lei gli sbarrò nuovamente la strada.

-Signorina, si può sapere chi è lei?- Sbottò quello, senza più preoccuparsi nemmeno di provare a nascondere la propria irritazione. Nel frattempo tutti gli altri si erano raggruppati dietro di lui e osservavano la scena.

-Io?- Fece lei, il tremore e i singhiozzi spariti di colpo. -Io sono solo il diversivo.- Sorrise maliziosa e prima che chiunque riuscisse a elaborare e comprendere quell’informazione, il Soldato d’Inverno aveva già sparato a tre di loro ed era saltato giù dal tetto con un agile movimento, atterrandone un altro. Approfittando della distrazione di tutti, Natalia raggiunse con una capriola il punto dove aveva nascosto il proprio fucile e l’aveva tirato fuori. Era riuscita ad avere la meglio su altri due di loro quando sentì James lanciare un gemito di dolore. Si girò di scatto verso di lui, il fucile ancora in mano, e lo vide a terra. Un congegno era attaccato al suo braccio di metallo e da come questo era piegato e inerte lo aveva messo fuori uso. Natalia vedeva chiaramente che l’oggetto rilasciava delle scariche elettriche che però non si fermavano al braccio di metallo, bensì sembravano diffondersi in tutto il corpo del Soldato, che stava disperatamente cercando di resistervi, chiaramente senza troppo successo. In piedi davanti a lui, l’unico ancora vivo, c’era quello che doveva essere il loro primo obiettivo che aveva la propria pistola rivolta contro la testa di James. Natalia puntò il fucile contro di lui.

-Non ci pensare nemmeno.- Sibilò con fare minaccioso. Lui non mosse un muscolo, la sua espressione rimase piatta. Il suo viso aveva i tratti duri, ma non sembrava di origine russa. Aveva i capelli molto corti, di un castano molto chiaro, che rasentavano il biondo, e gli occhi azzurri. Aveva un fisico non troppo diverso da quello di James, sebbene fosse più basso.

-Se tu premi quel grilletto, non rivedrai più il tuo amico.- Disse lui, senza spostare gli occhi dal Soldato, con uno strano accento che lei al momento non seppe identificare. Lei rimase immobile, la mente che lavorava febbrilmente alla ricerca di una soluzione. Da dove si trovava non riusciva a pensare a nessuna mossa che sarebbe riuscita a fare abbastanza velocemente da impedire che lui uccidesse James.

-Tuttavia...- Iniziò l’altro con la voce studiatamente tediosa. Girò la testa abbastanza da rivolgerle un sorrisetto malizioso. -Abbassa quell’arma e prometto che me ne andrò senza torcere un capello al tuo amico. E niente scherzi, se solo provi a seguirmi o spararmi mentre me ne sto andando premerò questo pulsante, - Tirò fuori un piccolo telecomando con un bottone rosso in cima. -e quel piccolo aggeggino rilascerà una scarica letale nel corpo del tuo adorato uomo di latta.

-Na...ta...lia...- Mugugnò James a fatica. -Non... Ascoltarlo...- biascicò, cercando di controllare il corpo ancora in preda alle scosse elettriche. Natalia però lo ignorò. Valutò per un secondo la domanda. Non voleva nemmeno immaginare cosa avrebbero potuto farle dalla Stanza se l’avesse lasciato scappare, eppure tutto le sembrava più sopportabile che perdere James. Non riusciva a capire cosa la spingesse a comportarsi così, accettare le torture pur di non vedere il Soldato d’Inverno morto... Non era mai stato parte del suo carattere, lei non si affezionava mai. Non poteva, doveva essere egoista. Eppure, abbassò il fucile, piano. Sentì James grugnire in dissenso e vide un sorriso disegnarsi sulle labbra dell’uomo.

-Sapevo che avremmo trovato un accordo.- Mormorò e iniziò a indietreggiare, piano, abbassando lentamente la pistola, fino ad arrivare all’angolo, poi sparì nel nulla. Natalia aspetto qualche secondo, per sicurezza, e poi si fiondò a terra verso James. Con il retro del fucile, colpì l’oggetto che era ancora attaccato al braccio di lui, fino a romperlo e fare così in modo che terminassero le scosse. Appena libero, lui si afflosciò a terra, ansimante.

-Non... Avresti... Dovuto.- Provò a sgridarla con voce flebile. Lei scrollò le spalle e lo aiutò a rialzarsi. Non riusciva a riprendere controllo del braccio di metallo, quindi lo reggeva con il braccio buono. Natalia gli fece da supporto, e insieme camminarono lentamente fino al luogo dove sapevano perfettamente che sarebbe toccata una punizione ad entrambi. Lei aveva intravisto le uniformi che indossavano gli uomini sotto i cappotti: tutte avevano una svastica sopra. Aver fatto scappare un target nazista non era di sicuro una cosa che il KGB e la Stanza potessero perdonare tanto facilmente.

 

Natalia smise quasi subito di ribellarsi tra le braccia dei due uomini che l’avevano afferrata e la stavano trascinando nel seminterrato. Non aveva senso. Nel frattempo, la sua mente iniziò a figurarsi tutte le possibili torture che la potevano aspettare. La Stanza Rossa, però, si rivelò ancora una volta un passo davanti a lei, imprevedibile. Di tutte le cose che la ragazza poteva aver pensato, nessuna di quelle comprendeva essere gettata nella stanza dove aveva visto tante volte i medici torturare il Soldato d’Inverno. I due uomini che la tenevano la scaraventarono a terra senza nessuna grazia. L’illuminazione era scarsa, ma quando alzò la testa da terra riuscì ugualmente a vedere James legato a una sedia. Aveva un’aria rassegnata e distrutta. Tuttavia, quando la vide, i suoi occhi si sbarrarono, pieni di paura. Lo sentì mormorare concitatamente qualcosa ai medici, che però non gli diedero ascolto. Natalia udì la porta aprirsi di scatto.

-Molto bene, cosa abbiamo qui oggi?- La voce di Madame B risuonò gelida nella stanza e i suoi occhi di ghiaccio si fermarono su Natalia. -La missione era eliminare l’ostaggio. Per essere spie non basta saper tirare discretamente un paio di calci, bisogna imparare a eseguire gli ordini. E siccome sembra che tu non abbia capito come si fa, il nostro Soldato d’Inverno te ne darà una dimostrazione.

-Signora, la prego. Non questo.- Implorò lui. Natalia inorridì al pensiero che stessero per farle qualcosa che spaventava persino lui, ma non mosse un muscolo. Come sempre, non voleva mostrarsi debole. Madame lo zittì con un’occhiata. Si girò verso i medici.

-Procedete.- Ordinò, inflessibile. Uno di loro attraversò la stanza, fino a un tavolo. Sollevò un libro dalle dimensioni piuttosto importanti. Era rosso, in pelle, e vi era una stella nera incisa sopra. Il medico si posizionò di fianco alla sedia dove era legato James, aprì il libro alla prima pagina e iniziò a leggere.

-Bramoso. (Longing)

-No, per favore.- Implorò il Soldato.

-Arrugginito. (Rusted)

-La prego, qualsiasi altra cosa.- Tentò di nuovo, rivolto verso Madame B, che però osservava la scena impassibile.

-Fornace. (Furnace)

-No, no, no, no.- Mormorò tra sé.

-Alba. (Daybreak)

James iniziò a dimenarsi sulla sedia, nel tentativo di liberarsi, ma inutilmente.

-Diciassette. (Seventeen)

-Per favore!- Urlò di nuovo.

-Benigno. (Benign)

-Non c’è bisogno di arrivare a questo.

-Nove. (Nine)

-Natalia.- Di colpo si rivolse a lei.

-Ritorno. (Homecoming)

-Scappa, ora.- Le sussurrò, ma lei non si mosse. Era come paralizzata, e anche se non lo fosse stata sapevano entrambi che non avrebbe fatto più di due metri.

-Uno. (One.)

“Mi dispiace”, mimò lui con le labbra. Poi, chiuse gli occhi.

-Carro merci. (Freight car)

Nella sala piombò un silenzio tombale, carico di tensione. Natalia sentiva il proprio cuore rimbombarle in gola.

-Soldato? (Soldier?)- Chiese il medico.

James aprì gli occhi, ma non vi era più niente di umano in essi. Erano ritornati a essere freddi e spietati, come la prima volta che lei l’aveva visto. Altri due medici si affrettarono a liberarlo dalle cinghie che lo tenevano legato alla sedia

-Pronto a obbedire. (Ready to comply)

Si scagliò di colpo contro Natalia, che era totalmente impreparata. Gli unici ricordi che le rimasero di quella sera furono il dolore lancinante, il suono assordante delle proprie grida e l’oblio che pian piano la inghiottiva.

 

 

*n.d.a.= Le “parole di attivazione” di Bucky, prese da Captain America: Civil War, sono tradotte in inglese di fianco perché non ricordavo bene come fossero state tradotte nella versione italiana del film. In questa fanfiction, ovviamente, sono pronunciate in russo come tutto il resto dei dialoghi di questa parte e di tutti i flashback.

   
 
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