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Autore: Cioppys    09/07/2016    1 recensioni
[HanaRu]
Sbuffo. Ultimamente ho strani pensieri per la testa.
Dovrei essere felice per come mi stanno andando le cose – sono insieme alla persona che amo, riprenderò a giocare a basket – eppure è come se mancasse qualcosa, o che ci sia qualcosa di sbagliato. Ci sono momenti in cui mi sento tremendamente insoddisfatto, di tutto e di tutti, e fatico a capirne il motivo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer
Tutti i personaggi appartengono all’immenso Inoue-sensei.

Sproloqui di un’autrice
La seguente fan fiction fu pubblicata per la prima volta alcuni anni fa su altri siti. Nonostante la trama non sia cambiata molto, il testo è stato completamente riscritto: era pesante, poco scorrevole e infantile, tanto che io stessa, nel rileggere l'originale, ho faticato ad arrivare in fondo. Era anche la mia prima fan fiction, per cui la trama non brilla certo di originalità, e non ha nemmeno aiutato la scelta di impostarla dal punto di vista di Hanamichi, un personaggio che non credo di aver interpretato al meglio a causa del carattere non proprio nelle mie corde da riuscire ad immedesimarmi in lui come si deve. La speranza è che sia comunque una piacevole lettura se, nonostante le premesse, deciderete di leggerla!
Buona Lettura.

~ * ~ * ~ * ~

 

Alla Luce del Sole
di Cioppys

 

Capitolo 1

31 Dicembre. Notte di Capodanno.
Mi affaccio alla finestra, sul cui vetro si addensa il mio respiro. Osservo spensierato i fiocchi cadere dal cielo e posarsi su ogni cosa. Tutto è bianco e omogeneo. E’ una serata fredda, ma non resterò chiuso in casa, sdraiato sul tatami ad osservare svogliato la tv. In centro si terrà una festa per celebrare l’arrivo del nuovo anno, ed è lì che trascorrerò le prossime ore in sua compagnia.
Esco di casa che sono da poco passate le nove.
Anche se ha smesso di nevicare e l’aria non è così fredda come pensavo, sono ben coperto dal mio piumino nero, il cappello di lana in testa e una sciarpa intorno al collo, entrambi rosso fuoco. Tengo le mani al caldo in tasca: non sopporto di indossare i guanti.
Lungo la strada, di tanto in tanto, mi volto a guardare le orme che lascio nella neve fresca, come segno del mio passaggio. E in quei momenti ripenso agli ultimi mesi passati in clinica per la riabilitazione alla schiena. E’ stato un periodo duro, ma ormai sono completamente guarito e presto potrò tornare sul campo da gioco.
Sono impaziente. Non vedo l’ora di quel giorno.
Ma è davvero solo voglia di giocare di nuovo? O il motivo è un altro?
Sbuffo. Ultimamente ho strani pensieri per la testa.
Dovrei essere felice per come mi stanno andando le cose – sono insieme alla persona che amo, riprenderò a giocare a basket – eppure è come se mancasse qualcosa, o che ci sia qualcosa di sbagliato. Ci sono momenti in cui mi sento tremendamente insoddisfatto, di tutto e di tutti, e fatico a capirne il motivo.
Scuoto la testa e mi libero da questi pensieri nell’attimo in cui oltrepasso il cancello di casa sua.
Arrivo alla porta e suono il campanello. Passano alcuni secondi, poi l’uscio si apre e mi ritrovo il Gorilla a fissarmi storto. A lui non è ancora andata giù l’idea che io stia insieme a sua sorella, proprio non riesce a digerirlo.
«Ah, sei tu» mi dice contrariato, appoggiandosi alla porta.
I miei occhi si assottigliano in due fessure. «E chi credevi che fosse, scusa?».
«Chiunque andava bene, a parte te».
Sbuffo. Avrei voglia di rifilargli una testata, ma mi trattengo. Rimane pur sempre il fratello della mia ragazza.
«Tua sorella è pronta?» chiedo, allungando il collo e osservando l’ingresso alle sue spalle.
«Aspetta qui» mi risponde, richiudendomi la porta praticamente in faccia.
Che gran maleducato! Neanche mi fa accomodare! Mi lascia qui fuori al freddo a congelare!
Sento la voce del Gorilla che chiama la sorella, poi dei passi che scendono le scale. La porta si spalanca e vedo il suo viso sorridente.
«Ciao Hanamichi!». Con un salto, mi butta le braccia intorno al collo e mi da un fugace bacio.
«Harukina cara!» rispondo, sorridendo come un ebete. «Allora, sei pronta?».
«Prendo il cappotto e sono da te!».
La osservo rientrare in casa mentre ripenso al giorno in cui sono riuscito a dichiararmi.
Sembra passato un secolo, eppure è accaduto solo qualche mese fa.

[Flashback]

Finalmente mi hanno dimesso e, più in forma che mai, mi dirigo allo Shohoku.
In questo periodo trascorso in clinica ho avuto molto tempo per pensare, a me, al basket, a cosa desideri davvero, e alla fine ho deciso di dichiararmi ad Haruko! Ci siamo scambiati spesso delle lettere, raccontandoci stralci di vita quotidiana, dei miei miglioramenti, dei progressi della squadra, in cui è entrata a far parte in qualità di seconda manager. E’ indubbio che il nostro rapporto sia passato ad un livello superiore, sia più intimo e confidenziale.
Quando entro in palestra, mi fermo sulla porta ad osservare i miei compagni che, presi dall’allenamento, non si accorgono della mia presenza. Sorvolo su tale affronto, non si può certo ignorare il Genio, ma in fondo devono farne di strada per arrivare al mio livello, quindi è più che giusto che sputino sangue!
Divisi in due squadre, stanno facendo una partita: da una parte quella del Gorilla, composta dai membri del terzo anno e alcuni del secondo, dall’altra quella di Ryota, composta dai restanti del secondo anno e quelli del primo.
In quel momento è il Quattrocchi ad avere la palla: avanza per il campo mentre i compagni raggiungono le loro posizioni. Il Gorilla, che come sempre si trova al centro, è marcato da Rukawa. Chiama la palla e Kogure gliela lancia, ma la stramaledetta Volpe riesce ad intercettare il passaggio e inizia il contropiede. Quando arriva nell’area avversaria Mitsui tenta di fermarlo, ma lui, con una finta, riesce a liberarsi della guardia e andare a canestro con una schiacciata.
Dannazione! Quella maledetta stupida Volpe si deve sempre mettere in mostra!
Mentre raccoglie la palla, Rukawa si volta dalla mia parte e mi vede.
«Hanamichi».
E’ solo un sussurro, talmente lieve che non arriva alle mie orecchie, ma dal movimento delle labbra capisco che mi ha chiamato per nome. E da quando in qua la Volpe mi chiama per nome?! Rimango così sbalordito a fissarlo, fermo come uno stoccafisso, che non mi rendo conto del resto della squadra intorno a me.
«Hanamichi! Allora ti hanno dimesso!» mi dice Ryota, dandomi una pacca sulla spalla.
Quel gesto mi scuote, facendomi tornare con i piedi per terra. Nonostante ciò, non riesco a togliermi dalla testa quello che ho appena visto. E’ come un tarlo che scava in profondità, e non c’è modo di fermarlo.
Cerco di dissimulare eventuali sospetti, esplodendo nella mia solita risata. «Eh si, il Genio è tornato!» esclamo, mettendomi in posa: gambe divaricate, mani sui fianchi e testa alta. «Ma per vedermi all’opera dovrete aspettare l’anno nuovo. Riuscirete a resistere fino ad allora senza la vostra punta di diamante?».
«Stai sicuro che ce ne faremo una ragione!» ribatte Mitsui, sarcastico, con quel ghigno in faccia che mi viene voglia di cancellare a suon di calci.
Le domande si susseguono incessanti, fino a quando il Gorilla non richiama tutti all’ordine e riprendono l’allenamento.
E’ a questo punto che mi accorgo di una persona rimasta in disparte, la quale non si è degnata nemmeno di rivolgermi la parola. Ok, non che normalmente lo faccia, sia chiaro, ma è strano, quasi innaturale, che da quando ho iniziato a dispensare il verbo del Genio non abbia sentito anche solo un “do’aho”.
Guardo Rukawa che, faccia espressiva come un muro dipinto di bianco, mi osserva da sotto il canestro dove l’ho visto raccogliere la palla, mentre con il collo della maglietta si asciuga il sudore sul mento.
Non so perché, ma un brivido mi corre lungo la schiena.
L’arrivo di Haruko al mio fianco mi riscuote da pensieri che, definire bizzarri, è poco. Parliamo del più e del meno,  quando decido che è giunta l’ora. E’ la mia occasione.
«Senti Haruko, possiamo parlare un attimo in privato?» e sfodero uno dei miei migliori sorrisi.
Lei acconsente e ci accingiamo ad uscire insieme dalla palestra. Mentre varchiamo la porta, succede qualcosa di decisamente fuori dall’ordinario di cui, forse, solo io mi accorgo: Rukawa manca un canestro che pure mia nonna, che neanche sa come è fatta una palla da basket, avrebbe infilato. Ciò che però mi turba più di ogni altra cosa è quel perenne sguardo inespressivo che mi segue fino a che non esco dalla sua visuale.
Con una scrollata di spalle, mi tolgo dalla testa quella maledetta Volpe.
Mi fermo con Haruko vicino ad un albero, a ridosso della cancellata che delimita il confine della scuola. Nonostante sia ormai autunno inoltrato, il sole è ancora caldo, ma i rami da tempo si stanno spogliando delle foglie, ora ammucchiate una sulle altre a terra. Vibro un calcio ad un cumulo, scostandone alcune, mentre penso a come iniziare il discorso. E’ assurdo: ho passato notti intere a cosa dirle ed ora non riesco a proferire una parola.
«Cosa volevi dirmi?» mi chiede lei, interrompendo quel silenzio così imbarazzante.
«Ecco io…» farfuglio, passandomi una mano tra i capelli corti.
Avevo pensato di farli ricrescere, ma così sono più comodi e non mi stanno affatto male.
Lei mi guarda ma non capisce. E’ strano che non si sia mai accorta dei sentimenti che provo nei suoi confronti. Che sia ancora invaghita di quel ghiacciolo? E perché mai dovrebbe desiderarlo quando può avere al suo fianco il Genio incontrastato del basket, e non solo? Ma soprattutto… perché sto ancora pensando a quella stupida Volpe?
Sospiro e prendo coraggio. Non posso più rimandare.
«Haruko, tu mi piaci! Vuoi diventare la mia ragazza?».
Dalla foga non mi rendo conto nemmeno di urlare, tanto da far sobbalzare di un passo indietro la ragazza a cui mi sono appena dichiarato. Mi guardo intorno nella speranza che nessuno mi abbia sentito, speranza che si dissolve come neve al sole nel momento in cui noto sulla porta della palestra tutta la squadra e quei cretini dei miei amici.
«Certo che ce ne hai messo di tempo!» è il commento di un sorridente Yoehi.
«Ma proprio mia sorella…» sbuffa il Gorilla, contrariato all’idea di noi due insieme.
Nel frattempo Haruko ed io stiamo contando i sassolini del terreno, entrambi con una faccia dello stesso colore dei miei capelli. Che diamine! Se non fosse che attendo una risposta, avrei già preso a testate tutti quanti!
«Beh, forse è meglio tornare ad allenarci!» dice Ryota rivolgendosi agli altri e invitandoli ad entrare, ma prima di sparire dietro la porta mi fa un occhiolino.
Rimasti soli, è il silenzio che prende il sopravvento. Un lunghissimo silenzio. Un’eternità.
«Sai Hanamici» mi dice ad un tratto, torcendosi le mani davanti al petto. «Ultimamente ti ho pensato spesso e, come dire, ho iniziato a guardarti in modo diverso».
Sono quasi sorpreso quando la vedo fare un passo nella mia direzione. Dal canto mio, mi viene stranamente naturale accorciare quella distanza, metterle le mani sulle spalle e chinarmi in avanti, forse perché è una scena che ho immaginato infinte volte. Poco dopo le sue labbra si posano sulle mie: sono calde e vellutate.
Pero…
Si, perché c’è un “però”.
Il mio cure non sta scoppiando di gioia come ho sempre immaginato. Sono contento, davvero, ma non sento quello sfarfallio allo stomaco di cui spesso parlano, né tanto meno le gambe cedermi dall’emozione.
Ignoro tali mancanze, considerandole del tutto soggettive, mentre sposto una mano sul collo di Haruko e, inclinandole lievemente il capo, approfondisco il nostro primo bacio.

Finiti gli allenamenti, Ryota mi raggiunge ad uno degli ingressi della palestra dove mi sono fermato a parlare con quei nullafacenti della mia banda. Il fatto che Haruko sia al mio fianco dovrebbe già essere un indizio di come sia andata, ma si sa, il Nano a volte è un po’ tardo!
«E bravo il nostro Hanamichi!!» commenta, dandomi una pacca sulla spalla.
Io esplodo nella mia fragorosa risata, mostrando il simbolo della vittoria con una mano. Tutti si voltano, chi – come il Quattrocchi – con un sorriso sulla faccia felice per me, chi – come il Teppista – scuotendo la testa per schernire inutilmente il Genio, chi – come il Gorilla –  con una smorfia per nulla contento di quella unione.
Tutti si voltano, vero.
Tutti tranne uno.
Rukawa, in piedi a bordo campo, prende il suo asciugamano da una delle sedie e s’incammina verso gli spogliatoi, scontrandosi spalla a spalla con Mitsui durante il tragitto.
«Ehi! Guarda dove vai!» lo riprende il senpai.
Nessuna risposta, non un “Mh!”, non uno sguardo glaciale.
In lontananza si sente la porta degli spogliatoi sbattere.
Ok, sono un attimo perplesso. Oltre a questo strano comportamento e quel canestro mancato, mi rendo conto solo  ora che oggi non mi ha ancora dato del “do’aho” nemmeno una volta. Eppure di opportunità ne ha avute diverse.
No, non è proprio da lui.
Con la domanda “perché cazzo lo stai facendo” che mi frulla con insistenza in testa, lo seguo negli spogliatoi, trovandolo seduto su una panca, di spalle all’entrata, testa sorretta dalle mani e gomiti appoggiati sulle ginocchia.
«Ehi stupida Volpe!» lo chiamo.
Lui rimane nella stessa posizione, il petto che si allarga e stringe seguendo il ritmo del respiro.
«Hai perso la parola? O finalmente hai capito che il Genio non può essere superato e issi bandiera bianca?».
«Do’aho».
Una sola parola, detta con stizza, che basta a farmi perdere le staffe.
«Se devi insultarmi, abbia almeno il coraggio di guardarmi in faccia!» gli urlo.
Con un passo gli sono addosso: lo afferro per una spalla e lo costringo a voltarsi, pronto a calare il pugno sulla sua faccia tosta. Lui però si libera della mia presa e si alza di scatto, puntandomi addosso quei suoi occhi di ghiaccio.
Ma, stavolta, non è gelida indifferenza quella che mi inchioda sul posto. E’ rabbia, pura e semplice.
Io rimango di stucco, incapace di dire o fare qualsiasi cosa, tanto sono meravigliato da quella espressione.
Rukawa prende la sua borsa abbandonata a terra ed esce, sbattendo nuovamente la porta.

[Fine Flashback]

Sento tirare una manica del mio piumino nero.
«Ehi, Hanamici!» mi chiama Haurko. «Io sono pronta. Andiamo?».
La guardo e, dopo un istante di smarrimento, ricordo dove sono e cosa stavo facendo.
«Ah! Scusami, ero sovrappensiero» dico, passandomi una mano tra i capelli corti per nascondere l’imbarazzo.
«Ho notato!» ride. «A che stavi pensando?».
Già, a che stavo pensando?
«Nulla di speciale!» le rispondo, scuotendo la mano aperta nel tentativo di minimizzare.
Più di una volta ho ripercorso quella giornata, e non per ricordare la dichiarazione che feci alla mia attuale ragazza. Rukawa non era il solito Rukawa. E, per quanto illogico sia, quel comportamento non riesco a togliermelo dalla testa. E, soprattutto, non riesco a capirne il motivo.
Dopo quell’evento, a scuola non di rado ci siamo incrociamo nei luoghi più disparati – all’ingresso, sulle scale, nei corridoi, sulla terrazza, in giardino, in palestra – e ho notato che ha cambiato atteggiamento nei miei confronti: se prima, il più delle volte, mi ignorava ma rispondeva alle mie provocazioni, ora spesso lo trovo che mi osserva di sottecchi, salvo poi distogliere lo sguardo quando lo fisso, ed evita in modo palese di darmi corda. Ormai, alle mie esternazioni da Genio, raramente sento un “do’aho”: potrei contare le volte che lo ha detto negli ultimi mesi su una sola mano, il che è sconvolgente.
Ora, la domanda che invece mi pongo è: perché cazzo sto pensando a quella stramaledette Volpe?
Sono qui, con la mia ragazza, Haruko, e penso a Rukawa?
Ma sono impazzito o cosa?
Di nuovo, sento tirare la manica del mio piumino nero.
«Hanamichi!» mi richiama Haruko. «Ma ci sei stasera?».
«Eh?» esclamo, tornando con i piedi per terra. «Si, si. Ci sono, scusa. Ero ancora sovrappensiero».
«A volte mi piacerebbe proprio sapere cosa ti passa per quella testa, sai?» domanda, sorridendo.
Anche a me piacerebbe saperlo.

Continua

 

  
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