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Autore: lala_g    20/04/2009    2 recensioni
Il sogno è il tentato appagamento di un desiderio! Ma chi sa dire se il desiderio sia di colui che sogna o di colui che induce a sognare?!
Deidara si troverà a percorrere questa linea sottile e allora chi saprà dire se sia sogno o realtà?
VI Classificata alla "Seconda edizione del contest sull'Erotismo" indetto da Rota23
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akasuna no Sasori , Deidara, Itachi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Autore: °lilian° (lala_g su Efp)
-Titolo: In oblivionem purpureum adducere – cadere nell'oblio rosso
-Genere: Erotico, accenni di comicità in qualche punto qua e là
-Rating: Arancione, R
-Personaggi e combinazione: Itachi, Deidara, Sasori - Itachi/Deidara + More/Occhi
-Avvertimenti: Yaoi, Linguaggio colorito, One-Shot
-Riassunto (facoltativo): Il sogno è il tentato appagamento di un desiderio! Ma chi sa dire se il desiderio sia di colui che sogna o di colui che induce a sognare?!
-Commento (facoltativo): Ugh, potrebbe sembrare contorta, probabilmente è contorta! L'unica cosa che vorrei dire, tuttavia, è che ogni cosa è studiata. Non so se la storia ha reso il mio esperimento ma, ogni riferimento, ogni parola è studiata...anche quella che potrebbe sembrare senza senso. Spero sia comprensibile alla lettura per gli altri così come lo è per me!
P.S. La prima citazione è scritta da me, non è presa da nessun autore.


La linea di confine tra sogno è realtà è così sottile che, col passare del tempo, in molti stentano a comprendere ove inizi l'uno e ove l'altra.



Un sinistro scricchiolio proveniente dalle ossa del suo torace fece perdere al ragazzo biondo il sorriso beffardo che, per alcuni attimi, aveva regnato trionfante sulle sue labbra.
Ebbe giusto il tempo di osservare per l'ultima volta la sua vittima circondata dal suo serpente di argilla bianca prima di dover chiudere gli occhi dal dolore.
Quando li riaprì si ritrovò immobilizzato; il ragazzo moro, da lui intrappolato, era ora perfettamente libero di muoversi e lo guardava con aria imperscrutabile. Abbassò gli occhi solo per rendersi definitivamente conto che il serpente da lui creato come arma si era ora rivoltato contro il suo stesso padrone, prendendo a stringergli l'addome con forza.
Puntò gli occhi in quelli dell'altro, bestemmiando e chiedendosi come diamine fosse possibile una cosa del genere tuttavia, l'unica risposta che ottenne furono due iridi del colore del sangue. Il senso di inferiorità si fece pressante in lui mentre la morsa concreta al suo addome saliva alla sua gola asfissiandolo e rubandogli l'aria.
La figura del moro gli apparve così imponente che tutto quello che poté fare fu annaspare alla ricerca di aria, dibattendo le mani cercando di strappare, con le sue bocche, i pezzi di argilla che lo stavano lentamente uccidendo, mentre la consapevolezza di un arte superiore alla sua iniziava a logorarlo sadicamente dall'interno.

-Hai perso!-

L'ultima cosa che percepì prima di sentirsi svenire fu un lontano profumo di more poi...il nulla.


-Urgh-

Il respiro affannoso e le gocce di freddo sudore che lente scivolavano lungo la sua pelle accompagnarono lo scatto con cui Deidara si mise seduto sul letto. Le mani - le bocche - strette in torno alle coperte e le labbra dischiuse alla ricerca dell'aria mancante. Gli occhi misero a fuoco la scarsa mobilia dell'umida stanza: l'armadio, la porta cadente del bagno e la scrivania con una vecchia lampada.
La finestra, lasciata aperta, permetteva all'aria degli albori autunnali di rinfrescare l'ambiente, improvvisamente divenuto troppo caldo e appiccicaticcio.
Un tenue profumo di more si accompagnava alla brezza notturna.
Quando la consapevolezza del sogno parve colpire il biondo, questi digrignò i denti, alzandosi, lasciando che le coperte fossero lanciate in aria prive di attenzione.
Un basso ringhio si levò dalla sua bocca, mentre si avvicinava alla finestra.

-Fottuto incubo-

Imprecò irato mentre l'immagine di due occhi carmini che lo scrutavano tornava ad infastidirlo, malevola.
Quando la calma parve essere tornata decise di rimettersi a letto. Non avrebbe dormito, lo sapeva, ma non aveva comunque di meglio da fare.
Fottuto posto di merda.
Pensò, ricordando come, pochi giorni addietro, l'avessero costretto ad unirsi a quella stupida banda terroristica.
Akatsuki.
Chi cazzo se ne importava di una combriccola di psicopatici che voleva conquistare il mondo.
Lui era un artista, non un delinquente qualsiasi. Non gli importava conquistare il mondo, l'universo o quel che era, voleva unicamente dimostrare quanto bella e divina fosse la sua arte; quanto sublimi potessero essere le sue esplosioni.

-Maledetto Uchiha-

Mormorò inacidito.
Il ricordo della sconfitta troppo vivo nella sua memoria. La sensazione di ammirazione troppo bruciante nel suo animo. Si era fatto battere da un arte illusoria. Un arte del tutto differente dalla sua e così maledettamente subdola.
Aveva sottovalutato quegli occhi, aveva sottovalutato l'arte altrui, ma non avrebbe demorso: avrebbe dimostrato a tutti la superiorità delle sue esplosioni.
Avrebbe fatto esplodere quegli occhi tanto potenti.
Avrebbe fatto dissolvere quel rosso carminio che da notti lo tormentava.

***



-Che c'è moccioso, hai dormito male?-

Una voce roca e metallica attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi verso quell'essere ripugnante di nome Sasori che, in tre giorni, Deidara non era ancora riuscito ad identificare.
Un'espressione indignata si dipinse sul suo volto palesandosi come un'accentuata smorfia delle sue labbra mentre rispondeva inviperito.

-Ho dormito benissimo, un-

Esclamò trionfante, in modo eclatante.
Una cosa che Deidara aveva capito in quei tre giorni era che in quel posto regnava sovrano il silenzio. Non un rumore, non un sibilo accompagnava le loro giornate. Scambi di battute inacidite erano le uniche attività che facevano apparire quegli esseri ancora come umani.
Non che a lui dispiacesse il silenzio tuttavia, la voglia di dar fastidio a quei bastardi era divenuta dirompente il lui.
Si divertiva ad infastidirli parlando con toni di voce acuti, alzando la voce per ogni minima questione, creando quel rumore tanto estraneo a quel luogo. E ghignava trionfante non appena si rendeva conto di quanto, effettivamente, provocasse fastidio negli altri quel suo atteggiamento.
Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, c'era sempre una persona che pareva del tutto indifferente alla questione.
Itachi Uchiha sembrava vivere a parte, in uno dei suoi mondi illusori, ove il silenzio predominava su qualsiasi fonte di disturbo esistente.
Tra tutti, era l'unico che non parlava mai, a meno che non fosse stato interpellato dal leader stesso.
In tre giorni, l'odio di Deidara per Uchiha non aveva fatto altro che aumentare e sembrava destinato a percorrere una strada che saliva sempre di più.

***



Aprì gli occhi lentamente, cercando di mettere a fuoco il luogo e riuscendoci solo dopo diversi istanti.
Pareti sudicie e piene di crepe lo accerchiavano in quella che sembrava essere una cella per prigionieri.
Dove cazzo era?
Si alzò, riuscendo a mettersi seduto nonostante si sentisse intontito dal sonno appena abbandonato.
Si guardò freneticamente in torno, i sensi in allarme.

-Ben svegliato-

Una voce roca e sensuale lo colse impreparato.
Gli occhi azzurri saettarono nella direzione da cui era provenuto il suono, riuscendo a scorgere nel buio e nell'inconsistenza dell'aria solo un'ombra scura.

-Chi sei, un?-

Assottigliò gli occhi, alzandosi in piedi ma bloccandosi sul posto non appena due occhi rossi lo fissarono.
Sentì come se mille spiedi si fossero conficcati nel suo corpo e un brivido di secco timore lo percosse. Non percepì alcun dolore, ma la spiacevole sensazione che accompagnava la vista di quegli occhi parve non volerlo abbandonare.

-Uchiha? Dove diamine mi hai portato, un?-

Irritazione corse lungo la sua pelle coperta solo dalla maglia a rete nera e i pantaloni di eguale colore – in omaggio con l'adesione alla combriccola di assassini – tuttavia non si mosse, immobile nella sua posizione eretta, incatenato da quel tormentoso colore sanguigno.
Un vago, conosciuto, profumo di more invase le sue narici, ma era troppo distratto per assecondarlo.
Vide, o più che altro percepì, l'altro avvicinarsi.
I passi secchi contro il pavimento malandato, il frusciare del mantello.
Bestemmiò quando il moro gli fu abbastanza vicino, rifece la domanda, ascoltando il silenzio che l'avvolgeva e che faceva sì che si perdesse nell'aria, priva di una qualsiasi risposta.
Caricò un pugno, pronto a schiantarsi contro la guancia candida del ragazzo più grande quando, improvvisamente, si rese conto di avere le mani bloccate. Si sentì spingere violentemente contro la parete.
Ricercò con gli occhi le corde, le catene, quel qualcosa che doveva tenerlo immobile, rendendosi conto che ciò che lo circondava era il nulla.
Non vi era niente che lo bloccava eppure non era in grado di muovere le mani.
Bestemmiò ancora, tornando a fissare Uchiha e notando come fosse tutto ad un tratto vicino, troppo vicino: le spirali dei suoi occhi così nitide alla sua vista, il rosso purpureo così vivo nelle sue iridi.
Ebbe appena il tempo di registrare il ghigno sulle labbra dell'altro prima di avvertire le mani di quest'ultimo sul suo corpo.
Sgranò gli occhi sconvolto, avvertendo quella fredda carezza sul suo torace.
Il momento in cui guardò in basso, si rese conto di non avere più la maglietta.
Cosa diamine stava accadendo?
Poteva giurare di essere vestito quando era arrivato in quel posto -ovunque egli fosse- perché dunque non aveva più nessuna maglietta indosso?
Ogni suo pensiero fu tuttavia inghiottito ben presto dai brividi che, carichi di libidine, avevano preso a correre lungo la sua schiena.
Incatenato agli occhi dell'altro sentì le sue mani percorrerlo con aria curiosa, senza fretta, studiandolo. Digrignò i denti, trattenendo un gemito quando le mani passarono sui suoi capezzoli, tramutandolo in un ringhio sommesso.

-Razza di bastardo, lasciami andare-

Rabbia e frustrazione furono sputate fuori con quelle parole, mentre il ghigno sul volto di Uchiha andava lentamente ampliandosi.
Le mani proseguirono, scendendo pacate verso il ventre del biondo, accompagnate da bassi ringhi di dissenso.

-Nessuno ti trattiene-

Il roco mormorio fu seguito da una bestemmia quando Deidara si ricordò della totale assenza di costrizioni.
Il bastardo aveva ragione, non vi erano catene, fili o corde a bloccarlo, ma ugualmente non riusciva a muoversi.
Si eccitò e si irritò al contempo quando le mani del moro iniziarono a sbottonare lente i pantaloni.
Unh, almeno quelli non li aveva sognati!
Rise internamente a quella magra consolazione, non riuscendo ad interrompere ancora quell'incontro di sguardi iniziato al suo risveglio.
Maledetto Uchiha, pensò.

-Nh-

Un gemito, non propriamente voluto, sfuggì alle sue labbra quando la mano esperta dell'altro riuscì ad eludere la presenza dei pantaloni, andando a stuzzicare il suo membro.
Uchiha ghignò, godendo sadicamente del piacere involontario che l'altro stava provando, intrappolandolo il quel gioco di sguardi a cui ancora né l'uno né l'altro, era riuscito a sottrarsi.
Mosse lievemente la mano, carezzandolo e nutrendosi, come un predatore, di quei gemiti sommessi e di quei ringhi irati che impedivano l'altro dal liberarsi o dal protestare per quell'infame quanto piacevole situazione.
Sentì il respirò di Deidara intopparsi, sottrasse la mano giusto prima che egli venisse.
Deidara fu scosso da un brivido di violento piacere, gemette aprendo la bocca e lasciando che i suoni sfuggissero dalle sue labbra, si inarcò e chiuse gli occhi nel momento in cui l'orgasmo lo sopraffece. Ancora, il profumo pungente delle more si unì a quello deciso del suo piacere.
Ancora, fu il nulla.


Aprì gli occhi di scatto.
Non si alzò, rimase immobile, calmando il respiro affannoso.
Una spiacevole sensazione di bagnato lo colse impreparato.
Cazzo!
Non poteva aver fatto una cosa del genere.
Osservò la stanza che lo circondava: niente pareti piene di crepe, niente aria sudicia. Permaneva l'aria silenziosa ma, a parte quella, nulla somigliava allo squallido posto ove si trovava attimi addietro. Sospirò mentre la pazienza iniziava a vacillare nel momento in cui la consapevolezza si faceva largo in lui.
Un sogno bagnato.
Aveva sognato di fare sesso o, detto in termini più veritieri, aveva sognato di essere molestato.
Fin qui poteva anche essere una cosa accettabile.
Diamine, neppure si ricordava quando era l'ultima volta che si era fatto qualcuno.
Il problema in sé era difatti un altro.
Per quanto infatti la fantasia erotica potesse essere piacevole al ricordo, il sapere che, tra tante persone, aveva sognato di essere molestato proprio da Uchiha, lo turbava alquanto.

-Maledetto Uchiha-

Ringhiò alzandosi dal letto e dirigendosi verso il bagno.
Un'altra fottuta notte insonne.
Di questo passo sarebbe morto di stanchezza.

***



-Deidara-

Silenzio.
Quando si pensa ad Akatsuki non è strano pensare al silenzio.
Quando si pensa a Deidara, tuttavia, pensare al contempo al silenzio diviene una cosa più difficile.
Quattro giorni con il biondo avevano fatto assumere a Sasori questa consapevolezza; di conseguenza, vedere il biondo immobile, silenzioso e tranquillo iniziava a non rientrare più nei suoi schemi di normalità.
Non che si preoccupasse per il compagno, ma avevano una missione e, se il biondo fosse stato male, non solo avrebbero ritardato nella missione in sé -e lui odiava i ritardi- ma probabilmente l'idiota si sarebbe fatto uccidere, quindi avrebbe dovuto battere i nemici da solo, avrebbe dovuto aspettare che Zetsu venisse a riprendere il corpo e avrebbe persino dovuto cercarsi un nuovo partner.
No!
Decisamente, un Deidara silenzioso e tranquillo e, di conseguenza anormale, non rientrava nei suoi piani.
Lui di seccature ne aveva sin troppe.
Questo era il motivo che lo spingeva a chiamare il biondo da circa due minuti.
Tre minuti era il tempo massimo che Sasori aveva stabilito prima di saltare addosso al biondo per ucciderlo: ovviamente, esclusivamente nel caso non avesse risposto prima.
In questo modo la lista delle cose da fare si sarebbe ridotta drasticamente ad un solo, misero, punto: cercare un nuovo compagno.

-Deidara-

Ancora poco.
Tre.
La coda velenosa già pronta a saettare contro il corpo dell'altro, preparata a colpire.
Due.
Un ghigno silenzioso, invisibile sul corpo di freddo legno della marionetta.
Uno.

-Che c'è?-

La coda saettò veloce e si bloccò giusto prima di colpire, davvero poco delicatamente, il braccio dell'altro.
Sasori sussultò, ritraendo la coda meccanica che tornò a nascondersi sotto il lungo mantello.
Poco male, non avrebbe dovuto cercarsi un nuovo partner.
Spiegò a Deidara brevemente la missione, questi sembrò riprendersi. Lo vide alzarsi e iniziare a parlare a vanvera di quanto fosse sublime la sua arte esplosiva e di quanto sarebbe stata fondamentale nella loro missione.
Maledetto. rumoroso. moccioso!

***



Stanco.
Deidara era tremendamente stanco.
La missione era stata semplice: questione che, per l'appunto, era facilmente risolvibile in una mezza giornata.
Aveva dimostrato al Danna quanto bella e superiore fosse la sua arte. Non che egli l'avesse accettato, ma Deidara sapeva che era questione di poco tempo. Un giorno non troppo lontano Sasori-Danna avrebbe capito l'importanza dell'Arte che dura un Istante.
Sbadigliò, levandosi la maglietta e dirigendosi verso la finestra.
L'aprì e la freschezza dell'aria sembrò più piacevole del solito.
Ispirò a pieni polmoni e nuovamente il profumo di more lo invase.

-More, un-

Mormorò, osservando i campi, poco lontani, dai quali proveniva l'odore pungente dei frutti.
Riuscì a pensare brevemente che in effetti erano quasi in autunno, le more venivano raccolte in quel periodo.
La piacevole sensazione della notte precedente si manifestò nei suoi ricordi insieme all'inebriante profumo.
Storse il naso infastidito e si allontanò dalla finestra. Si buttò a peso morto sul letto.
Sentì un rumore, voltò lo sguardo e poi fu solo il nulla, accompagnato dal profumo di more e colorato di un rosso accecante.

Aprì gli occhi chiedendosi quando effettivamente li avesse chiusi. L'immagine della sudicia prigione, improvvisamente sostituitasi a quella della sua stanza, lo colpì come un pugno allo stomaco.
Si alzò velocemente in piedi.
Ancora quell'aria inconsistente.
Voltò il capo nella direzione ove la sera precedente aveva visto Uchiha e, di nuovo, sussultò nel trovarsi immerso in quegli occhi carmini.
Ghignò.
La sua mente aveva deciso di giocare, benissimo, avrebbero giocato. Contrariamente alla notte precedente sembrò potersi muovere con molta più libertà.
Di nuovo, gli sguardi imprigionati l'uno nell'altro.
Di nuovo, le mani dell'uno sul corpo dell'altro.
Eppure c'era qualcosa di nuovo, di differente.
Itachi ghignò notando Deidara indietreggiare e appoggiarsi alla parete.
Un battito di ciglia e si trovava ad un soffio da lui.
Scrutò il suo volto dall'aria beffarda mentre, al contrario delle sue aspettative, Deidara pareva intenzionato a prendere in mano la situazione.
Le mani -le bocche- del biondo scesero a succhiare il collo del ragazzo moro, mentre le mani di quest'ultimo riprendevano ad accarezzare il corpo minuto dell'altro.
E ai tocchi fugaci susseguirono tocchi marcati, possessivi, violenti alle volte.
Alla mossa dell'uno seguiva la mossa dell'altro, in quel gioco lussurioso fatto di mani e di occhi. Perché proprio come il cielo mattutino affogava nel rosso del tramonto, unendosi ad esso, così le mani dell'uno afferravano e carezzavano il corpo dell'altro, in un connubio di sensi estatico.
Deidara neppure si chiese che fine avessero fatto i vestiti quando si rese conto di non averli più addosso.
Semplicemente assaporò, assaporò con le mani – con le bocche – assaporò con gli occhi e con la mente, e godette, mentre Itachi continuava ad accarezzarlo, a toccarlo, a possederlo.
Quando il contatto visivo si perse Deidara eruppe in un grido di puro piacere, sentì l'altro grugnire ed irrigidirsi, prima di avvertire un'esplosione di sensi nel suo corpo.


Un intenso profumo di more lo svegliò dal placido sonno che lo stava cullando.
Aprì stancamente gli occhi solo per trovarsi – di nuovo – nella sua camera:
La finestra ancora aperta, il letto ancora fatto, tutto perfettamente identico.
Dannati sogni bagnati, pensò.
Si alzò sulle ginocchia, avvertendo dolore partire da dietro e perdersi lungo la sua schiena. Non ci badò, si alzò.
Sospirò confuso.

-Maledetto Uchiha-

Suonava come una nenia oramai.
Un mantra che, ogni notte, lo accompagnava prima del sonno, quello vero, ristoratore.

***



Il tempo trascorreva lento, troppo lento per Deidara.
Quel giorno il capo aveva convocato Akatsuki per esporre il piano che avrebbe permesso loro di conquistare il mondo intero.
A quanto aveva capito il biondo, le loro missioni sarebbero verte sull'annientamento e l'imprigionamento dei così detti Jinchuuriki*.
I demoni da loro contenuti sarebbero stati uniti mediante una potente tecnica di confinamento che avrebbe accumulato il potere dei nove Bijuu*.
Quindi, ad ogni coppia era stato affidato un Jinchuuriki da catturare.
La loro missione -sua e di Sasori- consisteva nella cattura dell'Ichibi, ovverosia il Kazekage di Suna, Sabaku no Gaara.
Deidara concordò con Sasori che sarebbe stato lui ad occuparsi della cattura e della battaglia in sé tuttavia, per fare ciò, aveva bisogno di un infiltrato.
Sasori gli spiegò, con poca voglia, la locazione delle loro prigioni dove avrebbe potuto trovare un prigioniero da controllare a suo piacimento, come una marionetta.
Deidara non sapeva perché ma a Sasori-Danna doveva piacere particolarmente la parola “marionetta”; per qualche astruso motivo usciva spesso nei loro brevi scambi di parole.
Il biondo si apprestò a recarsi verso le prigioni indicatigli, peccato che il suo senso dell'orientamento non fosse dei migliori.
Continuava a camminare da circa un quarto d'ora e si era maledettamente stufato. Stava svoltando a destra quando una voce bassa lo bloccò.

-Le prigioni sono nell'ala opposta-

Si voltò di scatto, era sicuro che quello non fosse un sogno, e allora perché Uchiha aveva deciso di comparire così, di punto in bianco?
Gemette interiormente, preparato all'incontro delle consuete iridi carmine e proprio per questo si ritrovò spiazzato nel momento in cui ad accoglierlo furono due occhi neri come le notti prive di luna. Sussultò prima di sentirsi colto in fallo.
Digrignò i denti e ribatté fiero.

-Lo so benissimo, non c'è bisogno che sia tu a dirmelo-

La voce gli uscì alta, infastidita, mentre con passo marziale ritornava indietro prendendo la strada che andava verso sinistra, pronto a recarsi dalla parte opposta a quell'ala.
Uchiha non fiatò, la sua espressione rimase immutata, gli occhi puntati sul corpo dell'altro. Semplicemente prese a seguirlo, in un silenzio rigoroso, quasi innaturale.
Deidara si chiese mentalmente perché quel bastardo lo stesse seguendo. Analizzò velocemente la situazione. Non poteva assolutamente essere un sogno; primo, Uchiha aveva gli occhi neri, cosa di per sé strana, ma non impossibile. Ricercò nella memoria l'immagine del moro in un momento in cui potesse avere gli occhi di un colore diverso dal rosso, ma la sua mente aveva improvvisamente deciso di non collaborare - prendendo a mostrargli invece immagini generose di violenti amplessi seguiti all'incontro di quelle iridi purpuree -
Passò oltre, tralasciando la questione degli occhi.
Punto secondo, fondamentale: non erano in una sudicia stanza dall'aria di una prigione -ma ci si stavano dirigendo, in effetti- Punto terzo: il bastardo non gli era ancora saltato addosso -eppure lo stava seguendo-
Quindi, in conclusione, quello non poteva assolutamente essere un sogno

-Forse-


Ok, forse non era del tutto convinto di trovarsi ancora nella realtà, ma il rumore di passi che, ad un ritmo sostenuto, continuava a seguirlo imperterrito, lo stava facendo impazzire, impedendogli di ragionare lucidamente.

-Che diamine vuoi?-

Sbottò irato, fermandosi e voltandosi nuovamente verso il moro.
La voce palesemente alterata dalla stizza, gli occhi ridotti in due fessure.

-Controllo che tu arrivi alle prigioni-

Deidara non parve comprendere immediatamente ciò che l'altro aveva detto. Boccheggiò qualche attimo prima di ringhiare e mandarlo al diavolo intimandolo di farsi i fatti propri.
Non voleva avere niente a che fare con Uchiha.
Lo stava facendo impazzire già abbastanza di notte, nei suoi sogni – o incubi, ancora non lo sapeva – non aveva bisogno di ritrovarselo anche nella vita reale – sempre che quella lo fosse -
Itachi non parve cogliere la frase dell'altro, al contrario, la ignorò deliberatamente, continuando a seguirlo silenziosamente.
Quando il corridoio terminò Deidara si ritrovò dinanzi ad una porta in legno.
Attese qualche istante, deglutendo incerto, prima di aprirla ed immergersi nel tanfo putrefacente delle prigioni.
Chiuse gli occhi e storse il naso infastidito prima di muovere qualche passo in avanti.
Quando i suoi occhi incontrarono una delle prime celle, vuota, il respiro si intoppò e un gemito sommesso non riuscì ad essere trattenuto.
Sgranò gli occhi analizzando sconcertato le stesse identiche pareti crepate dei suoi sogni e inalando l'aria sudicia del luogo. C'era qualcosa di diverso, qualcosa che mancava, ma non riuscì ad identificare cosa fosse.
Sentì Itachi alle sue spalle, il suo sussurrò sensuale si perse nell'aria fetida del luogo.

-Qualcosa di familiare?-

Quando si voltò tutto scomparve, l'aria parve prendere il colore del sangue.
Mugugnò socchiudendo gli occhi prima di iniziare a guardarsi in torno freneticamente.
Mise a fuoco con difficoltà: crepe, sudiciume...proprio dove ricordava di essere.
Cosa diavolo stava accadendo?
L'ultima cosa che riusciva a ricordare era il sussurro alle sue spalle e la presenza di Itachi.
Se era fuori dalla cella, come era possibile che ora si trovasse al suo interno?
Portò le mani alla testa, sentendola pulsare.
Non vi fu alcun profumo di more ad accoglierlo questa volta.

-Credevo fossi abituato oramai-

Un gemito strascicato fu dato in risposta all'affermazione dell'altro senza che fosse davvero compresa.
Deidara alzò gli occhi solo per incontrarne un paio rubino.
Cercò di riacquistare un minimo di calma.
Iniziava davvero a sentirsi stufo di quel gioco, oramai non era neppure in grado di distinguere il sogno dalla realtà.
Ignaro dei pensieri del biondo, Itachi si avvicinò, senza fretta.
Mantenne il contatto visivo -fondamentale nei loro incontri- venendo investito dalla confusione di cui le iridi azzurre erano pregne. Ghignò, ricominciando quel gioco erotico di cui erano stati indiscussi protagonisti in quei giorni.
Le mani corsero ad accarezzare quel corpo tanto desiderato, lasciando che le scariche di piacere corressero lungo la pelle del biondo.
Deidara gemette, incapace di resistere al carisma del moro.
Si perse in quel mare di sangue che erano i suoi occhi e godette di quel sopraffino piacere che lo investiva ogni qual volta veniva a contatto col suo corpo.
Abbandonò i suoi pensieri, rinunciò a comprendere se si trovasse in un sogno o nella mera realtà e semplicemente visse.
Visse le sensazioni che lo avvolgevano, visse i baci, le carezze, visse ciò che Itachi gli stava dando senza preoccuparsi del luogo dell'aria o del tanfo - predominante sul vacuo ricordo dell'odore di more -
Semplicemente amò.
Quando il piacere fu troppo da sopportare Deidara urlò, liberò la sua voce nell'aria proprio come il suo piacere si liberava sul corpo di Itachi e quello di Itachi dentro di lui.
Quando l'aria tornò a bruciare nei suoi polmoni fu solo una cosa che riuscì a chiedere prima di cadere assopito.

-Perché mi fai questo?-

La stanchezza, il rilassamento totale delle sue membra e l'eco del piacere ancora ronzante nelle sue orecchie accompagnarono il sussurro mellifluo che lo guidò in quello che, all'apparenza, poteva sembrare un sonno pacato.

-Dormi-

Ma il dubbio insinuante continuava a pungere nel retro della sua coscienza e la mente, abbandonata alla lussuria e al godimento, era oramai troppo stanca per capire appieno quell'ordine malcelato.
L'unico pensiero coerente – se di coerenza si poteva ancora parlare- lo cullò come la memoria di una una dolce melodia seguita dal profumo di more.
“Ma io non sto già dormendo?”
Poi, fu l'oblio.

***



Quando Deidara si svegliò non impiegò molto a riconoscere la sua stanza.
Portò una mano a tastare la testa, l'emicrania ronzante contro il suo scalpo.
Iniziava ad essere monotona quella situazione.
Premette sulle tempie forzandosi a ricordare.
Immagini della prigione e di Itachi avvolsero la sua mente giusto prima che la memoria del loro orgasmo lo sopraffacesse, in modo quasi meschino.
Arrossì e gemette mettendosi seduto sul letto.
Maledetto Uchiha, maledetti sogni, maledetta frustrazione sessuale.
Eppure c'era qualcosa che non quadrava in tutto quello, qualcosa di insolito.
Per quanto ci provasse non ricordava, non capiva: quando effettivamente aveva iniziato a sognare?
Quando la linea della realtà era stata superata facendolo sprofondare nell'abisso dell'immaginazione?
I primi due sogni erano stati inconsistenti, lievi, accompagnati da quel pungente profumo di more che, in quello stesso momento, aleggiava fievole nell'aria della sua camera.
La sua immaginazione aveva solo prodotto il frutto del suo desiderio.
L'ultimo sogno invece era nitido, concreto, ricordava la consistenza del corpo dell'altro, ricordava il freddo del muro e il fetore del pavimento proprio come ricordava il desiderio bruciante nel suo animo e l'eccitazione pressante che l'aveva avvolto tra le sue spire. Ma il tarlo che continuava a torturarlo lentamente era sempre lì, insieme al rimorso che accompagnava la consapevolezza del piacere che provava nel vivere quelle esperienze oniriche.
Perché erano sogni, non era così?
Perché non poteva essere la realtà?
Non c'era nulla che potesse indurlo a pensare alla realtà – solo quel vago odore fruttato che, nelle notti, l'accompagnava prima di sprofondare nel suo personale oblio erotico - mentre vi era tutto perché quegli eventi potessero parere come sogni, frutti della sua mente – lo stesso pensare ad Uchiha come il compagno di quel gioco lussurioso non poteva che essere una mera fantasia- ma il dubbio restava, lasciandolo nell'incertezza alla quale seguiva la rabbia, il dolore, la pazzia.

***

Quando il giorno dopo i membri di Akatsuki furono riuniti, l'assemblea poté iniziare indisturbata. Le parole del leader rimbombarono solenni nell'antro in cui si erano dati appuntamento, nel covo.
Scivolarono lente, melliflue, fluenti.

-Kisame, Itachi, vi occuperete voi del Jinchuuriki di Kyuubi, il suo punto debole sono i Genjutsu. Basterà che Itachi lo intrappoli in una illusione -

Ci volle poco perché Deidara collegasse il tutto.
Sgranò gli occhi, puntandoli in quelli di Uchiha, l'espressione di questi immutata e il corpo sorprendentemente rigido.
Illusioni.
Si era fatto giocare da quel bastardo senza che se ne rendesse neppure conto.
Non erano sogni, non erano fantasie, erano illusioni, mondi paralleli costruiti appositamente per lui da quegli occhi maledetti, da quell'arte superiore.
Ancora una volta il senso di inferiorità e di ammirazione lo colse prepotente.
Non si accorse nemmeno che la riunione si era conclusa.
Ringhiò, gli occhi iniettati di rabbia: fu veloce nel prendere l'argilla necessaria con le mani -con le bocche- e a creare un mostro sufficientemente grande da provocare una discreta esplosione. Un ragno di media dimensione corse nel mezzo della stanza, attirando l'attenzione dei presenti, scagliandosi verso il primogenito Uchiha.

-Maledetto Bastardo...crepa!-

L'urlo di Deidara culminò con l'esplosione del ragno gigante.
Una raffica di vento si librò nell'aria mentre il polverone alzatosi in seguito allo scoppio si disperdeva lentamente. Deidara ansimò, assottigliò lo sguardo e lo indurì maggiormente quando notò Uchiha interamente incolume, immobile dove lo aveva lasciato, privo di alcuna ferita che, si supponeva, avrebbe dovuto storpiare il suo volto in seguito all'esplosione appena avvenuta. Imprecò e immerse nuovamente le mani nella sacca ove teneva l'argilla, prima che due occhi rossi e una presa salda sulle sue braccia lo immobilizzassero.

-Ti sei svegliato?-

Itachi sussurrò lascivo contro le sue labbra, ghignando con soddisfazione all'espressione contrita del biondo. Questi si dibatté, imprecò e urlò, invano, non riuscendo ad ogni modo a liberarsi e arrendendosi riluttante a quella situazione. Lo guardò con ira, sputandogli contro la frustrazione repressa.

-Perché diamine l'hai fatto?-

Vide il ghigno ampliarsi sul volto del moro e la presa si fece più forte in torno alle sue braccia. Lo vide avvicinarsi senza avere il potere di far nulla.
Gemette interiormente alla gradevole e al contempo indesiderata sensazione di piacere che lo colse non appena le labbra dell'altro sfiorarono il suo orecchio.

-Perché ti desideravo-

E poi... fu di nuovo l'oblio, il rosso purpureo di quegli occhi e l'odore pungente di more.

Il sogno è il tentato appagamento di un desiderio! (Freud)



“Ma chi sa dire se il desiderio sia di colui che sogna o di colui che induce a sognare?!”


N/A
Jinchuuriki = sono coloro che contengono i Bijuu (vedi sotto)
Bijuu = I mostri dalle code, come Kyuubi.
Ichibi: Una coda (sarebbe il demone tasso)
La contestualizzazione temporale è stata da me modellata secondo ciò che posso immaginare sia successo all'interno di'Akatsuki in quell'arco di tempo che, Kishimoto, ci lascia adombrato. Non dovrebbe influire sul giudizio dal momento che le fanfiction sono opere di fantasia ma, avendo avuto precedenti critiche a riguardo, a mio parere insensate, tendo a precisarlo ^^
Aggiungo il Disclaimer anche se suppongo sia inutile: I personaggi sono di proprietà di Masashi Kishimoto. Questa è un'opera di fantasia; riferimenti a fatti o persone realmente esistenti sono del tutto casuali.

Ringrazio infinitamente Rota per il commento alla storia e Princess per il bannerino. Grazie ad entrambe ^^

Lala
  
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