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Autore: Kaira Jackson    10/07/2016    14 recensioni
[Storia Interattiva. Dieci posti disponibili. Chiusura iscrizioni: 23 Luglio 2016]
Settant’anni sono passati da quando i Sette della Profezia sono riusciti a ridurre Gea allo stato dormiente.
Il Campo Mezzosangue dovrà affrontare un’altra minaccia e undici semidei dovranno partire per evitare un vecchio nemico ritorni al potere.
Dal testo.
[…]
La donna sollevò lo sguardo verso di lei con calma raggelante e un certo cipiglio determinato che quasi la fece sobbalzare, come se fosse sempre stata certa che la ragazzina sarebbe arrivata.
Beata lei. JJ di certezze non ne aveva mai avute.
Gli occhi erano di un verde così brillante e dolce da ricordare il mare d’Estate. Erano solo vagamente arrossati, la bellezza neanche scalfita dalla preoccupazione. Anzi sembrava ancora più affascinante, come se il dolore l’avesse fatta diventare più forte. Aveva dei tratti familiari, eleganti e raffinati, qualcosa che aveva già visto al Campo Mezzosangue, ma non avrebbe saputo dire con certezza chi fosse.
« Dovete fermarlo,» esclamò la donna, sollevando la mancina verso il suo volto e scostandole una ciocca bionda che era scesa a coprirle l’occhio. Un gesto così materno, così dolce, così familiare che le scaldò il cuore.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Oracolo di Delfi, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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The Sands of Time – o di come una manciata di semidei si ritrovò imbottigliata




Prologo

 
La nuova profezia
 
Era cosa nota e universalmente riconosciuta che rovinare al suolo di primo mattino avrebbe condotto a una giornata degna di un dramma shakespeariano.
Lo sapeva bene JJ che si ritrovava spalmata sul marmo candido e gelido della Cabina VII praticamente ogni giorno da quando era al Campo. Quell’estate si stava rivelando più dura del previsto e non aveva ancora compreso quanto.
« Per tutti i Pegasi,» imprecò a denti stretti, districandosi dal soffocante e indesiderato abbraccio delle lenzuola assassine.
Agitò la zazzera bionda e arruffata con un gesto secco, scostando le ciocche che le erano andate a finire in bocca, e si passò una mano sugli occhi azzurri, portandosi l’indice e il pollice alla radice del naso.
Svegliarsi con un’emicrania fulminante non rientrava nella top ten delle sue attività preferite.
Scattò in piedi, grata del fatto che i suoi fratelli non si fossero accorti del rumore soffocato, e si massaggiò il fianco destro sul quale era poco elegantemente atterrata pochi istanti prima. Non che i suoi compagni di cabina non fossero abituati alla sua naturale e tremenda goffaggine, ma svegliarli di Domenica mattina, prima che il loro fantastico padre salisse sul carro del Sole, le sarebbe valso il loro odio imperituro sino all’ora di pranzo. E non era certa che sarebbe riuscita a sopportarlo.
Erano la sua unica famiglia, dopotutto. Senza contare suo padre, ma a JJ non piaceva pensare troppo a suo padre. A nessuno dei due, a dire il vero.
Si diresse verso la finestra, avanzando a tentoni tra i letti dei suoi fratelli. Tentò di non inciampare, goffa e sgraziata com’era, e di non fare troppo rumore. Una volta aveva osato schiacciare una freccia di Jamie e le urla si erano sentite sino in Messico. Non ci teneva a ripetere l’esperienza.
Il cielo su Long Island era di un rosa dolcissimo, chiaro e sfumato sulla tela naturale del firmamento, punteggiato da rade stelle restie ad abbandonarlo.
Le formicolarono le dita per la voglia di afferrare la prima sanguigna a portata di sguardo e disegnare quello splendido spettacolo. Poi una fitta alla testa più forte delle altre la riportò all’oscura imminenza di quel sogno che la tormentava da settimane.
 
JJ avanzò a tentoni sul pavimento ardente della caverna, avvolta in una casacca di lino bianco che le arrivava sino ai piedi. Le copriva anche la testa in un turbante che la faceva rassomigliare a una  chiaroveggente di un Luna Park. 
Impercettibili granelli erano scossi dalla brezza leggera e afosa e l’umidità li stava facendo attaccare ai suoi vestiti.
JJ sentiva la schiena bagnata di sudore, i capelli arricciati sulle tempie, mentre il respiro le si era fatto affannoso, corto e rauco. Era come camminare in un forno. Persino lei, che era figlia del dio del Sole, non poteva sopportare troppo a lungo quel caldo abbacinante.
La caverna aveva le pareti dorate, di granito scivoloso, e la stretta lingua di roccia su cui si era avventurata era piena di ciottoli aguzzi.
Doveva andare avanti. Sapeva per esperienza che se si fosse voltata verso l’uscita, il sogno sarebbe ricominciato da quel punto e le conseguenze sarebbero state ben più gravi di una semplice emicrania fulminante.  Era sempre così con le visioni. Non avevi scelta. Governavano loro, avevano l’assoluto controllo sulla mente, sul corpo, persino sull’animo. Le Parche sole sapevano quanto odiasse quella costrizione, quell’infido comando che la faceva sentire inutile quanto una bambola inerte.
L’enorme clessidra apparve come sempre al centro della caverna, in pericoloso bilico sul baratro oscuro, e svettava sino al cielo. Caldi raggi di Sole la illuminavano facendo risaltare i granelli dorati e l’elaborata architettura di bronzo celeste. Non c’era nulla ad ancorarla alle pareti. Sembrava potesse essere risucchiata nelle tenebre al minimo accenno di tempesta.
Era spaccata come se fosse stata colpita da un martello alto quanto la Statua della Libertà. La sabbia s’era riversata tutt’intorno, cadendo oltre il precipizio, e un sibilo costante permeava l’ambiente.
JJ sfiorò il vetro opaco alla base, ma fu costretta a scostare i polpastrelli. Era più ardente dell’aria, quasi elettrico. Sobbalzò di scatto mentre altre visioni la scuotevano e cadde in ginocchio tenendosi il capo tra le mani. Mugolò per il dolore e un singhiozzo le scappò dalle labbra schiuse, mentre lacrime calde le inumidivano le gote arrossate.
E si ritrovò catapultata in un altro tempo. In un altro mondo.
La frescura la colpì di scatto, facendola quasi sospirare per il piacere. Si sentiva rigenerata e notò che i suoi abiti s’erano trasformati. Indossava un chitone azzurrino che ben si intonava al colore dei suoi occhi e aveva i capelli raccolti in una crocchia morbida sulla nuca. Quando fece un passo in avanti, si accorse che l’abito sembrava essere fatto di schiuma di mare, liquida e frizzante, per i suoi splendidi giochi di colore.
Si trovava in quello che aveva tutta l’aria di essere un tempio greco, dai colonnati candidi e la luce solare che illuminava le pareti decorate da mosaici antichissimi. Assomigliava all’Olimpo per qualche tratto, anche se sembrava più oscuro, come se chi ci vivesse volesse ostentare potere più che bellezza fine a se stessa.
Un rumore la strappò da quel gradito miglioramento, riportandola alla dimensione onirica.
Aguzzò l’udito e ricercò la fonte. Sembrava provenire dalla fine del corridoio. JJ si affrettò a percorrerlo, tastandosi il vestito per ricercare un’arma. A parte se stessa,-  ed era gran poca cosa, doveva ammettere con dispiacere,- si accorse di non possedere nient’altro. Inciampò nell’orlo del chitone, cadendo rovinosamente in avanti e fece appena in tempo a posare i palmi sul pavimento di marmo per non colpirlo con il naso. Si rialzò, maledicendo la sua goffaggine, le mani che formicolavano e il volto infiammato dall’imbarazzo.
Una porta di noce, possente e scura, era lo scrigno di quella sofferenza che stava intristendo persino lei. La schiuse senza far rumore e si guardò intorno, mordendosi il labbro inferiore. La camera era meravigliosa, degna di una sala di Versailles, decorata con tappeti persiani con ghirigori geometrici dal colore dei lapislazzuli, e con statue di leoni ruggenti dalle fauci spalancate, le zampe posteriori pronte a balzare verso un possibile nemico.
Una donna piangeva disperata accanto al talamo di ulivo che capeggiava l’immensa stanza. Non c’era nessun altro a parte lei.
JJ si costrinse ad entrare, abbandonando la sua posizione di silenziosa sentinella indesiderata, e avanzò con passo cauto verso la donna, la coda dell’occhio rivolta ai leoni che rimasero immobili. Non si era mai troppo certi. Da quando aveva scoperto di essere una semidea, aveva capito che il male poteva insinuarsi ovunque, persino nei luoghi più belli e pacifici.
La donna, che non aveva smesso di piangere, era semplicemente bellissima. Una lunga veste matronale, di un bianco abbagliante, la faceva apparire come quelle antiche regine Libiche che si vedevano nei documentari. Aveva lunghi capelli neri intrecciati in un’elaborata acconciatura ed era tanto esile da ispirarle un senso di profonda protezione. Non riusciva a guardarla in volto perché era raggomitolata, con i gomiti poggiati sul legno della culla di un bambino.
Irrimediabilmente vuota.
Un senso di oppressione le strinse le viscere mentre, compassionevole, comprendeva il motivo della sua angoscia.
JJ si avvicinò ancora, titubante, lottando contro il suo istinto che le diceva di scappare a gambe levate. Lei una madre non l’aveva mai avuta e di certo non sapeva cosa dire per consolare quella donna.
Suo padre poteva anche essere il dio della poesia, ma JJ e le frasi intelligente e ad effetto vivevano in due mondi separati.
« Signora,» la chiamò timida, allungando la destra verso il suo braccio candido, ma non sfiorandola. Non voleva darle fastidio. E inoltre quell’aura di potere era abbastanza considerevole. Non le andava proprio di essere trasformata in cenere fumante né in qualche animaletto strano. Le piaceva essere umana, la maggior parte del tempo.
La donna sollevò lo sguardo verso di lei con calma raggelante e un certo cipiglio determinato che quasi la fece sobbalzare, come se fosse sempre stata certa che la ragazzina sarebbe arrivata.
Beata lei. JJ di certezze non ne aveva mai avute.
Gli occhi erano di un verde così brillante e dolce da ricordare il mare d’Estate. Erano solo vagamente arrossati, la bellezza neanche scalfita dalla preoccupazione. Anzi sembrava ancora più affascinante, come se il dolore l’avesse fatta diventare più forte. Aveva dei tratti familiari, eleganti e raffinati, qualcosa che aveva già visto al Campo Mezzosangue, ma non avrebbe saputo dire con certezza chi fosse.
« Dovete fermarlo,» esclamò la donna, sollevando la mancina verso il suo volto e scostandole una ciocca bionda che era scesa a coprirle l’occhio. Un gesto così materno, così dolce, così familiare che le scaldò il cuore.
La donna trasalì, gli occhi verdi resi enormi dalla paura e puntati su qualcosa alle spalle di JJ.
 
L’urlo mattutino di Helena, sua cara, carissima sorella maggiore, nonché Capo-cabina, almeno sino a quando non minacciava di assordarle i timpani con la sua voce da soprano, la fece sobbalzare, allontanandola dai rimasugli di quel sogno oscuro in cui era precipitata ancora una volta.
Visioni e malattie, questa era tutta l’eredità che Apollo le aveva donato. A volte si domandava perché suo padre la odiasse così tanto.
Helena, che sembrava una versione più abbronzata, più bella e assolutamente più rumorosa di JJ, aveva l’infausta abitudine di svegliare i suoi fratelli con un grido di guerra che ben poco si addiceva ai luminosi figli di Apollo. Si sarebbe trovata meglio nella cabina accanto alla loro. 
« Che stai facendo?» le domandò la maggiore, dopo averla individuato a pochi centimetri dal letto di James.
JJ scrollò le esili spalle, riscaldandosi le braccia con i palmi per tentare di allontanare la sensazione di gelo e disagio che quel sogno le aveva lasciato. Di solito si fermava così, con lei che tentava di voltarsi per scoprire la fonte del pericolo e con la donna che la bloccava, trattenendola per le braccia, intimandole di non guardarlo. Di non farlo diventare reale.
« Mi sto godendo il panorama, Lena. Calmati. È domenica. Non hai il turno in Infermeria la domenica,» mormorò la giovane semidea con voce fievole e gli occhi tristi.
Doveva capire cosa stava succedendo. Aveva avvertito Chirone, ma il centauro non aveva risposto ai suoi dubbi. Aveva tentato di rassicurarla con il suo dolce sorriso paterno e le aveva detto di rimanere tranquilla. Eppure anche lui appariva preoccupato.
E gli dei non rispondevano. Rimanevano muti sui loro troni, nelle stanze splendide dei loro palazzi sull’Olimpo. Aveva pregato suo padre, senza ricevere alcun segno, per così tanto tempo che le ginocchia le dovevano ancora. Sarebbe stato più semplice ricevere risposta da un muro che da Apollo.
« Vero,» confermò la Capo-Cabina con fare meditabondo, gli occhi azzurri grandi come biglie, prima di abbandonarsi contro il materasso che scricchiolò appena sotto il suo peso.
James grugnì e seppellì la testa bionda e ricciuta sotto il cuscino, maledicendo le Parche sole sapevano cosa.
JJ si allontanò dalla finestra, i piedi scalzi goffi come quelli di un anatroccolo, che inciampavano tra le vare cianfrusaglie dei suoi fratelli. Si diceva che Apollo fosse un ottimo ballerino e il suo padre mortale, Robert Light, con la passione per tutte le discipline artistiche, poteva ampiamente confermarlo. Lei sicuramente non lo era affatto.
Qualcuno bussò concitato e JJ sbuffò seccata. Era quasi ritornata a letto senza aver causato incidenti mortali e ora doveva di nuovo attraversare la Cabina, rischiando l’osso del collo. Quella volta le Parche sembrarono averla graziata e arrivò alla porta indenne, con il mignolo destro dolorante per aver sbattuto contro lo spigolo dell’arco di Helena.
Un ragazzino smilzo e basso quanto un hobbit era sulla soglia, con le mani sulle ginocchia ossute lasciate libere dalle bermuda di jeans che indossava. Rivoli di sudore gli facevano brillare i ricci neri e gli occhi azzurri, che di solito brillavano di malizia come se avesse appena gabbato un agente dell’FBI e l’avesse fatta franca, erano preoccupati e ansiosi.
Nathan Sanders, figlio di Ermes, indiscusso malandrino del Campo, eletto a pieni voti come combina guai, ammazza-finanze altrui e ladro provetto.
Per JJ quello voleva dire soltanto una cosa: guai in vista.
« È domenica. Abbiamo delle regole,» annunciò cercandosi di risultare minacciosa e fallendo miseramente. Batté il piede per terra e incrociò le braccia al petto, imbarazzata dal fatto di indossare un pigiama giallo con sopra la stampa di decine di paperelle allegre e starnazzanti. Sembrava un pulcino in versione umana.
« Si tratta di Gwen,» esclamò Nathan, passandosi la mancina sulla nuca e scostandosi qualche riccio. Stava facendo un grande sforzo di volontà per non sghignazzare dinanzi a quella visione ridicola.
« Che le è successo?» domandò d’un tratto preoccupata e ansiosa, accantonando l’imbarazzo.
« Sta malissimo. Ha pronunciato una profezia e adesso non riprende conoscenza. Chirone sta tentando di aiutarla come può, ma abbiamo bisogno di un guaritore.»
« Helena, è Gwen,» gridò la bionda verso l’interno, ma sua sorella, che aveva una specie di radar per i malanni, era già in piedi e stava indossando un paio di jeans del Campo.
« Vieni con me,» le ordinò la sorella, facendole un cenno imperioso con la destra e raccattando un kit di pronto soccorso che tenevano sempre a portata di mano. La Cabina di Apollo era un agglomerato di nettare, ambrosia, archi e fogli da disegno e, dopotutto, non era colpa della sua goffaggine se finiva sempre per inciampare in qualcosa.
JJ trasalì, gelata sul posto da quella richiesta.
Chi mai avrebbe potuto scegliere lei come aiuto-guaritrice? Lei che faceva ammalare, lei che aveva ereditato i poteri peggiori del padre? Quelli più infidi? Il lato crudele di Apollo, quello che aveva ridotto in ginocchio gli Achei durante la Guerra di Troia.
Si affrettò comunque a seguire sua sorella maggiore verso la grotta dell’Oracolo, con Nathan che apriva la strada. Non era da lei rifiutare gli sprazzi di fiducia che Helena le concedeva. Almeno sua sorella non credeva che fosse perseguitata dalla malasorte e che il loro padre avesse fatto un errore di valutazione madornale avendola riconosciuta come propria.
Il Campo era ancora semideserto e i pochi già svegli si tennero saggiamente a distanza dagli occhi blu e penetranti della guaritrice.
Tutti conoscevano Helena Dawner. Mai incrociare la sua strada se stava andando a salvare vite umane. Non se si teneva al proprio udito. Un fischio dei suoi avrebbe assordato un ciclope adulto e ben piazzato.
La grotta dell’Oracolo era su un’altura modesta e l’entrata era coperta da pesanti tende viola. Delle torce gettavano una luce verde dal vago sentore di incenso e indicavano che l’Oracolo era al suo interno, pronto ad accogliere le domande dei semidei.
Mentre Nathan e Helena irrompevano per prestare soccorso alla giovane, JJ rimase sulla soglia. Avrebbe fatto meno danni a distanza.
Gwen era riversa sul divanetto bianco, scomposta come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili. I lunghi capelli neri come la liquirizia cadevano scompostamente oltre il cuscino.
Chirone le stava preparando un infuso di erbe dall’odore molto forte, pestandole in un matraccio. La coda candida roteava come quando aveva racimolato abbastanza coraggio per parlargli di Paul.
JJ si morse il labbro inferiore. Non era il momento di ripensare a Paul.
Helena si affrettò ad intonare un inno ad Apollo, inginocchiandosi all’altezza del suo volto mulatto e solitamente gentile.
Gwen stava mormorando parole sconnesse, un lieve fumo verde che aleggiava intorno a lei, e JJ dovette concentrarsi per riuscire a comprenderle.
Clessidra. Sabbia. Ira.
Non sembrava un messaggio molto incoraggiante.
Gwen appariva più calma ad ogni nota intonata da Helena e il fumo si rarefaceva.
JJ si vergognò di se stessa e della propria vile codardia. Non era riuscita a far nulla né per Helena né per Gwen, la dolce ragazza che ascoltava i racconti dei suoi sogni senza mai interromperla o screditarla.
Era rimasta lì, impietrita e spaventata da quell’attacco, da quei sussurri, come una statua di cera priva di volontà.
Persino Nathan s’era reso utile rimettendo in ordine il disastro, chino sul tavolino a trafficare tra carte e strumenti musicali. Per una volta non s’era messo niente in tasca. La profezia doveva averlo turbato parecchio.
« Cosa dice?»
La voce non sembrava neanche la sua. Era roca, spaventata e stranamente alta per una come lei che era abituata ad essere il meno rumorosa possibile.
Helena si voltò di scatto, come se si fosse dimenticata che ci fosse anche lei. L’inno l’aveva svuotata e appariva così pallida da sembrare cerea. JJ sentì una breve fitta allo stomaco a quel pensiero, ma era troppo preoccupata dalla situazione per poter stare davvero male.
« Come, figliola? » domandò il centauro, stanco e affaticato, osservandola con i suoi occhi castani e carichi di tristezza. Appariva vecchio quanto i suoi anni, come se tutto il peso del mondo gli gravasse sulle spalle.
« Cosa recita la profezia, Chirone? » insisté la ragazzina, incrociando le braccia al petto. Il gelo del sogno era tornato ad avvolgerla e si pentì di non aver indossato qualcosa sul pigiama leggero.
Il maestro la osservò attentamente e JJ capì, a malincuore, di non essersi sbagliata. I segnali erano inequivocabili, i sogni sin troppo chiari. Fu Nathan, però, a risponderle.
 
Aldilà dell’Oceano, dove il Sole mai scompare
le sabbie del Tempo undici semidei dovran ricercare
nelle terre maledette, nei deserti della morte,
il canto del Pelide guiderà la loro sorte.
 

 
Hola a todos.
Spero che il prologo vi sia piaciuto. Penso di aver toppato alla grande con la profezia, ma scrivere in rima mi risulta alquanto difficile.
Potete prenotarvi tramite recensione o messaggio privato e le schede vanno esclusivamente mandate per messaggio privato entro il 23 Luglio.
 
  • Accetto tre OC a persona. Perché tre è il numero perfetto.
  • Accetto solo semidei e semidee del Campo Mezzosangue.
  • Non accetto figli di Titani e Giganti, né figli di dee vergini (Estia, Era, Artemide). Per il resto siete liberissimi.
  • Selezionerò 10 personaggi, tra ragazzi e ragazze, che saranno gli eroi della profezia. Potrei anche inserire dei semidei secondari.
  • Non accetto Mary Sue e Gary Stu. I personaggi mi piacciono complessi, con debolezze, borderline, umani. Nessuno è perfetto, neanche un eroe.
  • Nella recensione/messaggio specificate sesso, genitore divino ed età.
 
Questa è la scheda.
 
NOME E COGNOME:
SOPRANNOME*:
Età/DATA DI NASCITA(min. 14, max. 23 anni):
DESCRIZIONE FISICA:
PRESTAVOLTO (va bene anche una fan art o una pic):
DESCRIZIONE CARATTERIALE:
GENITORE DIVINO E RAPPORTO (l’ha riconosciuto? Si sono mai incontrati?) :
GENITORE MORTALE E RAPPORTO:
STORIA PERSONALE (con età di arrivo al Campo):
ARMA:
TRATTI DI FORZA:
TRATTI DI DEBOLEZZA:
POTERI (non esagerati, per favore. Sono semidei, non l’incredibile Hulk):
COSA AMA:
COSA ODIA:

ORIENTAMENTO SESSUALE:
PERSONE DA CUI POTREBBE ESSERE ATTRATTO (in amicizia e in amore. Descrivere i caratteri):
INIMICIZIE (descrivere i caratteri):
ALTRO*(hobby, passioni, aneddoti, tutto ciò che rende speciale l’OC):
FRASE CHE LO CARATTERIZZA ( può essere tratta da qualsiasi fonte):
 
 E lei è la mia JJ. 
Jessamyn Joanne Light, detta JJ, figlia di Apollo. 16 anni. (PV Candice Accola)


 
Goffa come un anatroccolo che compie i suoi primi passi, JJ è la figlia di Apollo più inusuale che esista. È insicura, timida e poco appariscente. Dimenticabile. È una sognatrice, ma non lo vorrebbe.
   
 
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