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Autore: Miezchko    10/07/2016    0 recensioni
1944, Feliciano guarda il cielo ed incrocia le dita nella speranza di un'apparizione; sono giorni confusi e lui ha bisogno di un appiglio, di far finta di potersi dire con certezza che la persona a cui pensa sta bene. Sono giorni confusi ed ha solo bisogno di qualcosa che lo distragga dalle strade di Milano e dai suoi stessi pensieri.
La storia è ambientata in una Human!AU, quindi i ragazzi sono semplicemente persone come tutti noi. E' accennato un pairing ( GerIta ) in maniera estremamente leggera. Ovviamente pensieri e parole dei personaggi non sono da identificare con il punto di vista dell'autore riguardo certe tematiche. Prima parte di una raccolta. [ 2302 parole. ]
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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P i p p o
 
 

La notte calò come un soffio su una candela sulla città; un fiato e la fiamma del sole si spense sull'ardentissima Milano, accogliendo l'oscurità con un timore crescente. Ricordava di aver romanticizzato la notte fino a poco tempo prima, vedendola come il tempo delle riflessioni, dei sogni e delle stelle, poche e pallide, rivaleggianti con i lampioni che, sempre più, rispondevano artificialmente al bagliore del creato. Ma ricordava anche di averne avuto paura, da piccolo: non era il buio che lo terrorizzava, ma ciò che vi si poteva nascondere, la conseguenza di non poter vedere oltre il palmo del proprio naso. E anche quel giorno, quella fredda sera di Febbraio, Feli non temeva il buio, non temeva la luna che disegnava la sagoma delle nuvole. Ma aveva molta di paura di ciò che vi si poteva nascondere, sì. In basso, per strada, oltre la linea del balcone, i tedeschi che tentavano di rispettare il coprifuoco -anche se non ci dovrebbe essere stato nulla di sbagliato nell'ammirare il cielo dal proprio balcone, vero? o sarebbe stato preso come un messaggio segreto a qualche traditore? o magari avrebbero pensato che stava aspettando qualcuno?. In alto, il più imprevedibile e terrificante antagonista: l'incarnazione dell'ignoto. I tedeschi non lo spaventavano così tanto: aveva imparato a conoscerne molti lui, seppur parlando a gesti, aveva capito di aver fatto amicizia con qualcuno di importante. In più, la camicia parlava per lui. Ma loro non erano gli unici che faceva rispettare il coprifuoco. Fra le nuvole, fra i bagliori familiari di una città dove aveva sempre vissuto, sarebbe potuto apparire Pippo.

La prima volta che ne aveva sentito parlare era stato pochi giorni prima. Lui, Umberto e Benito erano stati invitati dalle SS a fare giustizia in una cittadina vicina; un tedesco era stato ucciso dalla campagna ribelle e qualcuno doveva andare a pareggiare i conti. Non dovevano essere tanti: dovevano solo essere abbastanza da far paura ai contadini disarmati, sfoggiando le uniformi nere e i fucili che loro non avevano il potere di procurarsi. Probabilmente il soldato che era stato ammazzato era lì solo di passaggio. Chi poteva saperlo? Chi poteva mai dire di sapere qualcosa per certo? Erano giorni gravidi di domande senza risposta, quella era solo una fra tante altre. Uno di quelli che erano rimasti fedeli allo Stato - quello vero, quello governato dalla corona, non quello di Badoglio e degli americani - doveva aver trovato un modo di contattare la base a Milano per esprimere il suo dissenso e, magari, con l'intento di essere premiato per l'informazione. O magari l'aveva fatto solo per orgoglio nazionale. Di nuovo: chi poteva saperlo? Ricordava il vento fra i capelli e un freddo simile a quello che provava in quel momento di attesa sul balcone, ma diverso: era più umido, più insidioso, più crudele. Se lo sentiva sotto il cappotto; era inutile stringerlo: più se lo avvolgeva attorno, più sentiva l'umidità morderlo, attaccata al cappotto lungo e nero. Erano partiti non appena avevano saputo l'accaduto: Gil era andato a fare reclutamento sommario - bussava alla porta e diceva i loro nomi, senza dare troppe spiegazioni; sapevano di dover andare appena chiamati in ogni caso - ed erano montati sull'elegante Mercedes del capitano Beilschmidt - così doveva chiamarlo in pubblico - ed erano partiti. Loro tre, italiani, erano schiacciati dietro. Gli altri due occupavano le posizioni davanti. Il capitano gli aveva spiegato mentre salivano sull'auto allungata e corvina come ogni capo d'abbigliamento del proprietario. Poi era seguito silenzio: le SS parlavano fra di loro, in tedesco, troppo in fretta perché loro capissero; Feli parlava un po' di tedesco, ma estremamente poco: le conversazioni fra lui e i due pezzi grossi si erano verificate un successo solo quando loro avevano dimostrato di saper masticare un po' di italiano, o quando il maggiore - erano due fratelli - aveva gesticolato per farsi comprendere. Aveva colto poche parole: forse avevano detto qualcosa tipo ' Wehrmarcht ', poi un ' bitte ' . . .? Probabilmente Benito capiva meglio di lui in ogni caso. Lui l'aveva studiato il tedesco, finché aveva studiato. Una fortuna. Loro non sembravano avere molta voglia di parlare: Benito sembrava intento nell'origliare la conversazione a lui aliena, mentre Umberto osservava i campi della periferia con occhi assenti. A cosa stava pensando? Feliciano non riusciva a togliersi di dosso la consapevolezza di star per imbracciare il fucile per ammazzare un povero cristo che forse neanche ci aveva pensato ad uccidere il tedesco. Certo, d'altra parte, potevano pensarci prima: per ogni tedesco, dieci italiani. Quella era la regola. Era tanto difficile da imparare? Era così facile mettere a rischio tutta la loro gente pur di assaporare un retrogusto di ribellione? Era così facile sparare a qualcuno che, fino a poco tempo prima, consideravi un alleato? Un amico? D'altra parte però, quello a cui avrebbe sparato lui, forse veramente non voleva che il tedesco venisse ucciso. Magari aveva protestato. ' Ragazzi questo è tradimento! ', o ' No, che fate? Così poi ammazzano noi! '. Ma chi poteva saperlo? Proprio come qualche giorno dopo, sul balcone, stava guardando il cielo, cullato dai suoni duri sputati dalle voci profonde e tranquille dei loro accompagnatori; riusciva a malapena a distinguere i suoni che producevano, e, paradossalmente, la cosa lo calmava. In particolare, il modo cadenzato e calcolato di parlare di Ludwig gli entrava dentro con dolcezze nonostante la sua oggettiva durezza rispetto ai quei suoni morbidi a cui era abituato. Era come una ninna nanna piena di parole sconosciute. Meglio non capirli, comunque: non voleva sapere, non voleva ascoltare. Voleva solo sentire. Senza capire. Anche se, doveva ammetterlo, a volte non capiva anche quando le parole singolarmente avevano un loro senso, ma poi messe nei discorsi perdevano il loro valore originale di parola e diventavano solo dei rumori. Venivano declassate a rumori incomprensibili. Ce n'era tanto di rumore incomprensibile a Milano quei giorni. Lui era sempre confuso. E ogni tanto, anche la sua testa ne faceva: pensava ai partigiani, al Re, a Ludwig e ai tedeschi, al giusto e allo sbagliato, alla guerra civile; e poi, quando si chiedeva cosa significassero queste parole per lui, si rendeva conto di poter passare ore a pensarci senza trovare una risposta che non fosse uscita dalla bocca di qualcun altro. Il rumore che faceva la sua testa era diverso dai suoni melliflui che uscivano dalla bocca del biondo: il primo lo confondeva, mentre gli altri lo destabilizzavano, sì, ma in modo completamente differente, uno che faceva fatica a spiegarsi. E poi, - con quale grazia! - un'ombra si fece spazio fra le nuvole, fatta della stessa materia dei sogni: un'allucinazione: un aereo solitario e minuto volteggiava sopra gli ettari lombardi, divorando sempre più spazio ad ogni attimo che trascorreva, bruciando ciò che lo seprava dal suo obbiettivo, qualsiasi esso fosse. Eppure nessuno sembrava troppo sorpreso. Ludwig si limitò a spegnere gli abbaglianti, tenendo i fanali soli ad illuminare il sentiero non battuto e il silenzio calò per poco sulla vettura. 

« E. . .quello? », aveva chiesto Feliciano, voce timida e sommessa, osservando i compagni di viaggio.

Aveva attirato l'attenzione delle SS che però non avevano risposto. Magari non avevano neanche capito.

« Quello è Pippo », aveva risposto con voce bassa ma senza disturbarsi a sussurrare Benito. Feli rispose con uno sguardo non meno confuso del precedente. « Un caccia », aveva semplicemente continuato l'altro, scrollando le spalle. La spiegazione non si era prolungata e lui non aveva fatto altre domande, assumendo che nessun'altro ne sapesse nulla. O magari Umberto e Benito non volevano parlarne davanti ai capitani. Di caccia tedeschi ne aveva visti, e tanti, ma perché uno lì? Perché era tedesco, vero? O era italiano? Seguì con lo sguardo la traiettoria dell'aereo, che sembrava diretto alla loro stessa meta; ciò che era certo era che - a quanto pareva - era arrivato prima di loro. L'avevano visto allontanarsi sempre più e poi, in lontananza avevano sentito il familiare scoppiettare dei proiettili e delle grida; poi il silenzio, se non per il suono distante delle pale del caccia a sostenerlo in aria. Ludwig aveva accelerato: la sagoma già troppo distante si allontanava sempre di più, sino a diventare un puntino irraggiungibile, confuso nel buio. Buio sul buio. Nero sul nero. E poi il nulla, se non i giochi di luce creati dalla luna, ora visibile ora meno.

« Ha mitragliato sulle case? », aveva chiesto Feliciano stavolta, senza preoccuparsi di tenere la voce bassa; era stato preso da un certo sgomento. Uno spettro era apparso, aveva sparato su dei civili dormienti e se n'era andato come se niente fosse. Avrebbe voluto chiedere ' perché? ', ma aveva imparato che quella è una delle domande che in guerra non vuole sentire proprio nessuno.

« Sì. Pippo spara sulla gente, la notte », aveva risposto Umberto, più coraggioso di Benito. Iniziava a sospettare che il camerata non ne avesse voluto discutere di fronte ai tedeschi. Magari l'aereo era loro? 

« Se trova una luce accesa, spara. O sgancia le bombe. Non importa dove. Non so nient'altro. »

Benito distolse lo sguardo, comunicando a Feli che non sapeva nulla di più neanche lui, o che, se lo sapeva, non glie ne avrebbe parlato. Ma quindi, con chi stava Pippo? Era italiano? Era dei tedeschi? O era degli. . .Alleati? Loro erano il nemico. Gli sembrava la unica spiegazione, seppur assurda. Perché mandare degli aereoplanini ad attaccare la campagna? Di senso non ne aveva. Ma di nuovo: a volte ciò che sembra più folle è l'unica cosa che può corrispondere a verità.

Quella sera, era stato troppo occupato per pensare di nuovo alla comparsa nella notte a cui aveva assistito; il ronzio delle pale e il brillare del metallo - sfavillante contro i raggi argentati della luna scoperta - gli erano tornati in mente solo qualche giorno dopo, mentre guardava il cielo dal balcone di casa sua. La visione del caccia gli aveva parlato allo spirito come il bacio di una femme fatale: pericoloso, terrificante, eppure affascinante; una ragnatela, attraente ed inquietante. Questo perché, quell'aereo lì, che aveva sparato su dei poveretti mentre dormivano - non tanto differentemente da quanto avesse fatto lui un'oretta dopo, sull'improvvisato plotone d'esecuzione -, quell'aereo lì gli ricordava suo fratello. Suo fratello si chiamava Lovino ed abitava a Falconara Marittima. Avrebbe potuto pensare a tante cose in quel momento, come al modo in cui al ragazzo a cui aveva sparato solo qualche giorno prima tremassero le gambe, o a come un altro gridasse ' Viva il Re, viva l'Italia! ' e fosse finito proprio come tutti gli altri, stecchiti dentro ad un fosso. Eppure no: lui in quel momento, pensava a suo fratello che prendeva il treno alla stazione di Milano, al binario venti, e che lo guardava come se, venendolo a vedere, gli avesse fatto un gran dispetto. Ma lui doveva andarlo a vedere, altrimenti chi l'avrebbe fatto? Era stato qualche anno prima, prima della guerra, prima dei partigiani, prima del caos che abbracciava stretto lo Stivale, senza lasciarlo andare. Un amico di Lovino aveva un amico che abitava a Falconara Marittima e aveva davvero bisogno di aiuto: un carpentiere, o qualcosa così. E lui, suo fratello, aveva sempre voluto andarsene dalla frenetica Milano: voleva stare un po' più verso il tacco, voleva avere il mare, voleva tante cose che lì non avrebbe mai trovato. Quello che Feliciano aveva pensato ma non gli aveva detto, sul binario venti, quella mattina di quasi sette anni prima - quanto erano giovani allora! - era che a Falconara Marittima però avrebbe cercato tante cose che avrebbe trovato solo a Milano. Non avrebbe mai più trovato un fratello. Non nelle Marche. Ma lui non glielo aveva detto. L'aveva stretto forte a sé, come se l'avesse dovuto salutare da parte dei loro genitori o del nonno, di tutte quelle persone che sarebbero state lì al suo fianco se le cose fossero andate in modo diverso e il mondo fosse stato un po' meno crudele. Da quel momento in poi, Lovino era stato fatto di parole e punti, date e racconti distanti e appariva sporadicamente nella sua quotidianità che una volta infestava con una regolarità sconvolgente. Eppure lui ci pensava spesso. Come si faceva a non pensare all'ultima parte della tua famiglia, così lontana, così remota? Come faceva a non pensare al suo primo amico, al suo primo compagno di giochi, alla prima cosa che aveva veramente amato e che aveva veramente desiderato di proteggere, non appena aveva capito di esserne capace? Ora era ancora più presente nei suoi pensieri. Il passaggio di Pippo aveva risvegliato una preoccupazione latente, dormiente, che ora pulsava nel suo petto nel sapere suo fratello in una di quelle sfortunate città che gli alleati avevano reso loro basi. E probabilmente da lì veniva Pippo, magari anche suo fratello lo aveva visto sorvolare le abitazioni, minacciare silenziosamente chiunque lo scorgesse. Era stato quel pensiero a renderlo tanto magnetico. Si dice sempre che le persone lontane, nonostante la distanza, siano unite dallo stesso cielo. Feli non era d'accordo: il cielo di una Milano coperta di nebbia, non è lo stesso del cielo di Foggia Marittima; il cielo di Foggia era colmo di terrore e aspettative, cambiamenti, sconosciuti e sorprese. Il cielo di Foggia era infestato dalla RAF e dalle US Air Force. Il cielo di Milano era lo stesso di sempre: nero, scuro, magari nuvoloso, quel cielo in cui le stelle sono costrette a gareggiare coi lampioni. Feli sapeva che non era la stessa cosa. Quindi, nonostante la possibilità fosse minima, nonostante sapesse che forse Lovino non lo aveva mai visto Pippo, sentiva che il suo unico collegamento con suo fratello era quel Mosquito che falciava l'aria promettendo un processo sommario senza accusa che ti dichiarava immediatamente colpevole o che ti assolveva senza neanche guardarti in faccia. Sempre che quel caccia lì fosse degli americani. In fin dei conti, chi poteva saperlo?
   
 
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