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Autore: John Spangler    11/07/2016    1 recensioni
Dopo aver lasciato la piccola città di Cocoyashi, Nami Watanabe e sua madre si trasferiscono nella metropoli di Loguetown, una delle perle della California meridionale, per iniziare una nuova vita. Tra amori, drammi e problemi vari, le loro vicende si intrecceranno con quelle degli altri abitanti di Loguetown, mentre intanto il boss mafioso Crocodile conduce nell'ombra i suoi loschi affari, con la collaborazione del Joker. Come andrà a finire? Lo scoprirete solo leggendo questa storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Thousand Pieces'
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Interludio 3: L'ombra del coccodrillo

 

5 Settembre 1980

Da qualche parte nelle foreste della California

 

Il ragazzo dai capelli neri camminava silenziosamente tra gli alberi, in volto un'espressione determinata e un fucile di grosso calibro stretto tra le mani. Quell'arma era forse un po’ troppo per lui, che aveva imparato da poco a sparare, ma aveva insistito lo stesso perchè gliela regalassero.

 

Il nome del ragazzo era Jonas Petricelli, e quel giorno compiva diciotto anni. Suo padre aveva portato tutta la famiglia in vacanza da dei parenti, e mentre le donne erano rimaste in casa a preparare il pranzo, gli uomini si erano addentrati nella foresta per una battuta di caccia. E approfittando di un attimo di distrazione degli altri, Jonas si era separato da loro per andare in cerca di una preda tutta sua.

 

Un comportamento un po’ stupido per un cacciatore inesperto come lui, ma a Jonas non importava. Sapeva che in quei luoghi c'erano degli orsi, ed era deciso ad abbatterne uno con le sue sole forze. In quel modo avrebbe non solo festeggiato degnamente il suo compleanno, ma sarebbe anche riuscito a dimostrare una volta per tutte a suo padre quanto valeva davvero.

 

Vedete, Jonas era l'ultimo di sei fratelli. In qualunque altra famiglia sarebbe stato coccolato e trattato come il piccolo di casa, ma sfortunatamente era nato nella famiglia Petricelli, una famiglia mafiosa italo-americana come tante altre, e il cui patriarca, un burbero uomo d'affari di nome Bartolomeo, non aveva mai nascosto la sua predilezione per i figli maggiori. Il povero Jonas era sempre stato trattato come l'ultima ruota del carro, e non poteva neanche contare sull'affetto della madre, visto che la poveretta era morta per partorirlo (E forse era proprio questo il motivo per cui suo padre lo trattava in quel modo). I suoi fratelli maggiori seguivano l'esempio del padre. L'unico membro della famiglia che stava dalla sua parte e gli voleva davvero bene era sua sorella Viola, di due anni più grande di lui. Purtroppo, in quella famiglia le donne non contavano più di tanto, perciò erano praticamente loro due contro il resto del mondo.

 

Ciò nonostante, Jonas non si perdeva d'animo, e cercava sempre un modo per farsi bello agli occhi del padre, partecipando attivamente alle varie attività della famiglia, sia legali che illegali. Certo, non aveva mai avuto molta fortuna neanche da quel punto di vista, ma lui continuava a provare.

 

Quella battuta di caccia era l'occasione perfetta. Se fosse riuscito a tornare indietro con il cadavere di un feroce orso grizzly, suo padre lo avrebbe rivalutato e finalmente avrebbe cominciato a trattarlo come gli altri suoi figli.

 

Se solo riuscissi a trovare una di quelle fottute palle di pelo, pensò irritato il ragazzo guardandosi attorno. Era da mezz'ora che vagava tra gli alberi, e non aveva ancora trovato ciò che cercava. Per un attimo pensò di tornare indietro dagli altri, che quasi sicuramente si erano accorti della sua scomparsa, ma cancellò subito quel pensiero. Era venuto lì per uccidere un orso, e avrebbe ucciso un orso. Tornare a mani vuote era fuori discussione.

 

Superò un ennesimo gruppetto di alberi e finalmente avvistò il suo obiettivo. In una piccola radura, sdraiato a pancia in giù, c'era un enorme orso bruno che sonnecchiava placido. Jonas sorrise. La situazione stava volgendo a suo favore. Doveva solo avvicinarsi un po’, prendere bene la mira, e avrebbe avuto il suo bel trofeo.

 

Purtroppo, era talmente concentrato su questo pensiero che non si accorse di stare per calpestare un ramoscello. Appena vi poggiò sopra il piede, si udì nitidamente un piccolo schiocco. Normalmente non sarebbe stato niente di che, ma data la situazione ebbe un brutto effetto per il povero Jonas.

 

Perchè quel piccolo schiocco causò il risveglio dell'enorme orso, il quale aprì gli occhi e si accorse della presenza dell'umano. Percependo una minaccia, il plantigrado si drizzò sulle quattro zampe e ringhiò, iniziando ad avanzare verso Jonas.

 

- Merda!- Il ragazzo puntò il fucile contro l'orso e premette il grilletto, ma si sentì soltanto un click. Aveva fatto cilecca. Bestemmiò a denti stretti e iniziò a tremare. L'orso era sempre più vicino.

 

- E spara, fucile del cazzo!- L'arma continuava a non funzionare. L'animale era ormai arrivato ad un paio di metri da lui. Si sollevò sulle zampe posteriori, ergendosi in tutta la sua stazza, e ringhiò.

 

Jonas mirò al petto dell'orso, ma all'improvviso una possente zampata gli tolse il fucile dalle mani. La forza del colpo fu tale da farlo cadere a terra.

 

Atterrito, il ragazzo strinse i denti e provò a rialzarsi per scappare. Un'altra zampata lo colpì in pieno volto. Jonas urlò e maledisse la propria stupidità. Il suo campo visivo si riempì di rosso e i pantaloni gli si bagnarono di un liquido che non era sangue.

 

Poi, misericordiosamente, perse i sensi.

 

***

 

20 Aprile 1990

Loguetown, California, USA

Villa della famiglia Petricelli

 

Possono succedere tante cose, in dieci anni, anche le più impensabili.

 

Ad esempio, può capitare che un padre perda quattro dei suoi figli a causa di un regolamento di conti con un'organizzazione rivale. E che, a causa di tutto questo, sia costretto ad affidarsi sempre di più all'ultima ruota del carro.

 

In quel momento, la suddetta ultima ruota, cioè Jonas Petricelli, era in piedi accanto a un letto matrimoniale occupato da una sola persona, l'espressione sconvolta. Poco lontano da lui, sua sorella Viola singhiozzava appoggiata alla spalla del marito Kyros, mentre teneva una mano sul ventre gonfio per la gravidanza. Oltre a loro e alla persona sul letto, nella stanza non c'era nessun altro.

 

Jonas non sapeva cosa pensare. Aveva atteso a lungo questo momento, eppure, ora che era arrivato, non riusciva a gioirne neanche un po’.

 

Suo padre, l'uomo che tanto odiava, ma di cui, al tempo stesso, cercava disperatamente l'approvazione, stava morendo.

 

Non c'era da sorprendersi. Bartolomeo Petricelli era parecchio in là con gli anni, e non si era mai curato particolarmente della propria salute. Alcol, fumo, e rapporti non protetti con donne di dubbia reputazione, alla fine avevano presentato il conto. Certo, aveva tentato di curarsi, ma non era servito a nulla.

 

E ora, dopo mesi di lenta agonia, stava per andarsene.

 

L'anziano gemette e guardò suo figlio.- Hai capito, Jonas? Lascio tutto nelle tue mani.-

 

Il giovane uomo represse l'impulso di mettersi a piangere.- Sì, ho capito, papà. Ma...c'è anche Viola.-

 

Bartolomeo Petricelli emise un suono vagamente somigliante a una risatina.- Viola è una femmina...-

 

Jonas annuì. Anche in un momento del genere, il vecchio patriarca insisteva con la sua scarsa considerazione delle donne.

 

- Mi sei rimasto solo tu. Giuseppe, Carlo, Frank e Tony...non ci sono più. Tutto in mano tua.- Ci fu un colpo di tosse.- Jonas...lo so che i rapporti tra noi non sono mai stati buoni, ma...negli ultimi anni hai dimostrato di sapertela cavare. A parte quel piccolo incidente di dieci anni fa...sei stato un bravo figlio, dopo tutto.-

 

Jonas si incupì, ripensando a quanto era accaduto il giorno del suo diciottesimo compleanno. Aveva rischiato la vita solo per ottenere uno stupido trofeo da riportare a casa. Fortunatamente, suo padre e gli altri cacciatori erano arrivati prima che l'orso potesse ucciderlo, e lo avevano crivellato di colpi. Ora il corpo impagliato dell'animale faceva bella mostra di sè nell'ingresso della villa. A Jonas era andata diversamente: i medici erano riusciti a rimetterlo in sesto, ma avevano dovuto amputargli la mano sinistra, e sul volto gli era rimasta una brutta cicatrice. I suoi fratelli lo avevano preso in giro per un pò, ma avevano smesso quando lui aveva minacciato di squartarli con l'uncino con cui aveva rimpiazzato la mano mancante. Era stato uno dei momenti più brutti della sua vita, e preferiva ricordarlo il meno possibile.

 

Bartolomeo Petricelli tossì di nuovo e posò una mano sul braccio destro di suo figlio.- Mi raccomando, Jonas. Ora sei tu il capo della famiglia...-

 

Jonas singhiozzò.- V-va bene, papà.-

 

L'anziano sorrise e chiuse gli occhi. La mano che aveva posato sul braccio di Jonas scivolò lentamente verso il basso, arrivando a pendere immobile oltre il bordo del letto. Viola gridò e si precipitò ad abbracciare il padre ormai morto, piangendo a dirotto, mentre Kyros rimaneva immobile.

 

Jonas Petricelli cercava con tutte le sue forze di non mettersi a piangere a sua volta. Devo essere forte, pensò. Devo farlo per Viola, per la famiglia. Strinse la mano destra in un pugno. Ora sono io il capo. E farò in modo che le cose vadano meglio di prima. Sì, farò più e meglio di te, papà.

 

Vedrai, papà. Vedrai.

 

***

 

10 Dicembre 1994

Loguetown, California, USA

Ufficio di Jonas Petricelli

 

Se c'era una cosa che Jonas Petricelli detestava con tutto il cuore, erano i giornalisti, a qualunque categoria appartenessero. Per lui, erano soltanto degli scarafaggi, dei rompiscatole che ficcavano sempre il naso dove non dovevano. Tuttavia, in alcune circostanze doveva riconoscere che potevano risultare utili.

 

Era per questo che aveva acconsentito a farsi intervistare dalla giornalista freelance Juls Beckman. La donna lo aveva contattato qualche giorno prima, parlandogli di un servizio che voleva realizzare a proposito dei giovani imprenditori della regione. Sebbene la sua reazione iniziale fosse stata di fastidio, Jonas si era subito reso conto che quella era l'occasione perfetta per cominciare a costruirsi un'immagine pubblica, creando così le basi per quando sarebbe entrato in politica. Perciò, lui e la giornalista avevano fissato un appuntamento per quel giorno nel suo ufficio di Loguetown.

 

Ora, mentre rispondeva a delle domande sulla sua attività nel settore dell'edilizia, l'italo-americano doveva ammettere che era meglio di quanto si fosse aspettato. Non solo la Beckman era cortese e faceva domande intelligenti, ma era anche molto bella (All'inizio lui si era immaginato una racchia di mezza età, magari anche sovrappeso e con un'ombra di baffi), con dei lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon e dei meravigliosi occhi verdi. Non che avesse intenzione di provarci. Era solo un particolare che contribuiva a migliorare l'atmosfera.

 

-...come le avevo accennato prima, l'attività fu avviata da mio nonno nel 1927. Inizialmente si occupava solo di lavori di ristrutturazione, ma col tempo ha iniziato ad espandersi. E' sopravvissuta per miracolo alla Grande Depressione, e ha raggiunto le sue dimensioni attuali verso la metà degli anni 50, grazie all'opera del mio defunto padre. Quando poi è toccato a me prendere le redini dell'azienda, ho cercato di farlo nel rispetto della tradizione ma con un occhio verso il futuro, e soprattutto avendo ben a mente di dover mettere a frutto tutte le mie capacità.-

 

La giornalista annuì.- Infatti, direi proprio che ha avuto degli ottimi risultati. La Petricelli SRL oggi è una delle più ricche e solide aziende della California, non solo nel campo dell'edilizia, ma in generale. E mi pare di capire che quello non sia l'unico ambito in cui lei opera...-

 

- Esatto. Di recente ho anche acquistato un paio di cantieri navali e un centro benessere. Ho intenzione di espandere le attività della Petricelli SRL nel maggior numero di settori possibile. Mio padre e mio nonno hanno messo le fondamenta, ma io porterò questa azienda alla grandezza! E se ne avrò la possibilità, metterò piede anche nel settore dell'elettronica.-

 

Juls Beckman sorrise. Lo aveva fatto spesso da quando era arrivata, e a Petricelli quel sorriso piaceva molto.- L'ambizione non le manca di certo, signor Petricelli.-

 

- Senza ambizione non si va da nessuna parte, mia cara signora. E' un pò come per gli squali. Devono muoversi in continuazione, altrimenti morirebbero. E io mi considero uno squalo. Anche se devo dire che il mio animale preferito è sempre stato il coccodrillo.-

 

La donna annuì, rivolgendo una breve occhiata al fermacarte che sostava su una pila di documenti.- Questo spiega il suo insolito fermacarte.-

 

- Un regalo di mia sorella per il mio trentesimo compleanno. E' un oggetto a cui sono molto affezionato.-

 

- Sua sorella lavora nell'azienda con lei?-

 

- Purtroppo no. Lei e suo marito sono morti l'anno scorso in un incidente stradale. Le volevo bene, e la sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto dentro di me. Un vuoto che cerco di riempire occupandomi di suo figlio.-

 

La giornalista annotò qualcosa sul blocchetto per appunti che aveva in mano e si schiarì la voce.- Molto bene, signor Petricelli. Credo di aver raccolto abbastanza informazioni. C'è però un'ultima domanda che vorrei farle, se non le spiace.-

 

- Prego, signora. Chieda pure.-

 

- Cosa ne pensa delle voci riguardanti il boss mafioso noto come Sir Crocodile?-

 

Quella era una domanda che non si aspettava, e lo mise parecchio a disagio. Tuttavia, mantenne la calma.- E questo che cosa c'entra?-

 

- E' solo una domanda che ho rivolto anche alle altre persone che ho intervistato. Sa, sto lavorando a un'inchiesta sulla criminalità organizzata assieme a un mio collega di New York. In particolare, ci stiamo occupando di questo Sir Crocodile, un boss di cui si sa pochissimo.-

 

- E ha pensato di chiedere a me. Come mai, mi chiedo? Forse per via del mio cognome? E' mai possibile che noi italo-americani dobbiamo essere sempre associati alla criminalità organizzata?- Il fastidio nella sua voce era evidente, e la donna se ne accorse.

 

- Non intendevo offenderla, signor Petricelli, glielo assicuro. Sto solo facendo il mio mestiere.-

 

Sembrava sincera.- Mmh...beh, se proprio vuole sapere la mia opinione, credo che questo Crocodile non esista, e che sia solo un nome inventato da qualcuno per coprire le sue attività. E...-

 

Qualunque cosa avesse avuto intenzione di dire, Juls non lo scoprì mai, perchè in quel momento la porta dell'ufficio si spalancò e una specie di palla di cannone multicolore si precipitò all'interno.

 

- Zio Jonas! Zio Jonas! Guarda che bella nave che ho costruito coi Lego!-

 

Era un bambino vestito con una maglietta a righe rosse e blu e dei pantaloncini che gli lasciavano le ginocchia scoperte. In mano aveva un piccolo veliero costruito con dei mattoncini dai colori più disparati.

 

Petricelli sollevò un sopracciglio. Non sembrava molto felice di quell'improvviso arrivo.- Ragazzo, quante volte ti avevo detto di non entrare nel mio ufficio quando sto lavorando?-

 

- Ma volevo solo farti vedere la mia nave. Ti piace?-

 

- E' molto bella, ma ora dovresti andartene. Stai dando fastidio alla signora.-

 

- Oh, non si preoccupi, signor Petricelli. Non mi dà nessun fastidio, anzi...io adoro i bambini.- La donna si alzò e si avvicinò al bambino, per poi abbassarsi fino ad arrivare alla sua altezza e accarezzargli i capelli.- Ciao, piccolo. Io mi chiamo Juls. E tu?-

 

- Bartolomeo.-

 

- Quanti anni hai?-

 

- Quattro. Perchè mi fai queste domande, signora?-

 

- Sono curiosa. E poi fare domande è il mio mestiere. Sono una giornalista. Sai cosa vuol dire?-

 

- Sì, me lo ha spiegato zio Jonas. Lui dice che i giornalisti sono tutti dei...-

 

- BastacosìBartolomeovaifuoriagiocare!!!- disse Petricelli tutto d'un fiato, alzandosi e iniziando a spingere Bartolomeo verso la porta. Il bambino guardò suo zio, gli mostrò la lingua e poi uscì dalla stanza correndo.

 

Jonas tornò alla scrivania con un sorriso leggermente imbarazzato.- Ah, i bambini...che bella cosa che sono, vero?-

 

- Vero.- Juls si rimise in piedi e guardò l'orologio che aveva al polso.- Adesso devo proprio andare, signor Petricelli. La ringrazio per la disponibilità, e mi scuso se in qualche modo l'ho offesa con la domanda di prima.- Sistemò il blocchetto e la penna nella borsa.

 

- Non si preoccupi, non mi sono offeso. In fondo, voi giornalisti dovete fare il vostro mestiere.- I due si strinsero la mano e si salutarono. Petricelli guardò la donna uscire dall'ufficio e si accigliò.

 

Questa qui dovrò tenerla d'occhio, decise, accarezzandosi l'uncino.

 

***

 

Stesso luogo

Qualche settimana dopo

 

In piedi accanto alla scrivania, Jonas Petricelli parlava al telefono.

 

-...sì, sono d'accordo, Joker. La Beckman sta diventando un problema serio. Dovremo occuparcene per forza...no, tranquillo, ci penserò io. So già come fare, anche per quanto riguarda quell'altro giornalista...va bene, ti richiamo poi.- Mise giù la cornetta, per poi comporre un altro numero.

 

- Signor Bornes? Sono io. C'è una faccenda della massima importanza di cui vorrei discutere con lei...-

 

***

 

Stesso luogo

15 Gennaio 1995

 

-...sta facendo rivoltare i nostri Padri Fondatori nella tomba!-

 

Il televisore fu spento, e nell'aria della stanza echeggiò il suono di una risata.

 

- Meglio di quanto mi aspettassi, signor Bornes. I miei complimenti! Ottima recitazione.- Jonas Petricelli buttò la testa all'indietro e rise di gusto, battendo il pugno sulla scrivania. Era al settimo cielo. Juls Beckman era stata eliminata, e di lì a poco i suoi uomini si sarebbero occupati del suo collega. La cosa migliore era che tutti avrebbero creduto alla menzogna che aveva architettato. Non avrebbe potuto essere più contento.

 

Seduto davanti a lui, Das Bornes si limitò ad annuire.- Ne sono felice, capo.-

 

Petricelli si ricompose.- C'è una cosa però che non capisco. Dove ha preso, quel nome, quel...Hody Jones, giusto?-

 

- Mi sono ispirato a Davy Jones. Sa, lo spirito del mare...-

 

- Ho capito. E i suoi uomini...-

 

- La maggior parte di loro crede davvero a quelle stronzate. Non sospettano nulla, però, sono troppo stupidi. Solo altri due sanno la verità, ma mi fido ciecamente di loro.- Sorrise e incrociò le braccia.- Ma non si preoccupi. Se malauguratamente dovesse venirgli voglia di cantare, me ne occuperò personalmente.-

 

Petricelli annuì.- Molto bene, signor Bornes. E se per caso dovessi ancora aver bisogno dei suoi servigi...-

 

- Non avrebbe che da chiedere, capo. La Baroque Works sarà sempre a sua disposizione. In cambio di un lauto compenso, ovviamente.-

 

- Ovviamente. Un buon lavoro va sempre ricompensato.- L'americano si chinò un attimo e prese da terra una valigetta nera che appoggiò sulla scrivania. La aprì e ne mostrò il contenuto a Bornes: era piena di banconote da cento dollari.

 

- Sono centomila. Bastano?-

 

- Certo.- Bornes prese la valigetta e la richiuse.- Ora se permette, me ne andrei. Ho delle faccende da sbrigare.-

 

- Va bene, signor Bornes. Non la trattengo. Buona giornata.- Petricelli strinse la mano dell'altro e aspettò che se ne andasse. Rimasto solo, si girò verso il ritratto di suo padre che aveva appeso a una parete dell'ufficio.

 

- Che te ne pare, papà? Ho eliminato una minaccia alle attività della famiglia e mi sono procurato degli scagnozzi efficienti. Niente male, eh?- La mano destra prese a tremargli e la sua espressione si rabbuiò.- Scommetto che non te lo saresti mai aspettato da me, eh? Sicuramente hai pensato che non ce l'avrei fatta, che il nostro impero sarebbe crollato dopo pochi anni...E INVECE NO, VECCHIO BASTARDO!- Afferrò il fermacarte a forma di coccodrillo che aveva sulla scrivania e lo scagliò contro il ritratto. L'oggetto colpì il bersaglio e cadde a terra, rimanendo miracolosamente intatto.

 

Jonas Petricelli chiuse gli occhi e prese un paio di respiri profondi, per poi scoppiare a ridere.

 

***

 

30 Novembre 2011

Madrid, Spagna

Una villa in periferia

 

Erano trascorsi sedici anni dal giorno dell'incidente aereo in cui Juls Beckman e tutte quelle altre persone innocenti avevano trovato la morte. La vita di Jonas Petricelli era cambiata, per certi aspetti in meglio, per altri...non proprio.

 

La Petricelli SRL aveva prosperato sempre di più, superando tutte le sue aspettative. Ormai, le sue entrate derivavano principalmente da attività legali. Lo si poteva quasi definire un rispettabile uomo d'affari.

 

Purtroppo, le sue ambizioni politiche avevano subito una brusca battuta d'arresto. Qualche settimana prima, alle elezioni per scegliere il nuovo Governatore della California, aveva ottenuto una percentuale di voti così bassa da essere imbarazzante. Avrebbe dovuto aspettarselo, visto che il suo avversario diretto era il celebre Edward Newgate, e una parte di lui aveva anche pensato di non candidarsi, ma la sua ambizione aveva avuto la meglio.

 

Tuttavia, come in altre occasioni, non si era lasciato abbattere dalla sconfitta, decidendo piuttosto di imparare da essa. La prossima volta avrebbe preparato meglio il terreno e mirato un po’ più in basso. Magari cercando di diventare sindaco di Loguetown.

 

Ma avrebbe avuto modo di pensare a tutto questo più in là. Attualmente, la sua attenzione era concentrata su un unico obiettivo: trattenersi dal massacrare la persona con cui stava parlando. Anzi, che stava parlando ininterrottamente da quasi mezz'ora.

 

-...così, alla fine do a Chopper un'altra dose, ed è lì che mi rendo conto dell'errore nella formula. Dopo un pò quel moccioso inizia a contorcersi e a gridare per il dolore. Me lo ricordo ancora. Io ero lì che prendevo appunti, e lui che non faceva altro che strillare "Papà, papà, aiutami!". Un vero strazio. Per fortuna alla fine è morto. Dopodichè, si è trattato solo di fare qualche modifica al prodotto. Ora è praticamente perfetto, molto meglio di quanto aveva teorizzato all'inizio il mio defunto collega, il dottor Caesar.-

 

Il giorno prima era arrivato in Spagna per discutere di affari con Doflamingo Donquijote, miliardario e suo socio. Avrebbe preferito evitare, visto che mal sopportava lo spagnolo e tutte le sue eccentricità (Ad esempio, la giacca rosa con penne di fenicottero che indossava in ogni occasione, oppure il soprannome che si era scelto, Joker. Per non parlare delle sue disgustose abitudini sessuali...), ma Doflamingo era un elemento importante sia per la sua attività criminale che per i suoi piani futuri. Inoltre, la sua famiglia e i Donquijote facevano affari da un sacco di tempo, fin da quando il suo bisnonno Carmine aveva lasciato l'Italia alla fine dell'Ottocento.

 

Tra le altre cose, Doflamingo gli aveva anche presentato uno dei suoi nuovi collaboratori, un sedicente scienziato inglese di nome Charles Harry Hogback. Lo aveva odiato fin dal primo momento. Le sue mani sempre sudaticce, la vocina stridula, il modo di ridere e la corporatura ingobbita...era la persona più viscida che avesse mai incontrato, e il racconto che aveva appena concluso lo confermava. Certo, nemmeno lui era uno stinco di santo, ma non avrebbe mai trattato in quel modo un suo consanguineo, neanche Bartolomeo. La famiglia era sacra, che diamine!

 

Purtroppo, così come Doflamingo, anche Hogback era importante per i suoi piani. O meglio, lo era la sua invenzione.

 

L'americano si accarezzò il mento e si schiarì la voce.- E che nome avrebbe dato a questa...questa nuova droga?-

 

- Agalmatolite. Non mi chieda da dove l'ho preso, però, perchè non lo so nemmeno io.-

 

- Hmm...ha già qualche campione da darmi, o la deve produrre?-

 

- Purtroppo ho impiegato tutti i campioni a mia disposizione per gli esperimenti. Ma non si preoccupi, ci metterò pochissimo a produrne altra. E gliene invierò periodicamente tramite il Joker.- rispose il britannico.

 

- Non potrebbe darmi direttamente la formula, in modo che la faccia produrre dai miei uomini?-

 

- Mi dispiace, ma non è possibile. La formula è tutta qui nella mia testa.- Si picchiettò il cranio.- Questioni di sicurezza. Spero che capirà.-

 

- Non si preoccupi, capisco benissimo.- Davanti agli occhi gli passarono alcune immagini mentali in cui squartava quell'odioso britannico col suo uncino. Sul volto gli si dipinse lentamente un sorriso oscuro.- Molto bene, dottore. Affare fatto. Sono certo che questa collaborazione sarà proficua per entrambi.- Offrì la mano destra al suo interlocutore.

 

Il dottor Hogback sorrise a sua volta e strinse la mano dell'altro uomo.- Lo credo anche io, signor Petricelli...ops, chiedo scusa. Volevo dire, Sir Crocodile.-

 

 

NOTA DELL'AUTORE: Mi rendo conto solo ora di non essere mai stato molto gentile con Chopper, nei vari AU che ho scritto. Ne "L'alba dei pirati viventi" veniva divorato da Usop e Nami trasformati in zombi, in "Legame fraterno" andava in berserk e distruggeva Drum, nella terza parte di "Three pieces" veniva ucciso assieme al resto della ciurma da Deadpool, in "For want of a fist" (storia che ho poi cancellato perchè faceva veramente cagare) veniva ucciso dai nani di Tontatta trasformati in giocattoli da Sugar, qui è vittima degli esperimenti di Hogback...wow. Verrebbe da pensare che ce l'abbia a morte col piccoletto. Ma posso assicurarvi che non è così. Quando uccido o maltratto un personaggio, è solo per esigenze di trama (anche se devo ammettere che mi diverto un mondo a torturare Sanji).

 

Comunque, tornando al capitolo di oggi, che ve ne pare di questa versione di Crocodile? Vi piace? Preferite l'originale? Fatemelo sapere con una bella recensione.

  
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