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Autore: Captain Willard    11/07/2016    0 recensioni
Piccola OS scritta per il Drabble Event di questo weekend del gruppo FB "We are out for prompt".
Jason Hawk è il capitano d'una nave pirata, stanco del sangue che gli bagna l'animo. Un nuovo vento pare spirare nella sua vita quando incontra il giovane tritone Gareth.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico, Sovrannaturale
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drown me in Redemption

 

 

 

 

È stanco, il capitano Jason.

Hanno appena attraccato la Bloody Siren nella baia di quel ritaglio d'isola che chiamano “loro”, dopo una notte al largo, a inseguire silenziosi e implacabili un ignaro mercantile. Il bottino si è rivelato ricco, hanno trovato persino scorte abbondanti di cibo, munizioni e soprattutto rum; non hanno fatto prigionieri.

 

È stanco tuttavia, capitan Jason, e sa che non è una stanchezza su cui dormire sopra, e sa che stavolta non gli basterà bere grog bollente fino a crollare riverso sull'amaca – rischiando d'impiccarsi con la maglia a rete, peraltro – perché come fai a riempire una stanchezza quando neanche sai che significhi, quel vuoto?

Forse è il sangue, pensa, e si guarda le mani mentre cammina tra gli alberi, allontanandosi dal minuscolo pugno di capanne che la ciurma ha eretto negli anni.

Forse è ora di ritirarsi dalle scene, aprire una bella locanda a Tortuga e farsi la pensione lì; accarezza l'idea mentre sbuca infine sulla spiaggia a ovest e si avvicina all'acqua cristallina. Si inginocchia sulla sabbia, immerge le mani e le strofina con forza, lo sguardo perso sugli aloni di sangue che si sciolgono nel mar dei Caraibi. Scuote la testa impercettibilmente.

Quando è diventato così?

 

Una volta era diverso: agguerrito, audace, persino incosciente; ha sempre vissuto sull'orlo, sempre spingendosi oltre, combattendo con le unghie e con i denti, desiderando fare del mondo il proprio giocattolo, godendo della scia di sangue e violenza che la Bloody Siren si lasciava dietro a ogni abbordaggio, a ogni conquista.

Ha sempre pensato di dover mordere la vita, succhiarne il midollo con arroganza, sentendosi in diritto di scegliere della vita degli altri, togliendola e dispensandola ai prigionieri con volubilità infantile. Ha mandato a morte uomini d'ogni leva, nobili e straccioni, capitani e mozzi, col giro di chiglia o con l'impiccagione, facendoli ballare appesi al pennone prima di gettarne i cadaveri in pasto ai pescecani.

Gli piaceva uccidere: l'illusione di potere che ti dà uno schizzo di sangue caldo in faccia, mentre togli la vita a qualcuno, non è paragonabile a nessun oppiaceo, a nessun alcolico. Negli anni della giovinezza era diventata la sua droga, mentre saliva di grado fino a fomentare un ammutinamento, destituire il vecchio capitano della Bloody Siren e lasciarlo a morire su uno sputo d'isola in mezzo al nulla. È per questo che con la ciurma si finge lo stesso di sempre, il solito capitan Jason, sempre pronto a scattare come una bestia affamata, sempre pronto a dare la caccia alla prossima preda. Mai stanco.

 

Però lo è... e prima o poi se ne accorgeranno. Soprattutto Connor, il suo secondo ufficiale. Quello è come un falco, vede tutto, sembra leggerti dentro come se fossi uno scheletro nudo ai suoi occhi; quando morde una delle sue amate mele pare sempre che ti stia mordendo un po' l'anima, e che ad ogni boccone croccante possa scavarti dentro un po' più a fondo.

Jason è consapevole che Connor lo detesti. Non è un fatto personale: il suo secondo ufficiale è la persona più ambiziosa che esista al mondo e sa che Jason non gli lascerà mai il posto di capitano, neanche con una spada puntata alla gola. Dovrà ammazzarlo, e al pensiero Jason quasi prova un bieco, strisciante sollievo. Perché diciamocelo, essere morto è meglio che essere disprezzato dalla ciurma. Forse dovrebbe andarsene.

 

Uno sciabordio poco lontano cancella quei pensieri come un'orma sulla riva; il capitano si alza e si avvicina cauto alla breve linea di scogli da cui proviene il suono, incuriosito. Si abbassa e striscia fino alle rocce, bagnandosi nelle pozze e spaventando i granchi, ma si ferma all'improvviso quando i suoi occhi grigi si posano su un'eterea creatura immersa per metà nell'acqua.

A prima vista gli pare un giovane uomo, e si chiede chi diavolo sia e come sia finito lì, ma poi il suo sguardo indugia sul suo corpo, e con un tuffo al cuore vede che dai fianchi in giù, quell'essere non è umano ma pesce, le gambe unite a formare una lucente coda sinuosa e magnifica, di un verde smeraldo intenso che pure non è nulla, a paragone della sfumatura degli occhi della creatura: v'è racchiuso l'oceano in quelle iridi, le cupe acque del Baltico e i bagliori delle aurore boreali, frammenti viola e verdi che incatenano Jason, lo chiamano e lui non può fare a meno di allungare una mano, vuole toccare quell'incarnato niveo, il naso delicato, le labbra piene e rosee come un fiore di velluto, la mascella dolce appena scurita da una barbetta rada, e quei riccioli corvini che racchiudono le profondità della notte, inanellate a incorniciare il viso più bello su cui abbia mai posato gli occhi stanchi...

Reso incauto dalla brama, si sposta più vicino senza notare un granchio: lo calpesta e a quel suono la creatura si volta, trasalisce.

«Aspetta!» esclama il capitano, con una disperazione che non gli appartiene. «Non voglio farti del male!»

Il giovane pare esitare, ma è un istante: svanisce tra i flutti, un vago bagliore smeraldo che fugge sotto la superficie.

Jason corre in acqua, stringe la schiuma e prova a richiamare la creatura, inutilmente. Ha sempre pensato che le sirene fossero una leggenda, il delirio degli ubriaconi, ma ora...

Ora il cuore gli preme come se volesse uscirgli dal petto, come se non appartenesse più a lui ma al tritone. Si passa le mani sul viso, torna a riva, sconvolto si gira verso il mare, non riesce a staccargli gli occhi di dosso. C'è qualcosa di magico in quelle creature... qualcosa che deve avere, a qualsiasi costo.

Lascia un dono sulla sabbia, il ciondolo che ha sempre portato al collo, una pietra di luna sagomata a goccia. Magari chiedere il favore del mare potrà ridargli il cuore... e il tritone.

 

 

***

 

 

Non ha occasione di tornare alla spiaggia fino a un mese dopo. Nel cuore della notte lascia la ciurma a festeggiare, divertirsi con il rum e delle donne, pellegrine asiatiche catturate sull'ultimo bastimento. Il richiamo della carne che l'ha sempre vinto sembra aver perso il proprio incanto su di lui, mentre cammina – corre – fino alla spiaggia, i polmoni che bruciano e un groppo alla gola che gli taglia il respiro.

 

Ovviamente non c'è nessuno. Non che se l'aspettasse davvero, è stata una follia e-... non riesce nemmeno a pensare, lo sconforto gli cala sulle spalle come un rapace, lo mette in ginocchio. Chiude gli occhi e si china a terra, in preghiera all'unica dea in cui creda.

Ma Calipso è generosa, e gli reca una domanda appena sussurrata, una voce dolce e tremolante: «Sei tu?»

Jason alza la testa di scatto, il tritone arretra spaventato e si immerge fino al naso, ma resta lì, a pochi metri da lui. Il capitano si raddrizza sui talloni e si gratta pensoso la barba, calma il respiro. «Sì, sono io» mormora, e quasi gli viene da ridere perché non ha senso: sì, sono io, sono un assassino e un pazzo che ti ha voluto fin dal primo momento, vorrei catturarti e venderti a peso d'oro ma vorrei anche restare qui davanti, ad adorarti perché la Luna è un granello di sabbia in confronto al tuo splendore.

Ma non dice niente di tutto questo, ripete solo «sono io» e si avvicina un poco, appoggiandosi sulle mani fino a lambire l'acqua. Il tritone lo imita, scivola nell'acqua bassa finché il busto non emerge, e il capitano non può fare a meno di sorridere quando vede la pietra di luna luccicargli al collo. «L'hai trovato, allora.»

Il giovane sussulta appena, sgrana gli occhi confuso e si porta una mano al ciondolo. «Oh... l'hai lasciato tu?»

Lui annuisce, alza le spalle. «È un dono. Come ti chiami?»

«Non mi è concesso dirti il mio vero nome» ribatte gelido il tritone, irrigidendosi. Davanti allo sguardo confuso dell'uomo, tuttavia, il suo algore si incrina. «Ma puoi chiamarmi Gareth, se vuoi.»

«Io sono Jason Hawk.»

«La tua nave lascia una scia di sangue. Le tue mani ne hanno impresso l'odore.»

Il capitano distoglie lo sguardo, sente la vergogna scaldargli le gote fin quasi a copiare il rosso dei suoi capelli. Che diamine gli prende?

«A volte per sopravvivere si deve fare del male. Io ho dovuto diventare un pirata, non avevo scelta.»

«C'è sempre una scelta» replica Gareth, scuotendo appena la testa, i riccioli bagnati danzano lucenti e Jason deve farsi violenza per non afferrarli a piene mani; trae invece un profondo respiro e rivolge un sorriso al tritone. «Non pensavo di rivederti.»

«Non dovrei essere qui, il popolo del mare non dovrebbe toccare quello della terra.»

«E allora perché sei tornato?»

Ma Gareth non risponde e si fa più vicino, le loro mani si sfiorano e il capitano si sente nudo davanti allo sguardo che la creatura gli rivolge, quegli occhi che sembrano leggergli dentro come fosse di cristallo. Ha paura che scappi di nuovo, disgustato dalle atrocità che si porta dietro.

«Parlami del tuo mondo» sussurra Gareth, non riuscendo a nascondere un sorriso trepidante. Jason reprime un sospiro di sollievo, e inizia a raccontare.

 

 

***

 

 

I mesi passano, e Jason trova qualcos'altro a cui anelare.

L'impazienza lo rende incauto, violento; durante uno scontro perde cinque uomini e l'albero di trinchetto, tornano all'isola con la coda tra le gambe ed è tutta colpa sua, una manovra sbagliata, ma tutte le sue preoccupazioni svaniscono nella notte.

Gareth lo aspetta sempre, ogni sera, anche se passano settimane intere tra ogni incontro, e Jason non sa a cosa sia dovuta tanta devozione: ha raccontato tutto, messo ogni pezzo della sua vita davanti al figlio del mare, ogni debolezza, ogni avventura, ogni disperazione, e ora le parole iniziano a mancargli ma il tritone è lì, eccolo. Lo attende come ogni notte, mai stanco delle lunghe attese.

Gareth sorride e si avvicina alla riva, ma non si ferma: si trascina fuori dell'acqua, le squame della coda sembrano sbiadire, scivolano via come lucenti schegge di smeraldo, lasciano apparire delle gambe, delle gambe umane.

«Jason...» geme il tritone, provando ad alzarsi in piedi; perde l'equilibrio ma il capitano è lesto a prenderlo: si siede a terra e con cautela si porta in grembo il giovane, gli avvolge la propria giacca intorno alle spalle nude.

«Gareth» continua a ripetere sconvolto, non riesce a staccare lo sguardo da quelle gambe pallide e bellissime, persino più armoniose della polena della Bloody Siren. A nessun uomo dovrebbe essere concessa una tale visione, v'è del divino e il capitano pensa che potrebbe inginocchiarsi e pregare Gareth, farne il proprio idolo, dargli oro e gioielli, dargli il sangue.

«Per Calipso, che cosa hai fatto?»

«Non preoccuparti» ansima il tritone, scosso ma sorridente. «Sto bene, non temere, in acqua le squame ritornano ma non sono abituato alle gambe, non riesco a camminarci ancora.»

«Ma perché...?»

«Non lo so, io volevo solo... stare con te, ecco. Stare vicino a te.»

Il capitano scuote la testa, lo stringe a sé. «Non ti capisco.»

«Jason... tu mi hai parlato di tante cose» mormora il giovane, il suo respiro caldo gli solletica il collo e gli scalda le guance. «Ma non mi hai mai parlato dell'amore.»

 

L'uomo trattiene il respiro per un momento, irrigidendosi. China la testa a incrociare lo sguardo di Gareth, colmo di trepidazione. «Che cosa vuoi sapere?» gli chiede con voce roca, fingendo noncuranza mentre gli scosta le ciocche bagnate dal viso, ma le sue dita restano sulla pelle, a sfiorare la gola. Cerca di ignorare il modo in cui Gareth si morde il labbro inferiore e prova a concentrarsi sul battito della carotide contro la pelle, concentrarsi su quel suono regolare e sincronizzarvi il proprio respiro.

 

Ma non è regolare. Si fa sempre più veloce.

Jason non è uno stupido, e per quanto non riesca a credere a quel che sta succedendo, non può negarsi la consapevolezza di Gareth, di come gli cinga il collo con le braccia, di come gli si prema contro il petto, tremante e inquieto davanti all'emozione che li lega a filo doppio.

«Parlami dei baci» dice il tritone, la sua voce è una supplica e il capitano sorride. Non servono più parole.

 

Ha dato migliaia di baci nella vita, tanti da perdere il conto e dimenticare i volti, tanti da dimenticare la delicatezza e la gentilezza, ma Gareth non lo respinge quando gli insinua la lingua in bocca e lo prende per i capelli, a tenerlo fermo contro i baci violenti che gli preme sulle labbra, mordendogliele a sangue, succhiando quel'ambrosia scarlatta come un assetato beve all'oasi tra le sabbie; il tritone geme nella sua bocca quando Jason lo spoglia della giacca e gli afferra i fianchi, affonda le unghie nella carne pallida marchiandola di mezzelune, scende con la bocca sul suo collo, costella di morsi le spalle e i capezzoli.

Lo getta nella sabbia e gli apre le gambe con foga animale, ma Gareth è così docile, il dolore e il piacere si confondono nei suoi ansiti e Jason non riesce a fermarsi – non vuole farlo – non riesce ad aspettare ancora e lo prende così, aiutandosi solo con la saliva e la forza. E nonostante tutto, nonostante il sangue che gli cola tra le cosce e i morsi brucianti che gli segnano il corpo, il tritone ancora cerca la sua bocca con la propria, gli chiede di più tra i gemiti finché l'orgasmo non gli taglia la voce, inarca la schiena quasi a spezzarsela e mugola il suo nome ad ogni spinta che Jason gli affonda dentro impietoso, lo esala in frammenti quando il capitano lo colma del proprio piacere, le cosce già segnate di lividi sotto la stretta delle sue mani avide, lo rantola come i marinai rantolano il nome di Calipso prima d'annegare, ma loro sono già annegati, affondati nell'abisso più cupo e intossicante, e si abbandonano al sonno senza più pensieri, senza più paure.

 

 

***

 

 

Connor sorride, lo sguardo perso sul grigio turgore dell'orizzonte. «Lo senti? Sta arrivando una tempesta.» Si gira verso di lui, gli aggiusta beffardo il bavero della giacca, controlla la presa delle corde intorno alle braccia. «Sicuro di non volerci ripensare, capitano?»

Jason gli scocca un'occhiata gelida, la schiena dritta, la testa alta. «Non pagherò il prezzo che vuoi.»

Il secondo ufficiale ridacchia, battendogli una mano sulla spalla. «Certo che quel mezzo pesce deve averti proprio fottuto il cervello, se sei disposto a dare la vita per la sua.»

 

Il capitano sa di essere stato un ingenuo. Sparire tutte quelle notti, tornare così spesso all'isola... solo uno sciocco non se ne sarebbe accorto, e lui non ha certo scelto una ciurma di stupidi. Quasi non si era stupito quando una notte i suoi stessi uomini l'avevano assalito, sapendo che la bellezza di ciò che condivideva con Gareth non sarebbe durata; ma aveva lottato lo stesso, difendendo il tritone come una belva, gridandogli di scappare, di salvarsi.

Nemmeno davanti al ricatto di Connor ha esitato: dopo una vita di infelicità, non venderà l'uomo che ama.

 

«Anche un pirata ha il suo onore» sibila l'ormai deposto capitano, senza degnare di uno sguardo l'asse che lo attende lì accanto..

«L'onore di un pirata dovrebbe essere la propria nave, non una puttanella squamata!» urla Connor, sbattendo il pugno contro il parapetto. Jason emette una risata secca, sprezzante.

«Non sarai un capitano migliore di me.»

 

Stavolta il pugno arriva a lui. Cade riverso a terra e dal semicerchio della ciurma intorno a loro si stacca uno dei marinai, fa per avvicinarsi ma Jason gli urla contro. «Non osare toccarmi!»

A fatica, le mani legate dietro la schiena, riesce a sollevarsi, puntare le ginocchia e tornare in piedi, fiero nonostante le gambe malferme e il corpo dolente dopo giorni di percosse, una questione di cui si è occupato personalmente Connor.

«Sempre così orgoglioso» sospira quest'ultimo, scrutando l'orizzonte. «Ma l'orgoglio non paga. Il tritone sì, invece. Ci avremmo guadagnato tutti, te compreso.»

Jason non parla, ma segue il suo sguardo. Il secondo ufficiale sogghigna. «Non verrà a vederti morire. Le creature del mare non amano nessuno.»

«Lui è diverso.»

 

Stranamente, a questo Connor non risponde. Fa un cenno ai marinai, sistemano l'asse sul barcarizzo e la legano. Una morte sobria, quanto resta del rispetto che una volta provavano per Jason. Il capitano sale sulla trave che cigola sotto il suo peso, muove lentamente i suoi ultimi passi, guarda davanti a sé. Gli pare di udire un lamento lontano, una voce familiare che lo chiama triste. Quasi non sente lo sparo che Connor gli rivolge a tradimento, alle spalle.

Cade giù, nella bocca del mare.

Il blu profondo beve il sangue, allevia la pena del capitano. Gli sembra di intravedere un bagliore smeraldino, mentre chiude gli occhi e si abbandona all'abbraccio dell'acqua. Sorride, sentendo le forze lasciarlo. Può morire senza rimpianti.

 

 

***

 

 

Calipso è sfuggente e capricciosa, e nelle mani regge dolcezza e furia al contempo, cangiante come le acque su cui esercita il proprio dominio.

E pure Calipso è una madre, e giunge ai suoi figli quando le loro lacrime cadono amare tra le correnti.

 

Colui che la invoca ha il cuore giovane e stretto di dolore, siede in acque basse e stringe tra le braccia un corpo.

La dea appare nelle sue fattezze d'acque limpide e occhi di madreperla; posa una mano sui capelli del tritone, gli sorride benevola. «Sono qui.»

«Madre» singhiozza Gareth, senza distogliere lo sguardo dall'uomo nel suo grembo. Si china sul volto segnato e sereno, posa un bacio sulle labbra esangui. «Vendicalo...»

Calipso non risponde, si incammina nell'acqua lasciandosi alle spalle quel figlio spezzato. Sorride, alzando le mani verso la nave all'orizzonte.

 

La Bloody Siren va incontro alla tempesta, senza sapere che sarà l'ultima.

 

 

 

***

 

 

  
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