Come
ho detto nel forum, essere arrivata quinta per me è
già tanto essendo il primo
contest a cui partecipo; mi complimento con tutte le altre partecipanti
e
ringrazio ancora Rota per aver indetto questo contest, e la nee-san
Princess
per il carinissimo banner. *-*
Qua il giudizio del giudice: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8192844&p=18
Un
ringraziamento speciale va a mia madre, che mi ha supportato nei
momenti di
follia in cui non riuscivo a scrivere nulla per questo contest,
preparandomi
caffè a notte inoltrata per poter mandare avanti
questo lavoro, che alla
fine è uscito così, ma ne è stata
comunque felice anche lei. Grazie ancora.
La
villa abbandonata si stagliava all’orizzonte. Il sole stava
calando, e Gaara
osservava silenzioso il tutto, spaventato un poco dall’aria
tetra che quel luogo
isolato emanava.
Omicidio.
Un’intera famiglia sterminata. Sparito il primogenito.
Sospettato della folle
tragedia.
Si
ricordava quell’articolo di giornale, l’aveva
trovato per caso tempo fa nella
biblioteca della scuola; guarda caso lui passava sempre per quella
strada, e
vedeva ogni volta l’enorme villa solitaria. La famosa villa
Uchiha.
Aveva
sentito dire che allora era un nome importante, una casata pregiata, e
che il
primogenito era un brillante genio.
Che
fosse stato davvero lui a uccidere i suoi familiari?
Il
silenzio regnava sovrano, e nella notte appena scesa si agitava folle
la pazzia.
Neji
era tutto per lui. Era l’amico che non aveva mai avuto, era l’unico
amico che avrebbe sempre voluto, era una persona umana, silenziosa,
schiva,
come lui, ed era anche egocentrica, vanitosa, forse anche molto
superficiale,
in fondo, ma i difetti non avevano importanza, perché tutto
questo rendeva
perfetto Neji, almeno ai suoi occhi.
-In
compagnia del silenzio come sempre, vero, Gaara?- si voltò.
Colui che era nei
suoi pensieri si era materializzato lì davanti, comparendo
dalla porta bianca
della biblioteca.
Neji
Hyuga, rappresentate dell’Istituto e discendente della famosa
casata Hyuga:
tutti si aspettavano molto da lui, era un genio fin da piccolo.
Mosse
la testa a destra, come cenno di saluto, poi tornò a
guardare fuori dalla
finestra.
Neji
piegò le labbra in su, in un cenno di sorriso,
spostò una sedia e si accomodò
di fronte al compagno.
Gli
occhi azzurri di Gaara fissarono il profilo di Neji, come sempre
perfetto.
-Cosa
aspetti, Sabaku?- lo stuzzicò chiamandolo per cognome.
Ciò
che stava aspettando.
Si
alzò, andando a inginocchiarsi di fianco al moro.
Alzò un braccio andando a
prendergli una ciocca di capelli portandosela al naso. Aveva come
sempre un
buon profumo, dolce e allo stesso tempo forte.
Neji
gli baciò la testa, solleticandosi il naso con i corti e
spettinati capelli
rossi; gli prese le mani e se le portò sulle cosce, in un
probabile invito, ma
le guidò su, sui fianchi, e poi le portò sulle
proprie braccia.
Gaara
sbottonò le maniche della camicia al compagno, tirandole su,
fino al gomito,
poi prese il braccio destro e lo avvicinò alle labbra,
soffiandoci sopra, poi
lo baciò; compì lo stesso rito con il braccio
sinistro, ma questa volta spese
più tempo, mordicchiando leggermente la carne, gesto che
fece accelerare il
respiro a Neji.
-…
è abbastanza.- disse infine, col fiatone.
Il
suo affetto era abbastanza. Lo capiva. Lo sapeva.
E
Gaara sentì solo di desiderio di abbracciarlo, ma prima si
concesse anche un
bacio, veloce e leggero, ma carico di sentimenti.
Quel
pomeriggio uscito da scuola, Gaara attraversò le solite
strade, ma questa volta
sentiva il bisogno di scoprire. Esattamente cosa non lo sapeva neppure
lui. Ed
eccolo di fronte alla villa abbandonata, la villa degli Uchiha.
Il
cancello era tutto arrugginito, e la porta di legno era staccata per
metà, così
senza bisogno di toccare nulla riuscì ad entrare.
Un
po’ di luce fioca penetrava da qualche finestra e da dei
buchi nel tetto, e
un’aria opprimente gli invase le narici. Non c’era
nessun odore in particolare,
ma qualcosa di pesante gli fece portare una mano al volto per potersi
tappare
bocca e naso.
-Cosa
ci fai qui?-
Si
voltò di scattò. Dietro di lui c’era
una persona.
Sgranò
leggermente gli occhi dalla sorpresa, e si tolse la mano con la quale
si stava
coprendo metà volto.
Non
disse nulla, solo fissò negli occhi lo sconosciuto.
Era
un ragazzo di almeno dieci anni più grande di lui, anche
più alto di lui; la
carnagione era di un bianco pallido, come quella di Neji, i capelli
neri erano
tenuti in una coda, e indossava un kimono nero aveva occhi neri freddi
e
taglienti, cupi e illeggibili, ed emanavano la stessa aria opprimente
di quel
luogo.
Erano
spaventosi, ma bellissimi allo stesso tempo, affascinanti, troppo
affascinanti.
Ma
Gaara non disse nulla, continuò a fissarlo, ipnotizzato.
Si
sentì afferrare per un polso, e fu portato fuori dalla
villa, all’esterno.
No,
non se ne accorse.
L’unica
cosa di cui si accorse fu la mano troppo fredda di
quel giovane
uomo.
Con
uno strattone si liberò dall’presa che era
diventata più forte.
-Non
dovresti entrare là dentro, è pericoloso. Molto
pericoloso.-
-Non
avresti dovuto disturbarmi.-
L’altro
lo fissò con uno sguardo ancora più tagliente,
poi si voltò verso il cielo, che
era diventato rosso, segno che il tramonto era nel pieno del suo ciclo.
-Questo
posto è orribile.-
Poi
cominciò a camminare, uscendo dal cancello e scomparendo
dietro ad un muretto.
“Sei
più spaventoso tu.” Pensò Gaara,
decidendo per quel giorno di lasciar perdere
la villa.
Neji
e Gaara si incontravano sempre nel primo pomeriggio nella biblioteca
della
scuola, d’altronde, era l’unico momento in cui si
potevano incontrare dato che
erano di due classi differenti, e anche se si incontravano nei
corridoi,
facevano finta l’uno dell’altro, quindi il
pomeriggio era l’unico momento per
loro due, solo per loro due, per la loro amicizia,
per il loro affetto,
per loro.
La
loro era una muta promessa.
Come
sempre c’era silenzio. Neji sfogliava un libro, come sempre,
e Gaara guardava
fuori dalla finestra, come sempre, ogni tanto gettando qualche occhiata
al
compagno.
-Sai…
è da quasi due anni che faccio sempre la strada che passa
dove c’è villa
Uchiha, eppure solo ieri ho avuto l’irrefrenabile voglia di
entrarci...-
Neji
piegò le sopracciglia, alzando il volto dal libro che stava
leggendo, guardando
nelle iridi azzurre, in cerca di verità.
-Non
dirai sul serio? Gaara, quella casa è maledetta,
è stata uccisa un’intera
famiglia… che tra parentesi era sempre stata in competizione
con la mia casata…
perché avventurarsi in un posto del genere? Te lo
sconsiglio.- finì di dire
chiudendo gli occhi, e spostandosi una ciocca di capelli dietro ad un
orecchio.
Ovviamente
Gaara non aveva detto ciò che aveva detto per avere un
consiglio dall’altro, e
Neji questo lo sapeva bene, quindi tornò alla sua lettura.
-…pensi
che ci siano degli spiriti?- chiese continuando a guardare fuori dalla
finestra, verso le colline; Neji sollevò di nuovo il capo
dal libro, un
sopracciglio inarcato, guardando quasi adirato Gaara.
-E’
gente che è stata uccisa brutalmente, da quanto ne
so… per di più da un membro
della loro stessa famiglia; sicuramente le loro anime sono ancora
lì nella
casa, poiché e la voglia di vendetta li fanno ancora
soffrire.-
Gaara
chiuse gli occhi, ripetendosi a mente quelle parole.
Ed
era di nuovo lì.
-La
villa interessa anche tu.-
Il
moro si voltò, piegando il capo in cenno di saluto.
-E
tu sei di nuovo qua.-
-E’
l’unica strada che porta a casa mia.-
Rimasero
un po’ in silenzio, poi Gaara si lasciò tentare;
voleva di nuovo sentire quella
voce così calda e roca, quella voce così profonda
capace di farlo eccitare.
-Qual
è il tuo nome?-
Senza
guardarlo l’altro gli rispose in un soffio
-Itachi,-
e gli tese la mano.
Gaara
guardò sorpreso quella stessa mano del giorno prima.
Si
spaventò al ricordo di quanto fosse fredda, ed
esitò prima di stingerla,
leggermente, sfiorando la mano affusolata e più grande della
sua.
-Io
sono Gaara.-
Restarono
entrambi a fissare la villa, accarezzati da una brezza fresca.
-Conosci
la storia di questa villa?-
-Sì,
è accaduta proprio mentre io ero un adolescente.-
-Penso
che ci sia stato un motivo, se è accaduto tutto...- si
lasciò sfuggire Gaara;
pensò di stare parlando troppo per i suoi gusti. Ma
continuò.
-E’
spaventosa, ma bella.- o meglio, aveva qualcosa che lo eccitava in un
modo
strano, quel posto.
Si
sentì prendere una mano da quella gelida di Itachi, poi
sentì un contatto
ancora più freddo sul dorso di essa. Si voltò;
gliela stava baciando. O meglio,
il moro aveva posato leggermente le sue labbra, e con leggerezza, come
fosse
una farfalla che si era posata, stava salendo verso il braccio, anche
se c’era
la giacca ad ostacolarlo.
Gaara
fissò per tutto il tempo interdetto quelle labbra rosse. Le
aveva già notate il
giorno prima, ma ora gli apparivano ancora più rosse; non un
rosso carnoso, un
rosso più forte, più acceso,
più… tetro.
Come
se avesse bevuto un bicchiere di sangue.
Si
risvegliò, quasi stordito, e sottrasse quasi con orrore la
propria mano da
quella dell’altro, e dalle sue labbra fredde, e se la
portò sul petto, vicino
al cuore, e notò di avere il fiatone e di avere sudato anche
un poco, come se
avesse appena finito una lunga corsa.
Fissò
per un attimo gli occhi neri, poi, senza dire una parola, corse via, e
quando
arrivò a casa il fiato gli mancava davvero, e un senso
opprimente di angoscia
mista a gioia gli attanagliava le viscere, in un modo troppo volgare,
per i
suoi gusti.
Si
sentiva male. Non sapeva perché. Forse la corsa della sera
prima gli aveva
davvero tolto molto ossigeno, o forse la vista di quelle labbra gli
aveva messo
sottosopra le viscere, o forse… Itachi e quella villa messi
insieme, facevano
paura, perché troppo ambigui, probabilmente.
Sospirò,
cosa strana per lui, e appoggiò il capo al vetro freddo
della finestra,
chiudendo gli occhi, lasciandosi trascinare dai ricordi del giorno
prima che
correvano troppo veloci.
La
porta della biblioteca si aprì e si richiuse con decisione,
e Neji entrò,
posando un libro sul tavolo, e notando Gaara forse addormentato alla
finestra.
Si
avvicinò piano, muovendosi come un felino, arrivando al
fianco dell’altro che
non si era mosso; forse stava dormendo davvero. Passo entrambe le
braccia
intorno al collo bianco dell’altro, e con una guancia si
appoggiò alla sua
testa; sentì due mani aggrapparsi ad un suo braccio, segno
che Gaara era
sveglio, ed era contento che lui fosse lì.
-Cosa
stai facendo? Dormivi?-
Il
rosso aprì gli occhi, prendendo un braccio
dell’altro e, sbottonata la manica,
inalò il profumo della carne del compagno.
-Sai,
Neji, si dice che il melograno abbia lo stesso sapore della carne
umana.*-
L’altro
lo guardò stranito, inarcando un sopracciglio.
-E’
solo una leggenda… nessuno sa che gusto abbia la carne
umana.-
-Ma
i cannibali lo sapranno di sicuro.-
-Non
ci dovrebbero essere più i cannibali. Ti interessa
così tanto scoprire il suo
sapore, Gaara?-
-Mio
fratello mi raccontava questa leggenda spesso quando ero bambino; da
quando è
morto, cinque anni fa, questa è la prima cosa che mi viene
in mente quando
penso a lui.-
-Non
pensarci proprio. Ci sono solo io.- disse neutrale.
Poi gli baciò la
fronte, e scese giù, arrivando alle sue labbra, che morse
leggermente,
sussurranodoci sopra,
-Magari
non è male…-
E
poi le loro lingue giocarono, le loro labbra si succhiarono avidamente,
le loro
mani tirarono i capelli dell’altro, e i loro occhi si
fissarono per tutto il
tempo, ardenti.
Come
le labbra di Itachi…
Era
passata una settimana, e come sempre, quando passava davanti a quella
villa, si
fermava almeno per un’ora, in attesa di vedere Itachi, ma
questo non era più
apparso.
Ma
proprio quando aveva perso le speranza di rivederlo, egli era
riapparso, dopo
una settimana esatta.
Proprio
quel pomeriggio in cui Gaara non si era fermato a guardare la villa,
come
faceva sempre, aveva solo lanciato una breve occhiata, e poi era
tornato a
fissare la strada deserta.
Sentì
due mani appoggiarsi sui suoi occhi, che si chiusero istantaneamente, e
riconobbe subito a chi appartenevano quelle mani gelide, e
capì subito a chi
appartenevano quelle gelide labbra che gli stavano sussurrando qualcosa
all’orecchio.
Non
disse una parola, si immobilizzò soltanto, in attesa di
nuove mosse da parte
dell’altro; questi scese con le mani sul suo collo, e Gaara
rabbrividì al
contatto di quel freddo sul proprio collo bianco, scoperto.
-Ti
sei spaventato?-
Il
rosso si voltò. Era così vicino ad
Itachi… eppure tanto lontano da non capirlo
affatto.
-Te
l’ho detto che questo è un luogo spaventoso e
anche troppo difficile,
per uno come te.-
Gaara
fissava le labbra che facevano su e giù, che si
dischiudevano per poter far
uscire quelle parole.
Perdendo
la cognizione di ciò che gli stava intorno, e che forse non
aveva mai avuto
davvero, posò dolcemente due dita sulle labbra rosse
dell’altro, continuando a
fissarle con ardore e anche quasi con… malinconia.
Itachi
non sgranò gli occhi, né disse qualcosa,
né mosse un arto, per fermare l’altro,
solo fissò i suoi occhi azzurri.
Gaara
dal canto suo era totalmente inebriato… di Itachi, della
villa, di quel luogo;
talmente inebriato che sentiva la nausea e le viscere attorcigliarsi
quasi con
dolore, ma era la bellezza di tutto ciò, che lo ipnotizzava,
e gli faceva
compiere quei gesti.
Si
mise in punta di piedi da poter essere con le proprie labbra
all’altezza di
quelle dell’altro, poi, chiudendo gli occhi,
riuscì a compiere quella che per
lui era una specie di prova: baciare quelle labbra rosso sangue e
gelide, baciare
quelle labbra da morto.
Il
contatto fu leggero, eppure Gaara riuscì a sentire miriadi
di sensazioni
invadergli il cervello, facendogli avere un capogiro, ma
continuò, leccandole
con voglia, leccandole poi una seconda volta con goduria, e leccandole
una
terza volta con passione, per poi penetrarle, e riuscire
così a sentire pure la
lingua, il palato dell’altro, che non sapeva di nulla in
particolare.
Il
suo alito non sapeva di nulla in particolare.
Sentì
un braccio avvolgersi attorno alla sua esile vita, stringendola forte,
quasi
con rabbia. E sentì Itachi giocare con lui, seguendolo alla
perfezione; o
meglio, era Gaara che si stava facendo guidare.
Non
c’era più nulla intorno a lui.
Forse
non c’era mai davvero stato nulla, intorno a lui.
Si
sentiva peggio della settimana prima, davvero, ma davvero peggio, e non
perché
avesse baciato Itachi, riuscendo quasi ad avere uno spasmodico orgasmo
solo
grazie a quello, non perché quello poteva essere in piena
regola un tradimento
nei confronti di Neji, ma perché sentiva come se una parte
di lui mancasse,
come se qualcuno gli avesse portato via metà del fiato che
possedeva per
tutta la vita.
Come
se qualcuno gli avesse succhiato via davvero parte della sua
’anima.
E
Neji apparve, come sempre, dalla porta della biblioteca, e questa volta
i loro
occhi si incontrarono subito.
Gaara
lo abbracciò, attraversato da spasimi, come se quella fosse
l’unica persona in
grado di aiutarlo.
-Non
ho mai saputo chi sono.-
-Nessuno
sa chi è veramente, Gaara.-
-E
questo mi fa stare male, davvero troppo; forse è solo
questo, che mi fa stare
male davvero.-
Neji
gli accarezzò i capelli.
-Vale
per tutti.-
Nessuna
dolcezza, solo la verità.
Quando
si dice la verità non c’è bisogno di
dolcezza.
L’importante
è che restiamo insieme per sempre. Ce lo siamo promessi, con
gli sguardi, non
con le parole, quindi ti prego, non lasciarmi mai.
Quel
pomeriggio Gaara entrò di nuovo nella villa.
Neji
lo aveva salutato a scuola, e Itachi non lo aveva ancora incontrato.
E
un odore differente gli penetrò le narici. Il senso
opprimente c’era sempre, ma
questa volta era diverso, c’era un puzzo incredibile.
Attraversato
il corridoio, entrò nel grande salotto un po’
illuminato dal sole che entrava
da una grande finestra metà aperta.
E
lì lo vide.
Disteso
per terra, in una pozza scura, c’era una sagoma riversa per
terra.
Con
un gesto automatico si coprì la bocca, ma non
pensò a nulla, si avvicinò però
incuriosito,
riconoscendo man mano la figura di un giovane, il cui volto era coperto
da
lunghi capelli neri, ed era sdraiato semi-nudo in una pozza di sangue.
Poi
un rumore di passi alle sue spalle, e si voltò, ma non
c’era nessuno, allora
tornò a guardare di fronte a sé, verso la figura
morta per terra, ma a un palmo
da sé trovo Itachi, scuro in volto, con occhi iniettati
di… non lo avrebbe
saputo dire, talmente lo fecero rabbrividire di paura più di
quel cadavere
appena scoperto.
Non
emise nessun grido, anche se la sua bocca si spalancò.
Itachi
gli afferrò la vita saldamente con un braccio, portandoselo
contro di sé.
E
Gaara sentì ancora più opprimente e forte il
puzzo di poco prima, che dal
ragazzo per terra veniva ancora di più, e vide il kimono
nero di Itachi
macchiato di sangue, ed anche un po’ il suo volto, e
scioccamente si domandò
che gusto avesse il sangue.
Nessuno
sa che gusto abbia la carne umana, se non i cannibali, quindi non ci
dovrebbe
essere più neanche nessuno che sa che gusto ha il sangue, se
non i vampiri… e i
pazzi.
Continuò
ad esserci silenzio, e quel puzzo tremendo, poi Gaara spostò
di un poco Itachi
da sé, per poter scorgere ancora la figura riversa a terra.
-Ma
che cos’è?- chiese senza ragionare,
perché la ragione l’aveva persa molto tempo
prima, appena aveva messo gli occhi su quella casa, e ancora di
più dopo che ci
era entrato, in quella casa, quanto nel cuore di Itachi.
-Ora
non c’è più nessuno.- disse tagliente,
ma il suo tono parve quasi dolce.
E
non capì a cosa si stesse riferendo l’altro.
Con
un briciolo di lucidità si tolse dalla presa di Itachi,
avvicinandosi al
cadavere.
Si
piegò per terra, toccando con mano quel liquido rosso. Era
ancora caldo.
Poi
con le dita sporche si avvicinò al viso del morto, volendo
vedere chi fosse
stato ucciso.
Scostò
quei bei capelli neri, lucidi e curati, e con orrore vide la
verità.
Neji
è morto.
Formulò
la sua mente, no, la mente non ce l’aveva più, il
suo cuore gli sussurrò quella
piccola frase, piccola ma carica di angoscia, troppa, per lui.
Si
batté la mani sulle guancie, che stavano cominciando a
venire solcate da calde
lacrime, si alzò in piedi e camminò
all’indietro, andando a sbattere contro
l’ampio petto di Itachi, che lo prese per le spalle, e un
sussurro
impercettibile giunse ad un suo orecchio.
-Guarda,
Gaara, questo è un regalo per te; lo stesso che feci tempo
fa a mio fratello
Sasuke, ma allora c’erano i nostri genitori qua per terra,
proprio in quel
punto, e la pozza di sangue era più estesa,-
Gli
lasciò le braccia, e a Gaara mancò
l’unico appiglio che lo teneva in piedi,
quindi cadde in ginocchio; vide Itachi avvicinarsi al cadavere,
andargli dietro
e prenderlo per un braccio, sollevandolo.
Potè
così vedere un grosso taglio che attraversava tutto il
petto, e dal quale
usciva ancora sangue, potè vedere gli occhi aperti e bianchi
di morte, e la
bocca aperta, dalla quale forse era uscito qualche grido, ma conoscendo
Neji,
probabilmente neppure quello si era concesso.
-Vieni
Gaara, assaggia la carne, non eri curioso di sapere se ha lo stesso
gusto del
melograno? O era viceversa? Non importa, vieni.-
Gaara
era impietrito, non esisteva più neanche
l’angoscia o l’orrore o la paura, solo
il nulla; le lacrime si erano fermate, e gli occhi azzurri sembravano
ancora
più vitrei.
Non
parlò più.
Vide
solo ancora Itachi portarsi un braccio di Neji alla bocca, che
spalancò
ferocemente, avventandosi con i denti su quella carne bianca,
strappandone un
grosso pezzo, che vide masticato molto velocemente, così
come vide del sangue
cominciare a colare da quelle labbra rosse.
Lo
guardò negli occhi neri, chiedendosi chi fosse realmente,
che cosa fosse,
perché facesse tutto ciò.
-Diventa
come me, Gaara, io sono solo un’anima errante sola e
abbandonata, un demone che
si nutre della distruzione altrui, e tu eri una preda ideale, ma ho
provato
troppo affetto per te, così ho tolto l’unica
persona che ci poteva ostacolare.-
Il
rosso si tirava le dita, quasi volesse strapparsele, ma non lo fece.
-Oppure…
posso anche ucciderti, come feci con mio fratello dieci anni fa, ma il
sacrifico del tuo amico lo vuoi rendere inutile?-
Itachi
si avvicinò, piegandosi di fronte a lui, abbracciandolo,
prendendogli le mani e
baciandole, macchiandole un po’ di sangue, leccandole,
lasciando scie di
salive, e poi le portò al proprio petto, dove Gaara
sentì bene, non c’era più
nulla che batteva.
-Resta
con me.-
E
Gaara sperò solo che nessuno venisse a svegliarlo,
perché l’incubo era già
finito.
EPILOGO
Qualcuno
aveva proposto di abbattere villa Uchiha, ormai erano quasi
trent’anni
che stava ancora lì in piedi, e non interessava
più a nessuno onorare la morte
di quella antica e nobile famiglia.
Se
fosse stata abbattuta, non c’era pericolo, Gaara aveva mille
altri posti in cui
poter andare, e poi Itachi non lo mollava mai, quindi non
c’era nulla da
temere.
Se
la villa, la loro casa di dolore fosse stata demolita, sarebbero
partiti, alla
ricerca di altri luoghi in cui trovare anime troppo disperate, e
sarebbero
stati solo lui, Itachi e Neji, che era sempre al loro fianco.
Insieme
per sempre, in eterno.
FINE.
Note
finali: *: il melograno ha lo stesso gusto della carne umana? Questa
è una
leggenda indiana che mi ha raccontato qualche mese fa il mio professore
di arti
visive, non la ricordo bene, ma più o meno faceva
così: una dea aveva mille
figli, e per nutrirsi ne mangiava qualcuno, tanto ne aveva tanti, ma un
giorno
uno dei suoi tanti figli sparì, e lei scoprì
così il dolore di perdere suo
figlio per mano di qualcun altro che non fosse lei; poi mi sembra che
ritrovi
il bambino, e qualcuno le dia un melograno, dicendole:
“Tieni, non hai più
bisogno di mangiare i tuoi figli, poiché il melograno ha lo
stesso sapore della
carne umana.”
Il
titolo Yomi, l’oscura terra dei morti; se
vi interessa cercate per
internet, non ho voglia di copiare tutta la storia, posso solo dire che
non mi
piace affatto questo titolo, mi fa pena, volevo qualcosa che avesse un
suono
più dolce, ma ormai…