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Autore: yukoxyaoi    20/04/2009    2 recensioni
La villa abbandonata si stagliava all’orizzonte. Il sole stava calando, e Gaara osservava silenzioso il tutto, spaventato un poco dall’aria tetra che quel luogo isolato emanava. Il silenzio regnava sovrano, e nella notte appena scesa si agitava folle la pazzia.
Genere: Dark, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Sabaku no Gaara , Neji Hyuuga
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Come ho detto nel forum, essere arrivata quinta per me è già tanto essendo il primo contest a cui partecipo; mi complimento con tutte le altre partecipanti e ringrazio ancora Rota per aver indetto questo contest, e la nee-san Princess per il carinissimo banner. *-*

Qua il giudizio del giudice:  http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8192844&p=18

Un ringraziamento speciale va a mia madre, che mi ha supportato nei momenti di follia in cui non riuscivo a scrivere nulla per questo contest, preparandomi caffè  a notte inoltrata per poter mandare avanti questo lavoro, che alla fine è uscito così, ma ne è stata comunque felice anche lei. Grazie ancora.

 

 

 

La villa abbandonata si stagliava all’orizzonte. Il sole stava calando, e Gaara osservava silenzioso il tutto, spaventato un poco dall’aria tetra che quel luogo isolato emanava.

 

Omicidio. Un’intera famiglia sterminata. Sparito il primogenito. Sospettato della folle tragedia.

 

Si ricordava quell’articolo di giornale, l’aveva trovato per caso tempo fa nella biblioteca della scuola; guarda caso lui passava sempre per quella strada, e vedeva ogni volta l’enorme villa solitaria. La famosa villa Uchiha.

Aveva sentito dire che allora era un nome importante, una casata pregiata, e che il primogenito era un brillante genio.

Che fosse stato davvero lui a uccidere i suoi familiari?

 

Il silenzio regnava sovrano, e nella notte appena scesa si agitava folle la pazzia.

 

 

 

Neji era tutto per lui. Era l’amico che non aveva mai avuto, era l’unico amico che avrebbe sempre voluto, era una persona umana, silenziosa, schiva, come lui, ed era anche egocentrica, vanitosa, forse anche molto superficiale, in fondo, ma i difetti non avevano importanza, perché tutto questo rendeva perfetto Neji, almeno ai suoi occhi.

 

-In compagnia del silenzio come sempre, vero, Gaara?- si voltò. Colui che era nei suoi pensieri si era materializzato lì davanti, comparendo dalla porta bianca della biblioteca.

Neji Hyuga, rappresentate dell’Istituto e discendente della famosa casata Hyuga: tutti si aspettavano molto da lui, era un genio fin da piccolo.

 

Mosse la testa a destra, come cenno di saluto, poi tornò a guardare fuori dalla finestra.

Neji piegò le labbra in su, in un cenno di sorriso, spostò una sedia e si accomodò di fronte al compagno.

Gli occhi azzurri di Gaara fissarono il profilo di Neji, come sempre perfetto.

-Cosa aspetti, Sabaku?- lo stuzzicò chiamandolo per cognome.

Ciò che stava aspettando.

Si alzò, andando a inginocchiarsi di fianco al moro. Alzò un braccio andando a prendergli una ciocca di capelli portandosela al naso. Aveva come sempre un buon profumo, dolce e allo stesso tempo forte.

Neji gli baciò la testa, solleticandosi il naso con i corti e spettinati capelli rossi; gli prese le mani e se le portò sulle cosce, in un probabile invito, ma le guidò su, sui fianchi, e poi le portò sulle proprie braccia.

Gaara sbottonò le maniche della camicia al compagno, tirandole su, fino al gomito, poi prese il braccio destro e lo avvicinò alle labbra, soffiandoci sopra, poi lo baciò; compì lo stesso rito con il braccio sinistro, ma questa volta spese più tempo, mordicchiando leggermente la carne, gesto che fece accelerare il respiro a Neji.

-… è abbastanza.- disse infine, col fiatone.

Il suo affetto era abbastanza. Lo capiva. Lo sapeva.

E Gaara sentì solo di desiderio di abbracciarlo, ma prima si concesse anche un bacio, veloce e leggero, ma carico di sentimenti.

 

Quel pomeriggio uscito da scuola, Gaara attraversò le solite strade, ma questa volta sentiva il bisogno di scoprire. Esattamente cosa non lo sapeva neppure lui. Ed eccolo di fronte alla villa abbandonata, la villa degli Uchiha.

Il cancello era tutto arrugginito, e la porta di legno era staccata per metà, così senza bisogno di toccare nulla riuscì ad entrare.

Un po’ di luce fioca penetrava da qualche finestra e da dei buchi nel tetto, e un’aria opprimente gli invase le narici. Non c’era nessun odore in particolare, ma qualcosa di pesante gli fece portare una mano al volto per potersi tappare bocca e naso.

 

-Cosa ci fai qui?-

 

Si voltò di scattò. Dietro di lui c’era una persona.

Sgranò leggermente gli occhi dalla sorpresa, e si tolse la mano con la quale si stava coprendo metà volto.

Non disse nulla, solo fissò negli occhi lo sconosciuto.

Era un ragazzo di almeno dieci anni più grande di lui, anche più alto di lui; la carnagione era di un bianco pallido, come quella di Neji, i capelli neri erano tenuti in una coda, e indossava un kimono nero aveva occhi neri freddi e taglienti, cupi e illeggibili, ed emanavano la stessa aria opprimente di quel luogo.

Erano spaventosi, ma bellissimi allo stesso tempo, affascinanti, troppo affascinanti.

Ma Gaara non disse nulla, continuò a fissarlo, ipnotizzato.

Si sentì afferrare per un polso, e fu portato fuori dalla villa, all’esterno.

No, non se ne accorse.

L’unica cosa di cui si accorse fu  la mano troppo  fredda di quel giovane uomo.

 

Con uno strattone si liberò dall’presa che era diventata più forte.

-Non dovresti entrare là dentro, è pericoloso. Molto pericoloso.-

-Non avresti dovuto disturbarmi.-

L’altro lo fissò con uno sguardo ancora più tagliente, poi si voltò verso il cielo, che era diventato rosso, segno che il tramonto era nel pieno del suo ciclo.

-Questo posto è orribile.-

Poi cominciò a camminare, uscendo dal cancello e scomparendo dietro ad un muretto.

 

“Sei più spaventoso tu.” Pensò Gaara, decidendo per quel giorno di lasciar perdere la villa.

 

 

Neji e Gaara si incontravano sempre nel primo pomeriggio nella biblioteca della scuola, d’altronde, era l’unico momento in cui si potevano incontrare dato che erano di due classi differenti, e anche se si incontravano nei corridoi, facevano finta l’uno dell’altro, quindi il pomeriggio era l’unico momento per loro due, solo per loro due, per la loro amicizia, per il loro affetto, per loro.

La loro era una muta promessa.

 

Come sempre c’era silenzio. Neji sfogliava un libro, come sempre, e Gaara guardava fuori dalla finestra, come sempre, ogni tanto gettando qualche occhiata al compagno.

-Sai… è da quasi due anni che faccio sempre la strada che passa dove c’è villa Uchiha, eppure solo ieri ho avuto l’irrefrenabile voglia di entrarci...-

Neji piegò le sopracciglia, alzando il volto dal libro che stava leggendo, guardando nelle iridi azzurre, in cerca di verità.

-Non dirai sul serio? Gaara, quella casa è maledetta, è stata uccisa un’intera famiglia… che tra parentesi era sempre stata in competizione con la mia casata… perché avventurarsi in un posto del genere? Te lo sconsiglio.- finì di dire chiudendo gli occhi, e spostandosi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio.

Ovviamente Gaara non aveva detto ciò che aveva detto per avere un consiglio dall’altro, e Neji questo lo sapeva bene, quindi tornò alla sua lettura.

-…pensi che ci siano degli spiriti?- chiese continuando a guardare fuori dalla finestra, verso le colline; Neji sollevò di nuovo il capo dal libro, un sopracciglio inarcato, guardando quasi adirato Gaara.

-E’ gente che è stata uccisa brutalmente, da quanto ne so… per di più da un membro della loro stessa famiglia; sicuramente le loro anime sono ancora lì nella casa, poiché e la voglia di vendetta li fanno ancora soffrire.-

Gaara chiuse gli occhi, ripetendosi a mente quelle parole.

 

 

Ed era di nuovo lì.

-La villa interessa anche tu.-

Il moro si voltò, piegando il capo in cenno di saluto.

-E tu sei di nuovo qua.-

-E’ l’unica strada che porta a casa mia.-

Rimasero un po’ in silenzio, poi Gaara si lasciò tentare; voleva di nuovo sentire quella voce così calda e roca, quella voce così profonda capace di farlo eccitare.

-Qual è il tuo nome?-

Senza guardarlo l’altro gli rispose in un soffio

-Itachi,- e gli tese la mano.

Gaara guardò sorpreso quella stessa mano del giorno prima.

Si spaventò al ricordo di quanto fosse fredda, ed esitò prima di stingerla, leggermente, sfiorando la mano affusolata e più grande della sua.

-Io sono Gaara.-

 

Restarono entrambi a fissare la villa, accarezzati da una brezza fresca.

-Conosci la storia di questa villa?-

-Sì, è accaduta proprio mentre io ero un adolescente.-

-Penso che ci sia stato un motivo, se è accaduto tutto...- si lasciò sfuggire Gaara; pensò di stare parlando troppo per i suoi gusti. Ma continuò.

-E’ spaventosa, ma bella.- o meglio, aveva qualcosa che lo eccitava in un modo strano, quel posto.

Si sentì prendere una mano da quella gelida di Itachi, poi sentì un contatto ancora più freddo sul dorso di essa. Si voltò; gliela stava baciando. O meglio, il moro aveva posato leggermente le sue labbra, e con leggerezza, come fosse una farfalla che si era posata, stava salendo verso il braccio, anche se c’era la giacca ad ostacolarlo.

Gaara fissò per tutto il tempo interdetto quelle labbra rosse. Le aveva già notate il giorno prima, ma ora gli apparivano ancora più rosse; non un rosso carnoso, un rosso più forte, più acceso, più… tetro.

Come se avesse bevuto un bicchiere di sangue.

 

Si risvegliò, quasi stordito, e sottrasse quasi con orrore la propria mano da quella dell’altro, e dalle sue labbra fredde, e se la portò sul petto, vicino al cuore, e notò di avere il fiatone e di avere sudato anche un poco, come se avesse appena finito una lunga corsa.

Fissò per un attimo gli occhi neri, poi, senza dire una parola, corse via, e quando arrivò a casa il fiato gli mancava davvero, e un senso opprimente di angoscia mista a gioia gli attanagliava le viscere, in un modo troppo volgare, per i suoi gusti.

 

 

Si sentiva male. Non sapeva perché. Forse la corsa della sera prima gli aveva davvero tolto molto ossigeno, o forse la vista di quelle labbra gli aveva messo sottosopra le viscere, o forse… Itachi e quella villa messi insieme, facevano paura, perché troppo ambigui, probabilmente.

Sospirò, cosa strana per lui, e appoggiò il capo al vetro freddo della finestra, chiudendo gli occhi, lasciandosi trascinare dai ricordi del giorno prima che correvano troppo veloci.

 

La porta della biblioteca si aprì e si richiuse con decisione, e Neji entrò, posando un libro sul tavolo, e notando Gaara forse addormentato alla finestra.

Si avvicinò piano, muovendosi come un felino, arrivando al fianco dell’altro che non si era mosso; forse stava dormendo davvero. Passo entrambe le braccia intorno al collo bianco dell’altro, e con una guancia si appoggiò alla sua testa; sentì due mani aggrapparsi ad un suo braccio, segno che Gaara era sveglio, ed era contento che lui fosse lì.

-Cosa stai facendo? Dormivi?-

Il rosso aprì gli occhi, prendendo un braccio dell’altro e, sbottonata la manica, inalò il profumo della carne del compagno.

-Sai, Neji, si dice che il melograno abbia lo stesso sapore della carne umana.*-

L’altro lo guardò stranito, inarcando un sopracciglio.

-E’ solo una leggenda… nessuno sa che gusto abbia la carne umana.-

-Ma i cannibali lo sapranno di sicuro.-

-Non ci dovrebbero essere più i cannibali. Ti interessa così tanto scoprire il suo sapore, Gaara?-

-Mio fratello mi raccontava questa leggenda spesso quando ero bambino; da quando è morto, cinque anni fa, questa è la prima cosa che mi viene in mente quando penso a lui.-

-Non pensarci proprio. Ci sono solo io.- disse neutrale. Poi gli baciò la fronte, e scese giù, arrivando alle sue labbra, che morse leggermente, sussurranodoci sopra,

-Magari non è male…-

E poi le loro lingue giocarono, le loro labbra si succhiarono avidamente, le loro mani tirarono i capelli dell’altro, e i loro occhi si fissarono per tutto il tempo, ardenti.

Come le labbra di Itachi…

 

 

Era passata una settimana, e come sempre, quando passava davanti a quella villa, si fermava almeno per un’ora, in attesa di vedere Itachi, ma questo non era più apparso.

Ma proprio quando aveva perso le speranza di rivederlo, egli era riapparso, dopo una settimana esatta.

Proprio quel pomeriggio in cui Gaara non si era fermato a guardare la villa, come faceva sempre, aveva solo lanciato una breve occhiata, e poi era tornato a fissare la strada deserta.

 

Sentì due mani appoggiarsi sui suoi occhi, che si chiusero istantaneamente, e riconobbe subito a chi appartenevano quelle mani gelide, e capì subito a chi appartenevano quelle gelide labbra che gli stavano sussurrando qualcosa all’orecchio.

Non disse una parola, si immobilizzò soltanto, in attesa di nuove mosse da parte dell’altro; questi scese con le mani sul suo collo, e Gaara rabbrividì al contatto di quel freddo sul proprio collo bianco, scoperto.

-Ti sei spaventato?-

Il rosso si voltò. Era così vicino ad Itachi… eppure tanto lontano da non capirlo affatto.

-Te l’ho detto che questo è un luogo spaventoso e anche troppo difficile, per uno come te.-

 

Gaara fissava le labbra che facevano su e giù, che si dischiudevano per poter far uscire quelle parole.

Perdendo la cognizione di ciò che gli stava intorno, e che forse non aveva mai avuto davvero, posò dolcemente due dita sulle labbra rosse dell’altro, continuando a fissarle con ardore e anche quasi con… malinconia.

Itachi non sgranò gli occhi, né disse qualcosa, né mosse un arto, per fermare l’altro, solo fissò i suoi occhi azzurri.

Gaara dal canto suo era totalmente inebriato… di Itachi, della villa, di quel luogo; talmente inebriato che sentiva la nausea e le viscere attorcigliarsi quasi con dolore, ma era la bellezza di tutto ciò, che lo ipnotizzava, e gli faceva compiere quei gesti.

 

Si mise in punta di piedi da poter essere con le proprie labbra all’altezza di quelle dell’altro, poi, chiudendo gli occhi, riuscì a compiere quella che per lui era una specie di prova: baciare quelle labbra rosso sangue e gelide, baciare quelle labbra da morto.

 

Il contatto fu leggero, eppure Gaara riuscì a sentire miriadi di sensazioni invadergli il cervello, facendogli avere un capogiro, ma continuò, leccandole con voglia, leccandole poi una seconda volta con goduria, e leccandole una terza volta con passione, per poi penetrarle, e riuscire così a sentire pure la lingua, il palato dell’altro, che non sapeva di nulla in particolare.

Il suo alito non sapeva di nulla in particolare.

Sentì un braccio avvolgersi attorno alla sua esile vita, stringendola forte, quasi con rabbia. E sentì Itachi giocare con lui, seguendolo alla perfezione; o meglio, era Gaara che si stava facendo guidare.

Non c’era più nulla intorno a lui.

Forse non c’era mai davvero stato nulla, intorno a lui.

 

 

Si sentiva peggio della settimana prima, davvero, ma davvero peggio, e non perché avesse baciato Itachi, riuscendo quasi ad avere uno spasmodico orgasmo solo grazie a quello, non perché quello poteva essere in piena regola un tradimento nei confronti di Neji, ma perché sentiva come se una parte di lui mancasse, come se qualcuno gli avesse portato via metà del fiato che possedeva  per tutta la vita.

Come se qualcuno gli avesse succhiato via davvero parte della sua ’anima.

 

E Neji apparve, come sempre, dalla porta della biblioteca, e questa volta i loro occhi si incontrarono subito.

Gaara lo abbracciò, attraversato da spasimi, come se quella fosse l’unica persona in grado di aiutarlo.

-Non ho mai saputo chi sono.-

-Nessuno sa chi è veramente, Gaara.-

-E questo mi fa stare male, davvero troppo; forse è solo questo, che mi fa stare male davvero.-

Neji gli accarezzò i capelli.

-Vale per tutti.-

Nessuna dolcezza, solo la verità.

Quando si dice la verità non c’è bisogno di dolcezza.

 

L’importante è che restiamo insieme per sempre. Ce lo siamo promessi, con gli sguardi, non con le parole, quindi ti prego, non lasciarmi mai.

 

 

Quel pomeriggio Gaara entrò di nuovo nella villa.

Neji lo aveva salutato a scuola, e Itachi non lo aveva ancora incontrato.

E un odore differente gli penetrò le narici. Il senso opprimente c’era sempre, ma questa volta era diverso, c’era un puzzo incredibile.

 

Attraversato il corridoio, entrò nel grande salotto un po’ illuminato dal sole che entrava da una grande finestra metà aperta.

E lì lo vide.

 

Disteso per terra, in una pozza scura, c’era una sagoma riversa per terra.

Con un gesto automatico si coprì la bocca, ma non pensò a nulla, si avvicinò però incuriosito, riconoscendo man mano la figura di un giovane, il cui volto era coperto da lunghi capelli neri, ed era sdraiato semi-nudo in una pozza di sangue.

Poi un rumore di passi alle sue spalle, e si voltò, ma non c’era nessuno, allora tornò a guardare di fronte a sé, verso la figura morta per terra, ma a un palmo da sé trovo Itachi, scuro in volto, con occhi iniettati di… non lo avrebbe saputo dire, talmente lo fecero rabbrividire di paura più di quel cadavere appena scoperto.

 

Non emise nessun grido, anche se la sua bocca si spalancò.

Itachi gli afferrò la vita saldamente con un braccio, portandoselo contro di sé.

 

E Gaara sentì ancora più opprimente e forte il puzzo di poco prima, che dal ragazzo per terra veniva ancora di più, e vide il kimono nero di Itachi macchiato di sangue, ed anche un po’ il suo volto, e scioccamente si domandò che gusto avesse il sangue.

 

Nessuno sa che gusto abbia la carne umana, se non i cannibali, quindi non ci dovrebbe essere più neanche nessuno che sa che gusto ha il sangue, se non i vampiri… e i pazzi.

 

Continuò ad esserci silenzio, e quel puzzo tremendo, poi Gaara spostò di un poco Itachi da sé, per poter scorgere ancora la figura riversa a terra.

-Ma che cos’è?- chiese senza ragionare, perché la ragione l’aveva persa molto tempo prima, appena aveva messo gli occhi su quella casa, e ancora di più dopo che ci era entrato, in quella casa, quanto nel cuore di Itachi.

-Ora non c’è più nessuno.- disse tagliente, ma il suo tono parve quasi dolce.

E non capì a cosa si stesse riferendo l’altro.

 

Con un briciolo di lucidità si tolse dalla presa di Itachi, avvicinandosi al cadavere.

Si piegò per terra, toccando con mano quel liquido rosso. Era ancora caldo.

Poi con le dita sporche si avvicinò al viso del morto, volendo vedere chi fosse stato ucciso.

Scostò quei bei capelli neri, lucidi e curati, e con orrore vide la verità.

 

Neji è morto.

Formulò la sua mente, no, la mente non ce l’aveva più, il suo cuore gli sussurrò quella piccola frase, piccola ma carica di angoscia, troppa, per lui.

 

Si batté la mani sulle guancie, che stavano cominciando a venire solcate da calde lacrime, si alzò in piedi e camminò all’indietro, andando a sbattere contro l’ampio petto di Itachi, che lo prese per le spalle, e un sussurro impercettibile giunse ad un suo orecchio.

-Guarda, Gaara, questo è un regalo per te; lo stesso che feci tempo fa a mio fratello Sasuke, ma allora c’erano i nostri genitori qua per terra, proprio in quel punto, e la pozza di sangue era più estesa,-

Gli lasciò le braccia, e a Gaara mancò l’unico appiglio che lo teneva in piedi, quindi cadde in ginocchio; vide Itachi avvicinarsi al cadavere, andargli dietro e prenderlo per un braccio, sollevandolo.

Potè così vedere un grosso taglio che attraversava tutto il petto, e dal quale usciva ancora sangue, potè vedere gli occhi aperti e bianchi di morte, e la bocca aperta, dalla quale forse era uscito qualche grido, ma conoscendo Neji, probabilmente neppure quello si era concesso.

-Vieni Gaara, assaggia la carne, non eri curioso di sapere se ha lo stesso gusto del melograno? O era viceversa? Non importa, vieni.-

Gaara era impietrito, non esisteva più neanche l’angoscia o l’orrore o la paura, solo il nulla; le lacrime si erano fermate, e gli occhi azzurri sembravano ancora più vitrei.

Non parlò più.

Vide solo ancora Itachi portarsi un braccio di Neji alla bocca, che spalancò ferocemente, avventandosi con i denti su quella carne bianca, strappandone un grosso pezzo, che vide masticato molto velocemente, così come vide del sangue cominciare a colare da quelle labbra rosse.

 

Lo guardò negli occhi neri, chiedendosi chi fosse realmente, che cosa fosse, perché facesse tutto ciò.

-Diventa come me, Gaara, io sono solo un’anima errante sola e abbandonata, un demone che si nutre della distruzione altrui, e tu eri una preda ideale, ma ho provato troppo affetto per te, così ho tolto l’unica persona che ci poteva ostacolare.-

Il rosso si tirava le dita, quasi volesse strapparsele, ma non lo fece.

-Oppure… posso anche ucciderti, come feci con mio fratello dieci anni fa, ma il sacrifico del tuo amico lo vuoi rendere inutile?-

Itachi si avvicinò, piegandosi di fronte a lui, abbracciandolo, prendendogli le mani e baciandole, macchiandole un po’ di sangue, leccandole, lasciando scie di salive, e poi le portò al proprio petto, dove Gaara sentì bene, non c’era più nulla che batteva.

-Resta con me.-

E Gaara sperò solo che nessuno venisse a svegliarlo, perché l’incubo era già finito.

 

 

 

EPILOGO

 

 

Qualcuno aveva proposto di abbattere  villa Uchiha, ormai erano quasi trent’anni che stava ancora lì in piedi, e non interessava più a nessuno onorare la morte di quella antica e nobile famiglia.

 

Se fosse stata abbattuta, non c’era pericolo, Gaara aveva mille altri posti in cui poter andare, e poi Itachi non lo mollava mai, quindi non c’era nulla da temere.

Se la villa, la loro casa di dolore fosse stata demolita, sarebbero partiti, alla ricerca di altri luoghi in cui trovare anime troppo disperate, e sarebbero stati solo lui, Itachi e Neji, che era sempre al loro fianco.

 

Insieme per sempre, in eterno.

 

FINE.

 

 

 

Note finali: *: il melograno ha lo stesso gusto della carne umana? Questa è una leggenda indiana che mi ha raccontato qualche mese fa il mio professore di arti visive, non la ricordo bene, ma più o meno faceva così: una dea aveva mille figli, e per nutrirsi ne mangiava qualcuno, tanto ne aveva tanti, ma un giorno uno dei suoi tanti figli sparì, e lei scoprì così il dolore di perdere suo figlio per mano di qualcun altro che non fosse lei; poi mi sembra che ritrovi il bambino, e qualcuno le dia un melograno, dicendole: “Tieni, non hai più bisogno di mangiare i tuoi figli, poiché il melograno ha lo stesso sapore della carne umana.”

 

Il titolo Yomi, l’oscura terra dei morti; se vi interessa cercate per internet, non ho voglia di copiare tutta la storia, posso solo dire che non mi piace affatto questo titolo, mi fa pena, volevo qualcosa che avesse un suono più dolce, ma ormai…

 

  
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