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Autore: soffio di nebbia    12/07/2016    3 recensioni
A quel tempo la sua vita era diversa.
A quel tempo era solo una giovane donna che coltivava un sogno grande come il mare.
Il buio tra gli spalti era profondo come un abisso. Il silenzio fragile come una farfalla.
Le luci del palco si riflettevano sui lunghi capelli di Senritsu che, dando le spalle alla piccola orchestra, eseguiva il suo concerto.
A quel tempo il suo volto era ancora quello che la natura aveva scolpito per lei. Il suo corpo non aveva ancora conosciuto traumi. Minuta, avvolta nel suo abito migliore, Senritsu sembrava un fiore sbocciato dall’acqua.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Senritsu
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Requiem for a dream


A quel tempo la sua vita era diversa.
A quel tempo era solo una giovane donna che coltivava un sogno grande come il mare.
Il buio tra gli spalti era profondo come un abisso. Il silenzio fragile come una farfalla.
Le luci del palco si riflettevano sui lunghi capelli di Senritsu che, dando le spalle alla piccola orchestra, eseguiva il suo concerto.
A quel tempo il suo volto era ancora quello che la natura aveva scolpito per lei. Il suo corpo non aveva ancora conosciuto traumi. Minuta, avvolta nel suo abito migliore, Senritsu sembrava un fiore sbocciato dall’acqua.
La musica usciva dal flauto concreta ed evanescente come il fumo, e serpeggiando discreta nell’oscurità avvolgeva ogni anima presente tra le sue dolci note.
Un sottofondo di archi e pianoforte accompagnava quella melodia malinconica, un velo di suono delicato come una carezza e seducente come un drappo di seta sulle nudità di una donna.
Le dita di Senritsu si muovevano con naturalezza sui tasti del suo strumento argentato, e lei si lasciava cullare dalla musica come una foglia sospinta dal vento.
In quei momenti Senritsu dimenticava di essere su un palco di fronte ad un pubblico. Restava sola con il suo flauto e la realtà prendeva la consistenza di un sogno. Al tempo stesso aveva l’impressione che il mondo intero fosse in comunione con lei: attraverso la musica faceva risplendere l’universo intero. Attraverso la musica leniva le ferite più dolorose e faceva riscoprire agli uomini il miracolo dell’esistenza. Attraverso la musica, Senritsu sentiva che avrebbe potuto salvare il mondo.
Quando il suono degli strumenti svaniva, il silenzio rimaneva sospeso nell’aria per qualche istante, come a raccogliere i frammenti di un sogno che la luce del mattino non ha ancora cancellato.
Subito dopo il silenzio veniva schiacciato fin troppo brutalmente da una cascata di applausi.

*****

Il suo nome era Hikaru.
Senritsu lo vide per la prima volta durante una serata in cui si sarebbero esibiti gli allievi dei migliori conservatori del paese.
Nascosta dietro le quinte lo aveva visto eseguire un concerto per flauto.
Il suo modo di suonare l’aveva ferita come la lama di un coltello, ma era un dolore dolce come quello che si prova quando si ama qualcuno più di se stessi.
L’accompagnamento dell’orchestra sembrava voler alleviare quel dolore, ma senza successo.
Il giovane solista si aggrappava a quella melodia come se da essa dipendesse la sua stessa vita.
La dominava e la implorava al tempo stesso in un’unione mistica ed impari.
Senritsu si sentì tremare. Fascinazione, inquietudine e sconforto si facevano strada in lei di fronte alla musica di quella figura gentile e maledetta.
L’applauso che seguì la chiusura del brano smorzò la tensione che Senritsu aveva accumulato.
Del tutto ignaro della sua presenza, il ragazzo sorrise inchinandosi al pubblico.
Il suo viso si era improvvisamente rilassato, gli occhi splendevano come se non avessero mai conosciuto ombre.
Senritsu era talmente persa nei suoi pensieri che quasi non si accorse che il giovane stava abbandonando il palco e che lei gli stava bloccando la strada.
«Permesso» disse il ragazzo.
«Oh, scusami» ripose Senritsu, facendosi da parte.
Nel giro di un secondo era già sparito oltre le sue spalle come se non fosse mai esistito.
L’orchestra si preparò al pezzo seguente. Senritsu sospirò e si decise a tornare dagli altri musicisti.
Per la prima volta in vita sua si sentiva nervosa prima di un’esibizione.

*****

«E tu chi diavolo sei?»
Erano queste le prime parole che Hikaru le aveva rivolto.
All’uscita del teatro, a buio era ormai inoltrato, Senritsu si girò e se lo trovò ad un passo di distanza che la fissava con la meraviglia di bambino che ha appena visto un animale rarissimo.
Vedendo che Senritsu era rimasta a bocca aperta senza rispondere, il giovane si scusò.
«Perdonami, non volevo spaventarti. Il mio nome è Hikaru e studio al conservatorio di questa città»
Senritsu continuò a guardarlo per qualche istante senza sapere cosa dire, quasi intimorita dalla sua presenza. Poi cercò di ricomporsi. In fondo era solo un musicista come lei, non c’era motivo di farsi prendere dal panico.
«Io sono Senritsu» si presentò «Piacere di conoscerti»
Hikaru sorrise.
«Ho sentito che sei la migliore flautista del tuo conservatorio. Non me ne stupisco per niente! Ho ascoltato il tuo pezzo e mi hai lasciato senza parole»
Senritsu sorrise gentilmente.
«Potrei dire lo stesso di te»
«Mi stavi ascoltando?»
Quella sera i due parlarono a lungo. Dopo l’insicurezza iniziale, Senritsu cominciò a sentirsi a proprio agio in compagnia di Hikaru. Il ragazzo con cui stava parlando sembrava non avere nulla a che fare con la persona che si era esibita poche ore prima sul palco, come se un’ombra oscura albergasse in lui e si rivelasse soltanto attraverso le note rabbiose e sofferte del suo strumento.
Qualche giorno più tardi, prima che Senritsu partisse per tornare nella sua città, decisero di incontrarsi nuovamente.
Seduti in un bar nei pressi dell’aeroporto, chiacchieravano ormai da qualche minuto.
«Perché hai scelto questa strada? La musica intendo» le chiese ad un certo punto Hikaru, sorseggiando un bicchiere di aranciata.
Senritsu fu colta di sorpresa da quella domanda. A ben rifletterci non sapeva rispondere.
«Per nessuna ragione, credo» disse con un sorriso «La musica ha sempre occupato un posto speciale nella mia vita… magari è una risposta scontata, ma credo sia stata la scelta più naturale che potessi fare»
Anche Hikaru sorrise: «Non è scontato… sono poche le persone che assecondano le proprie passioni fino a farne il centro della propria vita»
Senritsu bevve un sorso di tè.
«Tu invece cosa mi dici? Perché questa scelta?»
«Presumo per lo stesso motivo» rispose Hikaru «Sai, provengo da una famiglia di musicisti, quindi con la musica ci sono cresciuto. Io e mio fratello fantasticavamo insieme sul giorno in cui avremmo girato il mondo suonando. Era un sogno che coltivavamo fin da piccoli»
«Quindi studiate insieme?»
Hikaru fece una pausa. La sua espressione mutò.
«No, mio fratello è morto cinque anni fa» disse
«Oh» Senritsu si sentì in colpa per la sua domanda «Scusa, non lo sapevo…»
Il ragazzo scosse la testa per farle capire di non preoccuparsi.
«È stato trovato a terra insieme al suo strumento» continuò «Un attacco di cuore. Da allora ogni volta che suono mi sembra di tornare indietro a quel giorno, tanto che per un periodo decisi perfino di abbandonare tutto» sospirò, stringendo le proprie mani in una morsa.
«È una fortuna che tu non l’abbia fatto»
«Non potevo… ho sentito che dovevo portare avanti il nostro sogno. Ho sentito che in quel modo l’avrei ritrovato. Ogni volta che il pubblico applaude la mia musica, io mi sento felice… ho l’impressione di essere felice insieme a Kazuki, così si chiamava mio fratello»
Adesso ogni cosa era chiara. Quella musica tanto afflitta, le cui note piovevano addosso a Senritsu come rose piene di spine. Quel senso di sconforto che aveva percepito, e poi il sorriso e la luce che aveva intravisto nei suoi occhi mentre si inchinava di fronte agli spettatori.
Senritsu posò la propria tazza sul tavolino, e il rumore della ceramica risuonò caldo e gentile.
«La tua musica era affilata come un coltello» disse.
Hikaru la guardò attentamente mentre muoveva un dito a mezz’aria come se stesse dirigendo un’orchestra invisibile.
«C’era una tensione crescente, e subito dopo un totale abbandono. Rabbia e dolcezza si univano, come una melodia composta per qualcuno che si ama e si odia al tempo stesso…»
Senritsu si mise a tacere. Un’ombra di inquietudine era passata nello sguardo di Hikaru.
«Perdonami» disse Senritsu, abbassando gli occhi sulle proprie mani «A volte tendo a parlare troppo»
Hikaru non rispose subito, ma dopo un attimo di smarrimento sorrise.
«Muovi sempre le mani in quel modo quando parli?» chiese, imitando la gestualità di Senritsu.
La ragazza sbatté le palpebre.
«Oh… me lo fanno notare in tanti!» rispose ridendo tra sé.
Hikaru finì di svuotare il proprio bicchiere.
«In realtà è come dici tu, almeno in parte. Non odio mio fratello, però non ho mai accettato del tutto la sua scomparsa. Lui non ha nessuna colpa per quello che gli è successo, però è accaduto tutto così improvvisamente che per molto tempo mi sono quasi sentito tradito… capisci quello che voglio dire?»
Senritsu annuì. Le emozioni umane sanno essere parecchio contraddittorie.
Hikaru continuò: «Mio padre non ha permesso a nessuno di vedere il suo corpo, nemmeno a mia madre e a me. Voleva che Kazuki fosse ricordato da vivo»
Rise tristemente.
«Infatti per me è come se fosse ancora vivo… come se fosse soltanto partito per qualche posto ignoto senza dire niente a nessuno. E sento che, se realizzerò il nostro sogno, io lo ritroverò»
Mentre ripercorreva i suoi pensieri, Hikaru teneva lo sguardo fisso sulla superficie marmorea del tavolino. Ad un certo punto, però, alzò i suoi occhi scuri per posarli su quelli di Senritsu.
«Quando ti ho sentita suonare mi è sembrato di risentire lui. Kazuki diceva sempre che la musica ha il potere di curare il cuore delle persone, sia di chi suona, sia di chi ascolta»
Gli occhi di Senritsu brillarono.
«Aveva ragione» disse.
«Io ormai, quando suono, ho l’impressione di sfogarmi e basta» continuò Hikaru.
Il ragazzo fece una pausa, poi scosse la testa e fece qualche movimento con le braccia come per distendere i muscoli.
«Ok, ho parlato fin troppo. Forse ti saranno sembrate un sacco di sciocchezze, scusa se ti ho annoiata… il fatto è che mi ispiri fiducia»
«Non scusarti» rispose Senritsu in modo pacato «Hai fatto bene a parlarne»
Ora che la grave atmosfera di quella conversazione si era alleggerita, anche i rumori di sottofondo dell’ambiente circostante apparivano più vivaci. Il chiacchiericcio dei viaggiatori, unito al rumore di stoviglie e bicchieri che venivano portate da un tavolo all’altro, creava un tappeto di suoni caldi e rassicuranti.
Hikaru rivolse un’ultima occhiata a Senritsu.
«Un giorno mi piacerebbe suonare con te»

*****

Le amicizie che nascono tra le persone possono essere di vario tipo. Ci sono quelle che sono figlie del tempo, in cui ci si scopre giorno per giorno, si condividono esperienze, e spesso passano anni prima che tu cominci a capire che un pezzo del tuo cuore si è consacrato all’altro.
Poi ci sono quelle costruite di istanti rubati, fugaci e potenti come i temporali estivi. Bastano pochi gesti, poche parole scambiate per telefono, perché il legame che esiste tra gli amici si rinnovi sfidando i confini del tempo e dello spazio.
L’amicizia che si era instaurata tra Senritsu e Hikaru era sicuramente di questo secondo tipo.
Fin dalla prima volta che si erano parlati avevano percepito qualcosa l’uno nell’altra che aveva dato loro l’impressione di conoscersi da sempre.
Senritsu credeva nel destino, per questo, anche dopo che aveva lasciato la città, era convinta che le loro strade si sarebbero di nuovo incontrate.
E così accadde.
Gli anni passavano, e nonostante una grande distanza li separasse, i due non perdevano occasione per incontrarsi ogni volta che potevano e ben presto cominciarono a comporre dei pezzi da suonare insieme.
Con il tempo la musica di Hikaru era cambiata. Il cuore del ragazzo sembrava essersi alleggerito e le note che suonava avevano abbandonato ogni sfumatura di disperazione per lasciare spazio a sentimenti più sereni e luminosi.
«Ormai sei una sorella per me» aveva detto una volta Hikaru, sorridendo a Senritsu «Kazuki sarebbe felice di saperti al mio fianco»
Il futuro era pieno di promesse, e Hikaru aveva appena iniziato a raccoglierne i frutti.
A volte, però, i demoni del passato continuano a perseguitarti anche quando credi di essertene liberato per sempre. Arrivati a quel punto sta a te decidere se dar loro il colpo di grazia o se, al contrario, lasciarti trascinare definitivamente all’inferno.
Il momento della verità, per Hikaru, arrivò in una notte d’autunno.
Lui e Senritsu si erano da poco esibiti in un importante teatro di York Shin City.
Quello era forse il primo vero concerto “importante” della loro vita.
Hikaru era euforico.
I due avevano appena fatto ritorno all’albergo in cui alloggiavano quando il ragazzo esplose in un grido trionfale.
«Ce l’abbiamo fatta!» esclamò gettandosi al collo di Senritsu «Siamo stati fantastici! Il pubblico era entusiasta!»
Senritsu tratteneva a stento le lacrime: «Ancora non mi sembra vero!»
«Invece è tutto vero! E non è che l’inizio»
I due rimasero stretti l’uno all’altra per alcuni istanti, ad un certo punto, però, Hikaru cominciò a tremare e il suo respiro si fece più marcato, quasi rabbioso.
Senritsu lo guardò preoccupata.
«Che ti succede?» domandò.
«Nulla…» rispose Hikaru in modo sbrigativo «Assolutamente nulla»
Quel suo atteggiamento persisteva ormai da quando si erano rincontrati per preparare il concerto, e Senritsu non sapeva come comportarsi. Una specie di sottile barriera si era improvvisamente creata tra di loro senza che lei riuscisse a trovarne una ragione. Inoltre, quel che più preoccupava Senritsu, era il fatto che la musica di Hikaru era tornata ad essere tormentata come quando l’aveva conosciuto, come se un invisibile turbamento fosse riemerso dal suo inconscio.
«Dai, vediamo di festeggiare» disse ad un certo punto Hikaru. Recuperò un paio di bicchieri e si avvicinò al frigobar per tirar fuori una bottiglia di vodka che aveva comprato quella mattina.
Dopo un attimo, tuttavia, si bloccò, come colto da un ripensamento.
«No, festeggiamo come si deve» disse tra sé. Mise da parte i bicchieri e prese invece una seconda bottiglia. Passò una delle bottiglie a Senritsu e tenne l’altra per sé. La ragazza lo guardò mentre si sedeva pesantemente sul letto cominciando quasi subito a bere.
«Che fai? Non bevi?» disse il ragazzo concentrandosi nuovamente su di lei.
Senritsu non era abituata a bere, così non appena provò un sorso cominciò a tossire sentendosi bruciare la gola.
Hikaru prese a ridacchiare.
«Si vede che sei proprio una “brava ragazza”» disse con un piccolo ghigno.
Senritsu mise da parte la propria bottiglia, non sapendo come reagire a quell’atteggiamento tutto nuovo da parte dell’amico.
Hikaru bevve ancora. Subito dopo versò parte del contenuto della bottiglia sulla moquette della stanza.
«Kazuki, questo è per te!» esclamò volgendo lo sguardo al soffitto.
Hikaru stava perdendo la testa.
«Si può sapere che ti succede?» Senritsu alzò la voce. Era esasperata. La gente diceva spesso di ammirare la sua capacità di rapportarsi con il prossimo anche nei momenti più critici, ma in tutta la sua vita non le era ancora capitato di trovarsi faccia a faccia con una persona che stava chiaramente perdendo il controllo di sé, e lei si sentiva smarrita.
«Qual è il problema?» rispose Hikaru, infastidito «Sto solo festeggiando con mio fratello, in fondo suonare in quel teatro era il nostro sogno!»
Ora Senritsu cominciava a capire.
«Che succede a te casomai!» continuò il ragazzo sulla difensiva «Non sei forse felice?»
L’espressione di Senritsu si intristì.
«Sarei felice, se anche tu lo fossi» disse.
Hikaru la fissò per qualche istante senza rispondere.
«Non ho motivo di essere felice» disse duramente.
Senritsu abbassò il capo, sconsolata. Un istante più tardi, però, una scintilla brillò nei suoi occhi.
Si mosse in direzione di Hikaru, e prima ancora che questi potesse rendersi conto delle sue intenzioni, lo schiaffeggiò.
«La vuoi finire per una buona volta di atteggiarti ad artista maledetto? Pensi che Kazuki sarebbe felice di vederti ridotto in questo stato?»
Hikaru era rimasto stordito dall’improvviso gesto di Senritsu e i suoi occhi, resi languidi dall’alcol, erano rimasti a fissare il pavimento davanti ai suoi piedi.
Senritsu ne approfittò sottrargli la bottiglia di vodka e la andò a svuotare nel lavandino del bagno insieme all’altra, rimasta piena.
Quando fece ritorno nell’altra stanza, Hikaru era nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato.
Senritsu si abbandonò su una sedia mettendosi le mani tra i capelli.
«Mio padre sta diventando pazzo» mormorò ad un certo punto il ragazzo.
Senritsu sollevò lo sguardo su di lui. Hikaru teneva la testa inclinata di lato guardando il vuoto.
«Pazzo?» domandò.
Hikaru sorrise senza allegria.
«Per lui non è stato un infarto ad uccidere Kazuki»
Senritsu guardò il suo interlocutore studiandone ogni movimento.
«E per cosa sarebbe morto?» chiese.
Hikaru non rispose. Invece si alzò e si diresse leggermente barcollante verso la valigia che aveva riposto in un angolo della stanza. Dopo averci rovistato un po’, ne tirò fuori alcune carte ingiallite.
Le porse a Senritsu. Quest’ultima, dopo aver seguito con lo sguardo Hikaru che si sedeva nuovamente sul bordo del letto, posò gli occhi sui fogli tra le sue mani.
Erano uno spartito.
Il titolo della composizione era stato vergato a caratteri eleganti sulla cima di ogni foglio:
La sonata delle tenebre.
«Cos’è?» chiese Senritsu.
Hikaru si guardò intorno, probabilmente alla ricerca delle bottiglie di cui la ragazza si era già sbarazzata.
«Un pezzo dell’eredità della mia famiglia. Me l’ha dato mia madre in occasione del concerto di stasera… pare sia il pezzo che stava suonando Kazuki quando morì. Si dice che sia stato composto dal diavolo in persona»
Hikaru ridacchiò tra sé.
«Ironico, vero?»
Senritsu non rise. Tornò con lo sguardo sulle pagine di quella composizione. I fogli sembravano molto datati, probabilmente si trattava di un manoscritto di un’epoca lontana.
«Quando mio padre si è accorto che mia madre me lo stava consegnando ha perso la testa» riprese Hikaru «Ha cominciato a dire che questa partitura è maledetta e che mio fratello è morto a causa sua»
La sua voce si faceva sempre più stanca, come vinta dallo sconforto.
Senritsu ascoltava le sue parole, contagiata dalla medesima tristezza.
Hikaru continuò a parlare: «Quando si è accorto che sia io che mia madre lo guardavamo come un folle, ha rincarato la dose… ha detto che il corpo di Kazuki è stato reso irriconoscibile dalla maledizione, e in realtà è per questo che non ci ha voluto mostrare il corpo»
Mentre osservava Hikaru, Senritsu si sentiva tremare da capo a piedi. Ormai la tensione nella stanza era diventata tangibile.
Poi, di colpo, Hikaru cominciò a piangere.
«Ci credi?» disse «Per calmare mio padre ho dovuto giurargli di non provare mai a suonare questo pezzo, per nessuna ragione al mondo!»
Senritsu non aveva mai visto Hikaru versare una sola lacrima, per questo quando lo vide piangere davanti ai suoi occhi sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi.
Per cosa stava piangendo? Perché temeva per la sanità mentale di suo padre o perché lui stesso, per quanto si sforzasse di essere razionale, credeva alle sue parole?
«È solo una leggenda» disse Senritsu a bassa voce «Ne girano tante di questo tipo, non è certo stata questa partitura ad uccidere tuo fratello»
Hikaru si alzò di colpo dal letto. Si diresse verso la finestra e rimase con lo sguardo fisso oltre i vetri che davano sulla strada illuminata dalle luci della città.
«Che sia vero o no, ormai non mi importa. Mio fratello è morto comunque» rispose.
«Però…» aggiunse «Se questa storia fosse vera e Kazuki ne fosse stato al corrente, dovrei odiarlo… perché lui sapeva tutto, e ha deciso comunque di rischiare»
Dopo qualche istante di silenzio, Hikaru sembrò riscuotersi da uno stato di torpore.
Con un’espressione apparentemente neutra andò all’ingresso dove aveva lasciato la custodia del suo flauto. La aprì e, con movimenti ancora un po’ impacciati a causa dell’alcol, ricompose insieme le varie parti dello strumento.
Senritsu aveva già capito le sue intenzioni.
«Dimentica quella partitura» lo supplicò.
«Hai paura che mi succeda qualcosa? Non hai detto che è solo una leggenda?» replicò Hikaru.
«Non è questo» rispose Senritsu «È solo che non dovresti distruggere la tua vita rimanendo ancorato al passato. Kazuki non vorrebbe»
«La mia vita è già distrutta» fu la risposta «E smettila di nominare Kazuki a sproposito!»
Il silenzio cadde sulla stanza come una cortina di nebbia.
«Questo sarà il suo requiem» sussurrò Hikaru «O la strada che mi riporterà a lui»
Poi si spostò verso il centro con andatura tranquilla. Chiuse gli occhi e avvicinò le labbra al suo strumento.
«Per te, Kazuki» disse «Per i nostri sogni»

*****

Quando i soccorsi avevano fatto irruzione nella camera, Senritsu era stata trovata priva di sensi accanto ad un corpo senza vita martoriato da ferite disumane.
Il ricordo di quanto era accaduto era annebbiato, come se appartenesse ad una vita passata.
Quando Hikaru aveva cominciato a suonare nulla sembrava essere mutato, ma dopo meno di un minuto quel luogo si era trasformato nell’anticamera dell’inferno.
Una musica iraconda aveva riempito la stanza, bellissima e pericolosa come una tela di ragno al chiaro di luna.
Senritsu aveva cominciato a stare male. Un calore troppo forte aveva avvolto il suo corpo e presto la realtà si era fatta confusa. Si era portata le mani alle orecchie cercando di non sentire più nulla, ma era stato inutile. I suoni, seppur ovattati, avevano continuato a schiacciarla.
Allora Senritsu aveva alzato gli occhi su Hikaru e lo aveva supplicato di smettere, ma il ragazzo aveva continuato imperterrito a suonare, come posseduto. Il suo volto era ormai irriconoscibile. Il suo sguardo era spiritato e pieno di strazio.
Era l’ultima cosa che Senritsu aveva visto prima che la realtà si spegnesse.
Quando aveva ripreso i sensi si era ritrovata sola in una stanza d’ospedale.
Ora il rumore dei macchinari che monitoravano i suoi parametri vitali era l’unico suono udibile.
Senritsu si sentiva confusa, come se si fosse appena risvegliata dalla morte.
Fece vagare lo sguardo attorno a sé alla ricerca di qualcosa di familiare, ma non riconobbe nulla.
Per un attimo il volto martoriato di Hikaru riapparve nella sua mente gridando qualcosa di indecifrabile.
Alla fine ogni cosa era andata come il ragazzo aveva previsto. Aveva realizzato il suo sogno, e nel realizzarlo aveva avuto la possibilità di ritrovare suo fratello… nessuno però avrebbe potuto immaginare che l’avrebbe ritrovato in quel modo.
Senritsu si mise a sedere sul lettino. Nel farlo, per un attimo, venne colta da un forte dolore alle tempie.
La parete di fronte a lei era stata coperta da un lenzuolo. Per qualche motivo la ragazza intuì quasi subito la ragione di quella scelta. Tuttavia, nel realizzarlo non ebbe alcuna reazione. In quel momento nulla sembrava toccarla.
Si alzò dal letto e si avvicinò alla parete togliendo il telo, decisa ad affrontare la realtà tutta insieme.
Quando il lenzuolo cadde sul pavimento, però, Senritsu si rese conto di non essere abbastanza pronta a quel che vide. Posò il palmo della mano sulla superficie dello specchio dinanzi a lei come a sincerarsi che si trattasse veramente del suo riflesso.
Nulla sembrava essere rimasto del suo vero volto, nulla che potesse ricordare la persona che era fino a poche ore prima.
Senritsu rimase per parecchio tempo a contemplare il riflesso con cui avrebbe dovuto convivere per il resto della sua vita.
Ad un certo punto serrò gli occhi per il fastidio. Le sue orecchie avevano cominciato a fischiare.
Un brusio confuso si fece strada nella sua testa senza che lei potesse fare nulla per cacciarlo via. Senritsu si portò le mani alle orecchie sperando che tutto tornasse silenzioso quanto prima. Ma non accadde nulla del genere. Invece, lentamente, i suoni si fecero più distinti: voci che si sovrapponevano, rumori di passi, telefoni che squillavano, fruscio di vestiti, battiti di cuore…
Suoni che rappresentavano la sinfonia di chiusura di una vita appena iniziata, e il preludio di una nuova esistenza lontana dai frammenti dei vecchi sogni.

Maggio 2013

 

Note:
Nuovamente, una vecchia storia che avevo pubblicato tempo fa prima di eclissarmi del tutto, scusatemi per eventuali dejà-vu!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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