ZPD.
Zootopia
Police Department.
Lo
scudo della società, la sua difesa.
Integrità,
Fiducia, Coraggio, recitava il suo motto, inciso su ogni distintivo.
Il
corpo di polizia di Zootopia credeva fin nel fondo del cuore a quel
precetto e tutti i suoi componenti lavoravano anima e corpo per
proteggere i cittadini.
Però,
c'era un però.
Dopo
l'entrata in vigore dei collari elettronici, vent'anni prima, un
profondo cambiamento era avvenuto in tutta la città e
immancabilmente anche nella polizia: molte, se non tutte, le cariche
importanti che prima erano ricoperte da predatori, erano state prese
dalle prede in maniera quasi naturale e obbligata; nessuno voleva
più
un sindaco o un poliziotto o un avvocato o un dottore predatore, la
fiducia era andata via via scemando ed era stata sostituita da
diffidenza e discriminazione, anche troppo velocemente.
E
tra i poliziotti serpeggiavano gli stessi pregiudizi, purtroppo.
Gli
elefanti, le giraffe, gli ippopotami, i bufali, i rinoceronti che ne
facevano parte, pensavano fosse loro compito proteggere le prede
dalle malefatte dei predatori; ecco perché per la maggior
parte
erano prede di grande taglia e stazza, adatti a contrastare
l'aggressività e l'irruenza degli indisciplinati predatori.
Ed
ecco perché una come Judy Hopps non era il classico
poliziotto.
Piccola,
esile, insignificante.
Judy
Hopps era un coniglio, il primo coniglio a far parte del corpo di
polizia di Zootopia, entrata in servizio alla centrale del primo
distretto nemmeno sei mesi prima: in quell'esiguo lasso di tempo
aveva dovuto fare del suo meglio, tutto il suo meglio, per poter
essere considerata alla pari dei suoi mastodontici colleghi.
Aveva
risolto da sola un complotto contro una banca, tre rapine, un
sequestro di gazzella e una sparatoria in centro. Da sola, tutto da
sola. Aveva lavorato
dando il
quadruplo di quanto si impegnassero gli altri, ottenendo lo stesso
livello di rispetto, per lo meno.
E
quello che si diceva su di lei non la sfiorava davvero.
Quella
mattina era arrivata in centrale presto come suo solito, inosservata:
si era seduta alla sua scrivania e ci aveva passato ore in perfetto
silenzio, intenta nel suo lavoro per quella giornata, -compilare i
fascicoli degli ultimi casi risolti,- sapendo benissimo che nessuno
l'avrebbe disturbata, che non ci sarebbero stati colleghi invadenti
in vena di chiacchiere e con una tazza di caffè in omaggio.
Non
succedeva mai, a lei.
Verso
l'ora di pranzo decise di desiderare davvero una pausa, in fin dei
conti, e si gettò giù dalla sedia, diretta verso
la macchinetta
nell'atrio, a passo spedito ed evitando di incrociare lo sguardo con
chiunque. D'altronde era quello che facevano anche gli altri.
Nessuno
voleva iniziare una discussione con “Hopps il poliziotto di
ferro”,
“senza anima Hopps” o “l'intransigente
Hopps”.
Li
aveva sentiti i suoi soprannomi, ben più di una volta,
quando i suoi
colleghi pensavano che lei non li sentisse; e se anche l'avevano
ferita, non l'aveva mai mostrato a nessuno.
Il
loro parere non le interessava, si ripeteva, e metteva tutta la sua
concentrazione nel lavoro, lasciando quelle piccole scaramucce nel
dimenticatoio nel fondo della sua mente.
Amava
il suo lavoro, amava essere una poliziotta, e nessuno avrebbe
distrutto quel sogno.
Finì
di bere il suo caffè di tarassaco e gettò la
tazzina di carta nel
cestino. Ripercorse in fretta il tragitto per la sua scrivania,
già
con la testa concentrata sulle prove da catalogare per-
“Hopps!”
urlò la voce del capitano Bogo, dalla balaustra in vetro del
piano
superiore, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Judy
sollevò il viso e guardò il suo capo con
un'espressione stupita:
quando Bogo usava quel tono secco, o c'era un problema o lei aveva un
problema. Ripensò in fretta a cosa potesse avere combinato
per
suscitare l'irritazione del suo superiore, ma niente le
saltò alla
memoria.
Sfilò
nel corridoio sotto gli occhi di tutti, diretta verso l'ufficio del
capo.
Il
capitano era seduto dietro la bella e grande scrivania e le
indicò
la sedia di fronte a sé, quando lei entrò; Judy
ci saltò su a
piedi uniti e si sedette composta, navigando in quella sedia troppo
grande.
Silenzio.
Bogo
occhieggiava dei fascicoli con aria preoccupata e Judy si chiese se
non avesse dimenticato qualcosa negli ultimi che gli aveva
consegnato.
“Signore,
i rapporti del caso-” provò a dire, prima che la
zampa del bufalo
scattasse in aria, mettendola a tacere con sussiego.
Judy
si afflosciò sulla sedia, in attesa che fosse lui a dirle
cosa non
andasse e perché l'avesse richiamata lì.
Il capitano controllò ancora un paio di
fogli, poi esalò un sospiro tetro e
richiuse la cartellina. Infine sollevò lo sguardo e lo
fissò su di
lei.
“Hopps”
disse, lentamente, “abbiamo un problema.”
Le
orecchie grigie della coniglietta schizzarono in aria, per il tono
preoccupato. Bogo non era un poliziotto da allarmismi, se definiva
una situazione “problema”, allora lo era.
“Siamo
stati assaliti dai giornalisti” spiegò,
stancamente.
Si
accorse solo in quel momento delle occhiaie del suo capo e si
chiese da quanto tempo fosse in piedi e da quanto in servizio, ma non
osò domandarglielo. Tuttavia la notizia non le era sembrata
così
allarmante come l'aveva dipinta lui e attese altre informazioni prima
di intervenire.
“Qualcuno
ha fatto una soffiata sul caso Wilde e non c'è un
giornalista in
città che non voglia notizie fresche di prima
mano” continuò
Bogo, spingendo verso di lei il fascicolo che aveva prima guardato
con così tanta ossessione.
Era
una cartellina gialla e sopra vi era scritto proprio il nome che il
suo capitano aveva citato: Wilde.
La
aprì e sfogliò nel silenzio, velocemente, gli
occhioni viola che
scivolavano in fretta per le pagine, estrapolando le informazioni che
le interessavano e scartando tutto il superfluo resto. Era una cosa
in cui era estremamente brava.
Parco di divertimenti per
predatori. Collari disattivati. Istinti liberi e sollecitati.
Omicidio.
Girò
il foglio successivo e si
trovò davanti al muso la foto di una volpe, maschio, sui
trent'anni
di età, con il numero di incarcerazione tra le zampe: gli
occhi
verdi erano spalancati e il pelo rosso arruffato attorno ai polsi.
Nicholas P. Wilde. Il sospettato
principale. L'unico, a dire il vero.
Lo osservò attentamente,
imprimendosi i dettagli nella mente, cercando in lui un segno di
quella sottaciuta cattiveria che sapeva vedere negli altri, ma non le
parve di scorgere nulla se non paura.
La pagina
seguente le gelò il
sangue nelle vene e nello stesso momento le cancellò
qualsiasi
empatia avesse provato verso il muso di volpe pochi istanti prima: il
referto dell'autopsia rivelava la causa della morte del
caribù,
correlato con vivide e dettagliatissime foto.
Anche troppo dettagliate per il
suo stomaco.
Morte per ripetuti e violenti
fendenti, dodici per la precisione, che avevano portato la vittima a
dissanguarsi in pochi istanti, probabilmente molto dolorosamente.
Come qualcuno potesse essersi
accanito così ferocemente su un altro essere vivente, le
sfuggiva
alla comprensione. Sembrava non esserci nessun collegamento tra il
signor Rangi Tarandus, la vittima, e quel Wilde, ma l'omicidio era
avvenuto nella proprietà della volpe, non c'erano molte
alternative
o altre piste valide come quella.
E
finalmente capì perché i
giornalisti avevano invaso la centrale a quella soffiata e cosa
avrebbe comportato per loro.
Un predatore che uccideva una
preda, aiutato dalla disattivazione del proprio collare, in un parco
a tema solo per predatori, in cui i loro istinti erano liberi e
accentuati: perfino il peggior giornalista della città,
quello che
scriveva i pettegolezzi del rione, ne avrebbe tirato fuori un pezzo
esplosivo, con quelle premesse.
Si rischiava di causare uno
scisma ancora più evidente tra predatori e prede,
probabilmente una
rivolta, prese di posizione contro i predatori che avrebbero portato
a gravi conseguenze.
Dovevano essere cauti per non
fomentare la folla e non causare isterismi, a nemmeno due giorni di
distanza dalle celebrazioni per i vent'anni del mandato del Sindaco
Bellwether; non avrebbe voluto essere nei panni del capitano, in
effetti.
Ma se l'aveva chiamata lì, un
motivo doveva esserci.
“Vuole
che parli io coi
giornalisti” provò ad indovinare, chiudendo infine
il fascicolo.
Bogo l'aveva osservata per tutto il tempo, indovinando i suoi
pensieri via via che leggeva.
“No,
Hopps, volevo solo un tuo
parere” rivelò lui, spiazzandola. Positivamente.
Si era data tanto da fare,
davvero tanto da non aver quasi riposato, e vedere il suo lavoro
ripagato, vedere che perfino il capitano si fidasse di lei e del suo
giudizio, le accendeva una scintilla di orgoglio nel cuore.
“Il
fatto è... che io non
credo Wilde sia colpevole” rivelò il capitano
sottovoce, come
fosse un segreto inconfessabile.
“Ma...
le prove! La vittima
nella sua proprietà, nel suo ufficio! Come può
pensare che non sia
colpevole?” insorse la coniglietta, saltando sulla sedia con
le
zampe dalla foga.
Si accorse dopo qualche secondo
di silenzio di aver alzato decisamente troppo la voce e si
ridimensionò sotto lo sguardo tetro, eppure quieto, del suo
superiore, che non aveva mosso un muscolo.
“Le...
le prove” mormorò,
di nuovo. “Perché pensa che Wilde non sia
colpevole?”
“Istinto”
fu la secca
risposta che ricevette.
“Con
tutto il rispetto,
signore, l'istinto non reggerà in tribunale, né
scarcererà il
sospettato. Dovrebbe anche provare che il suo istinto ha
fondamento.”
Bogo sbuffò per quella sua
indisciplinata saccenza, ma ovviamente era d'accordo con lei.
Però
avrebbero dovuto passargli sopra prima che lo ammettesse a voce alta.
“Per
questo ti ho chiamata. Ti
affido al caso Wilde, agente Hopps. Lavorerai con Trunkaby e Higgins
e indagherai ogni pista senza fermarti alle apparenze. So che sei
capace di farlo.”
Judy scattò sull'attenti, seria
e impettita, le orecchie svettanti al cielo per la concentrazione.
Quello che il capo aveva inteso, e sotto-inteso, era un lavoro di
fiducia e responsabilità non indifferente, in cui
probabilmente si
sarebbe scontrata con i pareri dei suoi colleghi, contro molti muri
impenetrabili e vicoli ciechi.
Il genere di indagine che le
faceva fremere il naso dall'eccitazione.
“Sissignore!”
rispose,
trattenendo a stento un ghigno a quella sfida.
“Bene”
concluse soddisfatto
Bogo, più rilassato. “Io rilascerò un
intervista tra poco, in cui
dirò niente, facendo credere di dire tutto.”
Judy stirò le labbra in un
rapido sorriso, prima di congedarsi formalmente e saltare
giù dalla
sedia. Era arrivata alla porta, quando le arrivò la voce del
capitano:
“Trunkaby
e Higgins hanno già
i fascicoli del caso e li ho avvisati che ci sarai anche tu in
squadra. Cerca di andare d'accordo con loro, Hopps.”
La coniglietta afflosciò le
orecchie, e rispose con un ben più mesto
“sissignore”, prima di
richiudersi la porta alle spalle e incamminarsi verso le scrivanie
dei suoi colleghi.
Trunkaby
era un elefante e
Higgins un ippopotamo, che facevano coppia in pattuglia da almeno
cinque anni: erano affiatatissimi e si fidavano ciecamente uno
dell'altro, e ovviamente non vedevano di buon occhio intromissioni di
altri poliziotti. Men che meno il suo.
Sospirò rumorosamente, vedendo
già in lontananza le loro grosse zampe attorno alla
scrivania di
Higgins, i due intenti a chiacchierare con una tazza di
caffè nella
zampa di uno e una ciambella in quella dell'altro. Ridacchiavano a
bocca aperta, dicendosi chissà cosa.
Judy si fermò proprio sotto di
loro e li salutò con un risicato buon giorno.
Come se non l'avessero sentita,
i due continuarono a parlottare tra loro, di proposito o in buona
fede. Judy tossì vistosamente e ripeté il saluto,
a voce più
elevata, le orecchie al cielo, forse per sembrare più
minacciosa e
alta anche lei.
Trunkaby
ammutolì e guardò
verso il basso, proprio sotto la sua proboscide, la piccola
coniglietta minacciosa. Judy Hopps non si rendeva nemmeno conto di
apparire sempre arrabbiata, agli occhi degli altri.
“Il
caso Wilde. Il capitano me
l'ha affidato assieme a voi. Da dove iniziamo?”
esclamò a voce
alta e imperiosa.
Higgins rollò gli occhi al
cielo e appoggiò la tazza di caffè alla scrivania.
“Non
c'è niente da iniziare.
È colpevole. Le prove sono tutte contro di lui. Tieni,
controlla”
disse, lanciandole il fascicolo tra le zampe con fare annoiato.
“Il
suo avvocato arriverà tra
poco. Se qualcuno degli avvocati d'ufficio se la sentirà di
provare
a difenderlo” aggiunse Trunkaby, ridacchiando.
Judy era combattuta. Quel Wilde
era un predatore, era molto probabile che fosse lui il colpevole, ma
condannare qualcuno a prescindere non era sbagliato?
Fece per
aprire bocca per
ribattere, ma uno spaventoso urlo e una sirena echeggiarono in
contemporanea nella centrale: le orecchie di tutti rizzarono subito
in alto in allarme e il naso della coniglietta fremette.
“Evasione!
Evasione in atto!”
urlava ancora la voce, che riconobbero come quella dell'agente Yax,
il sin troppo disteso secondino che si occupava dei sospettati
trattenuti.
Tutti gli agenti corsero verso
le celle, ma Judy, piccola e agile, scivolò tra le zampe e
arrivò
per prima, davanti a una di quelle vuote, aperta, dove l'allampanato
Yak si stava disperando, fissando il water come se gli avesse fatto
un torto.
“Che
succede?” tuonò la
voce di Bogo, accorso alle grida. La folla si scisse per permettergli
di passare.
“Il
sospettato Wilde, signore.
Si è... si è...” tentennò
Yax sotto lo sguardo severo del
capitano. “Si è scaricato nel water!”
“Cosa?”
“È
una cella per grandi mammiferi, tutto è enorme e lui... si
è
scaricato nel water.”
“Voglio
tutti gli agenti immediatamente nelle fogne! Fermate qualsia-”
Judy
aveva smesso di ascoltare il capitano molto prima e si era fiondata
in fretta verso l'angolo del secondino, frugando tra le attrezzature
per le emergenze: prese soddisfatta la larga tuta usa e getta per i
rilevamenti e ci si fiondò dentro a zampe unite e
tirò su la zip;
quello che gli altri videro fu un fagotto bianco e molle che correva
verso la cella a tutta velocità, le lunghe maniche che
sventolavano
pazzamente all'indietro: lo osservarono saltare oltre il bordo del
water e udirono lo sciacquettio dell'acqua all'interno.
“Scaricatemi”
esclamò la coniglietta, la voce attutita dalla stoffa.
“Hopps!
Non ti azzardare a farlo” la riprese Bogo.
“Scaricatemi!”
ordinò Judy, allungando la sua stessa zampa per arrivare al
pulsante
da sola.
Yax si accorse del suo sforzo e
lo premette per lei; lo scroscio dell'acqua invase ogni spazio e lo
scarico ingollò la piccola coniglietta tutta intera, poi
placidamente rimase stagnante, osservata da tutti i poliziotti nella
cella, in religioso silenzio.
“YAX!”
scoppiò Bogo, fuori
di sé.
“E
voi cosa fate lì impalati?
Correte all'inseguimento! Cercate Hopps! E cercate Wilde! Via,
via!”
Con veemenza tutti i mammiferi
partirono al trotto, facendo tremare il pavimento sotto la loro
importante mole, lasciando il capitano nella cella.
Il bufalo si voltò verso il
secondino, che in silenzio provava a infilare una zampa nel water,
forzandola per passarci. Lo Yak si accorse dello sguardo sorpreso e
seccato di Bogo e si interruppe con la gamba a mezz'aria.
“Pensavo
di scaricarmi anche
io, per fare prima” mormorò, svagatamente.
Judy
atterrò nella melma, dopo
una scivolata infinita giù per le tubature.
La sporcizia e il tanfo la
circondavano e la tuta che si era messa per proteggersi non era poi
così “protettiva” come aveva immaginato;
iniziò a respirare con
la bocca, il suo naso era troppo offeso dall'odore per collaborare.
Era tutto buio e nero lì sotto,
ma aveva dalla sua un udito fino come alleato.
Tese le
orecchie in alto,
attenta ad ogni suono. Iniziò subito a riconoscere lo
scroscio di
alcune tubature e il fischio assordante di una valvola fuori fase e
il cigolio dei tubi sotto pressione: non appena si fu abituata a
tutto quel ritmico fracasso, fu facile riconoscere la nota stonata.
Il rumore acquoso di passi che si allontanavano.
Scattò all'inseguimento senza
pensarci due volte, le orecchie come radar sensibili che le
indicavano la giusta via.
Nick stava
correndo nemmeno
avesse la morte alle calcagna, usando la sua vista notturna per
orientarsi nel dedalo di gallerie delle fogne, immerse nella cieca
penombra; voleva uscire da lì al più presto, ma
non se la sentiva
di sbucare in pieno centro da uno dei tombini.
Doveva mettere quanta più
distanza possibile dalla centrale di polizia, prima che riuscissero
ad organizzarsi per seguirlo.
Scaricarsi dal water era stata
un'idea geniale, senza essere modesto. Non una delle migliori, ma di
certo geniale.
L'espressione dello Yak era
stata impagabile, quando si era lasciato andare giù.
Avevano forse creduto che
sarebbe rimasto lì a farsi condannare per qualcosa che non
aveva
commesso? Un omicida, lui, Nicholas Wilde? Era ridicolo.
Era ovvio che qualcuno lo avesse
incastrato e toccava a lui scoprire chi fosse stato.
Era immerso
nei suoi pensieri, e
anche in quelli geografici mentre pensava da quale tombino sarebbe
stato meglio uscire, quando si accorse di qualcosa di strano. Un
rumore cadenzato che prima non c'era.
Alle sue spalle.
Si voltò e intravvide un
fagotto bianchiccio che oscillava da una parte all'altra mentre si
avvicinava velocemente, con lunghi arti che sventolavano
grottescamente e mollemente all'indietro.
Non rimase lì per chiedergli
che diamine fosse, se un mostro o un fantasma, ma con un urlo si
fiondò invece in avanti, correndo ancora più
forte di prima.
“In
nome della legge ti ordino
di fermarti!” gridò il mostro, con una strana voce
camuffata.
Il fatto che fosse una creatura
apparentemente affiliata con la polizia non lo rincuorò
affatto,
anzi; non si girò a controllare a quanta distanza fosse e
prese a
zigzagare per i cunicoli, sperando di perderlo in fretta.
“Fermati!
Sei in arresto!”
gridava a più riprese il suo inseguitore, senza arrendersi.
Sempre più vicino.
Nick
occhieggiò una via di
scampo a pochi metri da sé: saltò con foga e si
attaccò alla
scaletta e vi salì freneticamente; sbatté la
testa contro la lastra
di metallo, per la fretta, e con un'imprecazione tra i denti si
sbrigò ad aprire il tombino.
Uscì all'aria aperta, fresca,
deliziosa, profumata perfino. Ma non restò lì
immobile a godersela:
saltò fuori e lanciò il tombino al suolo,
spaventando una piccola
gazzella che passava lì vicino per il gran fragore.
Poi corse via per le strade
gremite, incurante degli sguardi dei passanti e delle espressioni di
disgusto per l'odore che emanava.
“Fermati
in nome della legge!”
sentì di nuovo, questa volta più nitidamente.
Si voltò per controllare e vide
il fagotto bianco di prima che, issatosi dal tombino, si era aperto a
metà rivelando la piccola coniglietta al suo interno. Dal
cipiglio
minaccioso.
Per un secondo, gli occhi viola
e quelli verdi si incontrarono.
“Fermo,
Wilde!”
Nick non ci
pensò nemmeno e
schizzò via saltando piccole famiglie di lemmings e
scivolando sotto
le zampe di una giraffa.
Tutta la zona, perfino il
traffico, sembrava essersi congelata per assistere all'inseguimento
in diretta. Una volpe inseguita da una coniglietta.
Nick sapeva di doverla
distanziare e più in fretta possibile. Non che quella
piccoletta
fosse una minaccia, in fin dei conti, ma era pur sempre una
poliziotta e per quello che ne sapeva, poteva anche aver richiamato i
rinforzi e segnalato la sua posizione.
“Via,
spostatevi!” gridò
gesticolando, verso i piccoli topolini che affollavano il piccolo
arco d'entrata di Little Rodentia.
Piccoli squittii di paura
riempirono l'aria mentre quelli cercavano di scappare con un fuggi
fuggi scomposto.
Nick
scivolò sotto la volta in
pietra ed entrò nel piccolo e recintato quartiere di
roditori, dove
tutto era piccolo, estremamente piccolo; perfino lui, una volpe, si
sentiva come un gigante.
Fece la gimcana tra i palazzi
alti praticamente quanto lui e per le viuzze strette tanto da dover
trattenere il fiato per passarci attraverso: gli strilli dei topolini
mentre passava e faceva tremare la terra sotto i suoi passi erano
troppo flebili perché riuscisse a sentirli, ma si scusava lo
stesso
a ripetizione, davvero contrito.
“Mi
spiace, scusate, mi scusi,
sono dispiaciuto!”
“Fermo,
criminale!”
La
coniglietta si era infilata
anche lei in Little Rodentia e gli era a pochi passi di distanza,
caparbia fino al midollo. Caricava come un piccolo rinoceronte in
carica, evitando gli ostacoli e i minuscoli civili con maestria,
molto più facilitata rispetto a lui.
La volpe trattenne il fiato e si
infilò in una stretta stradina tra due palazzi, spingendosi
sempre
più a fondo; poi rimase in silenzio, con le orecchie tese
per
ascoltare, sperando che la sua inseguitrice avesse perso le sue
tracce.
La sentì passare proprio
davanti al suo nascondiglio e sorpassarlo senza nessuna idea che lui
fosse lì. Sogghignò leggermente, già
praticamente certo di averla
fatta franca, e con l'idea di poter uscire al più presto da
lì e
raggiungere Finnick.
Un
tintinnio metallico scattò
nell'aria e qualcosa iniziò a trascinarlo via dal suo
rifugio,
dall'altra parte, tirandolo per il braccio: raschiò il muso
contro
il muro del palazzo e decise di uscire fuori di sua spontanea
volontà
o avrebbe lasciato la metà del suo bellissimo pelo contro la
parete;
saltò fuori di botto e si bloccò davanti alla
piccola coniglietta.
“La
tua puzza si sente per
chilometri!” disse lei, con uno sguardo disgustato.
“Ti
dichiaro in arresto,
Wilde” continuò alzando la zampa per mostrargli le
manette, una
attorno al suo polso e una attorno al polso della volpe.
Nick
sollevò la propria zampa
senza sforzo, tirando su senza fatica la piccola coniglietta fino a
che i loro musi non furono uno di fronte all'altro: vide il piccolo
naso rosa fremere alla fine del suo, prima degli occhioni viola che
lo fissavano con stizza.
“Tu
e quale esercito,
carotina?” chiese sarcastico, facendola ciondolare appena di
qua e
di là.
“Non
ti azzardare!” tuonò
Judy offesa, colpendolo dritto sul naso con le zampe posteriori.
Nick ululò dal dolore e cadde
all'indietro, trascinando la poliziotta giù con
sé. Dal pavimento,
i due continuarono a osservarsi in cagnesco.
“Sono
l'agente Judy Hopps e tu
sei in arresto! Aggiungeremo l'evasione e l'offesa a pubblico
ufficiale alle tue imputazioni!”
Nick non voleva tornare in
prigione e non voleva che fosse quella piccola coniglietta a
riportarcelo, assolutamente.
“Senti,
carotina... Hopps,”
iniziò, scansando con un sorriso accattivante l'occhiataccia
che lei
gli mandò, “io sono innocente. So che è
una cosa che dicono
tutti, ma io sono davvero innocente! E devo cercare le prove per
dimostrarlo, da solo!”
Judy sbuffò dal naso e si
rimise in piedi, torreggiando su di lui.
“Sì,
ho già sentito questa
canzone. Sei innocente, è stato tutto uno sbaglio, e bla bla
bla.
Dammi un motivo per cui dovrei crederti.”
“Beh,
guardami. Ti sembra
possibile che una volpe piccola come me abbia potuto uccidere un
caribù? Un caribù. Solitamente alti intorno ai
due metri e beh,
pesano almeno cinque volte quanto peso io. Ti sembra
possibile?”
esclamò Nick con veemenza, strattonandola senza volere
mentre
gesticolava.
Judy rimase
in silenzio.
Certo, quello che diceva la
volpe sembrava giusto, tuttavia poteva essere una subdola mossa per
cercare di scappare, in fin dei conti. Ma anche il capitano credeva
nella sua innocenza, perciò forse avrebbe dovuto investigare
a fondo
e cercare di capire la verità. E poi Trunkaby e Higgins lo
avevano
già condannato e non l'avrebbero aiutata a fare ulteriori
indagini.
“Cosa
pensavi di fare?”
chiese guardinga, cercando di non suonare interessata.
“Vado
a fare un paio di
domande ad un amico che sa molte cose. E di certo sa anche chi
è
stato ad incastrarmi e perché. Se poi non trovassi nulla,
allora ti
giuro che tornerò in centrale di mia spontanea
volontà!”
Judy
sollevò un sopracciglio.
“Parola
di volpe, immagino.”
“Ehi,
la parola di una volpe è
onorevole e assoluta.”
“Facciamo
così: io verrò con
te dal tuo amico e ascolterò quello che ha da dire. Se mi
sembrerà
che tu sia anche solo vagamente innocente, ti aiuterò a
cercare le
prove che ti scagionino. Ma se proverai a scappare, ti
sparerò un
proiettile soporifero talmente forte da stordirti per una settimana.
Va bene, Wilde?”
Nick sbuffò e provò ad aprire
bocca, ma si trovò inchiodato al suolo dalla determinazione
della
coniglietta e non poteva in effetti chiedere una possibilità
migliore. Tuttavia non doveva mostrarsi troppo soddisfatto dalla
situazione.
“Non
credo che sia una buona
idea, carotina. Non posso farmi vedere assieme a te. Dovrai rimanere
nascosta!”
Judy
sollevò la zampa e fece
tintinnare le manette con fare provocatorio.
“Non
hai molta scelta... non
ho le chiavi” rivelò con un sogghigno, mordendosi
le labbra per
non ridere della disperazione del suo nuovo compagno di indagini.
Note:
Buona sera.
Vi chiedo innanzitutto scusa per
l'enorme ritardo, non era mia intenzione tardare così tanto
per
pubblicare il secondo capitolo. Vi assicuro che per i prossimi non ci
metterò così tanto.
A questo
punto della trama
scartata, era previsto che Nick evadesse di prigione usando fortuna e
astuzia e io ho usato l'evasione tramite water, omaggiando
così il
film.
Mi piaceva richiamare la stessa
scena e in futuro metterò altri di questi collegamenti.
È entrata in scena Judy ed è diversa dalla Judy che conosciamo. È più dura e anche un po' più cinica. Una poliziotta di ferro, tutta d'un pezzo. Chissà se in futuro vedremo un po' della sua dolcezza.
Vi ringrazio per aver letto, per la fiducia che avete dimostrato. E io mi impegnerò al massimo!
A presto! Abbraccio!